La tutela della coesione familiare dello straniero extracomunitario
02 Novembre 2016
Massima
In tema di immigrazione, il decreto di espulsione emesso nei confronti dello straniero avente figli minori nel territorio italiano e che abbia omesso di chiedere, nei termini di legge, al tribunale per i minorenni il rinnovo dell'autorizzazione al soggiorno per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico degli stessi, tenuto conto della loro età e delle loro condizioni di salute, è illegittimo per violazione della clausola di salvaguardia della coesione familiare di cui all'art. 5, comma 5, e art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, ove non contenga alcun riferimento alle ragioni per cui non è stata presa in considerazione la sua situazione familiare. Il caso
Con sentenza in data 26 marzo 2014 il Giudice di Pace di Roma accoglieva il ricorso di tale J. A. e dichiarava inefficace il decreto prefettizio di espulsione del medesimo nonché l'ordine del Questore di abbandonare il territorio nazionale. Secondo il G.d.P. il ricorrente, di fatto apolide e padre di cinque figli minori, sarebbe stato destinatario di un decreto di espulsione emesso in violazione dell'art. 8 CEDU benché la sua autorizzazione (concessa dal Tribunale per i minorenni di Sassari) a permanere in Italia fosse scaduta senza il suo rinnovo. Ed inoltre tale provvedimento sarebbe stato rilasciato in violazione della legge n. 241/1990. Avverso detta sentenza proponevano ricorso per Cassazione il Ministero dell'Interno ed il Prefetto di Roma sulla base di due motivi, in particolare: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 5, 13, comma 2, lett. b), 13, comma 4, lett. b), 13, comma 4-bis e 31 del d.lgs n. 286/1998; art. 16 l. n. 91/1992 e art. 17 reg. es. di cui al d.P.R. n. 572/1993, art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 360, nn. 3 e 4, c.p.c.; 2) violazione degli artt. 3, 7 e 8 l. n. 241/1990 in relazione all'art. 360, n. 3,c.p.c. La questione
La questione oggetto dell'ordinanza attiene alla valutazione delle ragioni familiari di cui agli artt. 5, comma 5, e 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 quale condizione di legittimità del decreto di espulsione dello straniero extracomunitario, allorché lo stesso non abbia richiesto, nei termini di legge, al Tribunale per i minorenni il rinnovo del permesso di soggiorno per gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico dei figli minori. Le soluzioni giuridiche
Con la pronuncia in esame la Corte, nel solco del principio già enunciato da ultimo in Cass. civ., sez. VI, 28 maggio 2014, n. 12006, ritenendo fondato il primo motivo di ricorso, ha affermato che il decreto di espulsione dello straniero è illegittimo per la violazione della clausola di salvaguardia della coesione familiare di cui agli artt. 5, comma 5, e 31 comma 3, d.lgs n. 286/1998 allorché non contenga alcun riferimento alle ragioni per cui è non stata presa in considerazione la sua situazione familiare. A riguardo, va premesso che il diritto al ricongiungimento familiare ha una genesi essenzialmente interna all'ordinamento di ciascun paese, nonostante le assonanze rilevabili tra le varie normative nazionali e sebbene varie norme di diritto internazionale abbiano concorso a promuoverlo: gli artt. 8 e 10 CEDU; l'art. 10 Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali, culturali; l'art. 23 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici; gli artt. 9 e 10 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo; la Convenzione OIL n. 143/1975; l'art. 12 della Convenzione europea di Strasburgo del 1977 sui lavoratori migranti. Ai fini della qualificazione di tale diritto si deve fare principalmente riferimento alla tradizione costituzionale e all'ordinamento di ciascun paese per verificare se, e in che misura, esso possa essere ricavato dai principi costituzionali affermati con riguardo alla tutela della vita familiare. Nel nostro ordinamento va menzionata la sentenza della Consulta (Corte cost. 19 gennaio 1995, n. 28) ove si afferma che la normativa riguardante l'istituto del ricongiungimento familiare protegge diritti «tutelati dalla Costituzione e