Per un modello unico di garanzia degli assegni di mantenimento per i figli

05 Maggio 2015

L'art. 3, comma 3, l. n. 219/2012, mosso dal nobile intento di creare un sistema unitario di garanzie per i figli, indipendentemente dal loro status, in realtà per la sua formulazione poco chiara ha creato e sta creando più di un problema interpretativo. Richiamando gli orientamenti giurisprudenziali più recenti, ci si sofferma ad analizzare il sistema delle garanzie dell'assegno di mantenimento della prole tentando di segnalare un modello che, da un lato, corrisponda a un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norma e, dall'altro, sia realmente efficace nella sua applicazione concreta.
Il quadro normativo

Come noto, sino alla fine del 2012, esistevano due strumenti differenti a garanzia dell'assegno di mantenimento per i figli:

a) l'ordine di pagamento diretto, ex art. 156 comma 6 c.c., che presuppone l'intervento giudiziale e permette all'avente diritto all'assegno di percepire l'intera somma stabilita a suo favore, tramite distrazione dagli importi dovuti dal terzo al debitor debitoris, anche per somme superiori al 50% di quelle che il terzo è tenuto a versare all'obbligato inadempiente (Cass. civ. 2 dicembre 1998, n. 12204; Cass. civ. 6 novembre 2006, n. 23368);

b) la richiesta di pagamento diretto, ex art. 8 l. 1° dicembre 1970, n. 898, che, invece, prescinde dalla pronuncia del Tribunale e che non può avere mai ad oggetto importi superiori al 50% delle somme dovute dal terzo al debitor debitoris, quanto meno qualora la richiesta incida su di un rapporto di pubblico impiego.

Entrambe le forme di garanzia presuppongono l'inadempimento dell'obbligato: nell'ipotesi ex art. 156 comma 6 c.c., è il Giudice che ne valuta la sussistenza; mentre nell'ipotesi del pagamento diretto ex art. 8 l. n. 898/1970 è la parte che prima di attivare il procedimento deve mettere in mora il proprio debitore.

L'art. 3, comma 2, l. 10 dicembre 2012, n. 219 ha complicato il quadro normativo, stabilendo che «il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all'obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dall'art. 8, comma 2 e seguenti, della legge 1º dicembre 1970, n. 898».

La confusione è subito parsa evidente agli occhi dei commentatori, sia perché, per la prima volta, il legislatore non ha subordinato il pagamento del terzo al precedente inadempimento (che invece è presupposto sia per l'ordine di pagamento diretto sia per la richiesta di pagamento diretto) sia e soprattutto perché il legislatore ha richiamato una norma (art. 8 l. n. 898/1970) che prescinde dall'intervento del Giudice, innestandola in un procedimento (quello del pagamento diretto, assimilabile all'art. 156 comma 6 c.c.) che invece lo presuppone.

Le diverse interpretazioni dell'art. 3, comma 2, l. n. 219/2012

A fronte di un legislatore evidentemente distratto, giurisprudenza e dottrina si sono immediatamente interrogate sul significato e sul ruolo da dare alla novità legislativa.

Si sono contrapposte plurime soluzioni interpretative.

Secondo una prima tesi, l'ordine di pagamento diretto di cui alla l. n. 219/2012 convivrebbe con la richiesta di pagamento diretto di cui alla legge divorzile (Tommaseo F., La nuova legge sulla filiazione: i profili processuali in Famiglia e Diritto, vol. 3, 251, 2013) e presupporrebbe, ovviamente la domanda di parte e, quanto meno, un pericolo di inadempimento.

Tale tesi, logica da un punto di vista sistematico, non sembra tuttavia tenere conto della formulazione letterale della norma (il comma 3 dell'articolo in questione, infatti, fa salva la disciplina vigente, salvo la verifica della compatibilità tra vecchie e nuove norme) e soprattutto non specifica, dal punto di vista operativo, il funzionamento dello strumento di garanzia di nuovo conio.

