Intervento ad adiuvandumFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 105
16 Febbraio 2016
Inquadramento
In generale con l'intervento, nelle diverse accezioni di cui all' art. 105 c.p.c . , si realizza un cumulo soggettivo, in un processo in corso, su iniziativa di un terzo.
Con il meccanismo dell'intervento, rapporti tra loro connessi sul piano sostanziale possono coordinarsi a livello processuale, così da evitare discrasie e garantire la effettività della tutela. Nell'ambito dei tre tipi di intervento volontario, diversi nei loro presupposti e nel loro svolgimento, disciplinati dall' rt. 105 c.p.c . , il comma 2 si occupa dell'intervento adesivo dipendente caratterizzato dal fatto che l'interveniente non fa valere un proprio diritto, ma si limita a sostenere le ragioni di una delle parti.La posizione del terzo è di mera adesione alla domanda della parte adiuvata, di cui il terzo auspica e cerca di favorire la vittoria. Non vi è proposizione di una domanda propria e la partecipazione al giudizio è finalizzata all'ottenimento di una sentenza favorevole ad una delle parti. Per questo si dice che, a differenza dell'intervento ad excludendum e dell'intervento adesivo autonomo regolati dal comma 1 dello stesso c.p.c. , l'intervento ad adiuvandum (o adesivo semplice o dipendente) non è innovativo: il terzo, pur proponendo una domanda propria, si limita con essa a chiedere l'accoglimento di una domanda altrui, senza agire per la tutela di una propria situazione sostanziale e senza un ampliamento del thema decidendum. Egli si limita ad interloquire nella lite tra altri già pendente, prestando la propria adesione alla domanda o all'eccezione di una delle parti.
In sostanza, l'intervento adesivo dipendente è caratterizzato dall'interesse, pur giuridicamente rilevante e non di mero fatto, che muove il terzo ad impedire che si ripercuotano nella sua sfera giuridica conseguenze dannose in caso di sconfitta della parte adiuvata (effetti indiretti o riflessi del giudicato: v., di recente, Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2015 n. 25135 ).
L'intervenuto fa valere nei confronti di una o di talune parti del processo un proprio interesse, cioè una posizione più attenuata del diritto soggettivo perfetto, in quanto l'esito della lite possa tradursi per l'interveniente in un vantaggio o in uno svantaggio ( Cass. civ., sez. lav., 1 giugno 2004 n. 10530 ). L'interesse richiesto per la legittimazione dall'intervento adesivo dipendente, e al quale si riferisce l' , comma 2, c.p.c . , non ha nulla a che vedere con l'interesse ad agireex art. 100c.p.c. , inerendo la sola legittimazione all'intervento. Questo interesse del terzo, non deve assurgere a diritto da dedurre nel processo in corso, ma non può neppure concretarsi in un interesse di mero fatto (Cass . civ., n. 2237/2016 ;Cass . civ., n. 17193/2015 ; Cass. civ., n. 3647/2014 e Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2014, n. 25145), dovendo consistere in un interesse giuridicamente qualificato in ordine all'esito del giudizio pendente (C ass. civ., sez. II, 14 dicembre 2015 n. 25135 ).
Secondo una interpretazione restrittiva la legittimazione ad intervenire adesivamente andrebbe riconosciuta solo a quei terzi nei cui confronti la sentenza sarebbe comunque efficace, ossia soggetti che sarebbero esposti all'efficacia riflessa, eventualmente pregiudizievole, della sentenza resa inter alios.
Si tratta in particolare di quei rapporti che si trovano in relazione di dipendenza – pregiudizialità. In alcuni casi vi sono specifiche norme nel codice civile, le quali prevedono che l'esito del giudizio sul rapporto principale e, svoltosi tra le parti di questo, sia opponibile al terzo titolare del rapporto dipendente.
Si pensi al caso del sub conduttore che ha interesse a sostenere le ragioni del conduttore principale, perché la sentenza che eventualmente neghi il diritto di questi lo pregiudica ai sensi dell' art. 1595, comma 3, c.c. .
Non v'è dubbio che, anche in assenza di una norma espressa, analogo rapporto vi sia in tutti casi di sub rapporti obbligatori (sub-deposito, sub-appalto, sub-mandato, sub-comodato, etc.) ricorrendo in tutti un nesso di pregiudizialità-dipendenza permanente (e non solo genetico) fra i due rapporti. Infatti, il rapporto fra attore e convenuto e quello tra convenuto e terzo, non solo nascono l'uno dipendente dall'altro (come avviene per la posizione degli aventi causa nei diritti reali o di godimento) e il vincolo permane, da cui la estensione del giudicato rispetto al terzo che sia titolare del diritto dipendente con la precisazione che gli effetti del giudicato inter alios non incideranno sulla esistenza e validità del rapporto derivato, ma sulla sua fisiologica attuabilità.
