Figli trentaquattrenni: il limite generale ed astratto dell'obbligo di mantenimento
17 Agosto 2017
Massima
Deve esistere un limite all'obbligo genitoriale di mantenimento della prole, imposto dai doveri di autoresponsabilità che gravano sul figlio maggiorenne, a pena di trasformazione, altrimenti, del diritto al mantenimento del figlio in una forma di parassitismo verso i genitori. Analizzando le statistiche italiane ed europee, tale limite può essere individuato nei 34 anni di età. Il caso
Due coniugi, dal cui matrimonio sono nati due figli, entrambi ultraquarantenni, decidono di separarsi. Le condizioni personali dei coniugi sono di forte disagio economico e sociale. La madre è priva di mezzi di sostentamento e non ha dimora. Si alimenta grazie al supporto della beneficienza spontanea ed è ospite dell'unico figlio economicamente indipendente della coppia. Il padre vive della propria pensione, pari ad € 700,00 mensili. Vive con e mantiene l'altro figlio della coppia, di anni 41, non indipendente economicamente. Dal contenuto dell'ordinanza pare che la moglie abbia formulato domanda ex art. 156 c.c. e il padre abbia chiesto l'assegnazione della casa familiare sul presupposto della convivenza con il figlio ultraquarantenne, non economicamente autosufficiente e dunque, nelle prospettazioni difensive, integralmente mantenuto dal padre. Il Tribunale di Milano, preso atto delle peculiarità del caso concreto e della lunga durata del matrimonio, da un lato ha riconosciuto un assegno di mantenimento alla moglie di € 100,00 mensili, dall'altro ha rigettato la richiesta di assegnazione della casa coniugale al padre, per impossibilità di riconoscere in capo ad un figlio quarantunenne i benefici di cui all'art. 337-sexies c.c., precisando che il limite di età oltre il quale il diritto al mantenimento non può più essere riconosciuto ai figli, va individuato nei 34 anni di età degli stessi.
La questione
È circostanza pacifica in giurisprudenza che l'obbligo di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli debba avere un limite temporale. Molto più difficile e tormentata, invece, è l'individuazione di quale sia questo limite, premesso che, in assenza di una previsione normativa, la Giurisprudenza prevalente è concorde nel ritenere che non sia possibile individuare un termine astratto al diritto al mantenimento. Il Tribunale di Milano, con la decisione in commento, prova a individuare detto termine.
Le soluzioni giuridiche
È noto che il dovere dei genitori di mantenere ed educare la prole non si esaurisce con il raggiungimento della maggiore età della stessa, ma con il conseguimento dell'indipendenza economica, o, in alternativa, qualora il mancato raggiungimento dell'autonomia sia dipeso da colpa del figlio maggiorenne, munito degli strumenti e delle opportunità a ciò necessari (ex pluribus Cass. civ., sez. I, 6 novembre 2006, n. 23673; Cass. civ., sez. I, 3 novembre 2006, n. 23596; Cass. civ., sez. I, 11 luglio 2006, n. 15756). Fermo quanto sopra, la giurisprudenza è, tuttavia, in difficoltà nel porre un limite temporale all'obbligo di mantenimento; se, da un lato, non è mai stato in dubbio che un limite debba esistere, dall'altro è sempre mancato un criterio concreto e univoco che consentisse di risolvere la questione. L'orientamento maggioritario e prevalente ritiene, infatti, che non sia possibile prefissare in astratto un termine finale di persistenza dell'obbligo di mantenimento – certamente non in base all'età della prole - sussistendo in capo al genitore obbligato l'onere di allegare e dimostrare (anche in via presuntiva) il fatto di aver posto il figlio nelle condizioni di raggiungere l'indipendenza e che sia stato quest'ultimo a non averle colte (Cass. civ. 22 giugno 2016; Cass. civ., sez. I, 7 aprile 2006, 8221). Di norma, pertanto, ciascun Giudice fornisce una risposta strettamente correlata al caso oggetto di decisione, ricorrendo, quindi, a criteri relativi di risoluzione del problema. Così ad esempio, è stata negata l'esistenza del diritto al mantenimento in presenza di:
Viceversa, sussistono precedenti anche di segno opposto, che, invece, sembrano prevedere che il diritto al mantenimento non debba finire mai. La Corte di legittimità, ad esempio, ha ritenuto che:
Tale breve excursus, certamente incompleto, è, tuttavia, un'interessante esemplificazione della varietà e non omogeneità dei criteri utilizzati nella ricerca del limite al diritto al mantenimento dei genitori nei confronti dei figli. È a fronte di un simile panorama interpretativo che emerge in tutto il suo interesse la decisione in esame. Svincolandosi dal caso concreto e rompendo con i precedenti giurisprudenziali, il Tribunale di Milano ha emesso un provvedimento che vuole essere di ampio respiro e di contrapposizione con l'orientamento dominante, in quanto individua un criterio generale ed astratto cui ancorare il termine finale del mantenimento, sino ad oggi sostanzialmente disatteso e accantonato: l'età del figlio. Ma procediamo con ordine. Come appena visto, pur ritenendo l'età crescente del figlio un elemento presuntivo della colpa dello stesso nel mancato raggiungimento della propria indipendenza, la Giurisprudenza maggioritaria ha in passato negato la possibilità di individuare un termine astratto al mantenimento e, in ogni caso, ha cercato di ancorare la spettanza o meno di tale diritto a criteri non anagrafici. Il Tribunale di Milano, invece, ha adottato una logica completamente diversa, ma stringente e condivisibile. Infatti, al cospetto di un adulto di 41 anni – salvo che non si tratti di un portatore di handicap - non si può ritenere che sussista il beneficio di cui all'art. 337-sexies c.c.; nel nostro ordinamento, l'obbligo genitoriale al mantenimento si giustifica solo in quanto lo stesso sia finalizzato alla realizzazione di un progetto educativo e di un percorso di formazione dei figli (Cass. civ., 20 agosto 2014, n. 18076; Cass. civ., S.U., 29 settembre 2014, n. 20448, punto n. 6.1.2) ed è evidente che un percorso di tale tipo ha un intrinseco limite naturale connesso all'età della prole, che ad un certo punto cessa di essere tale e diventa adulta. Anche per il diritto. Ed è qui che scatta il cambio di prospettiva e di visuale che porta i giudici milanesi a prendere una posizione di netto distacco rispetto ai precedenti esistenti: un limite generale e astratto al mantenimento deve essere individuato e il criterio oggettivo più corretto cui ricorrere è l'età. Oltre una certa soglia anagrafica, infatti, non si può parlare di progetto educativo e il mantenimento, da diritto, si tramuta, come ci ricordano le toghe milanesi, a loro volta mutuando il concetto, in «forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani» (Cass. civ., 7 luglio 2004, n. 12477; Cass. civ., 6 aprile 1993, n. 4108). L'espressione è forte, ma non per questo meno esatta, giacché onerare, senza prevedere in concreto un limite, i genitori del mantenimento dei figli si traduce in una grave ingiustizia sostanziale e sociale. Basti pensare, ad esempio, alla questione dell'assegnazione della casa familiare. Com'è noto, la casa familiare va assegnata al genitore convivente con il figlio minorenne o maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente (per citare solo la giurisprudenza più recente: Cass. civ., sez. I, 22 luglio 2015, n. 15367; Trib. Savona, 9 giugno 2015, n. 687; Trib. Salerno, sez. I, 26 marzo 2015, n. 1415; Trib. Treviso, sez. I, 11 febbraio 2015, n. 335; Cass. civ., sez. I, 18 settembre 2013, n. 21334; Trib. Como, 27 aprile 2016). L'assegnazione, infatti, in tali ipotesi, va riconosciuta al genitore convivente con la prole, anche nel caso in cui l'immobile sia di proprietà del genitore obbligato al mantenimento (e quindi non collocatario) in tutto o anche solo per una quota (in genere il 50%). In tale caso, l'assegnazione inciderà, tutt'al più, sulla quantificazione dell'importo dovuto a titolo di mantenimento dei figli. Il non prevedere un limite massimo al mantenimento, dotato di un minimo di oggettività, si traduce nel sottrarre al genitore proprietario – che spesso è costretto a cercare una soluzione abitativa alternativa ricorrendo alla locazione - la disposizione di un immobile per un tempo indefinito e totalmente incerto. Un simile sacrificio, giustificabile nell'ottica della cura e della tutela della prole, non deve tuttavia proseguire oltre il necessario, tramutandosi, altrimenti, in un ingiusto vantaggio per i figli ormai adulti e per l'altro genitore con gli stessi convivente. Interessante, inoltre, è il criterio ermeneutico adottato nello stabilire quale sia l'età fino alla quale si possa parlare di mantenimento e oltre la quale si debba parlare di parassitismo genitoriale. Il Tribunale di Milano tiene conto, infatti, dell'età media in cui, in Italia e in Europa, lo stato di disoccupazione del figlio non possa più essere considerato un elemento ai fini del mantenimento: 34 anni. Osservazioni
