Reclamo cautelare
30 Novembre 2016
Inquadramento
Il procedimento cautelare uniforme deve la sua attuale conformazione al d.l. 14 marzo 2005, n. 35 convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80. La novella, per quanto riguarda il processo cautelare, ha interessato:
L'innovazione più significativa consiste indubbiamente nel rilievo attribuito alla distinzione tra provvedimenti cautelari anticipatori e conservativi, perché i primi (ove ottenuti ante causam) conservano efficacia anche se il giudizio di merito non è iniziato oppure (se emessi lite pendente) si estingue. Così, il procedimento cautelare sembra evolvere dalla mera cautela di un diritto, da accertare successivamente nel processo a cognizione piena (con efficacia di giudicato), alla assicurazione immediata dell'utilità sostanziale di cui l'istante ha bisogno attraverso un provvedimento semplificato, a prevalente finalità esecutiva, che aspira a divenire stabile nel tempo. Oggetto del reclamo
L'art. 669-terdeciesc.p.c. individua l'oggetto del reclamo nella «ordinanza con la quale... sia stato concesso un provvedimento cautelare». Ne deriva innanzitutto, sul piano letterale, l'esclusione del decreto reso inaudita altera parte ex art.669-sexies, comma 2 c.p.c.. Non è quindi consentito un reclamo per saltum, omisso medio, essendo a sua volta reclamabile soltanto l'ordinanza resa a conferma, modifica o revoca in sede di riesame dallo stesso giudice del decreto. Ciò all'evidente scopo di evitare proliferazioni di reclami. L'intervento della Corte Costituzionale consente ora di reclamare anche i provvedimenti negativi, così eliminando la possibilità di un gravame condizionato dal tipo di pronuncia, sulla scorta dell'avvertita necessità di una equa distribuzione fra le parti di oneri e doveri processuali e di un apprezzamento della pari valenza degli interessi di cui le contrapposte parti sono portatrici. La norma dell'art. 669-terdecies c.p.c. costituisce il punto di approdo di quell'indirizzo dottrinale che aveva sostenuto la necessità di colmare una lacuna del sistema previgente, che era privo di qualsiasi mezzo di gravame contro i provvedimenti cautelari (diversamente dalla maggior parte degli ordinamenti europei), nonostante la sempre maggiore diffusione ed incisività della tutela urgente cautelare nell'ambito della tutela giurisdizionale. L'istituto si colloca nell'ambito di una serie di rimedi previsti in via generale dal legislatore della riforma (la revoca e modifica, l'inefficacia e la sospensione dell'esecuzione o dell'efficacia esecutiva della misura cautelare) in un'ottica opposta rispetto a quella della disciplina previgente, imperniata sulla tendenziale stabilità del provvedimento cautelare. La legittimazione alla proposizione del reclamo
Al riguardo va ricordato che l'attenzione del legislatore della riforma si è focalizzata inizialmente sulla posizione del soggetto passivo della misura cautelare, al fine di ampliare le limitatissime possibilità difensive offertegli dal sistema previgente. In quest'ottica era stata prevista inizialmente la reclamabilità della sola ordinanza di accoglimento del ricorso cautelare, emessa prima o nel corso della causa di merito, proprio a tutela del destinatario passivo della misura. A seguito della nota sentenza additiva del giudice delle leggi è stato possibile proporre reclamo avverso l'ordinanza di rigetto della domanda cautelare, eliminando la possibilità di un gravame condizionato dal tipo di pronuncia, sulla scorta dell'avvertita necessità di un'equa distribuzione fra le parti di oneri e doveri processuali e di un apprezzamento della pari valenza degli interessi di cui le contrapposte parti sono portatrici (Corte. cost., 23 giugno 1994, n. 253, in Foro it., 1994, I, 2005, con nota di Capponi).