riconosciuti da una molteplicità di atti internazionali». La pronuncia aggiunge che «il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con se, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno della unità della famiglia sono infatti diritti fondamentali della persona che perciò spettano in via di principio anche agli stranieri…». Il ricongiungimento viene pertanto concepito come un diritto di rango costituzionale con la conseguenza che i limiti apposti dalla legge possono essere sindacati secondo un criterio più rigoroso della sola ragionevolezza, in quanto il sindacato si estende alla preliminare verifica della omogeneità tra i diritti ed i valori con cui il bilanciamento viene effettuato. La disciplina dettata in tema di ricongiungimento familiare dei cittadini extracomunitari esprime altresì una tendenza diffusa, riscontrabile nella generalità dei paesi europei, ispirata sia dalla necessità di riconoscere e salvaguardare il patrimonio dei diritti fondamentali goduti dagli stranieri immigrati extracomunitari, sia dalla consapevolezza che il consentire agli stranieri di ricongiungersi e di vivere con i propri familiari una normale vita di affetti rappresenta una premessa essenziale per il buon esito delle politiche di integrazione. In questa emersione del diritto al ricongiungimento, i Paesi europei hanno operato autonomamente, in assenza di una cornice comune, favorendo inevitabilmente diversi modi di affrontare il problema. Pertanto agli indirizzi di maggiore apertura si affiancano indirizzi di segno contrario ove l'atteggiamento di prudenza mostrato rispetto al ricongiungimento riflette il timore di aprire varchi incontrollabili all'ingresso di nuovi immigrati e la preoccupazione di assicurare una corrispondenza tra ingressi ed effettiva capacità di integrazione socio-economica del paese ospitante. La tutela della famiglia e dei minori extracomunitari in Italia è sancita nel testo unico in tema di immigrazione mediante la c.d. clausola di salvaguardia di cui agli artt. 5, comma 5, e 31 comma 3,d.lgs n. 286/1998. La ratio di tali previsioni, che costituiscono una deroga alle altre disposizioni del d.lgs. n. 286/1998, sulla presenza dello straniero sul territorio nazionale, va individuata in una incisiva protezione del diritto del minore alla famiglia e a mantenere rapporti continuativi con entrambi i genitori. Va per di più considerato che l'art. 31 d.lgs n. 286/1998 individua due differenti ipotesi, l'autorizzazione all'ingresso in Italia del genitore che si trova all'estero, ovvero la permanenza del genitore che già si trova in Italia, da cui potrebbe derivare una diversa valutazione dei gravi motivi. Osservazioni
La pronuncia in commento non si incentra tanto sull'interpretazione delle norme dettate a tutela della famiglia e dei minori (quale in particolare l'interpretazione dei “gravi motivi” di cui all'art. 31, comma 3,d.lgs n. 286/1998), quanto piuttosto sulla mancata valutazione della situazione familiare del soggetto destinatario di un decreto di espulsione (non essendovi alcun riferimento in tal senso nell'atto) con la conseguenza che detto decreto è illegittimo per la violazione della clausola di coesione familiare di cui agli artt. 5, comma 5 e 31, comma 3, d.lgs n. 286/1998. Pertanto, la valutazione delle ragioni familiari del destinatario di un decreto di espulsione costituisce un requisito la cui mancanza determina l'illegittimità dell'atto, anche nel caso in cui, come nella fattispecie sottoposta alla Suprema Corte, lo straniero aveva omesso di richiedere nei termini di legge al Tribunale per i minorenni il rinnovo della propria autorizzazione al soggiorno in Italia. Non vi è dubbio che tale pronuncia evidenzi come la tutela della coesione familiare e dello sviluppo psico-fisico dei minori, figli di extracomunitari, rappresenti non una mera petizione di principio ma si sostanzi in una tutela sempre più incisiva che, non solo opera sul piano di una ampia lettura dei "gravi motivi" di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs n. 286/1998 ma diviene altresì requisito di validità dello stesso decreto di espulsione.
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