Roberta Metafora
27 Marzo 2017

L'art. 281-sexies c.p.c. prevede la possibilità per il giudice di procedere alla decisione dopo la discussione orale della causa, con immediata lettura del dispositivo nella stessa udienza e con contestuale redazione della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In tal caso la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

L'art. 281 sexies rappresenta una norma cardine del processo civile italiano che ha – lentamente ma progressivamente - “conquistato” un ampio spazio nel processo civile.

La norma in questione, invero, non rappresenta una novità in senso assoluto, costituendo l'evoluzione del modello decisorio già previsto dagli ormai da tempo abrogati artt. 23, l. 24 novembre 1981, n. 689 (relativo al giudizio di opposizione all'ordinanza ingiunzione) e art. 315 c.p.c. (riguardante il procedimento innanzi al pretore).

La disposizione permette di recuperare concentrazione, immediatezza e celerità al processo civile, attribuendo al giudice un serio ruolo di intervento e controllo nella fase conclusiva del processo (Cass., sez. III, 20 novembre 2002, n. 16343, in motivazione).

Più specificamente, presenta molti ed evidenti vantaggi pratici: la possibilità di chiudere celermente il processo; l'eliminazione di carteggi ridondanti e qualche volta del tutto inutili; una riduzione della durata globale del giudizio di quasi tre mesi; un risparmio di attività puramente redazionale per il giudice, sono solo alcuni dei vantaggi arrecati dall'applicazione della norma in esame.

La trattazione orale favorisce la parte che ha ragione. Quest'ultima, infatti, potrà ottenere al termine dell'istruzione una sentenza provvisoriamente esecutiva, senza attendere l'appendice rappresentata dallo scambio delle comparse conclusionali e delle repliche (in applicazione del principio di ragionevole durata del processo). Favorisce anche il giudice, evitandogli di dover studiare le – talora corpose – comparse conclusionali e memorie di replica. Egli, inoltre, non sarà tenuto nella sentenza ad esporre lo svolgimento del processo, attività che può diventare particolarmente onerosa nei casi in cui il giudizio abbia avuto un iter tormentato. Infine, la motivazione della sentenza potrà essere succinta, indicando in estrema sintesi quale sia il fatto costitutivo della pretesa, e per quale motivo esso può ritenersi fondato o non fondato.

Gli indubbi vantaggi che la disposizione apporta hanno indotto il legislatore ad ampliare il suo raggio di azione; originariamente prevista solo per il processo di primo grado innanzi al tribunale in composizione monocratica, il meccanismo decisorio in questione è stato prima esteso al rito del lavoro, poi al giudizio di appello ed infine al processo di primo grado con decisione collegiale, circostanza che testimonia l'enorme successo del meccanismo previsto dall'art. 281-sexies.

I presupposti di operatività della norma

Attualmente e salvo ulteriori modifiche della norma, l'art. 281 sexies prevede la possibilità per il giudice di procedere alla decisione dopo la discussione orale della causa, con immediata lettura del dispositivo nella stessa udienza e con contestuale redazione della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In tal caso la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene.

Il presupposto (non scritto) per l'operatività della norma è dato dalla semplicità della causa, non necessariamente collegata al valore economico. Possono al riguardo ricordarsi le domande in tema di distanze legali; le domande di risarcimento dei danni causati da piccoli sinistri stradali; le domande di condanna al pagamento di obbligazioni pecuniarie liquide. Il meccanismo in questione, inoltre, si è rivelato particolarmente utile nei giudizi contumaciali, o nei casi in cui è la stessa prospettazione attorea a dimostrare la infondatezza in iure della domanda. Tuttavia, più che per tipi di domande, il ricorso alla trattazione orale torna utile per tipi di pronunce. Così, ad esempio, la decisione abbreviata torna utile in tutte le ipotesi in cui la domanda debba essere rigettata per difetto di prova. In questi casi, infatti, la motivazione si riduce in sostanza alla mera enunciazione dell'assenza di valida dimostrazione del fatto costitutivo della pretesa; ovvero alla indicazione dei motivi per i quali le prove raccolte non possono essere ritenute sufficienti. Ancora, potrà trattarsi di giudizi in cui non è stata avanzata alcuna richiesta di ammissione di prove costituende e la decisione può aver luogo sulla base di materiale probatorio documentale (COMOGLIO-FERRI-TARUFFO, Lezioni sul processo civile, Bologna, 2006, 573). Può essere infine la semplicità del giudizio di diritto a spingere il giudice ad optare per il modello della trattazione orale: così quando si possa decidere il giudizio risolvendo le questioni di diritto secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione.