La modifica del testo del comma 1 dell'art. 669-terdecies c.p.c. (che ammette il reclamo «contro l'ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare», apportata dalla l. n. 80/2005, costituisce il naturale recepimento a livello normativo dell'integrazione al testo legislativo già apportata dal giudice delle leggi. Il richiamo – nel testo novellato del comma 1° dell'art. 669-terdecies – alla forma dell'ordinanza del provvedimento impugnabile, se, per un verso, conferma l'irreclamabilità del decreto di accoglimento reso inaudita altera parte, ai sensi del comma 2° dell'art. 669-sexies c.p.c., per altro verso, non esclude la condivisibilità della tesi favorevole alla reclamabilità del decreto di rigetto de plano (Trib. Torino, 11 agosto 1994, in Giur. it., 1995, I, 2, c. 577, con nota di FRUS, Sulla reclamabilità del decreto di rigetto della domanda cautelare; Trib. Ravenna, 24 settembre 1994, in Foro it., 1994, I, 3531 ss.; Trib. Roma, 23 luglio 1996, in Riv. dir. proc., 1998, 606, con nota di Cicchitti; Trib. Lecce, ord. 13 settembre 2000, in Rass. dir. civ., 2/2001, 420, con nota adesiva di Laboragine, Sulla reclamabilità del decreto di rigetto dell'istanza cautelare), non seguito cioè dalla successiva instaurazione del contraddittorio. Procedimento e poteri del collegio
La struttura rigidamente impugnatoria del rimedio e la stessa nozione di controllo del provvedimento (che implica una verifica degli eventuali errores in procedendo o in iudicando, nei quali sia incorso il giudice che ha concesso la cautela e non una verifica della giustizia del provvedimento sulla scorta di fatti o di prove sopravvenute) induce ragionevolmente a ritenere che il gravame debba avere ad oggetto il riesame delle condizioni di legittimità e di opportunità della misura cautelare concessa. Le regole procedimentali vanno ricavate dall'intarsio fra disposizioni specifiche (art. 669-terdecies c.p.c.), caratteristiche del procedimento in contraddittorio e richiamato rito camerale, nei limiti della compatibilità. Analogamente va garantito il contraddittorio, per cui deve ritenersi che reclamo e decreto che fissa l'udienza camerale vadano notificati alla controparte (anche con forme di convocazione abbreviata). In tal senso si è rilevato che la mancata notificazione del ricorso per reclamo cautelare e del pedissequo provvedimento presidenziale di fissazione dell'udienza produce l'improcedibilità del gravame, ove vi sia stata tempestiva comunicazione al reclamante del decreto medesimo da parte della Cancelleria, ovvero ove il vizio riguardi procedimento per il quale si applica il nuovo processo civile telematico (Trib. Firenze, 19 marzo 2015). I limiti dei poteri istruttori non possono che delinearsi coerentemente all'ampiezza dei motivi deducibili e del contenuto del provvedimento terminativo. Va da sé che una maggiore ampiezza devolutiva comporterà l'attribuzione al giudice del reclamo degli stessi poteri riconosciuti a quello della cautela dall'art. 669-sexies, con conseguente possibilità di procedere indiscriminatamente e con modalità libere agli atti istruttori ritenuti indispensabili, ivi comprese le sommarie informazioni. Opererà comunque il giudice del reclamo nell'ambito delle deduzioni delle parti: di qui il delinearsi di un modello acquisitorio. Va da sé che la rinnovazione di una prova già acquisita potrà aversi sollecitando i poteri officiosi del giudice del reclamo, mentre nuove deduzioni istruttorie non apparirebbero paralizzate dalle preclusioni simili a quelle del giudizio d'appello. La suggerita rigida demarcazione dell'area del reclamo alla mera revisio comporta invece il ritorno ad una ritenuta indispensabilità come presupposto per l'acquisizione di nuove prove, dato non incompatibile con la possibilità di assumere informazioni, secondo la previsione del richiamato art. 738, comma 3, c.p.c.. Nulla osta invece alla rinnovazione in forma