Si ritiene, poi, che talora possano avere un interesse giuridico rilevante, che consente il loro intervento adesivo, anche i terzi titolari di rapporto non formalmente dipendente da quello oggetto di giudizio nel processo pendente ma collegato all'esito di quel giudizio sotto altri profili. Come il caso del creditore che decide di intervenire adesivamente nel processo in cui il suo debitore sia stato convenuto dall'attore al fine di rivendicare la proprietà di una parte significativa del suo patrimonio che costituisce la garanzia patrimoniale generica ( ex art. 2740 c.c. ) sui cui il creditore faceva affidamento per soddisfare il proprio credito. Pur in assenza di una norma espressa, deve, tuttavia, sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale di guisa che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere – anche solo in via indiretta o riflessa, pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa. In Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2014, n. 25145 si precisa a questo proposito che il terzo deve presentarsi come titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti originarie contro l'altra o da esso dipendente e la connessione deve comportare un pregiudizio totale o parziale del diritto di cui il terzo stesso si asserisca titolare nell'ipotesi di soccombenza della parte originaria. È necessaria, quindi, la titolarità di una situazione sostanziale collegata al rapporto dedotto in giudizio, tale da esporre il terzo agli effetti riflessi del giudicato. Se, invece, il terzo ha un interesse di mero fatto a che una delle parti del rapporto principale risulti vittoriosa, non può essere riconosciuta alcuna legittimazione ad intervenire ad adiuvandum ( civ., 24 gennaio 2003, n. 1111 ).
La situazione del terzo deve essere, quindi, giuridicamente protetta come nel caso in cui per il nesso di interdipendenza che lega la posizione a quella della parte principale , il terzo sia esposto agli effetti della pronuncia inter alios acta. Per esempio in C ass . civ., n. 22696 / 2015 si è escluso che, nell'ipotesi di decreto ingiuntivo emesso nei confronti di debitori solidali, l'ingiunto il quale non abbia proposto opposizione sia legittimato ad intervenire anche ad adiudvandum nel giudizio di opposizione instaurato da altro debitore, in quanto non potrebbe in alcun modo giovarsi della sentenza a questi favorevole, poiché l' art. 1306, comma 2, c.c. non opera a vantaggio di chi sia vincolato da un giudicato formatosi direttamente nei suoi riguardi, difettando pertanto un interesse anche di mero fatto.
È discussa in dottrina la ricostruzione della legittimazione.
Per alcuni il terzo sarebbe soggetto alla cosa giudicata, subirebbe cioè il vincolo dell'accertamento (Proto Pisani) sicché l'intervento adesivo mirerebbe ad una tutela preventiva contro l'estensione del giudicato che prevale anche sui rapporti dipendenti; per altri l'istituto sarebbe correlato agli effetti che, dalla sentenza, possono derivare al titolare di un rapporto dipendente da rilievo anche a diversificati effetti della sentenza, cioè a quelli costitutivi, esecutivi e, soprattutto agli effetti che, quali ripercussioni fattuali, si riverberano sulle fattispecie sostanziali dipendenti dall'emanazione della sentenza. Ne deriva che può intervenire come terzo non solo colui che subisce l'estensione del giudicato (effetto di accertamento) ma in genere colui che vede la propria situazione sostanziale incisa dal cosiddetto effetti riflessi della sentenza . Vi è anche chi parla di azione surrogatoria applicata al processo (Luiso) . Nella prassi si osserva che l'interveniente adesivo ha un interesse di fatto all'esito favorevole della controversia, determinato dalla necessità di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi le conseguenze dannose della decisione, interesse che non è idoneo ad attribuirgli una autonomo diritto da far valere nel rapporto controverso(Cass. civ., sez. III, 14 marzo 1995 n. 2928).
L'intervento adesivo dipendente non è ammissibile in appello, essendo l'intervento volontario in appello possibile soltanto quando l'interventore è legittimato a proporre opposizione di terzo ai sensi dell' art. 404 c.p.c ( Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2006, n. 12114 ).
Come è stato osservato in dottrina, quanto alla struttura processuale, con l'intervento adesivo si costituisce un giudizio unico con pluralità di parti, nel quale la pronuncia sarà la stessa rispetto alla parte principale ed all'interveniente. La posizione rivestita dalla parte interveniente è la medesima di quella rivestita dal chiamato in causa ex artt . 106 o 107 c.p.c : il terzo diviene parte e rimane tale fino alla eventuale decisione di estromissione dell'intervenuto per difetto di legittimazione, che potrà essere contenuta nella sentenza definitiva o in quella non definitiva, pronunciata ex art. 272 c.p.c (appellabile dall'interveniente, con appello immediato se si tratta di sentenza, non definitiva per l'intero processo, ma definitiva per la sua posizione: Cass. civ., n. 1671/2015 ).