Il subprocedimento decisorio secondo il modello a trattazione orale

Prima di procedere alla descrizione del subprocedimento in oggetto, merita di essere precisato che, al contrario della trattazione mista di cui all'art. 281-quinquies, la trattazione orale della causa è nella disponibilità esclusivamente del giudice.

Le parti potranno, ovviamente, instare affinché il giudice si avvalga del proprio potere, ma egli comunque non sarà obbligato ad accogliere tale istanza (LAZZARO-GURRIERI-D'AVINO, Il giudice unico nelle mutate regole del processo civile e nella nuova geografia giudiziaria, Milano, 1998, 135). Per converso, anche in assenza di istanze di parte, il giudice potrà sempre disporre la trattazione orale senza bisogno di alcuna motivazione al riguardo.

Una volta disposta la discussione orale della causa, il giudice non può avere un «ripensamento» circa le modalità di decisione, per cui, esaurita la discussione orale, ove ritenga di pronunciare sentenza, non può esimersi dall'osservanza delle forme semplificate. La ratio dell'art. 281 sexies induce infatti a ritenere che la pronuncia immediata della sentenza sia una conseguenza obbligata per il giudice che abbia optato per il modello integralmente orale.

Può essere, invece, riesaminata la valutazione circa la maturità della causa, con la conseguenza che il giudice, all'esito della discussione, potrà pronunciare ordinanza di ammissione di un mezzo di prova, riconoscendo la necessità o anche solo la semplice opportunità di disporre o di proseguire l'istruttoria della causa (MASONI, Il moltiplicarsi dei riti decisori del processo civile dopo l'entrata in vigore della legge sulle sezioni stralcio e il d.lg. n. 51 del 1998, in GM, 2000, 1044).

Come accennato, la scelta della decisione a seguito di trattazione orale è operato dopo che le parti hanno precisato le rispettive conclusioni all'udienza fissata ai sensi dell'art. 189 c.p.c., senza che risulti possibile l'assorbimento della udienza di precisazione delle conclusioni nella discussione orale. Infatti, la discussione orale può avere luogo o nella stessa udienza in cui le le parti hanno precisato le conclusioni ovvero, su istanza di parte, in un'udienza successiva, onde evitare l'«effetto sorpresa» e la conseguente possibile lesione del diritto di difesa derivante dalla mancata conoscenza in capo alle parti dell'intento del giudice di decidere la causa a seguito di discussione orale (Cass., sez. III, 20 novembre, n. 16343, cit.).

Una volta chiesto da una delle parti il differimento dell'udienza, il giudice è obbligato a concederlo. In caso di mancata concessione del rinvio, la sentenza deve ritenersi nulla a causa della violazione del fondamentale diritto alla difesa; tuttavia, il giudice d'appello che rilevi tale vizio non può annullare la sentenza e chiudere il processo, né può rinviare la causa al primo giudice (a causa della tassatività della ipotesi di rimessione), ma deve limitarsi a dichiarare la nullità e decidere nel merito.

La sentenza ex art. 281-sexies la cui pronuncia – sebbene avvenuta all'esito di udienza all'uopo appositamente fissata – non è stata preceduta dalla discussione orale delle parti, bensì dallo scambio di comparse conclusionali è del pari affetta da nullità, destinata tuttavia sanarsi se non tempestivamente eccepita nel corso dell'udienza in cui la sentenza sia stata pronunciata, donde la necessità del rigetto dell'impugnazione al riguardo proposta (Cass., sez. III, 9 aprile 2015, n. 7104).

La circostanza che il giudice abbia già predisposto la sentenza prima della discussione orale sulla base degli atti depositati, non assume alcuna rilevanza se non si deduca che nel corso della discussione orale siano stati prospettati, senza poi ricevere delle risposte, aspetti giuridici nuovi compatibili con la domanda introduttiva e con le difese della controparte od utili approfondimenti (Cass., sez. I, 5 settembre 2000, n. 11629, in riferimento all'art. 315).

