Adozione del figlio minorenne del partner in una coppia same sex

17 Agosto 2016

Il desiderio di avere figli, “naturali” o adottati, rientra nell'ambito del diritto alla vita familiare, nel vivere liberamente la propria condizione di coppia riconosciuto come diritto fondamentale, anzi, ne è una delle espressioni più rappresentative.
Massima

Il desiderio di avere figli, “naturali” o adottati, rientra nell'ambito del diritto alla vita familiare, nel vivere liberamente la propria condizione di coppia riconosciuto come diritto fondamentale, anzi, ne è una delle espressioni più rappresentative. Pertanto, una volta valutato in concreto il superiore interesse del minore ad essere adottato e l'adeguatezza dell'adottante a prendersene cura, un'interpretazione dell'art. 44 della l. n. 184/1983 che escludesse l'adozione per le coppie omosessuali, solo in ragione dell'orientamento sessuale, sarebbe un'interpretazione non conforme al dettato costituzionale, in quanto lesiva del diritto di uguaglianza.

Il caso

Il partner convivente del genitore di un minore depositava ricorso per ottenere l'adozione del minore. La richiesta di adozione veniva motivata sulla base del forte legame sentimentale che spingeva i due partner a unirsi in matrimonio in Canada e successivamente nel loro desiderio di avere un figlio e tale progetto di genitorialità veniva realizzato in Canada. La scelta del Paese in cui realizzare il progetto genitoriale non è stata casuale in quanto, la coppia aveva scelto proprio il Paese che maggiormente garantisce i diritti alle coppie omosessuali e che soprattutto proibisce la maternità surrogata con finalità commerciali, ammettendo solo quella su base volontaria e, quindi, senza corresponsione di alcuna somma di denaro alla gestante. Inoltre i partner, nel corso della gestazione, hanno mantenuto costanti rapporti con la donna portatrice, restando poi per oltre due mesi nella città natale del bambino dopo la sua nascita; successivamente il ricorrente si era dedicato al bambino allevandolo amorevolmente e responsabilmente sentendolo figlio a tutti gli effetti. Alla luce di tali fatti e dei rapporti consolidatisi e instaurati nel tempo, anche nell'interesse del minore si richiedeva al Tribunale di dichiararsi nei confronti del ricorrente l'adozione in casi particolari ai sensi e per gli effetti dell'art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184/1983 come modificata dalla l. n. 149/2001.

Il Tribunale incaricava il Servizio Sociale Area Minori di effettuare un'approfondita indagine sul nucleo familiare, sulla coppia e sulla relazione coppia-bambino prevedendo altresì un incontro con gli operatori della scuola del bambino per verificarne il comportamento in classe e con i compagni di scuola, nonché con il pediatra al fine di constatarne lo stato di salute, estendendo l'indagine anche alla rete familiare e amicale dei partner onde verificarne la disponibilità a collaborare alla crescita del minore.

La relazione del Servizio Sociale Area Minori incaricato perveniva al Tribunale sotto forma di un'analisi approfondita dalla quale emergeva che entrambi gli uomini appartengono a nuclei familiari nei quali hanno potuto formare la propria personalità in piena autonomia.

Il Tribunale minorile osserva che l'adozione in casi particolari prevista dalla l. n. 184/1983 e successive modifiche, dev'essere sempre disposta nell'interesse superiore della persona di età minore. Questo principio universale è declinato in tutte le Convenzioni internazionali emanate in ordine alla piena tutela dell'infanzia. Si richiama in particolar modo la Convenzione europea sull'adozione dei minorenni data a Strasburgo il 27 novembre 2008, la quale prevede all'art. 7 che l'adozione sia permessa a due persone di sesso diverso o anche a una sola persona, ma che gli Stati sono liberi di estendere lo scopo della stessa Convenzione anche a coppie dello stesso sesso con una relazione permanente. L'interesse superiore del minore deve essere valutato con estrema attenzione nel caso concreto e tutti gli elementi raccolti dalle operatrici del Servizio Sociale portano anche queste ultime ad affermare che (omissis) è un bambino «con un livello di competenze adeguato all'età (…) si può dire che stia sviluppando uno stile di attaccamento sicuro, esito di un ambiente di crescita adeguato».

«Non si può sottovalutare che la Corte Europea dei diritti dell'uomo, con giurisprudenza ormai consolidata, ha affermato che esiste una famiglia anche in assenza di un rapporto di filiazione, in quanto è sufficiente un reale e abituale rapporto di fatto riconducibile ad una relazione familiare. Nella fattispecie di cui trattasi il minore è un bambino totalmente integrato nel nucleo familiare che (omissis) hanno costituito e stabilizzato ormai da oltre dodici anni».

Malgrado il parere negativo del P.M.M., il Tribunale minorile accoglie il ricorso.

La questione

La questione è la seguente: in tema di adozione in casi particolari consta solo lo stato di abbandono del minore o si può, invece, valutare in concreto ciò che può comportare maggiore utilità per il bambino? In altri termini, può procedersi all'adozione in casi particolari in difetto di stato di abbandono?

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza territoriale e internazionale è in piena fase evolutiva in materia di adozione in casi particolari dei figli dei partner che convivono, c.d. second parent adoption.

Le evoluzioni normative, anche a livello internazionale (CEDU e Conv. ONU di New York del 1989) hanno indotto i giudici a dare maggiore spazio alla tutela dei partner conviventi anche dello stesso sesso con riferimento alla tutela del “diritto alla vita familiare” e ciò sempre avendo cura del superiore interesse del minore.

La sentenza in commento, tuttavia, lungi dall'applicare automatismi di sorta, ma solo dopo l'attento esame della relazione depositata dagli Assistenti Sociali, chiamati a svolgere uno specifico accertamento dei rispettivi comportamenti dei partner singolarmente presi, del minore, dei partner rispetto al minore e di quest'ultimo all'interno del nucleo familiare e in relazione ai rapporti con il mondo esterno rispetto alle mura domestiche, giunge a riconoscere tutela alla richiesta del partner “adottante” nonostante il parere negativo del P.M.M..

Il Tribunale di Roma, pertanto, ha ritenuto che «se in Italia lo strumento dell'adozione in casi particolari può applicarsi alle coppie non unite in matrimonio, ferma un'accurata istruttoria relativa all'interesse superiore del minore, un limite fondato unicamente sull'orientamento sessuale senza alcuna motivazione che giustifichi oggettivamente tale diversità di trattamento, oltre a non essere previsto dalla normativa, sarebbe una discriminazione non consentita dal nostro ordinamento giuridico che viola la Costituzione (art. 3 Cost.) in uno con la Convenzione Europea dei Diritti Umani di cui l'Italia è stata ideatrice/fautrice sin dalla sua originaria redazione (art. 117Cost.)».

Inoltre, la lettura dell'art. 44, comma 1, lett. d) che escludesse la possibilità di ricorrere all'istituto dell'adozione in casi particolari alle coppie di fatto omosessuali a motivo di tale orientamento sessuale si porrebbe in contrasto anche con l'art. 14 in combinato disposto all'art. 8 della CEDU. Ed infatti, come chiarito dai giudici costituzionali (cfr. le cosiddette sentenze gemelle C. Cost. n. 348 e n. 349/2007; sent. 317/2009), l'art. 117, comma 1, Cost. opera come rinvio mobile alle disposizioni della CEDU nell'interpretazione che ne da la Corte europea dei diritti dell'uomo, acquistando così titolo di fonti interposte che vanno ad integrare il parametro costituzionale di riferimento.

Spetta, quindi, al giudice ordinario il compito di operare anche un'interpretazione convenzionalmente orientata delle norme nazionali, pur nel rispetto dei principi costituzionali che, come ha confermato anche recentemente la Corte Costituzionale (sent. 149/2015), rimangono in ogni caso prevalenti.

Emerge così un quadro chiaro nel quale non solo trova conferma l'idea pluralistica dei modelli familiari, ma anche una concezione funzionale della famiglia che pone attenzione al rapporto prima ancora che all'atto. L'esistenza dei rapporti familiari già consolidati, la presenza di vincoli e legami affettivi, umani e solidali, la comunità di vita materiale e spirituale depongono a favore della rilevanza giuridica, anche ai fini dell'adozione, di ogni modello di famiglia, ove si accerti che esso sia luogo di sviluppo e promozione della personalità del minore, il cui superiore interesse sempre deve prevalere.

Osservazioni

La tematica dell'adozione in casi particolari, nella specie la second parent adoption, in Italia in modo particolare è grandemente dibattuta sotto numerosi profili.

Il testo originario della legge sulle unioni civili del resto era stato ostacolato proprio in punto “stepchild adoption”, poi espunto dalla legge stessa. Si tratta di argomento che spaventa molto per la questione che porta in sé, ovvero la “maternità surrogata” che tecnicamente e più correttamente si chiama “gestazione per altri” (GPA). In effetti chi è legato a una visione “tradizionale” di genitorialità ritiene che il diritto di una coppia a realizzare il proprio sentimento e progetto familiare attraverso la filiazione debba arrestarsi di fronte al diritto del “concepito” alla bigenitorialità intesa nella presenza tanto della figura materna quanto di quella paterna, ben potendo, la coppia desiderosa di avere figli ma per natura impossibilitata alla procreazione, proporre ad esempio che il legislatore consenta anche alle coppie di fatto l'accesso all'adozione dei minori che già si trovino in stato di adottabilità.

E proprio sullo stato di adottabilità del minore la sentenza che qui si commenta, posta a confronto con altra del Tribunale di Torino del 11 settembre 2015, si trova a superare il preconcetto dell'impossibilità di procedere all'adozione del minore da parte del partner omosessuale convivente con il genitore del minore in questione, argomentando sulla possibilità di un'interpretazione e applicazione estensiva, prevista da tutta la normativa internazionale cui l'Italia è chiamata dalla CEDU ad adeguarsi, dell'art. 44 l. n. 184/1983 che consente l'adozione particolare già alle coppie eterosessuali.

In effetti una lettura “restrittiva” della norma fondata sul solo requisito dell'identità sessuale dell'aspirante adottante sarebbe del tutto discriminatoria, posto che non è dimostrato in alcun modo che una coppia omosessuale non possa crescere un minore con risultati più che favorevoli per il benessere del minore in questione.

Ed è proprio questo il ragionamento seguito dal Tribunale di Roma nella sentenza in esame che, superando con una brillante argomentazione anche la perplessità del P.M.M. circa la non adottabilità del minore per l'impossibilità di dichiararlo “in stato d'abbandono”, ritiene che non ci si possa fermare ad una lettura restrittiva della norma perché questa sarebbe lesiva del maggiore interesse del minore nei cui confronti va valutata la qualità di vita all'interno del contesto familiare in cui è inserito e nella rete parentale ed endoparentale di cui il nucleo familiare si circonda.

Ciò che consta, in altre parole, non è e non può essere soltanto la dichiarabilità o meno dello stato di adottabilità del minore letto come “stato di abbandono” poiché, nelle adozioni particolari ovvero nelle cd. second parent adoption, ciò che va osservato è il benessere del minore.

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