L'art. 281 sexies c.p.c. prevede la possibilità per il giudice di procedere alla decisione dopo la discussione orale della causa, con immediata lettura del dispositivo nella stessa udienza e contestuale redazione della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. La riforma Cartabia ha altresì riconosciuto la facoltà al giudice di non pronunciare la sentenza immediatamente dopo la discussione orale, ma di riservarsi di depositarla nei «successivi trenta giorni»; inoltre, ha inserito nel corpo del codice di rito un’apposita disciplina riguardante la decisione a trattazione orale quando è il collegio a dover pronunciare sentenza.
Inquadramento
L'art. 281 sexies c.p.c. rappresenta una norma cardine del processo civile italiano che ha – lentamente, ma progressivamente - conquistato un ampio spazio nel processo civile.
La norma in questione, invero, nonrappresenta una novità in senso assoluto, costituendo l'evoluzione del modello decisorio già previsto dagli ormai da tempo abrogati art. 23 della l. n. 689/1981 (relativo al giudizio di opposizione all'ordinanza ingiunzione) e art. 315 c.p.c. (riguardante il procedimento innanzi al pretore).
La disposizione permette di recuperare concentrazione, immediatezza e celerità al processo civile, attribuendo al giudice un serio ruolo di intervento e controllo nella fase conclusiva del processo (Cass., sez. III, 20 novembre 2002, n. 16343, in motivazione).
Più specificamente, presenta molti ed evidenti vantaggipratici:
la possibilità di chiudere celermente il processo;
l'eliminazione di carteggi ridondanti e qualche volta del tutto inutili;
una riduzione della durata globale del giudizio di quasi tre mesi;
un risparmio di attività puramente redazionale per il giudice.
Questi sono solo alcuni dei vantaggi arrecati dall'applicazione della norma in esame.
La trattazione orale favorisce la parte che vince la controversia. Quest'ultima, infatti, potrà ottenere al termine dell'istruzione una sentenzaprovvisoriamente esecutiva, senza attendere l'appendice rappresentata dallo scambio delle comparse conclusionali e delle repliche (in applicazione del principio di ragionevole durata del processo).
Favorisce anche il giudice, evitandogli di dover studiare le – talora corpose – comparse conclusionali e memorie di replica.
Egli, inoltre, non sarà tenuto nella sentenza ad esporre lo svolgimento del processo, attività che può diventare particolarmente onerosa nei casi in cui il giudizio abbia avuto un iter tormentato.
Infine, la motivazione della sentenza potrà essere succinta, indicando in estrema sintesi quale sia il fatto costitutivo della pretesa, e per quale motivo esso può ritenersi fondato o non fondato.
Gli indubbi vantaggi che la disposizione apporta hanno indotto il legislatore ad ampliare il suo raggio d'azione; originariamente, prevista solo per il processo di primo grado innanzi al tribunale in composizione monocratica, il meccanismo decisorio in questione è stato prima esteso al rito del lavoro, poi al giudizio di appello ed infine al processo di primo grado con decisione collegiale, circostanza che testimonia l'enorme successo del meccanismo della decisione a seguito della trattazione orale.
I presupposti di operatività della norma
Attualmente, l'art. 281 sexies c.p.c. prevede la possibilità per il giudice di procedere alla decisione dopo la discussione orale della causa, con immediata lettura del dispositivo nella stessa udienza e con contestuale redazione della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
In tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene.
Detto modello decisorio è in sostanza rimasto invariato dopo la riforma del 2022 ed infatti l'art. 281 sexies c.p.c. contiene ancora il riferimento all'udienza di precisazione delle conclusioni, che oggi non è più prevista; l'unica modifica che la riforma Cartabia ha apportato alla norma riguarda l'introduzione di un nuovo comma 3, che prevede la possibilità per il giudice di riservarsi la decisione all'esito dell'udienza e depositare la sentenza nei successivi trenta giorni.
Il presupposto (non scritto) per l'operatività della norma è dato dalla semplicità della causa, non necessariamente collegata al valore economico.
Possono al riguardo ricordarsi: le domande in tema di distanze legali; le domande di risarcimento dei danni causati da piccoli sinistri stradali; le domande di condanna al pagamento di obbligazioni pecuniarie liquide.
Il meccanismo in questione, inoltre, si è rivelato particolarmente utile nei giudizi contumaciali o nei casi in cui è la stessa prospettazione attorea a dimostrare l'infondatezza in iure della domanda.
Tuttavia, più che per tipi di domande, il ricorso alla trattazione orale torna utile per tipi di pronunce.
Così, ad esempio, la decisione abbreviata torna utile in tutte le ipotesi in cui la domanda debba essere rigettata per difetto di prova. In questi casi, infatti, la motivazione si riduce in sostanza alla mera enunciazione dell'assenza di valida dimostrazione del fatto costitutivo della pretesa; ovvero all'indicazione dei motivi per i quali le prove raccolte non possono essere ritenute sufficienti.
Ancora, potrà trattarsi di giudizi in cui non è stata avanzata alcuna richiesta di ammissione di prove costituende e la decisione può aver luogo sulla base di materiale probatorio documentale (COMOGLIO-FERRI-TARUFFO, Lezioni sul processo civile, Bologna, 2006, 573).
Può essere infine la semplicità del giudizio di diritto a spingere il giudice ad optare per il modello della trattazione orale: così quando si possa decidere il giudizio risolvendo le questioni di diritto secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione.
Il subprocedimento decisorio secondo il modello a trattazione orale
Prima di procedere alla descrizione del subprocedimento in oggetto, merita di essere precisato che, al contrario della trattazione mista di cui all'art. 281-quinquies c.p.c., la trattazione orale della causa è nella disponibilità esclusivamente del giudice.
Le parti potranno, ovviamente, instare affinché il giudice si avvalga del proprio potere, ma egli comunque non sarà obbligato ad accogliere tale istanza (LAZZARO-GURRIERI-D'AVINO, Il giudice unico nelle mutate regole del processo civile e nella nuova geografia giudiziaria, Milano, 1998, 135).
Per converso, anche in assenza di istanze di parte, il giudice potrà sempre disporre la trattazione orale senza bisogno di alcuna motivazione al riguardo.
Una volta disposta la discussione orale della causa, il giudice non può avere un "ripensamento" circa le modalità di decisione per cui, esaurita la discussione orale, ove ritenga di pronunciare sentenza, non può esimersi dall'osservanza delle forme semplificate.
La ratio dell'art. 281-sexies c.p.c. induce infatti a ritenere che la pronuncia immediata della sentenza sia una conseguenza obbligata per il giudice che abbia optato per il modello integralmente orale.
Può essere, invece, riesaminata la valutazione circa la maturità della causa, con la conseguenza che il giudice, all'esito della discussione, potrà pronunciare ordinanza di ammissione di un mezzo di prova, riconoscendo la necessità o anche solo la semplice opportunità di disporre o di proseguire l'istruttoria della causa (MASONI, Il moltiplicarsi dei riti decisori del processo civile dopo l'entrata in vigore della legge sulle sezioni stralcio e il d.lg. n. 51 del 1998, in GM, 2000, 1044).
Come accennato, la scelta della decisione a seguito di trattazione orale è operato dopo che le parti hanno precisato le rispettive conclusioni all'udienza fissata ai sensi dell'art. 189 c.p.c.
La circostanza che l'art. 281-sexies c.p.c. continui a riferirsi all'udienza di precisazione delle conclusioni ha spinto la dottrina a chiedersi se ci sia modo di coordinare tale riferimento con la scelta del legislatore del 2002 di eliminare l'udienza di precisazione delle conclusioni. Al riguardo, è stata data risposta negativa, in quanto, per come è formulato, l'art. 281-sexies c.p.c. «non consente letture “ortopediche”» (CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Torino, 2023, 248); pertanto, quando il giudice opterà per la decisione secondo la trattazione orale dovrà fissare non l'udienza di rimessione della causa in decisione, ma quella di precisazione delle conclusioni, chiarendo che nella stessa o in una fissata successivamente (ove le parti lo richiedano) si procederà anche alla discussione orale della causa.
Dunque, non è possibile l'assorbimento dell'udienza di precisazione delle conclusioni nella discussione orale.
Infatti, la discussione orale può avere luogo o nella stessa udienza in cui le parti hanno precisato le conclusioni ovvero, su istanza di parte, in un'udienza successiva, onde evitare l'«effetto sorpresa» e la conseguente possibile lesione del diritto di difesa derivante dalla mancata conoscenza in capo alle parti dell'intento del giudice di decidere la causa a seguito di discussione orale (ARIETA-DE SANTIS-MONTESANO, Corso di diritto processuale civile, Milano, 2024, 427).
Una volta chiesto da una delle parti il differimento dell'udienza, il giudice è obbligato a concederlo.
In caso di mancata concessione del rinvio, la sentenza deve ritenersi nulla a causa della violazione del fondamentale diritto alla difesa. Tuttavia, il giudice d'appello che rilevi tale vizio non può annullare la sentenza e chiudere il processo né può rinviare la causa al primo giudice (a causa della tassatività della ipotesi di rimessione), ma deve limitarsi a dichiarare la nullità e decidere nel merito.
La sentenza exart. 281-sexies c.p.c. la cui pronuncia – sebbene avvenuta all'esito di udienza all'uopo appositamente fissata – non è stata preceduta dalla discussione orale delle parti, bensì dallo scambio di comparse conclusionali, è del pari affetta da nullità, destinata tuttavia a sanarsi se non tempestivamente eccepita nel corso dell'udienza in cui la sentenza sia stata pronunciata, donde la necessità del rigetto dell'impugnazione al riguardo proposta (Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2015, n. 7104).
La circostanza che il giudice abbia già predisposto la sentenza prima della discussione orale sulla base degli atti depositati, non assume alcuna rilevanza se non si deduca che nel corso della discussione orale siano stati prospettati, senza poi ricevere delle risposte, aspetti giuridici nuovi compatibili con la domanda introduttiva e con le difese della controparte od utili approfondimenti (Cass. civ., sez. I, 5 settembre 2000, n. 11629, in riferimento all'art. 315 c.p.c.).
La possibilità di sostituire l'udienza di discussione con la trattazione scritta di cui all'art. 127-ter c.p.c.
Durante l'emergenza pandemica, grazie alla previsione contenuta nell'art. 83, comma 7, lett. h) del d.l. n. 18/2020, che imponeva lo svolgimento delle udienze civili che non richiedevano la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti tramite lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice, si era affermato un orientamento giurisprudenziale, seguito anche dalla Cassazione, secondo cui doveva ritenersi «legittimo lo svolgimento dell'udienza di discussione orale della causa ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. “in forma scritta"», e ciò persino «mediante l'assegnazione alle parti di un termine unico e comune anteriore alla data dell'udienza per il deposito di note scritte, in quanto tale procedimento - in linea generale e salve le eccezioni normativamente previste - era idoneo a garantire il contraddittorio in tutti i casi in cui fosse per legge consentita la trattazione della causa in forma scritta e non fosse invece imposta la discussione in forma orale (o addirittura in presenza) e anche, quindi, in relazione alla fase decisoria del giudizio di merito, senza che potesse ammettersi in proposito una valutazione casistica fondata sull'oggetto, sulla rilevanza e sull'eventuale complessità della controversia, che avrebbe determinato una intollerabile incertezza in ordine alla validità dei provvedimenti decisori, non fondata sull'applicazione di precisi schemi procedurali fissi, ma sulla base di valutazioni legate a valori mutevoli, opinabili e controvertibili» (Cass. civ, sez. III, 19 dicembre 2022, n. 37137; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2024, n. 4286).
In evidenza
La Cassazione ha inoltre precisato che l'omessa comunicazione del provvedimento di fissazione dell'udienza exart. 281-sexies c.p.c. reso all'esito di udienza a "trattazione scritta", equivalendo alla mancata comunicazione di un provvedimento emesso fuori udienza, determina la nullità del procedimento e della sentenza per violazione del principio del contraddittorio (Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 2023, n. 28302).
A seguito dell'entrata in vigore della riforma Cartabia, la previsione emergenziale contenuta nell'art. 83 cit. è stata “stabilizzata” tramite l'introduzione nel corpo del codice di rito dell'art. 127-ter c.p.c., che permette la sostituzione dell'udienza con il deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, qualora non sia necessaria la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice.
A differenza della previsione introdotta nel periodo pandemico ed ormai abrogata, la cui finalità era quella di evitare gli assembramenti negli uffici giudiziari, l'istituzione dell'art. 127-ter c.p.c. persegue l'obiettivo di “rendere i procedimenti civili più celeri ed efficienti”, come espressamente affermato dall'art. 1, comma 17 della legge delega n. 206/2021.
La diversa finalità del nuovo istituto, unito alla circostanza che esso è disciplinato in una norma posta all'interno del Libro I del codice, sembra suggerire la possibilità di un'applicazione generalizzata dello strumento. In tal senso, ad esempio, si esprime il Protocollo per la sostituzione delle udienze civili mediante deposito di note di trattazione scritta (art. 127-ter c.p.c.) del Tribunale di Reggio Calabria, che ammette espressamente lo svolgimento dell'udienza di discussione ex art. 281-sexies c.p.c. tramite il deposito di note scritte.
Ad avviso di chi scrive, se non pare dubbio che sia possibile celebrare l'udienza di discussione orale tramite collegamenti audiovisivi ai sensi dell'art. 127-bis c.p.c., qualche perplessità sorge circa la compatibilità del modello di discussione orale di cui all'art. 281-sexies c.p.c. con l'udienza cartolare.
Ora, se è vero che con riguardo all'omologa disciplina di fonte emergenziale la Cassazione si è espressa a favore di tale compatibilità, non può non porsi quanto meno il dubbio circa l'esclusione dall'ambito applicativo dell'art. 127-ter c.p.c. di tutte le udienze di discussione e, quindi, anche dell'art. 281-sexies c.p.c., soprattutto quando si esamini le modalità di svolgimento della c.d. trattazione scritta.
L'art. 127-ter c.p.c., infatti, stabilisce che il giudice pronuncia provvedimento di sostituzione dell'udienza assegnando alle parti almeno quindici giorni per il deposito delle note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. Il termine dilatorio in questione è espressamente perentorio e, pertanto, a differenza di quanto avveniva nella prassi dell'udienza cartolare di fonte emergenziale, il giudice non può abbreviarlo.
Decorso detto termine dal provvedimento del giudice, questi provvede entro i trenta giorni successivi. I trenta giorni, pertanto, iniziano a decorrere dalla scadenza del termine assegnato alle parti.
Il termine assegnato alle parti, tuttavia, deve cadere esattamente in un giorno di udienza tabellare e ciò in quanto il nuovo istituto mira proprio a sostituire un'udienza.
Questo meccanismo fa sì che il giorno di scadenza del termine assegnato alle parti non può essere il giorno precedente l'udienza o i cinque giorni prima della normativa anti – Covid 19, ma proprio quello dell'udienza; ora, l'art. 281-sexies c.p.c. prevede la lettura della sentenza il giorno stesso dell'udienza e non il giorno dopo come sembra voler suggerire l'art. 127-ter c.p.c.
Più precisamente, se il giudice non può provvedere sulle istanze e conclusioni contenute dalle note scritte se non dal momento della scadenza del termine concesso alle parti, il quale deve per forza coincidere con l'udienza tabellare, questo vuol dire che, in teoria, il giudice potrà procedere solo dal giorno successivo alla scadenza di detto termine, allorquando inizieranno a decorrere i trenta giorni previsti dalla norma.
A meno di non imporre un termine ad ora alle parti, disponendo, con il provvedimento sostitutivo dell'udienza, che il deposito delle note avvenga entro una determinata ora del giorno di udienza, utile per consentire anche alle Cancellerie di mettere in visione le note sui fascicoli telematici dei Magistrati.
Sennonché, come è stato correttamente notato, la soluzione lascia perplessi: «l'art. 127-ter c.p.c. infatti contempla un termine a giorni e non ad ore e l'art. 152, primo comma, ult. parte c.p.c. prevede che il giudice possa stabilire un termine “soltanto se la legge lo prevede espressamente”» (MAIOLINO, La fase decisoria nella riforma del processo civile, in Ilcaso.it; nello stesso senso già PALAGANO, La cartolarizzazione della trattazione nelle cause civili – Il nuovo art. 127-ter c.p.c., in Dirittogiustiziaecostituzione.it).