Il contenuto-forma della sentenza resa all'esito della trattazione orale e la sua pubblicazione

Il giudice decide dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto. La sentenza così pronunciata è contenuta nel verbale d'udienza (e non in un autonomo documento): ciò si ricava dal combinato disposto degli artt. 281 sexies e dell'art. 35 disp. att., c.p.c., stabilendo il primo che «la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria» ed il secondo che nell'apposito volume in cui il cancelliere annualmente riunisce i provvedimenti originali devono essere inserite «le copie dei verbali contenenti le sentenze pronunciate a norma dell'art. 281 sexies».

In evidenza

Laddove la sentenza sia stata integralmente letta in udienza e sottoscritta dal giudice con la sottoscrizione del verbale che la contiene, essa non è nulla qualora il cancelliere non abbia dato atto del deposito in cancelleria e non vi abbia posto la data della firma immediatamente dopo l'udienza. Invero, la previsione normativa dell'immediato deposito in cancelleria del provvedimento è finalizzata a consentire, da un lato, al cancelliere il suo inserimento nell'elenco cronologico delle sentenze, con l'attribuzione del relativo numero identificativo, e dall'altro lato, alle parte di chiederne il rilascio di copia, eventualmente in forma esecutiva (Cass., sez. III, 29 maggio 2015, n. 11176).

Proprio in quanto inserita nel processo verbale di udienza, la sentenza non dovrà indicare tutti quegli elementi già desumibili dal verbale medesimo, elementi che sono, innanzitutto, il nome delle parti e dei loro difensori, come pure le conclusioni che saranno precisate prima della discussione, nonché il nome dell'ufficio giudiziario innanzi al quale si svolge il giudizio. Per espressa previsione normativa, la sentenza stesa a verbale non deve neppure contenere lo svolgimento del processo che risulterà in modo integrale dai verbali di causa. Il contenuto della sentenza che il giudice dovrà redigere è limitata all'essenziale, dovendo limitarsi all'intestazione «Repubblica Italiana», alla pronuncia «in nome del popolo italiano», al dispositivo, alla motivazione (esposta in maniera concisa), alla data ed alla sua sottoscrizione.

Da quanto appena affermato la giurisprudenza ha tratto la seguente conseguenza: gli elementi identificativi della sentenza possono essere dedotti o riportati nelle restanti parti del verbale stesso, senza l'obbligatorietà per il giudice di riprodurli in sentenza (Cass., sez. II, 11 gennaio 2006, n. 216).

Casistica

L'incompleta indicazione in epigrafe delle parti del processo non è causa di nullità della sentenza qualora l'indicazione delle parti risulti chiaramente dal verbale di causa contenente la decisione.

Cass., sez. I, 9 gennaio 2004, n. 118

Non è affetta da nullità la sentenza resa ai sensi dell'art. 281 sexies che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice, le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione.

Cass., sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409

Precisa la Cassazione che l'adozione del modello semplificato di decisione non esonera comunque il giudice dall'obbligo di fornire alle parti una motivazione che consenta di ricostruire sia pur sinteticamente fatti di casa, ed offra alla fattispecie concretamente esaminata una soluzione corretta sul piano logico giuridico (Cass., sez. III, 12 giugno 2015, n. 12203).

DEVIAZIONI DAL MODELLO NORMATIVO: CONSEGUENZE

Laddove la sentenza venga pronunciata con la lettura del dispositivo in udienza ma senza il contestuale deposito della motivazione, essa è nulla, in quanto non conforme al modello previsto dalla norma, dovendosi altresì escludere la sua conversione in una valida sentenza ordinaria poiché la pubblicazione del dispositivo consuma il potere decisorio del giudice, sicché la successiva motivazione è irrilevante in quanto estranea alla struttura dell'atto processuale ormai compiuto.

Cass., sez. III, 23 marzo 2016, n. 5689; Cass., sez. III, 30 marzo 2015, n. 6394

La sentenza con motivazione contestuale, pronunciata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. non è nulla nel caso in cui il giudice non provveda alla lettura del dispositivo in udienza, quando sia comunque avvenuto il deposito immediato ed integrale del dispositivo e della motivazione.

Cass., sez. III, 12 febbraio 2015, n. 2736; Cass., sez. I, 23 giugno 2008, n. 17028

In ogni caso, la sentenza dovrà essere pronunciata dal giudice di fronte al quale si è svolta l'udienza di precisazione delle conclusioni a pena di nullità insanabile e rilevabile d'ufficio (Cass., sez. III, 21 novembre 2014, n. 24842), anche se, non rientrando il relativo vizio nella fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 161, la relativa sentenza, anche se affetta da nullità insanabile, è suscettibile di passare in giudicato; ne consegue che, ove il giudice d'appello rilevi detta nullità, è tenuto a decidere la causa nel merito, non potendo rimetterla al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 354 del codice di rito (Cass., sez. II, 29 settembre 2009, n. 20859).

Una volta completata la sentenza con l'esposizione dei motivi di fatti e di diritto della decisione (oltre che con il dispositivo e la data, che comunque risulterà anche dal verbale), il giudice sarà tenuto a sottoscriverla.

Con tale ultimo adempimento e non anche con il deposito in cancelleria, la sentenza si intende pubblicata, venendo così a giuridica esistenza.

Proprio perché atto complesso, esso va notificato nella sua interezza, non essendo utilizzabile un semplice estratto; poiché la sentenza risulta da un insieme eterogeneo di elementi, sembra rischioso scegliere se e quali elementi costitutivi della sentenza orale notificare (MASONI, op. cit., 1041 consiglia di notificare tutti i verbali di causa [anche se ciò può essere oneroso ed ingombrante] oltre al dictum giurisdizionale conclusivo).

Decorrenza dei termini per l'impugnazione della sentenza

Poiché è dalla sottoscrizione del verbale e non dal suo deposito che la sentenza si intende pubblicata, il dies a quo del termine lungo per l'impugnazione, nonché quello di trenta giorni per la proposizione del regolamento di competenza ai sensi del secondo comma dell'art. 47 decorrono dalla data di sottoscrizione della sentenza, dal momento che le parti hanno legale conoscenza dell'avvenuto deposito della sentenza nella stessa udienza di discussione, con esonero, quindi, della cancelleria dalla comunicazione della sentenza ex art. 176 c.p.c. (Cass., Sez. III, 31 agosto 2015, n. 17311; Cass., Sez. VI, 23 ottobre 2014, n. 22525; Cass., sez. III, 24 luglio 2007, n. 16304).

In senso contrario si esprime parte della dottrina, che, sulla premessa di ritenere il cancelliere obbligato a dare alle parti notizia della avvenuta pubblicazione della sentenza mediante biglietto di cancelleria («non potendosi applicare la norma dell'art. 176 che solo per le ordinanze equipara la pronuncia in udienza alla conoscenza altrimenti data alla parte, che era o avrebbe dovuto essere presente, mediante biglietto di cancelleria»), ritiene che laddove la legge faccia decorrere il termine dalla comunicazione della sentenza – come è stabilito per la proposizione del regolamento di competenza – il dies a quo sia dato dalla ricezione del biglietto di cancelleria (AULETTA, Comm. Verde-Vaccarella, Aggiornamento (artt. 1-408), Torino, 2001, 500-501).

La Cassazione ha inoltre stabilito che il termine breve di impugnazione ex art. 325 c.p.c., decorre dalla notificazione della pronuncia non potendosi ritenere equipollente alla notificazione, in quanto atto ad istanza di parte, la lettura del dispositivo e della motivazione in udienza (così Cass., sez. III, 19 settembre 2014, n. 19743, a mente del quale nemmeno la comunicazione via PEC del testo integrale della sentenza, effettuata dalla cancelleria, è idonea a far decorrere i termini brevi di impugnazione). Ciò in quanto, l'art. 281-sexies non è in grado di derogare in alcun modo ai principi generali contenuti negli artt. 325 ss. c.p.c..

Rapporti tra la sentenza a verbale e l'ordinanza post istruttoria ex art. 186-quater c.p.c.