In seguito all'intervento adesivo il terzo chiede che il rapporto litigioso – pregiudiziale al suo – venga accertato con efficacia di giudicato anche nei sui confronti. Pertanto egli diventa parte e titolare di una serie di poteri processuali estesi che incontrano un limite solo nella carenza di potere (sostanziale) di disporre del diritto controverso.
Quindi anche per l'interveniente volontario valgono le preclusioni maturate per le parti. L' art. 268 c.p.c. , che ammette in via generale l'intervento in causa del terzo finché non siano precisate le conclusioni, deve essere coordinato con il sistema di preclusioni e scansioni temporali introdotte dalla l. n. 353/ 1990 sicché il terzo non potrà compiere atti che al momento dell'intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte.
Poiché tuttavia, l'intervento adesivo dipendente è l'unico che non comporta la formulazione di domande nuove con il conseguente ampliamento dell'oggetto del processo, l'intervento adesivo dipendente è l'unico ammissibile, anche dopo che si sia verificata la cristallizzazione del thema decidendum.
Rispetto alle modalità, con cui avviene l'intervento del terzo, l' art. 267 c.p. c. stabilisce che il terzo deve costituirsi presentando in udienza o depositando in cancelleria una comparsa, il cui contenuto rispecchia quello della comparsa di risposta in cui giustificherà l'interesse che lo spinge a chiedere l'accoglimento o il rigetto della domanda dell'attore. L'intervenuto potrà allegare fatti (non tali da mutare l'oggetto del giudizio); sollevare eccezioni purchè rilevabili d'ufficio (salvi, tuttavia, gli artt. 1247 e 2939 c.c. ), produrre documenti, formulare istanze relative a prove costituende ed argomentare in fatto e in diritto.
Recentemente la Suprema Corte ( Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2015 n. 25135 ) ha precisato che la legittimazione ad intervenire nel giudizio inter alios include logicamente la possibilità della parte interessata di aderire ab origine alla domanda altrui, in seno al medesimo atto di citazione, sottoscrivendo l'atto introduttivo del giudizio sottoscritto dalla parte principale.
Non potrà invece confessare o prestare giuramento decisorio (né deferirlo all'avversario della parte da lui adiuvata): risponde all'interrogatorio libero perché da esso possono derivare meri argomenti sussidiari di prova, e non confessioni.
Il fatto che il terzo legittimato all'intervento adesivo, sia esso intervenuto o meno, abbia interesse ad un ben determinato esito della causa ha indotto il legislatore, in considerazione della parzietà del predetto, ad escludere la sua capacità a testimoniare sui fatti di causa ( art. 246 c.p.c . ; Cass . civ., n. 1369/1989 ).
Poiché con l'intervento adesivo si costituisce un giudizio unico con pluralità di parti, nel quale la pronuncia sarà la medesima rispetto alla parte principale e l'interveniente, i poteri di quest'ultimo sono limitati all'espletamento delle attività accessorie subordinate a quelle svolte dalla parte adiuvata, potendo l'interveniente sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni unicamente nell'ambito delle domande ed eccezioni proposte da detta parte. Conseguentemente, se le parti del giudizio principale pongono termine al rapporto processuale (per rinuncia o acquiescenza), l'interveniente non avrebbe potere di far proseguire il processo. Per lo stesso motivo, per il caso di rinuncia, non è necessaria l'accettazione dell' interveniente non configurandosi un suo interesse a proseguire il giudizio ( 306 c.p.c ; Cass. civ., sez. III, 16 novembre 2006 n. 24370).
Circa il potere di impugnazione della sentenza permangono dubbi interpretativi . La giurisprudenza prevalente è incline a negare detto potere in capo all'interventore adesivo dipendente allorchè la parte adiuvata abbia fatto acquiescenza ( ass. civ., 10 agosto 2007 n. 17644 ;Cass . civ., sez. un., n. 5992/2012 ), argomentando dal fatto che il predetto non è titolare del rapporto giuridico litigioso, bensì riveste soltanto il ruolo di parte accessoria (salvo che l'impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell'intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico). Da cui la inammissibilità dell'impugnazione del terzo ove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione, ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole.
Riferimenti
C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, vol.II, Torino 2015; F.P. LUISO, Diritto processuale civile, vol.I , Principi generali, VIII ed. Giuffrè 2015;
STELLA RICHTER, Codice di procedura civile, libro I, Giuffrè ed. 2006;
MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, a cura di CARRATTA, Torino 2012 Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |