I criteri di individuazione delle sentenze del giudice di pace appellabili quando sono pronunciate secondo equità c.d. necessaria

Caterina Costabile
18 Maggio 2017

La questione esaminata dalla Cassazione afferisce ai criteri da utilizzare per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all'art. 339, comma 3, c.p.c..
Massima

In presenza di una domanda determinata nell'ammontare, inferiore al limite quantitativo previsto per la giurisdizione di equità, che si accompagni ad una richiesta generica di maggior somma conforme a giustizia, essendo indeterminata la somma richiesta, la domanda si presume pari al limite massimo della competenza per valore del giudice adito in ragione della natura della domanda e, quindi, nella misura al di sopra del limite della giurisdizione equitativa. Di conseguenza, la sentenza è appellabile secondo le regole generali e non nei limiti previsti dall'art. 339 c.p.c..

Il caso

Tizia adiva il giudice di pace di Roma affinché condannasse al risarcimento dei danni l'amministratore del condominio, Caio, cui addebitava di non aver dato comunicazione della pendenza di una controversia afferente alla impugnativa di una delibera condominiale.

Il giudice di pace accoglieva la domanda condannando Caio a pagare all'attrice la somma di Euro 238,21, oltre spese. Tale decisione era riformata dal Tribunale di Roma a seguito dell'appello proposto da Caio.

Tizia proponeva ricorso per la Cassazione di detta sentenza.

I giudici di legittimità provocano ex art. 101 c.p.c., e art. 384 c.p.c., comma 3, il contraddittorio sulla questione, rilevata d'ufficio, dell'appellabilità della sentenza di primo grado, rientrando il valore apparente della controversia nell'ambito dell'equità c.d. necessaria ex art. 113, cpv. c.p.c., prima ipotesi.

La questione

La questione esaminata dalla Cassazione afferisce ai criteri da utilizzare per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all'art. 339, comma 3, c.p.c..

Le soluzioni giuridiche

L'art. 339, comma 3, c.p.c. prevede che le sentenze del giudice di pace pubblicate in data successiva alla entrata in vigore del d.lg. n. 40/2006, ove siano pronunciate secondo equità, a norma dell'art. 113, comma 2, c.p.c., sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia. Per effetto della riforma, pertanto, le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità - in passato inappellabili ma unicamente ricorribili per cassazione - sono appellabili ma in relazione a solo tre motivi specifici di impugnazione espressamente individuati dalla legge e, cioè, dei medesimi motivi che nel regime previgente potevano essere fatti valere mediante il ricorso per cassazione.

L'art. 339, comma 3, c.p.c. istituisce così uno strumento configurato come mezzo di impugnazione a critica vincolata, a differenza dell'appello previsto in via generale dal comma 1, cui si riconosce natura di mezzo di impugnazione a critica libera. L'istituto in tal modo predisposto dà luogo ad un rimedio impugnatorio con duplice fase rescindente e rescissoria, la prima diretta a verificare la sussistenza di una delle ipotesi previste dall'art. 339, comma 3, c.p.c. la seconda diretta, alternativamente, alla pronuncia di rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c. ovvero alla pronuncia sostitutiva di quella impugnata, in funzione ed entro i limiti delle censure spiegate.

I giudici di legittimità hanno chiarito che per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all'art. 339, comma 3, c.p.c., occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 e ss. c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2005, n. 899). Pertanto, le sentenze del giudice di pace in cause di valore non eccedente euro 1.100,00 devono considerarsi tutte pronunciate secondo equità, tranne quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante moduli o formulari ex art. 1342 c.c. (Cass. civ., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13917).

La determinazione del valore della controversia va, dunque, effettuata alla stregua del valore del bene preteso dall'attore, al quale vanno sommati soltanto gli interessi, le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda e non anche le spese del procedimento instaurato per conseguire il bene anzidetto né eventuali somme liquidate ai sensi dell'art. 96 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2012, n. 10626).

La Corte ha, inoltre, escluso che la dichiarazione per il contributo unificato abbia incidenza nella determinazione del valore della causa. La circostanza che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 14, comma 2 esclude la rilevanza degli interessi per la individuazione del valore ai fini del contributo unificato, mentre essi sono considerati dall'art. 10 c.p.c., comma 2, rilevanti ai fini dell'individuazione del valore della domanda ed il fatto che la dichiarazione della parte in funzione della determinazione del contributo unificato è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, escludono decisamente ogni possibile partecipazione di tale dichiarazione di valore alle conclusioni della citazione, cui allude l'art. 163, n. 4 e, quindi, la possibilità di considerare la dichiarazione come parte della "domanda", nel senso cui vi allude l'art. 10 cit., comma 1, quando dice che "il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti" e fra queste dell'art. 14 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2007, n. 15714)

Costituisce, altresì, principio pacifico che nell'ipotesi in cui l'attore abbia formulato dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a millecento euro (e cioè al limite dei giudizi di equità c.d. « ;necessaria ;», ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c.), accompagnandola però con la richiesta della diversa ed eventualmente maggior somma che « ;sarà ritenuta di giustizia ;», la causa deve ritenersi — in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell'art. 14 c.p.c. — di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude sarà appellabile senza i limiti prescritti dall'art. 339 c.p.c. (Cass. civ., sez. VI, 5 giugno 2015, n. 11739; Cass. civ., sez. III, 11 giugno 2012, n. 9432).

Osservazioni

I giudici di legittimità hanno chiarito che l'appello a motivi limitati, previsto dal comma 3 dell'art. 339 c.p.c., è l'unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso contro le sentenze del giudice di pace emesse secondo equità, anche in relazione a motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza e al difetto di radicale assenza della motivazione (Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2016, n. 5814; Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2015, n. 880).

Peraltro, quando siano proposte dinanzi al Giudice di pace due domande connesse, una delle quali soggetta a pronuncia secondo equità, e l'altra a pronuncia secondo diritto, tutte e due vanno decise secondo diritto e la decisione pronunciata su di esse è appellabile e non ricorribile per cassazione (Cass. civ., sez. VI, 3 novembre 2014, n. 23327).

Nel caso di sentenza emessa dal giudice di pace secondo equità, la circostanza che il tribunale, adito quale giudice d'appello, abbia mancato di rilevare l'inammissibilità del gravame, giacché proposto per motivi esorbitanti quelli deducibili ai sensi dell'art. 339, terzo comma, c.p.c., non esclude che, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello, lo stesso debba necessariamente dedurre l'inosservanza delle norme sul procedimento, ovvero delle norme costituzionali o comunitarie, o dei principi regolatori della materia, pena la sua inammissibilità ex artt. 339, terzo comma, e 360, primo comma, n. 3), c.p.c. (Cass. civ., sez. VI, 24 febbraio 2015, n. 3715).

La S.C. ha poi statuito che l'appello per violazione dei principi regolatori della materia deve ritenersi inammissibile, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., qualora non indichi il principio violato e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga con esso in contrasto (Cass. civ., sez. VI, 11 febbraio 2014, n. 3005).

Va in ultimo rimarcato che la domanda di risarcimento del danno da circolazione stradale proposta dinanzi al giudice di pace senza determinazione del "quantum", si presume, in difetto di tempestiva contestazione, di competenza del giudice adito ai sensi dell'art. 14 c.p.c., e, quindi, pari all'importo massimo previsto dall'art. 7, secondo comma, c.p.c. Di conseguenza, la sentenza emessa dal giudice di pace è impugnabile, ai sensi dell'art. 339 c.p.c., con l'appello, senza che assuma rilievo l'eventuale riduzione del "petitum" nei limiti del valore per la pronuncia secondo equità, operata dall'attore in corso di causa, in quanto il momento determinante ai fini della individuazione della competenza è quello della proposizione della domanda (Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2014, n. 12900).

Guida all'approfondimento

R. Martino, L'appello sulle decisioni equitative del giudice di pace, in Riv. Dir. Proc., 2014, 4-5, 862

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