L'art. 281-sexies si sovrappone all'art. 186-quater: è stato osservato che il procedimento che dà luogo a questa ordinanza è molto simile a quello per l'adozione della sentenza a seguito di discussione orale, giacché la maggior parte dei giudici fissa una apposita udienza di discussione, non di rado preceduta dallo scambio di memorie e, all'esito di tali integrazioni del contraddittorio, si riserva la pronuncia dell'ordinanza, sciogliendo tale riserva più o meno negli stessi tempi che di solito occorrono per depositare una sentenza. Ne consegue che qualora, una volta proposta dalla parte istanza di emanazione dell'ordinanza di cui all'art. 186 quater, il giudice decida di ordinare la discussione orale della causa, la pronuncia della sentenza «assorbe» e rende superfluo l'esame di quest'ultima (LICCARDO, Le forme della decisione, in Nuovo processo civile e giudice unico. La giustizia civile tra crisi e riforme, Milano, 2000, 142). Per parte della dottrina (REALI, Istituzione del giudice unico di primo grado e processo civile. Commento all'art. 68 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, in NLCC, 2000, 205), tuttavia, un problema di sovrapposizione delle norme si pone solo quando il tribunale monocratico opti per la discussione orale e per la pronuncia, previo consenso delle parti, della sentenza nella stessa udienza di precisazione delle conclusioni, in quanto in tal caso la pronuncia immediata consuma la funzione anticipatoria dell'art. 186 quater. Nessun problema si pone, invece, qualora il giudice, su istanza di parte, differisca ad altra udienza la discussione e la contestuale pronuncia della sentenza, poiché sussistendo l'interesse all'anticipazione della decisione di merito all'esito dell'esaurimento dell'istruzione, va conseguentemente ammessa la possibilità di emissione dell'ordinanza.

Applicabilità della norma a procedimenti diversi da quello di primo grado innanzi al tribunale in composizione monocratica: a) il rito del lavoro

Sul presupposto che il modello della c.d. trattazione orale non fosse incompatibile con la struttura della sentenza prevista dagli artt. 429 e 430 c.p.c. e dunque, con la decisione propria delle cause a rito differenziato, sia la giurisprudenza che la dottrina ammettevano l'applicabilità dell'art. 281 sexies al processo del lavoro, osservandosi che il rito del lavoro prescriveva la lettura del dispositivo, per cui la norma non veniva disattesa se, oltre alla lettura del dispositivo, fosse letta anche la motivazione (RIMMAUDO, Brevi considerazioni circa l'applicabilità dell'art. 281 sexies c.p.c. nel processo del lavoro, in Giur. it., 2000, 1854; Cass., Sez. lav.,29 gennaio 2004, n. 1673).

Con il d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, il legislatore ha previsto la possibilità della pronuncia contestuale del dispositivo e della motivazione in udienza anche nel rito del lavoro, laddove la controversia non sia di particolare complessità, prevedendosi, in caso contrario, la possibilità per il giudice di optare per la tradizionale modalità decisoria rappresentata dalla lettura del dispositivo e del successivo deposito della motivazione.

L'attuale disciplina è stata introdotta allo scopo di rendere più celere la conclusione del giudizio, anticipando all'udienza di discussione la pronuncia della sentenza già completa in tutte le sue parti; essa, aveva tuttavia posto alcuni problemi interpretativi, ormai risolti dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

In primo luogo, nonostante l'art. 429 cit. non stabilisca non riproduca quanto affermato dal secondo comma dell'art. 281-sexies e cioè che in caso di pronuncia della sentenza a verbale, quest'ultima si intenda "pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria", tale regola è da ritenere senz'altro applicabile anche alla nuova disciplina decisoria nel rito del lavoro (balena, Istituzioni di diritto processuale civile, III, I processi speciali e l'esecuzione forzata, Bari, 2015, 45, nota 53).

Inoltre, è ormai pacifico che il termine lungo per impugnare ex art. 327 (nonché quello di trenta giorni per proporre regolamento di competenza ai sensi dell'art. 47, c. 2) decorra dalla sottoscrizione della sentenza anziché dal deposito della stessa che, comunque, stando a quanto previsto dallo stesso art. 281 sexies, 2° comma, deve avvenire immediatamente (Cass., sez. VI, 19 aprile 2011, n. 8939, a mente della quale, ove il giudice abbia deciso la questione di competenza con lettura del dispositivo e contestuale esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione, il termine per la proposizione del regolamento di competenza decorre dalla data dell'udienza in cui tali attività sono compiute, dovendosi ritenere legalmente conosciuti i provvedimenti adottati dal giudice sin dal momento della loro emissione).