Altri ancora ritengono che l'intervento del Giudice, previsto dalla l. n. 219/2012, sostituisca l'invio della raccomandata di cui all'art. 8 della l. n. 898/1970 (De Filippis B., La nuova legge sulla filiazione: una prima lettura in Famiglia e Diritto, vol. 3, 299, 2013); una soluzione questa che risponde ad un'esigenza di sintesi tra ordine di pagamento diretto previsto dalla legge divorzile e lo strumento di cui alla legge sulla filiazione, ma che rischia, nel concreto, di complicare ulteriormente l'operatività della garanzia e di allungare i tempi di effettiva riscossione del credito, essendo evidente che l'invio della raccomandata, come atto di impulso della procedura del pagamento diretto, è passaggio più agevole, veloce ed economico rispetto alla richiesta di intervento dell'Autorità giudiziaria.

Secondo un'interpretazione giurisprudenziale «l'art. 3, comma 2, legge n. 219/2012 deve essere nella sua strutturazione visto come estensione alla tutela dei figli nati da coppia non coniugata dell'omologa fattispecie coniata dal legislatore del 1987 nella disciplina divorzile, così accordandosi prevalenza al preciso richiamo della norma di cui all'art. 8, comma 2 ss., l. div. piuttosto che al meno efficace riferimento all'ordine che il giudice può essere chiamato a impartire» (Trib. Milano 24 aprile 2013); l'intervento legislativo, dunque, avrebbe determinato l'introduzione di un sistema duale, in forza del quale, in caso di assegno per il figlio “non matrimoniale” si applicherebbe solamente la richiesta di pagamento diretto ex art. 8 l. n. 898/1970, con la conseguenza che una richiesta di ordine giudiziale in tal senso deve essere dichiarata inammissibile, mentre per i figli di genitori separati continuerebbe a trovare applicazione lo strumento dell'ordine giudiziale di pagamento ex art. 156 comma 6 c.c. (Trib. Milano 15 novembre 2013).

Secondo il Tribunale, la diversificazione delle soluzioni tra figli matrimoniali e figli non matrimoniali troverebbe la sua giustificazione «nella diversità di situazioni processuali in cui gli istituti di garanzia si inseriscono, dal momento che nel caso di coppia coniugata si procede al giudizio di separazione, seguito poi se del caso dal giudizio di divorzio che definisce gli obblighi di mantenimento tra i coniugi e tra i genitori e i figli, salva la possibilità di modifica per eventi sopravvenuti, là dove la situazione delle coppie non coniugate vede nel giudizio avanti al Tribunale con le forme di cui all'art. 737 c.p.c. l'unica fase decisoria conclusiva dei rapporti obbligatori di mantenimento tra genitori e figli, salva anche qui la possibilità di interventi modificativi nel caso di sopravvenienze, con la conseguenza che il richiamo operato dall'art. 38 comma 2 disp. att. c.c., come modificato dalla legge n. 219/2012, ai meccanismi diretti previsti dalla legge sul divorzio nel caso dei provvedimenti patrimoniali relativi ai figli di genitori non coniugati, trova la sua ragione d'essere, a giudizio di chi scrive, proprio nel carattere conclusivo di tali decisioni rispetto al diverso giudizio di separazione che continuerà, salvi ulteriori interventi normativi, a trovare la propria disciplina nella disposizione di cui all'art. 156 comma 6 c.c.» (Trib. Milano, ord., 15 novembre 2013, cit.).

L'orientamento ambrosiano, che ha il pregio di delimitare i confini tra i vari istituti, sembra però scontrarsi con la necessità che l'interpretazione della norma sia fatta in funzione della ratio della legge che la contiene; la l. n. 219/2012 ha il fine di eliminare ogni disparità di trattamento tra i figli (che godono infatti di uno status unico) cosicché un'interpretazione che invece rafforza eventuali disparità di trattamento (anche a livello sostanziale) potrebbe determinare un'accusa di irragionevolezza della norma, con tutte le ovvie conseguenze anche in tema di incostituzionalità.