Inoltre, l'art. 196-sexies disp. att. c.p.c. relativo al momento di perfezionamento del deposito con modalità telematiche prevede che ogni deposito sia «tempestivamente eseguito quando la conferma è generata entro la fine del giorno di scadenza». Dunque, le parti possono depositare le proprie note entro le ore 23.59 del giorno dell'udienza sostituita.
Al di là dei problemi interpretativi posti dall'innesto dell'istituto della trattazione scritta all'interno del processo, viene più in generale da chiedersi se abbia senso la sostituzione della udienza di discussione orale con il deposito di note scritte; se cioè siffatta modalità non tradisca lo scopo e la funzione assegnata dal legislatore all'istituto delineato dall'art. 281-sexies (e dall'art. 275-bis) c.p.c. Inoltre, da un punto di vista pratico, è dubbio che effettivamente si riesca davvero a raggiungere gli obbiettivi di maggiore efficienza della giustizia civile ed ancor di più di riduzione dei tempi della giustizia: infatti, se gli uffici giudiziari più gravati di contenzioso non riescono ad aumentare il numero di definizioni, la trattazione più veloce non ridurrà in maniera sensibile i tempi del processo, perché il giudice, per rendere compatibile le nuove scadenze con il proprio ruolo, non potrà che fissare con un intervallo temporale superiore l'udienza di discussione della causa.
Il contenuto-forma della sentenza resa all'esito della trattazione orale e la sua pubblicazione
Il giudice decide dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto.
La sentenza così pronunciata è contenuta nel verbale d'udienza (e non in un autonomo documento): ciò si ricava dal combinato disposto dell'art. 281-sexies c.p.c. e dell'art. 35 disp. att., c.p.c., stabilendo il primo che «la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria» ed il secondo che nell'apposito volume in cui il cancelliere annualmente riunisce i provvedimenti originali devono essere inserite «le copie dei verbali contenenti le sentenze pronunciate a norma dell'art. 281-sexies c.p.c.».
In evidenza
Laddove la sentenza sia stata integralmente letta in udienza e sottoscritta dal giudice con la sottoscrizione del verbale che la contiene, essa non è nulla qualora il cancelliere non abbia dato atto del deposito in cancelleria e non vi abbia posto la data della firma immediatamente dopo l'udienza.
Invero, la previsione normativa dell'immediato deposito in cancelleria del provvedimento è finalizzata a consentire, da un lato, al cancelliere il suo inserimento nell'elenco cronologico delle sentenze, con l'attribuzione del relativo numero identificativo, e dall'altro lato, alla parte di chiederne il rilascio di copia, eventualmente in forma esecutiva (Cass. civ., sez. III, 29 maggio 2015, n. 11176).
Proprio in quanto inserita nel processo verbale di udienza, la sentenza non dovrà indicare tutti quegli elementi già desumibili dal verbale medesimo, elementi che sono, innanzitutto, il nome delle parti e dei loro difensori, come pure le conclusioni che saranno precisate prima della discussione, nonché il nome dell'ufficio giudiziario innanzi al quale si svolge il giudizio. Per espressa previsione normativa, la sentenza stessa a verbale non deve neppure contenere lo svolgimento del processo, che risulterà in modo integrale dai verbali di causa. Il contenuto della sentenza che il giudice dovrà redigere è limitata all'essenziale, dovendo limitarsi all'intestazione «Repubblica Italiana», alla pronuncia «in nome del popolo italiano», al dispositivo, alla motivazione (esposta in maniera concisa), alla data ed alla sua sottoscrizione.
Da quanto appena affermato la giurisprudenza ha tratto la seguente conseguenza: gli elementi identificativi della sentenza possono essere dedotti o riportati nelle restanti parti del verbale stesso, senza l'obbligatorietà per il giudice di riprodurli in sentenza (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 2006, n. 216).
Casistica
L'incompleta indicazione in epigrafe delle parti del processo non è causa di nullità della sentenza qualora l'indicazione delle parti risulti chiaramente dal verbale di causa contenente la decisione.
Cass. civ., sez. I, 9 gennaio 2004, n. 118
Non è affetta da nullità la sentenza resa ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice, le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione.
Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409; Trib. Napoli, 3 ottobre 2019
Precisa la Cassazione che l'adozione del modello semplificato di decisione non esonera comunque il giudice dall'obbligo di fornire alle parti una motivazione che consenta di ricostruire, sia pur sinteticamente, fatti di casa, ed offra alla fattispecie concretamente esaminata una soluzione corretta sul piano logico giuridico (Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2015, n. 12203).
DEVIAZIONI DAL MODELLO NORMATIVO: CONSEGUENZE
Laddove la sentenza venga pronunciata con la lettura del dispositivo in udienza, ma senza il contestuale deposito della motivazione, essa è nulla, in quanto non conforme al modello previsto dalla norma, dovendosi altresì escludere la sua conversione in una valida sentenza ordinaria poiché la pubblicazione del dispositivo consuma il potere decisorio del giudice, sicché la successiva motivazione è irrilevante in quanto estranea alla struttura dell'atto processuale ormai compiuto.
Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2016, n. 5689; Cass. civ., sez. III, 30 marzo 2015, n. 6394
La sentenza con motivazione contestuale, pronunciata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. non è nulla nel caso in cui il giudice non provveda alla lettura del dispositivo in udienza, quando sia comunque avvenuto il deposito immediato ed integrale del dispositivo e della motivazione.
Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 2015, n. 2736; Cass. civ., sez. I, 23 giugno 2008, n. 17028
La sentenza pronunciata exart. 281-sexies c.p.c. senza l'osservanza delle forme previste dal codice non può essere dichiarata nulla, ove sia stato raggiunto lo scopo dell'immodificabilità della decisione e della sua conseguenzialità rispetto alle ragioni ritenute rilevanti dal giudice all'esito della discussione, trattandosi, in ogni caso, di sanzione neppure comminata dalla legge.
Cass. civ., sez. II, 17 settembre 2020, n. 19338
In ogni caso, la sentenza dovrà essere pronunciata dal giudice di fronte al quale si è svolta l'udienza di precisazione delle conclusioni a pena di nullità insanabile e rilevabile d'ufficio (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2014, n. 24842), anche se, non rientrando il relativo vizio nella fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 161 c.p.c., la relativa sentenza, anche se affetta da nullità insanabile, è suscettibile di passare in giudicato; ne consegue che, ove il giudice d'appello rilevi detta nullità, è tenuto a decidere la causa nel merito, non potendo rimetterla al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 354 c.p.c. del codice di rito (Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2009, n. 20859).
Una volta completata la sentenza con l'esposizione dei motivi di fatti e di diritto della decisione (oltre che con il dispositivo e la data, che comunque risulterà anche dal verbale), il giudice sarà tenuto a sottoscriverla.
Con tale ultimo adempimento e non anche con il deposito in cancelleria, la sentenza si intende pubblicata, venendo così a giuridica esistenza.
Proprio perché atto complesso, esso va notificato nella sua interezza, non essendo utilizzabile un semplice estratto; poiché la sentenza risulta da un insieme eterogeneo di elementi, sembra rischioso scegliere se e quali elementi costitutivi della sentenza orale notificare (MASONI, op. cit., 1041 consiglia di notificare tutti i verbali di causa - anche se ciò può essere oneroso ed ingombrante - oltre al dictum giurisdizionale conclusivo).
Decorrenza dei termini per la pubblicazione
Poiché è dalla sottoscrizione del verbale e non dal suo deposito che la sentenza si intende pubblicata, il dies a quo del termine lungo per l'impugnazione, nonché quello di trenta giorni per la proposizione del regolamento di competenza ai sensi del secondo comma dell'art. 47 c.p.c. decorrono dalla data di sottoscrizione della sentenza, dal momento in cui le parti hanno legale conoscenza dell'avvenuto deposito della sentenza nella stessa udienza di discussione, con esonero, quindi, della cancelleria dalla comunicazione della sentenza exart. 176 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 31 agosto 2015, n. 17311; Cass. civ., sez. VI, 23 ottobre 2014, n. 22525; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2007, n. 16304).
La Cassazione ha inoltre stabilito che il termine breve di impugnazione exart. 325 c.p.c. decorre dalla notificazione della pronuncia, non potendosi ritenere equipollente alla notificazione, in quanto atto ad istanza di parte, la lettura del dispositivo e della motivazione in udienza (così Cass. civ., sez. VI, 16 aprile 2021, n. 10186; Cass. civ., sez. III, 19 settembre 2014, n. 19743, a mente del quale nemmeno la comunicazione via PEC del testo integrale della sentenza, effettuata dalla cancelleria, è idonea a far decorrere i termini brevi di impugnazione).
Ciò in quanto l'art. 281-sexies c.p.c. non è in grado di derogare in alcun modo ai principi generali contenuti negli artt. 325 ss. c.p.c.
Rapporti tra la sentenza a verbale e l'ordinanza post istruttoria ex art. 186-quater c.p.c.
L'art. 281-sexies c.p.c. si sovrappone all'art. 186-quater c.p.c.: è stato osservato che il procedimento che dà luogo a questa ordinanza è molto simile a quello per l'adozione della sentenza a seguito di discussione orale, giacché la maggior parte dei giudici fissa un'apposita udienza di discussione, non di rado preceduta dallo scambio di memorie e, all'esito di tali integrazioni del contraddittorio, si riserva la pronuncia dell'ordinanza, sciogliendo tale riserva più o meno negli stessi tempi che di solito occorrono per depositare una sentenza.
Ne consegue che qualora, una volta proposta dalla parte istanza di emanazione dell'ordinanza di cui all'art. 186-quater c.p.c., il giudice decida di ordinare la discussione orale della causa, la pronuncia della sentenza «assorbe» e rende superfluo l'esame di quest'ultima (LICCARDO, Le forme della decisione, in Nuovo processo civile e giudice unico. La giustizia civile tra crisi e riforme, Milano, 2000, 142). Per parte della dottrina (REALI, Istituzione del giudice unico di primo grado e processo civile. Commento all'art. 68 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, in NLCC, 2000, 205).
Tuttavia, un problema di sovrapposizione delle norme si pone solo quando il tribunale monocratico opti per la discussione orale e per la pronuncia, previo consenso delle parti, della sentenza nella stessa udienza di precisazione delle conclusioni, in quanto in tal caso la pronuncia immediata consuma la funzione anticipatoria dell'art. 186-quater c.p.c.
Nessun problema si pone, invece, qualora il giudice, su istanza di parte, differisca ad altra udienza la discussione e la contestuale pronuncia della sentenza poiché, sussistendo l'interesse all'anticipazione della decisione di merito all'esito dell'esaurimento dell'istruzione, va conseguentemente ammessa la possibilità di emissione dell'ordinanza.