collegiale dell'assunzione di mezzi già esperiti in primo grado, ex art. 356 c.p.c.. Al di là di quanto la prassi giudiziaria ha potuto suggerire, deve ritenersi che il giudice (collegiale) del reclamo provveda all'assunzione in tale composizione, non apparendo codificata (né opportuna) una delegabilità al componente singolo (il relatore si limita infatti a riferire in camera di consiglio: art. 738, comma 1, c.p.c.). Questa razionale individuazione dei motivi e dell'oggetto del controllo induce ad escludere che possano dedursi, in via di reclamo, sopravvenuti mutamenti delle circostanze, che giustificano semmai la revoca o la modifica del provvedimento cautelare (Vaccarella, Capponi, Cecchella, Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, 378). Pertanto, deve ritenersi che il giudice del reclamo, nel rispetto di quanto devoluto alla parte attraverso i motivi di reclamo (effetto parzialmente devolutivo, in applicazione analogica dell'art. 346 c.p.c.), abbia la possibilità di integrare eventuali lacune dell'istruttoria sulla domanda cautelare nonché, in mancanza di specifiche preclusioni, di accogliere nuove istanze istruttorie relative a circostanze sopravvenute o anche a fatti in precedenza non dedotti, procedendo al compimento di quegli atti di istruzione che reputi “indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini” della richiesta misura cautelare (e del reclamo), con applicazione analogica del comma 1° dell'art. 669-sexies c.p.c. (GUAGLIONE, La prova nel procedimento cautelare, in Rass. dir. civ., 2002, 220). Competenza collegiale in tema di modifica o revoca del provvedimento cautelare
La novella dell'art. 669-decies c.p.c. ha chiarito due aspetti non del tutto espliciti nella precedente formulazione della norma:
Per quanto riguarda la competenza per l'emissione di un'ordinanza di modifica o revoca del provvedimento cautelare è ormai chiarito che il giudice istruttore della causa di merito, ancorché il provvedimento sia emesso ante causam, sia l'unica autorità giudiziaria competente a modificare o privare di effetti il provvedimento precedentemente emesso (anche, quindi, se per decisione di un altro giudice). La regola trova la sua naturale eccezione nell'ipotesi in cui il provvedimento cautelare sia oggetto di reclamo. In questo caso, essendo già investito della decisione sulla riforma del provvedimento un altro organo giurisdizionale (il collegio o un'altra sezione della Corte d'Appello), la permanenza di tale competenza in capo al giudice di merito potrebbe cagionare un conflitto di giudicato. Infatti, ancorché sia stata definita l'esclusiva competenza del collegio (o di un'altra sezione della Corte d'Appello, investita del reclamo) anche sulla modifica/revoca del provvedimento cautelare in presenza di circostanze nuove ovvero (come esamineremmo successivamente) in presenza di fatti anteriore successivamente conosciuti, tuttavia non è stato chiarito se, in ipotesi di rigetto dell'istanza di modifica o revoca, sia competente a decidere su un'ulteriore istanza l'organo giudiziario investito del reclamo ovvero, di nuovo, il giudice istruttore (a cui potrebbe essere riproposta l'istanza). Attualmente, la posizione della giurisprudenza sembra prevalentemente assestata sulla competenza del giudice del reclamo (Trib. S. Angelo Lombardi, 5 marzo 2002; Tribunale Lucca, 13 ottobre 1999, Giur. it. 2000, 1855; Trib. Padova, 12 novembre 1998, Giur. it. 2000, 87; Trib. Milano, 20 giugno 1997, Giur. it. 1998, 1625; Trib. S.Maria Capua V., 5 novembre 1996, Foro it. 1997, I,1634; Trib. Roma, 27 giugno 1995, Foro it. 1996, I,1086). Non mancano, tuttavia, opinioni contrarie (Trib. Milano, 29 agosto 2002, Giur. it. 2003, 2087; Trib. Palermo, 4 luglio 1997, Giur. merito 1999, 795; Trib. Roma, 26 maggio 1995, Foro it. 1996, I,1091: Trib. Torino, 29 marzo 1995, Giur. it. 1995, I,2, 907; Trib. Milano, 16 gennaio 1995, Vita not. 1996, 1220).
