Acquiescenza

Alessio Luca Bonafine
03 Maggio 2016

L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. consiste nell'accettazione della pronuncia, ossia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita.
Inquadramento

L'acquiescenza può definirsi come il fenomeno dell'accettazione della sentenza cui consegue, ai sensi dell'art. 329, comma 1, c.p.c., l'esclusione del potere di proporre impugnazione avverso la medesima (C. Consolo, 2002; N. Picardi; B. Sassani).

Essa, però, non realizza in senso proprio l'estinzione del potere di impugnazione (contra, A. Cerino Canova), rilevando piuttosto ai fini della insussistenza di una condizione di merito per la pronuncia (A. Bonsignori). Ciò esce confermato non solo dalla circostanza per cui l'acquiescenza non esaurisce il potere di proporre impugnazione in via incidentale ai sensi dell'art. 334 c.p.c. ovvero per le ipotesi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c. (non potendosi infatti ragionevolmente immaginare una acquiescenza preventiva alla nascita del potere di impugnare – cfr. C. Consolo, 2009; C. Punzi) ma pure, e ancor di più, dalla considerazione della spendibilità, ad essa conseguente, di un'eccezione (cfr. infra, § 3) strumentale ad una pronuncia di inammissibilità (E. Minoli).

In altri termini, l'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. consiste nell'accettazione della pronuncia, ossia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita, purché anteriormente alla proposizione del gravame atteso che successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge (ex multis, Cass. civ., 11 giugno 2014, n. 13293; Cass. civ., 31 marzo 2014, n. 7501; Cass. civ., 16 ottobre 2013, n. 23529).

Le diverse ipotesi di acquiescenza

L'art. 329 c.p.c. prevede e distingue tra acquiescenza espressa, tacita e parziale. Le prime due ipotesi, indicate al comma 1 della disposizione, sono omogeneizzate sotto la qualificazione di acquiescenza propria e contrapposte, sulla scorta di una centralizzazione dell'elemento volontaristico, a quella parziale di cui al comma 2 del dettato normativo e individuata come impropria (E. Minoli – A. Bergomi).

L'acquiescenza manifesta consiste nella chiara volontà di non impugnare la sentenza (come conseguente anche alla esplicita accettazione della stessa) risultante da un atto unilaterale non recettizio (in quanto tale non necessitante dell'accettazione della controparte) e irretrattabile, giusta l'inapplicabilità dell'art. 1334 c.c. ad una dimensione strettamente processuale (Cass. civ., 19 giugno 2002, n. 8940; Cass. civ., 28 luglio 1986, n. 4818).

D'altronde, tale ricostruita natura giuridica trova conferma anche nella necessaria collocazione dell'atto di acquiescenza al di fuori della pendenza del processo atteso che esso, per essere posto in essere solo dopo la sentenza, non può dirsi inserito nella serie procedimentale di cui l'atto processuale costituisce momento indispensabile, finendo quindi per acquisire una connotazione evidentemente sostanziale (A. Bonsignori, Impugnazioni, cit., 346).

Inoltre, l'acquiescenza costituisce atto dispositivo del diritto ad impugnare e, per l'effetto e in via mediata, del diritto azionato in giudizio. Da ciò deriva non solo la necessità dell'assoluta inequivocità della volontà (espressa o tacita) di accettare la sentenza, ma pure la sua irrinunciabile riferibilità al solo titolare del diritto ovvero al procuratore munito di mandato speciale (Cass. civ., 28 gennaio 2014, n. 1764; B. Sassani, Lineamenti, cit., 512).

L'acquiescenza tacita, invece, deve ritenersi sussistente quando l'interessato, pur in assenza di una esplicita manifestazione di volontà, abbia comunque posto in essere atti assolutamente incompatibili con quella di avvalersi dell'impugnazione e dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia.

Tale conclusione, evidentemente, pone preliminarmente il tema della rilevanza della volontà effettivamente sottesa a tali atti. Altrimenti detto, occorre verificare se sia o meno richiesta una indagine sulla partecipazione psicologica dell'agente così da ammettere gli effetti giuridici di cui all'art. 329 c.p.c. solo in presenza di una volontà ricostruita (E. Minoli, L'acquiescenza, cit., 47; E. Minoli – A. Bergomi, Acquiescenza, cit., 498) ovvero se, invece, gli stessi atti non debbano essere valutati in senso oggettivo e materico come fatti da cui l'acquiescenza deriva (S. Satta).

La giurisprudenza ha dimostrato di condividere la prima delle descritte e differenti ricostruzioni richiedendo pertanto una corrispondente ed inequivoca volontà della parte che tali atti abbia posto in essere.