Applicabilità della norma a procedimenti diversi da quello di primo grado innanzi al Tribunale in composizione monocratica:
a) Il rito del lavoro
Sul presupposto che il modello della c.d. trattazione orale non fosse incompatibile con la struttura della sentenza prevista dagli art. 429 c.p.c. e art. 430 c.p.c. e dunque, con la decisione propria delle cause a rito differenziato, sia la giurisprudenza che la dottrina ammettevano l'applicabilità dell'art. 281 sexies c.p.c. al processo del lavoro, osservandosi che il rito del lavoro prescriveva la lettura del dispositivo, per cui la norma non veniva disattesa se, oltre alla lettura del dispositivo, fosse letta anche la motivazione (RIMMAUDO, Brevi considerazioni circa l'applicabilità dell'art. 281 sexies c.p.c. nel processo del lavoro, in Giur. it., 2000, 1854; Cass., sez. lav.,29 gennaio 2004, n. 1673).
Con il d.l. n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla l. n. 133/2008, il legislatore ha previsto la possibilità della pronuncia contestuale del dispositivo e della motivazione in udienza anche nel rito del lavoro, laddove la controversia non sia di particolare complessità, prevedendosi, in caso contrario, la possibilità per il giudice di optare per la tradizionale modalità decisoria rappresentata dalla lettura del dispositivo e del successivo deposito della motivazione.
L'attuale disciplina è stata introdotta allo scopo di rendere più celere la conclusione del giudizio, anticipando all'udienza di discussione la pronuncia della sentenza già completa in tutte le sue parti; essa aveva tuttavia posto alcuni problemi interpretativi, ormai risolti dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
In primo luogo, nonostante l'art. 429 c.p.c. non riproduca quanto affermato dal secondo comma dell'art. 281 sexies c.p.c. e cioè che in caso di pronuncia della sentenza a verbale, quest'ultima si intenda pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria, tale regola è da ritenere senz'altro applicabile anche alla disciplina decisoria nel rito del lavoro (BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, III, I processi speciali e l'esecuzione forzata, Bari, 2015, 45, nota 53).
Inoltre, è ormai pacifico che il termine lungo per impugnare exart. 327 c.p.c. (nonché quello di trenta giorni per proporre regolamento di competenza ai sensi dell'art. 47, comma 2 c.p.c.) decorra dalla sottoscrizione della sentenza anziché dal deposito della stessa che, comunque, stando a quanto previsto dallo stesso art. 281 sexies, comma 2c.p.c. deve avvenire immediatamente (Cass. civ., sez. VI, 19 aprile 2011, n. 8939, a mente della quale, ove il giudice abbia deciso la questione di competenza con lettura del dispositivo e contestuale esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione, il termine per la proposizione del regolamento di competenza decorre dalla data dell'udienza in cui tali attività sono compiute, dovendosi ritenere legalmente conosciuti i provvedimenti adottati dal giudice sin dal momento della loro emissione).
Tale indirizzo è stato ribadito anche più di recente, altresì precisandosi che nella residuale ipotesi di particolare complessità della controversia, in cui il giudice fissi un termine non superiore a sessanta giorni per il deposito della sentenza, ai sensi dell'art. 430 c.p.c., il termine decorrerà dalla comunicazione alle parti dell'avvenuto deposito da parte del cancelliere (Cass. civ., sez. VI, 11 febbraio 2021, n. 3394).
Tale principio, ad avviso di chi scrive, deve essere ripetuto anche con riguardo al rito ordinario, in considerazione della possibilità oggi riconosciuta sia al giudice monocratico che collegiale di differire la pronuncia della sentenza ad un momento successivo alla discussione orale (art. 275-bis, ult. comma c.p.c.; art. 281 sexies ult. comma, c.p.c.). Sul punto, v. infra.
È stato inoltre precisato che nel rito del lavoro, qualora il giudice pronunci sentenza non definitiva mediante lettura in udienza e sottoscrizione del relativo verbale, provvedendo, contestualmente, ad emanare i provvedimenti per l'ulteriore corso del giudizio, è tempestiva la riserva d'appello proposta dalla parte entro la prima udienza successiva, atteso che la decisione così pronunciata costituisce parte integrante del verbale d'udienza di quella giornata, sicché è coerente la necessità di concedere alla parte soccombente uno spatium deliberandi per valutare l'opportunità di formulare o meno la riserva stessa (Cass. civ., sez. lav., 7 dicembre 2015, n. 24805).
Come accennato, in caso di particolare complessità della controversia, il giudice può limitarsi a leggere il dispositivo in udienza, fissando contestualmente un termine non superiore a 60 giorni per la stesura della motivazione e il deposito della sentenza in cancelleria.
Va precisato che il dispositivo letto in udienza, proprio perché viene reso immediatamente pubblico, non ha un valore meramente interno, ma acquisisce autonoma rilevanza racchiudendo in sé gli elementi del comando giudiziale, che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione e non è suscettibile di interpretazione a mezzo della motivazione stessa, sicché le proposizioni in essa contenute e contrastanti con il dispositivo devono considerarsi non apposte e non sono idonee a passare in giudicato (Cass. civ., sez. lav., 17 novembre 2015, n. 23463).