L'ammissibilità del reclamo incidentale nell'ambito del procedimento cautelare è oggetto di dibattito, sia in sede dottrinale che giurisprudenziale, fin dall'introduzione del procedimento cautelare uniforme. In merito sono state date risposte diverse (per una panoramica dei diversi orientamenti, PAPPALARDO, Sul reclamo incidentale tardivo, inRivista di diritto industriale, fasc.6, 2014, 463). Se in dottrina, in particolare a seguito della sentenza della Corte Cost., 23 giugno 1994, n. 253, le posizioni possono dirsi quasi omogenee nel senso dell'ammissibilità del reclamo incidentale, in giurisprudenza si riscontrano ancora diverse posizioni. Se l'orientamento della dottrina può dirsi abbastanza omogeneo, nel senso di ammettere sia la proposizione del reclamo incidentale, sia l'applicazione analogica dettata dal Codice in materia di impugnazioni incidentali, in particolare tardive, lo stesso non può dirsi della giurisprudenza. È possibile rinvenire tre correnti principali:
Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 4 luglio 1994 ; (Trib. Torino, 4 luglio 1994, Giur. it., 1995, I, 2, 748 e ss.), affronta la questione dell'ammissibilità del reclamo incidentale. Afferma anzitutto il Tribunale che nessuna norma di diritto positivo prevede la proposizione dell'istanza di riesame del provvedimento cautelare in via incidentale, nemmeno se tempestiva. Il Tribunale non ritiene poi possibile colmare la lacuna normativa in via interpretativa, con l'estensione analogica degli artt. 333-335 c.p.c.: tale normativa concerne infatti il sistema dei mezzi di gravame contro le ‘sentenze' e cioè contro provvedimenti di carattere stabile emessi all'esito di una plena cognitio e non può essere estesa, difettando il necessario presupposto dell'assimibilità della fattispecie, al sistema dei mezzi di gravame contro i provvedimenti cautelari, che costituiscono pronunce provvisorie emesse all'esito di una summaria cognitio. Conclude il Tribunale, in questo rispondendo alle correnti dottrinali viste supra, che la mancata previsione ex lege di tale rimedio non è da attribuirsi all'impostazione originale del reclamo anteriormente alla sentenza della Corte Costituzionale, in quanto anche nel sistema originale del rito cautelare uniforme era ben possibile la sussistenza di differenziate situazioni di interesse a ricorrere contro lo stesso provvedimento. Nega, sembra anch'esso in via generale, l'ammissibilità del reclamo incidentale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in una pronuncia di qualche anno successiva ; (Trib. Santa Maria Capua Vetere, 10 dicembre 1996, CELESTE, Il nuovo procedimento cautelare civile, Milano, 2006, 569 s.). Un secondo orientamento giurisprudenziale ritiene ammissibile il reclamo incidentale, ma nel rispetto del termine perentorio previsto dall'art. 669-terdecies c.p.c.. Una prima pronuncia in questo senso è stata data da Tribunale di Reggio Emilia ; (Tribunale Reggio Emilia, 26 gennaio 1995) che, in motivazione, espone diffusamente i motivi per cui non ritiene accoglibile la prospettazione del ricorrente incidentale. Parte dal pacifico presupposto che nel sistema conseguente alla pronuncia della Corte Costituzionale non vi sono ostacoli alla proposizione del reclamo anche ad opera della parte solo parzialmente soccombente, e che pertanto può accadere che l'altra parte abbia preliminarmente depositato un ricorso avverso il medesimo provvedimento. Avverte però il Tribunale che, anche in questo caso, il secondo reclamo avverso il medesimo provvedimento deve essere presentato nel rispetto del termine previsto dall'art. 669-terdecies c.p.c. Alla tesi difensiva che vorrebbe l'applicazione analogica dell'art. 334 c.p.c., risponde che la ratio sottesa a detta norma può essere colta solo con riguardo all'impugnazione di provvedimenti destinati diventare definitivi, mentre i provvedimenti cautelari hanno carattere provvisorio. Conclude rilevando come l'ammissibilità di