La decisione del Giudice milanese è condivisibile, anche prescindendo da qualsivoglia valutazione sull'adeguatezza o meno dell'età prescelta; un criterio, infatti, deve pur essere utilizzato e quello indicato ha il pregio di essere oggettivo, basandosi su dati medi statistici, ma anche sufficientemente flessibile ed in grado, eventualmente, di modificarsi con il mutare delle condizioni sociali. La questione del limite al mantenimento, infatti, è sentita e dibattuta nell'ambito del diritto di famiglia ed è spesso fonte di controversie tra coniugi, sia in sede di separazione, sia, con più frequenza, in sede di divorzio, cui spesso certe coppie giungono anche a diversi anni di distanza dalla separazione e con figli, quindi, che sono ormai grandi. Ad avviso di chi scrive, pertanto, il pregio di questo precedente è quello di cercare di portare certezza in un ambito del diritto dove essa non c'è e la cui assenza contribuisce, se possibile, ad esasperare un conflitto spesso ancora troppo elevato tra genitori. L'individuazione di un criterio univoco, quindi, non può che essere apprezzata. Va da sé, tuttavia, che il limite dei 34 anni potrà avere portata generale ed astratta solo se inteso come limite massimo al mantenimento e non come limite assoluto allo stesso. In altre parole, oltre i 34 anni certamente non sarà più riconoscibile un diritto al mantenimento. E in ciò va individuata la valenza generale ed astratta del limite. Ma ciò non significa che un diritto al mantenimento debba essere riconosciuto fino a tale soglia. Il limite in questione, quindi, non ha una valenza assoluta. In primo luogo, nel caso in cui si dimostri che un figlio abbia raggiunto l'indipendenza economica o che sia stato posto nelle condizioni di farlo, ma, per sua colpa, non si sia reso indipendente, il diritto al mantenimento ben dovrà essere negato, anche laddove il figlio non abbia ancora raggiunto i 34 anni di età. In secondo luogo, come sopra accennato, il limite dei 34 anni, se può essere valido oggi, potrà rivelarsi inadeguato pro futuro. ll mutare delle necessità sociali, com'è già successo negli ultimi anni, potrà portare a modificare nuovamente l'età media – e con essa l'età massima - dell'indipendenza economica. Va da sé che la giurisprudenza più sensibile ben dovrà intervenire nuovamente e adeguare i limiti del mantenimento alla realtà concreta. Il provvedimento del Tribunale di Milano, quindi, pur nella sua indubbia portata innovativa, non deve essere inteso come una sostituzione, ma, piuttosto, come un arricchimento e completamento dell'elaborazione giurisprudenziale precedente. L'esame del caso concreto, la condotta della prole e l'onere allegatorio e probatorio del genitore obbligato sono tutti elementi che non verranno meno quali strumenti del Giudice per riconoscere o meno il diritto al mantenimento. Semplicemente il Giudice potrà disporre, se lo vorrà, di uno strumento decisionale in più, sinora volutamente ignorato dagli interpreti. La scelta precedente di non ricorrere all'età anagrafica – se non marginalmente e comunque in presenza di ulteriori elementi confermativi – nel determinare o meno il diritto al mantenimento, plausibilmente va ricercata nel fatto che la Giurisprudenza teme, introducendo un limite rigido, di venir meno alle necessità di giustizia del caso concreto. Ma così non è. L'introduzione di un limite massimo di età al mantenimento, infatti, è una questione di giustizia sostanziale, nell'ottica dell'autoresponsabilità dei figli e del non parassitismo degli stessi verso i genitori ed è, quindi, necessaria. Il rischio, invece, di una rigidità interpretativa potrà essere evitato ritenendo che, come sopra visto, fino ai 34 anni, l'età sia un criterio integrativo e non sostitutivo dell'elaborazione giurisprudenziale precedente. La soglia individuata dal Tribunale di Milano deve essere un limite massimo, ma non un limite assoluto al mantenimento. Questo compromesso, da un lato, va a garantire sufficiente flessibilità ad un meccanismo di valutazione che, per sua natura, non può che essere relativo e attento al caso concreto. Sopra i 34 anni, invece, la questione sarà diversa. Il mantenimento non potrà essere riconosciuto, ma ciò non significa che il figlio sprovvisto di mezzi sarà anche sprovvisto di tutele. Non si deve dimenticare, infatti, il principio granitico, condiviso da tutta la giurisprudenza, che il figlio, non avente diritto al mantenimento, sarà sempre tutelato dall'obbligazione alimentare gravante sui genitori – ma con una forma e con un peso economico decisamente differenti – ai sensi dell'art. 433 c.c.. Un genitore, in quanto tale, è sempre tenuto al sostentamento dei propri figli. Ma ciò è cosa ben diversa dal gravare lo stesso di un onere di mantenimento senza fine, dilatando innaturalmente l'istituto previsto a tutela della prole in fase di formazione e crescita, al di là di un limite costituzionalmente ragionevole. Concludendo, a parere di chi scrive, la certezza del limite finale è indispensabile ai fini del bilanciamento degli interessi in gioco (il diritto al mantenimento dei figli e il diritto dei genitori a non esserne onerati oltre un termine ragionevole). Resta, ovviamente, da vedere se la Giurisprudenza successiva aderirà alla proposta interpretativa dei Giudici milanesi o se quest'ultima rimarrà un precedente isolato. |