Per lo stesso motivo, è radicalmente nulla la sentenza con la quale sia stato adottato un nuovo dispositivo, di contenuto diverso dal precedente (Cass. civ., sez. lav.,3 febbraio 2015, n. 1906).
b) Il giudizio di appello
Partendo dalla premessa che l'esigenza di realizzare la ragionevole durata del processo sancita dall'art. 111 Cost. permette e favorisce la decisione orale della causa anche innanzi al giudice d'appello, una parte minoritaria della dottrina ammetteva già in passato l'applicazione dell'art. 281-sexies c.p.c. ai procedimenti di secondo grado, con espressa limitazione alle sole cause di appello innanzi al tribunale monocratico (OLIVIERI, Giudice unico di primo grado, in Enc. dir., Agg., V, Milano, 2001, 498).
Il suggerimento dottrinale è stato accolto dal legislatore che, già a seguito della riforma operata dalla l. n. 183/2011 aveva previsto la possibilità di adottare il modello semplificato della sentenza c.d. a verbale.
Attualmente, siffatta modalità decisoria è prevista dal nuovo art. 350-bis c.p.c., nelle ipotesi di cui agli art. 348-bis c.p.c. e art. 350, comma 3 c.p.c., ossia:
qualora il giudice ritenga l'impugnazione inammissibile o manifestamente infondata;
quando l'impugnazione appaia manifestamente fondata;
o, comunque, quando il giudice lo ritenga opportuno in ragione della ridotta complessità o dell'urgenza della causa.
In tal caso, il giudice istruttore, fatte precisare le conclusioni, fissa udienza davanti al collegio e assegna alle parti termine per note conclusionali antecedente alla data dell'udienza. All'esito dell'udienza di discussione (nella quale l'istruttore svolge la relazione orale della causa), il giudice d'appello pronuncia sentenza, «motivata in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi».
c) Il rito ordinario davanti al Tribunale in composizione collegiale
L'estensione del modello decisorio a seguito di trattazione orale a tutti i giudizi di appello ha spinto nel 2015 il legislatore a compiere un ulteriore passo in avanti: con il 777° comma del suo unico articolo, la legge di stabilità per il 2016 (l. n. 208/2015) ha introdotto il modello di cui all'art. 281-sexies c.p.c. anche nei processi ordinari di tribunale in composizione collegiale.
Stando all'art. 1 ter, comma 1, ult. periodo, l. n. 89/2001 (Legge Pinto), introdotto dall'art. 1, comma 777, lett. a), l. n. 208/2015 «Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice istruttore quando ritiene che la causa può essere decisa a seguito di trattazione orale, a norma dell'art. 281-sexies c.p.c., rimette la causa al collegio fissando l'udienza collegiale per la precisazione delle conclusioni e per la discussione orale».
Veniva così restituita coerenza all'impianto sistematico del processo civile, non essendo fino a quel momento permesso al collegio di utilizzare il meccanismo “semplificato” di decisione delle controversie. Sul punto merita di essere ricordato che, sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 281-sexies c.p.c. per violazione degli artt. 3 e 111 Cost. da Trib. Milano, 12 dicembre 2103, la Consulta aveva dichiarato la questione manifestamente inammissibile, per difetto di legittimazione del rimettente, non avendo il giudice istruttore, che aveva sollevato l'incidente, il potere di definire il giudizio, altresì precisando che l'estensione dell'ambito di applicazione della norma sollecitava un intervento creativo non costituzionalmente obbligato, ma tale rimesso alla scelta del legislatore (Corte cost., 26 novembre 2014, n. 266).
Ora, se la decisione di estendere il modello decisorio orale ai giudizi collegali di primo grado va salutata con favore, meno condivisibili sono le modalità con cui detta operazione era stata compiuta. Di sicuro, era contestabile la collocazione sistematica: come accennato, l'attribuzione di tale facoltà era contenuta nel nuovo art. 1-terLegge Pinto e non nel codice di rito. A ciò doveva aggiungersi che, a differenza di quanto stabilito dall'art. 281-sexies c.p.c., la scelta della decisione a seguito di trattazione orale era frutto non solo della decisione del giudice, ma poteva essere conseguenza anche dell'istanza di una delle parti e ciò sia che si trattasse di una causa attribuita al tribunale in composizione monocratica,sia che si versasse in una ipotesi di riserva di collegialità.
La riforma Cartabia è intervenuta sul punto introducendo l'art. 275-bis c.p.c., finalizzato a disciplinare le modalità di decisione a seguito di trattazione orale innanzi al collegio e contemporaneamente modificando l'art. 1-ter, comma 1, ultima parte della l. n. 89/2001, il quale attualmente stabilisce che «Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice istruttore quando ritiene che la causa può essere decisa a seguito di trattazione orale, rimette la causa al collegio a norma dell'art. 275-bis c.p.c.».
Dunque, oggi, accanto alle modalità della trattazione scritta e di quella mista di cui all'art. 275 c.p.c. è altresì prevista la possibilità di sostituire le memorie di replica con un'udienza di discussione orale per effetto di una scelta che compete al solo giudice istruttore.
L'art. 275-bis c.p.c. prevede infatti che – chiusa la trattazione e l'eventuale istruzione – se il giudice istruttore ritiene che la causa possa essere decisa a seguito di discussione orale, fissa direttamente l'udienza di discussione davanti al collegio e concede due termini alle parti:
uno, non superiore a 30 giorni prima dell'udienza, per il deposito delle note limitate alla precisazione delle conclusioni;
un altro, non superiore a 15 giorni prima dell'udienza di discussione, per le note conclusionali.
Dopodiché si terrà l'udienza di discussione all'esito della quale il collegio pronuncerà sentenza dando lettura del dispositivo e delle concise ragioni di fatto e di diritto. In alternativa il collegio potrà riservarsi la decisione e depositare la sentenza entro 60 giorni dalla discussione.
La novità non è stata da tutti giudicata con favore: vi è chi, in particolare, ha osservato che l'introduzione di siffatta disciplina all'interno del codice di rito dà luogo ad «una contraddizione intrinseca nell'ordinamento», giacché la riserva collegiale per la decisione di cause relative in materie più complesse che richiedono nel merito una maggiore ponderazione e un'accuratezza di scrittura nella motivazione non appare compatibile con il modello della trattazione orale che tradizionalmente è riservato alle cause semplici (Italia, I modelli decisori nel d.leg. 10 ottobre 2022, n. 149: una sfida all'oralità in nome dell'efficienza, in La riforma del processo civile, a cura di Dalfino, in Gli Speciali del Foro italiano, 2022, 149).
A parere di chi scrive, invece, la generalizzazione del modello decisorio a trattazione orale e la sua estensione anche ai procedimenti di primo grado spettanti alla decisione del collegio è senz'altro da accogliere con favore; tuttavia, mal si comprende la previsione (contenuta sia nell'ultimo comma del nuovo art. 275-bis c.p.c. sia nel nuovo ultimo comma dell'art. 281-sexies c.p.c.) che permette al giudice monocratico o collegiale di depositare la sentenza nei successivi trenta o sessanta giorni.
Siffatta novità, infatti, snatura e depotenzia l'intero istituto del modello decisorio che prefigurava una sentenza a verbale, consentendo che la deliberazione la pubblicazione e la documentazione potessero avvenire in un unico momento.
d) Il rito semplificato davanti al Tribunale (e al Giudice di Pace)
Le modalità di svolgimento della fase decisoria sinora viste sono poi utilizzabili anche laddove sia stato preferito (dal giudice o dalle parti) lo svolgimento del processo tramite il rito semplificato di cognizione di cui agli articoli 281-undecies e ss. c.p.c.
Difatti, il legislatore della riforma, sul presupposto del carattere non complesso della controversia da trattarsi e decidersi con il rito semplificato, ha espresso una chiara preferenza per il modello decisorio a trattazione orale, prevedendo espressamente che «Il giudice quando rimette la causa in decisione procede a norma dell'articolo 281-sexies. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, procede a norma dell'articolo 275-bis» (art. 281-terdecies c.p.c.).
A seguito dell'applicabilità del rito semplificato al processo innanzi al Giudice di pace, il legislatore ha infine esteso l'ambito di operatività dell'art. 281-sexies c.p.c. anche a siffatto processo, come comprova il novellato art. 321 c.p.c., il quale afferma espressamente che il giudice di pace, quando ritiene matura la causa per la decisione, procede ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c., tuttavia non pronunciando la sentenza a verbale, ma depositandola «in cancelleria entroquindici giorni dalla discussione».
La formulazione dell'art. 321 c.p.c., anche alla luce delle altre novità normative, induce a ritenere che la generalizzazione dell'istituto abbia comportato un forte snaturamento e depotenziamento dello stesso, il quale ormai costituisce una mera modalità di svolgimento della fase decisoria priva dei vantaggi e dell'efficacia che la prassi aveva saputo individuare nei primi anni successivi all'introduzione dell'art. 281-sexies c.p.c.; insomma, della c.d. sentenza a verbale o della sentenza orale, così come concepita dal legislatore del 1998, resta ben poco.
Riferimenti
BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, III, I processi speciali e l'esecuzione forzata, Bari, 2015;
COMOGLIO-FERRI-TARUFFO, Lezioni sul processo civile, Bologna, 2006;
CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Torino, 2023;
ITALIA, I modelli decisori nel d.leg. 10 ottobre 2022, n. 149: una sfida all’oralità in nome dell’efficienza, in La riforma del processo civile, a cura di Dalfino, in Gli Speciali del Foro italiano, 2022;
LAZZARO-GURRIERI-D'AVINO, Il giudice unico nelle mutate regole del processo civile e nella nuova geografia giudiziaria, Milano, 1998;
LICCARDO, Le forme della decisione, in Nuovo processo civile e giudice unico. La giustizia civile tra crisi e riforme, Milano, 2000;
Mandrioli-Carratta, Corso di diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, Torino, 2023;
MASONI, Il moltiplicarsi dei riti decisori del processo civile dopo l'entrata in vigore della legge sulle sezioni stralcio e il d.lg. n. 51 del 1998, in GM, 2000;
OLIVIERI, Giudice unico di primo grado, in Enc. dir., Agg., V, Milano, 2001;
REALI, Istituzione del giudice unico di primo grado e processo civile. Commento all'art. 68 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, in NLCC, 2000;
RIMMAUDO, Brevi considerazioni circa l'applicabilità dell'art. 281 sexies c.p.c. nel processo del lavoro, in Giur. it., 2000;
RUFFINI, Diritto processuale civile, II, La giustizia consensuale e il processo di cognizione, Bologna, 2024.
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Sommario
I presupposti di operatività della norma
La possibilità di sostituire l'udienza di discussione con la trattazione scritta di cui all'art. 127-ter c.p.c.
Il contenuto-forma della sentenza resa all'esito della trattazione orale e la sua pubblicazione
Rapporti tra la sentenza a verbale e l'ordinanza post istruttoria ex art. 186-quater c.p.c.
Applicabilità della norma a procedimenti diversi da quello di primo grado innanzi al Tribunale in composizione monocratica:
a) Il rito del lavoro
b) Il giudizio di appello
c) Il rito ordinario davanti al Tribunale in composizione collegiale
d) Il rito semplificato davanti al Tribunale (e al Giudice di Pace)