IPOTESI DI ESCLUSIONE DELL'ACQUIESCENZA

Spontanea esecuzione della decisione di primo grado

(trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione, Cass. civ., 11 giugno 2014, n. 13293; Cass. civ., 18 aprile 2014, n. 9075; Cass. civ., 14 ottobre 2011, n. 21290; Cass. civ., 10 novembre 1990, n. 10851);

Incasso, a fronte di una domanda di esecuzione in forma specifica relativa a un contratto preliminare avente ad oggetto un bene immobile, dell'importo pattuito e versato dalla parte vittoriosa, nonostante la decisione non fosse esecutiva ai sensi dell'art. 282 c.p.c, al fine di ottenere immediatamente il trasferimento della proprietà

(rilevando infatti come atteggiamento passivo, di per sé ambiguo e sicuramente non incompatibile con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge, Cass. civ., 4 giugno 2013, n. 14120)

Proposizione, con finalità di cautela, di autonomo giudizio per l'esecuzione di un contratto preliminare ex art. 2932 c.c.con riguardo all'impugnazione di una sentenza resa sulla domanda di annullamento, ai sensi dell'art. 428 c.c., del contratto di compravendita

(Cass. civ., 28 agosto 2015, n. 17267)

Proposizione da parte del difensore che nel grado precedente abbia difeso più parti, dell'impugnazione per conto solo di alcune di esse

(atteso che il diritto di impugnare può essere esercitato anche con diverso difensore, Cass. civ., 25 marzo 2015, n. 6027)

Pagamento, anche senza riserve, delle spese processuali liquidate nella sentenza d'appello, o comunque esecutiva, neppure quando sia antecedente alla minaccia di esecuzione o all'intimazione del precetto

(Cass. civ., 25 giugno 2014, n. 14368)

Alla acquiescenza tacita qualificata è dedicato il comma 2 dell'art. 329 c.p.c., ai sensi del quale l'impugnazione parziale comporta accettazione delle parti della sentenza non impugnate.

La disposizione, in altri termini, tratteggia una ipotesi di acquiescenza presunta nelle forme di un atto giuridico in senso stretto in cui la volontà dell'agente si rapporta al solo comportamento e non anche agli effetti dal medesimo derivanti (F.P. Luiso).

La finalità perseguita è evidentemente quella di evitare il frazionamento e la moltiplicazione degli atti di impugnazione, onerando la parte interessata di un'iniziativa processuale estesa a tutte le parti della sentenza esposte a gravame (C. Consolo, Le impugnazioni, cit., 61).

Ciò in quanto l'impugnazione parziale di una sentenza comporta la formazione del giudicato sulle parti non impugnate, atteso anche il principio di consumazione dell'impugnazione sancito dagli artt. 358 e 387 c.p.c., che consentono la proposizione di un ulteriore appello solo nel particolare caso in cui debba procedersi alla tempestiva rinnovazione di un atto integralmente nullo e sempre che non sia intervenuta declaratoria di inammissibilità o improcedibilità, così implicitamente escludendosi, in via generale la possibilità di una rinnovazione o integrazione del gravame già proposto (Cons. St. 7 novembre 2014, n. 5497).

In ogni caso, affinché possa dirsi configurabile una ipotesi di acquiescenza parziale è necessario che dal contesto dell'atto di impugnazione si deduca in modo non equivoco la volontà di sottoporre solo in parte la decisione all'impugnazione (Cass. 7 gennaio 2008, n. 33). Da ciò deriva anche che gli effetti di cui all'art. 329, comma 2, c.p.c. possono dirsi producibili solo con riferimento a capi della sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni del tutto indipendenti da quelle investite dal motivo di gravame, perché fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi l'efficacia precettiva anche se gli altri vengano meno (Cass. 13 agosto 2015, n. 16784; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4363; Cass. 10 settembre 2007, n. 19001).

L'art. 336, comma 1, c.p.c., infatti, nell'enunciare il principio dell'effetto «espansivo interno» chiarisce l'assoggettamento dei capi non impugnati ma dipendenti da quelli censurati alla riforma o alla cassazione della pronuncia.

Anche di recente la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il giudicato si forma soltanto su capi autonomi della sentenza, che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia, tali da integrare una decisione del tutto indipendente. Detta autonomia manca non solo nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verta in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. 16 aprile 2015, n. 7752, che ha escluso che il giudicato formatosi sull'accoglimento o sul rigetto della domanda che ha ad oggetto il diritto al pagamento del corrispettivo contrattuale possa estendersi in via indiretta anche alla qualificazione giuridica del contratto che costituisce infatti solo una premessa logica della decisione e non una questione formante oggetto di una specifica e autonoma controversia).