reclami incidentali tardivi contrasta sia con la brevità del termine stabilito per la decisione da parte del collegio, sia con la previsione di un breve termine perentorio per l'instaurazione del giudizio di merito. In questa corrente sembra inserirsi anche un'ordinanza del Tribunale di Bergamo ;(Trib. Bergamo, 10 settembre 1994, in Giur. it., 1995, I, 2, 660) rileva il Tribunale come nell'ipotesi di mancata notifica il termine (perentorio) per proporre il reclamo potrebbe in astratto non decorrere mai. Onde ovviare a tale problema, conclude che il termine decorre dalla notificazione del reclamo principale, ovvero, se l'interesse a reclamare in via incidentale sorge dalla proposizione di un reclamo incidentale di un'altra parte, dalla notifica di quest'ultimo. La terza corrente giurisprudenziale ammette il reclamo incidentale tardivo, sulla scorta principalmente delle motivazioni illustrate esaminando la posizione della dottrina in merito. Si riscontra però una dualità di posizioni sul termine entro cui tale reclamo incidentale debba essere proposto. Una parte della giurisprudenza ritiene ammissibile la proposizione del reclamo incidentale fino all'atto di costituzione della parte resistente, in analogia con quanto dispone l'art. 343 c.p.c. in materia di appello. Tra le prime pronunce in materia si rinviene il Tribunale di Modena ; (Tribunale Modena, 13 marzo 1997, in Giur. it., 1997, I, 2, 489 e ss.), che applicando in via analogica il dettato dell'art. 343 c.p.c., ammette la possibilità di proporre reclamo fino alla comparsa di costituzione. Anche il Tribunale di Palermo, constata che il reclamo implica un riesame della domanda cautelare nel suo complesso ed è conseguentemente applicabile la disposizione generale in tema di impugnazioni incidentali tardive ; (Trib. Palermo, 22 ottobre 1997). Il Tribunale di Rieti ha ammesso la proposizione del reclamo cautelare incidentale all'atto della costituzione del procedimento instaurato dal reclamante principale ; (Tribunale Rieti, 24 gennaio 2003).
Reclamo e deposito telematico
L'introduzione del processo civile telematico ha profondamente innovato il processo civile, in un'ottica modernizzatrice, al fine di ridurre le lungaggini ed i costi, in modo da adeguarlo alle mutate esigenze della società civile e dell'economia italiana. Conseguentemente, l'entrata in vigore delle nuove disposizioni normative e delle c.d. "regole tecniche" ha visto fiorire i primi orientamenti giurisprudenziali di merito sulle principali questioni e criticità sorte in sede di interpretazione delle singole disposizioni. Alcuna norma dell'ordinamento processuale consente il deposito in forma telematica dell'atto introduttivo del giudizio atteso che ex art. 16-bis l. 17 dicembre 2012, n. 221, a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili dinanzi al tribunale il deposito degli atti processuali con modalità telematiche riguarda solo le parti precedentemente costituite, non essendo contemplato il deposito telematico degli atti introduttivi del giudizio (Trib. Torino, 20 luglio 2014; Trib. Torino, 15 luglio 2014, dichiarativa dell'inammissibilità del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. depositato telematicamente in cancelleria; in senso conforme Trib. Foggia, 10 aprile 2014). Ai sensi dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012 (e ss. mod.): «a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici». Ne consegue che, fermi restando i casi di obbligatorietà del deposito telematico previsti dall'art. 16-bis, è sempre in facoltà delle parti depositare telematicamente gli atti introduttivi o di costituzione in giudizio. Parte della giurisprudenza sanziona con l'inammissibilità il reclamo non depositato telematicamente muove della circostanza che il reclamo non avvia un nuovo ed autonomo giudizio, ma innesta una fase eventuale relativa al medesimo giudizio avviato con il ricorso cautelare. La decisione maturata al suo