In evidenza

La giurisprudenza di legittimità ha tuttavia precisato che avverso la sentenza del tribunale sulla domanda di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi di cui all'art. 18 St. lav. il termine breve di trenta giorni per la proposizione del reclamo alla corte di appello decorre, come previsto dall'art. 1, comma 58 della legge n. 92/2012, dalla comunicazione alle parti della sentenza del tribunale, anche nelle ipotesi nelle quali il giudice abbia dato lettura in udienza del dispositivo e della motivazione, poiché la l. n. 92/2012 ha introdotto un nuovo rito speciale, la cui disciplina deve essere osservata senza possibilità di deroga dai principi generali dell'ordinamento, salvo necessità di integrazione del rito nel caso di lacuna del dettato normativo (Cass., sez. lav., 19 agosto 2016, n. 17211; Cass., sez. lav., 11 luglio 2016, n. 14098).

È stato inoltre precisato che nel rito del lavoro qualora il giudice pronunci sentenza non definitiva mediante lettura in udienza e sottoscrizione del relativo verbale, provvedendo, contestualmente, ad emanare i provvedimenti per l'ulteriore corso del giudizio, è tempestiva la riserva d'appello proposta dalla parte entro la prima udienza successiva, atteso che la decisione così pronunciata costituisce parte integrante del verbale d'udienza di quella giornata, sicché è coerente la necessità di concedere alla parte soccombente uno "spatium deliberandi" per valutare l'opportunità di formulare o meno la riserva stessa. (Cass., sez. lav., 7 dicembre 2015, n. 24805).

Come accennato, in caso di particolare complessità della controversia il giudice può limitarsi a leggere il dispositivo in udienza, fissando contestualmente un termine non superiore a 60 giorni per la stesura della motivazione e il deposito della sentenza in cancelleria. Va precisato che il dispositivo letto in udienza, proprio perché viene reso immediatamente pubblico, non ha un valore meramente interno, ma acquisisce autonoma rilevanza racchiudendo in sé gli elementi del comando giudiziale, che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione, e non è suscettibile di interpretazione a mezzo della motivazione stessa, sicché le proposizioni in essa contenute e contrastanti con il dispositivo devono considerarsi non apposte e non sono idonee a passare in giudicato (Cass., sez. lav., 17 novembre 2015, n. 23463).

Per lo stesso motivo, è radicalmente nulla la sentenza con la quale sia stato adottato un nuovo dispositivo, di contenuto diverso dal precedente (Cass., sez. lav.,3 febbraio 2015, n. 1906).

b) il giudizio di appello

Partendo dalla premessa che l'esigenza di realizzare la ragionevole durata del processo sancita dall'art. 111 Cost. permette e favorisce la decisione orale della causa anche innanzi al giudice d'appello, una parte minoritaria della dottrina ammetteva già in passato l'applicazione dell'art. 281-sexies ai procedimenti di secondo grado, con espressa limitazione alle sole cause di appello innanzi al tribunale monocratico (OLIVIERI, Giudice unico di primo grado, in Enc. dir., Agg., V, Milano, 2001, 498).

Il suggerimento dottrinale è stato accolto dal legislatore che attualmente, senza effettuare alcuna distinzione tra procedimenti di secondo grado innanzi al tribunale monocratico e giudizi innanzi alla corte d'appello, prevede la possibilità di adottare il modello semplificato della sentenza c.d. a verbale. Questa modalità decisoria è fortemente raccomandata dal legislatore, il quale la prevede addirittura già in sede di discussione sull'inibitoria ex art. 351, allorché il giudice d'appello ritenga la causa immediatamente matura per la decisione, con l'unica avvertenza di accordare alle parti un termine a difesa non inferiore a quello minimo a comparire, differendo a tale scopo l'udienza allorché questa, vertendo solo sull'inibitoria, si tenga in anticipo rispetto alla prima udienza di comparizione e trattazione sul merito dell'impugnazione.