La precisa definizione della portata della norma in esame, però, impone una preventiva valutazione dei criteri utili alla formulazione della nozione di “capo” o “parte” di sentenza.

La tematica ha fortemente vivificato il dibattito dottrinale consolidatosi nel tempo lungo tre principali e distinte interpretazioni.

CONTRASTO DOTTRINALE

Corrispondenza biunivoca tra capo e decisione su domanda di parte

C. Consolo, Il cumulo condizionale di domande, Milano, 1985, 253 ss., nt. 207; E. T. Liebman, «Parte» o «capo» di sentenza, in Riv. dir. proc., 1964, 57)

Identificazione del capo con ogni singola questione definita, sia anche pregiudiziale di rito o preliminare di merito

R. Poli, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002, 131

Distinzione tra impugnazione sostitutiva (in cui il “capo” corrisponderebbe ad ogni decisione su domanda) e gravame rescissorio (in cui, invece, occorrerebbe valorizzazione ogni statuizione su questione)

E. Allorio, Gravame incidentale di una parte totalmente vittoriosa?, in Giur. it., 1956, I, 1, 543. Amplius, sul tema, C. Consolo, Le impugnazioni, cit., 40 ss; A. Panzarola, La Cassazione civile giudice del merito, Torino, 2005, 518 ss.

La giurisprudenza, nella complessità generale del tema (cfr. G. Monteleone, che evidenzia la possibilità di procedere al frazionamento orizzontale e verticale di ogni sentenza atteso che se il piano orizzontale rileva a fini dell'individuazione di tutte le statuizioni contenute nella pronuncia, e conseguentemente anche ai fini degli effetti di cui all'art. 329 c.p.c., quello verticale, relativo al contenuto logico del provvedimento, attiene ai motivi dell'impugnazione quali critiche formulate avverso le soluzioni offerte per le singole questioni sorte) sembra aver aderito alla seconda delle prospettazione sopra sinteticamente richiamate precisando che la nozione di «parti della sentenza», fatta propria dal comma 2 dell'art. 329 c.p.c. e a cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le «statuizioni minime», costituite dalla «sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell'ambito della controversia» (Cass. civ., 28 settembre 2012, n. 16583).

Il regime della rilevabilità

Per la ricostruzione del regime della rilevabilità della acquiescenza, come delineato dalla giurisprudenza di legittimità, occorre distinguere a seconda che essa si atteggi quale accettazione totale o parziale della sentenza, ammettendosi solo nel secondo caso la rilevabilità d'ufficio sul presupposto che spetti al giudice l'accertamento dei limiti oggettivi dell'impugnazione (Cass. civ.,14 gennaio 2013, n. 3664; Cass. civ., 19 giugno 2002, n. 894).

Tale argomentazione, in vero, non pare ostativa all'applicazione del regime della rilevabilità d'ufficio anche alle ipotesi di acquiescenza totale atteso che a rilevare è comunque un fenomeno preclusivo del potere di impugnazione funzionalizzato all'interesse pubblico alla formazione del giudicato (C. Consolo, Le impugnazioni, cit., 67).

La medesima motivazione è d'altronde posta a fondamento della estensione della cognizione della Corte di Cassazione anche all'accertamento della volontà della parte all'acquiescenza. Sebbene, infatti, esso costituisca certamente un giudizio di fatto, implica pure la denuncia di un vizio del procedimento di impugnazione, tale da giustificare il potere-dovere della Corte di procedere alle opportune indagini di merito, sia pure limitatamente al fatto che si assume aver dato causa al vizio, anche attraverso l'esame di nuovi atti e documenti prodotti dalle parti, in quanto riguardanti l'ammissibilità o l'inammissibilità del ricorso ai sensi dell'art. 372 c.p.c. (Cass. civ., n. 894/2002, cit.), e ai fini del controllo sulla proseguibilità del processo ex art. 383, comma 3, seconda parte.

Riferimenti

Bonsignori, Impugnazioni civili in generale, in Dig. it. (disc. priv.), IX, Torino, 1993, 346

Cerino Canova, Acquiescenza, (dir. proc. civ.) in Enc. Giur., I, Roma, 1988, 1 ss.

C. Consolo, 2009 Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze dopo la legge n. 69 del 2009, Padova, 2009, 378

C. Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2002, 59

F.P. Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2015, II, 324

E. Minoli, L'acquiescenza nel processo civile, Milano, 1942, 401 ss.

E. Minoli – A. Bergomi, Acquiescenza, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 497

G. Monteleone, Limiti alla proponibilità di nuove eccezioni in appello, in Riv. dir. civ., 1983, I, 727 ss.

N. Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013, 395

C. Punzi, Il processo civile, Torino, 2008, II, 385

S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1966, 49

B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, Milano, 2015, 511

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