esito, inoltre, è passibile di ulteriori modifiche in caso di sopravvenienze nel corso del giudizio di merito. In tal senso, si è rilevato che “il legislatore del 1990 ha introdotto il nuovo istituto del reclamo contro i provvedimenti cautelari, configurandolo, più che come una vera e propria impugnazione, come una sorta di prosecuzione del giudizio cautelare unitario; ciò in funzione di una nuova pronuncia nell'esercizio degli stessi poteri da parte di un giudice che è diverso da quello che ha pronunciato il primo provvedimento, solo perché opera in una composizione sempre collegiale per lo più nell'ambito dello stesso ufficio giudiziario; e tutto ciò con l'attribuzione alla nuova pronuncia della portata di sostituirsi alla prima” (Trib. Foggia, 15 maggio 2015). Al contrario deve rilevarsi che l'opzione espressa dal legislatore con la l. n. 80/2005 è chiaramente a favore della natura devolutivo-sostitutivo del reclamo, aperto all'allegazione dello ius novorum: coerentemente alla possibilità di allegare fatti nuovi, il novellato comma 4° dell'art. 669-terdecies c.p.c. - riproducendo l'analoga previsione già introdotta dall'art. 23, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 nell'ambito del rito societario - dispone che: “il tribunale può sempre assumere nuove informazioni e acquisire nuovi documenti”. La diversità della formula, rispetto a quella utilizzata dall'art. 669-sexies, comma 1°, c.p.c. (che fa riferimento agli “atti di istruzione”) non giustifica tuttavia una minor ampiezza dei poteri istruttori del collegio (dotato di piena potestà cautelare) rispetto a quelli esercitabili dal giudice a quo. Ciò tanto più in considerazione della nuova prospettiva di poter conseguire un provvedimento ante causam idoneo – se a carattere anticipatorio – a svolgere una funzione non più soltanto cautelare, ma totalmente satisfattiva dell'interesse sostanziale perseguito dal ricorrente sia pure attraverso un accertamento a cognizione sommaria, privo dell'autorità del giudicato, ma ugualmente suscettibile di produrre effetti permanenti ove alcuna parte assuma l'iniziativa di instaurare il successivo giudizio di merito. Deve ritenersi, pertanto, che il giudice del reclamo, nel rispetto di quanto devoluto alla parte attraverso i motivi di reclamo (effetto parzialmente devolutivo, in applicazione analogica dell'art. 346 c.p.c.), abbia la possibilità di integrare eventuali lacune dell'istruttoria sulla domanda cautelare nonché, in mancanza di specifiche preclusioni, di accogliere nuove istanze istruttorie relative a circostanze sopravvenute o anche a fatti in precedenza non dedotti, procedendo al compimento di quegli atti di istruzione che reputi “indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini” della richiesta misura cautelare (e del reclamo), con applicazione analogica del comma 1° dell'art. 669-sexies c.p.c.. Altro formante giurisprudenziale (Trib. Asti, 15 marzo 2015; Trib. Trani, 20 ottobre 2015) ritiene che il ricorso per reclamo cautelare ha natura di atto introduttivo del relativo giudizio, essendo il deposito di tale atto finalizzato ad introdurre un nuovo giudizio sulla domanda cautelare, con effetti sostitutivi del provvedimento impugnato, a consentire al reclamante di costituirsi, chiedendo la fissazione dell'udienza ed instaurando il contraddittorio. Da ciò discende che, il reclamo dà avvio ad una nuova fase di modo che non soggiace all'obbligo del deposito telematico. Va segnalata, peraltro, l'esistenza di una tesi intermedia secondo cui, ferma restando la qualificazione del reclamo come atto “endoprocessuale” soggetto al deposito telematico, l'eventuale deposito in cartaceo è comunque ammissibile, dovendo ritenersi egualmente conseguito, in tal modo, lo scopo di adire il giudice competente, senza pregiudizio dei diritti della parte reclamata (Trib. Torino 26 gennaio 2015; Trib. Ancona, 28 maggio 2015). Riferimenti
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