La possibilità di un'immediata decisione a verbale già in sede di discussione dell'inibitoria, che in sé e per sé è lodevole perché spinge i giudici a concentrare e a definire il giudizio di appello in una sola udienza, può tuttavia suscitare qualche perplessità quando l'appello riguarda una controversia decisa nelle forme del procedimento sommario di cognizione. Trattandosi di un appello concepito dal legislatore in funzione di riequilibrio delle garanzie difensive compresse in primo grado dalla discrezionalità procedurale che caratterizza il rito sommario di cognizione (v. al riguardo le ampie considerazioni di TEDOLDI, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Bologna, 2013, 531 ss.), un'ulteriore concentrazione (e per tale via compressione) del processo in secondo grado potrebbe far sorgere dubbi di legittimità costituzionale del complessivo disegno normativo del procedimento sommario (artt. 702-bis ss.). Sennonché, non pare ragionevole escludere l'applicabilità di tale schema decisorio anche ai giudizi di appello avverso le ordinanze ex art. 702 ter c.p.c., quando si consideri che si dovrebbe trattare di cause a bassa complessità istruttoria e che detti procedimenti sono esentati dalle forche caudine del filtro appellatorio.

In evidenza

Non incorre in alcuna nullità il giudice di appello che, all'udienza fissata per la trattazione, esaurita quest'ultima e non dovendo provvedere ai sensi dell'art. 356 c.p.c., decida a norma dell'art. 281 sexies, invitando l'unica parte presente, nell'assenza ingiustificata dell'altra, a precisare immediatamente le conclusioni e ordinando, in mancanza di specifica istanza di parte, la discussione orale della causa nella medesima udienza. (Cass., sez. III, 10 novembre 2015, n. 22871)

c) il rito ordinario davanti al tribunale in composizione collegiale (e al giudice di pace)

L'estensione del modello decisorio a seguito di trattazione orale a tutti i giudizi di appello ha spinto il legislatore a compiere un ulteriore passo in avanti: con il 777° comma del suo unico articolo, la legge di stabilità per il 2016 (l. 28 dicembre 2015, n. 208) introduce il modello di cui all'art. 281-sexies c.p.c. anche nei processi ordinari di tribunale in composizione collegiale. In particolare l'art. 1 ter, comma 1, ult. periodo, l. 89/2001 (Legge Pinto), introdotto dall'art. 1, comma 777, lett. a), l. 208/2015 prevede che «Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice istruttore quando ritiene che la causa può essere decisa a seguito di trattazione orale, a norma dell'articolo 281-sexies del codice di procedura civile, rimette la causa al collegio fissando l'udienza collegiale per la precisazione delle conclusioni e per la discussione orale». Viene così restituita coerenza all'impianto sistematico del processo civile, non essendo fino ad oggi permesso al collegio di utilizzare il meccanismo “semplificato” di decisione delle controversie. Sul punto merita di essere ricordato che, sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 281 sexies per violazione degli artt. 3 e 111 Cost. da Trib. Milano, ord., 12 dicembre 2103, in www.ilcaso.it, la Consulta aveva dichiarato la questione manifestamente inammissibile, per difetto di legittimazione del rimettente, non avendo il giudice istruttore, che aveva sollevato l'incidente, il potere di definire il giudizio, altresì precisando che l'estensione dell'ambito di applicazione della norma sollecitava un intervento creativo non costituzionalmente obbligato, ma tale rimesso alla scelta del legislatore (Corte cost., 26 novembre 2014, n. 266).

Ora, se la decisione di estendere il modello decisorio orale ai giudizi collegali di primo grado va salutata con favore, meno condivisibili sono le modalità con cui detta operazione è stata compiuta. Di sicuro, è contestabile la collocazione sistematica: come accennato, l'attribuzione di tale facoltà è contenuta nel nuovo art. 1-ter Legge Pinto e non nel codice di rito.

La scelta di non modificare l'art. 281 sexies è perciò foriera di alcune incongruenze a livello sistematico.

In primo luogo, occorre notare che, a norma dell'art. 281-sexies c.p.c., la scelta della decisione a seguito di trattazione orale è rimessa esclusivamente al giudice; ai sensi del nuovo art. 1-ter, comma 1, legge Pinto, invece, anche le parti hanno il potere di proporre istanza di decisione ex art. 281-sexies c.p.c., e ciò sia che si tratti di causa attribuita al tribunale in composizione monocratica, sia che si versi in una ipotesi di riserva di collegialità.

Ancora, il potere di optare per la decisione “a verbale” è attribuito al giudice istruttore e non al collegio, nonostante spetti a quest'ultimo il compito di delibare l'opportunità o meno di decidere la causa a seguito di trattazione orale (TURRONI, La legge di stabilità estende l'art. 281 sexies c.p.c. al tribunale in composizione collegiale, in www.eclegal.it, che tuttavia valuta positivamente la previsione normativa); è stato osservato che, nonostante il tenore della norma, non può ritenersi precluso “al collegio il riesame dell'istanza di remissione della causa per la decisione a seguito di trattazione orale, atteso che l'ordinanza dell'istruttore che abbia accolto tale richiesta può essere oggetto di nuova delibazione da parte del collegio ai sensi dell'art. 178, comma 1, c.p.c.” (D'OVIDIO, Legge di Stabilità 2016 e modifiche alla Legge Pinto: durata irragionevole a costi razionali, in www.magistraturaindipendente.it). Sennonché, opinando in tale senso, l'applicazione del rimedio preventivo dell'art. 281 sexies finisce per dilatare anziché ridurre i tempi processuali ogni qualvolta il collegio ritenga di non condividere la valutazione del giudice istruttore.

Infine, merita di essere notato come la fissazione dell'udienza collegiale per la decisione sia rimessa al giudice istruttore, e non al Presidente, come invece normalmente avviene per tutte le udienze collegiali e, in particolare, per la diversa ipotesi in cui una delle parti richieda che la causa sia discussa oralmente ai sensi dell'art. 275, comma 2, c.p.c. o, nel giudizio d'appello, dell'art. 352 c.p.c.

Nonostante l'enorme ampliamento dell'ambito di operatività dell'art. 281-sexies, pare invece difficile estendere la norma al giudizio innanzi al giudice di pace, a causa del disposto dell'art. 321 c.p.c., il quale, prevedendo come modalità decisoria il semplice deposito della sentenza entro il termine quindici giorni dalla discussione, rende impossibile ogni interpretazione estensiva (così DE SANTIS, Il rinvio dell'art. 311 c.p.c. e le norme applicabili al procedimento davanti al giudice di pace: questioni in tema di giudice monocratico e di semplificazione del rito, in Foro it., 1998, I, 2643 ss.).

Riferimenti

AULETTA, Comm. Verde-Vaccarella, Aggiornamento (artt. 1-408), Torino, 2001;

balena, Istituzioni di diritto processuale civile, III, I processi speciali e l'esecuzione forzata, Bari, 2015;

COMOGLIO-FERRI-TARUFFO, Lezioni sul processo civile, Bologna, 2006;

DE SANTIS, Il rinvio dell'art. 311 c.p.c. e le norme applicabili al procedimento davanti al giudice di pace: questioni in tema di giudice monocratico e di semplificazione del rito, in Foro it., 1998, I;

D'OVIDIO, Legge di Stabilità 2016 e modifiche alla Legge Pinto: durata irragionevole a costi razionali, in ww.magistraturaindipendente.it;

LAZZARO-GURRIERI-D'AVINO, Il giudice unico nelle mutate regole del processo civile e nella nuova geografia giudiziaria, Milano, 1998;

LICCARDO, Le forme della decisione, in Nuovo processo civile e giudice unico. La giustizia civile tra crisi e riforme, Milano, 2000;

MASONI, Il moltiplicarsi dei riti decisori del processo civile dopo l'entrata in vigore della legge sulle sezioni stralcio e il d.lg. n. 51 del 1998, in GM, 2000;

OLIVIERI, Giudice unico di primo grado, in Enc. dir., Agg., V, Milano, 2001;

REALI, Istituzione del giudice unico di primo grado e processo civile. Commento all'art. 68 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, in NLCC, 2000;

RIMMAUDO, Brevi considerazioni circa l'applicabilità dell'art. 281 sexies c.p.c. nel processo del lavoro, in Giur. it., 2000;

TEDOLDI, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Bologna, 2013;

TURRONI, La legge di stabilità estende l'art. 281 sexies c.p.c. al tribunale in composizione collegiale, in www.eclegal.it.

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