In base, poi, a un secondo orientamento giurisprudenziale, il legislatore del 2012 ha introdotto, a tutela degli assegni di mantenimento per la prole, un terzo modello, diverso rispetto all'ordine di pagamento diretto ex art. 156 c.c. e allo strumento di cui all'art. 8 l. n.898/1970:«dal combinato disposto del comma 2 dell'art. 3 l. n. 219/2012 e dall'art. 8 l. n. 898/1970, deve desumersi che sarà il Giudice ad ordinare la distrazione e solo a seguito di tale ordine, che può essere emesso in caso di provata inadempienza, il creditore potrà attivare il procedimento di cui all'art. 8 l. n. 898/1970» (così Trib. Roma 7 gennaio 2015).

L'interpretazione suggerita dal Tribunale di Roma ha sicuramente il pregio di creare un modello unico applicabile a tutti i figli, indipendentemente dallo status dei genitori, ponendosi maggiormente in linea con lo spirito e la finalità della l. n. 219/2012 che l'ha introdotto. Appare, invece, meno condivisibile il meccanismo di applicazione concreta: secondo i giudici romani, infatti, ottenuto l'ordine giudiziario, la parte potrà attivare l'intera procedura di cui all'art. 8 l. n. 898/1970, comprensiva di messa in mora del debitore, notifica del titolo al terzo e comunicazione al debitore principale. Sembra, invece, più agevole ritenere che il ricorso al Tribunale renda inutile la preventiva messa in mora dell'obbligato al mantenimento, cosicché l'ordine di distrazione sia in sé e per sé un atto autosufficiente.

Necessità di interpretazione costituzionalmente orientata della norma

Come osservato, infatti, da autorevole dottrina in commento all'art. 3 l. n. 219/2012, «se il fine del corpus iuris è quello di parificare il trattamento dei figli ex naturali ai figli ex legittimi, risulterebbe quanto meno inappagante apprezzare, per i figli nati dal matrimonio, un sistema di distrazione fondato sulla mera iniziativa dell'avente diritto e, per i figli nati fuori dal matrimonio, una forma di tutela che, invece, richiede un procedimento giurisdizionale con l'obbligatorio ricorso al Giudice. Questa interpretazione, per l'evidente carattere discriminatorio dei risultati applicativi, collocherebbe la norma in una cornice in netto contrasto finanche con il principio di ragionevolezza per difetto di coerenza con il fine perseguito dalla l. n. 219/2012...sicché per non immettere nell'ordinamento una norma suscettibile di facile sospetto di incostituzionalità è compito del giudice quello di interpretarla in modo conforme alla ratio che ne ha suggerito l'inserimento nel quadro normativo di elettivo riferimento, eventualmente rimuovendo le ambiguità letterali causate da un legislatore distratto» (Servetti G., Le garanzie patrimoniali della famiglia, Giuffré, 2013, 122).

È dunque evidente che l'interprete debba scegliere, tra i tanti modelli proponibili, un unico sistema che “copra”, nella stessa maniera e con lo stesso procedimento, sia i figli “matrimoniali” sia i figli “non matrimoniali”.

Ogni interpretazione differente presenterebbe evidenti profili di irragionevolezza e incostituzionalità.

Né pare che il mantenimento del sistema duale possa giustificarsi con la diversità di trattamento processuale esistente tra procedimenti riguardanti i figli “matrimoniali” e procedimenti riguardanti i figli “non matrimoniali” di cui all'art. 3, comma 1, l. n. 219/2012 giacché:

i) la disparità di rito non può determinare il proliferare di ulteriori differenze di trattamento tra i figli, anche sotto il profilo del sistema delle garanzie;

ii) la rubrica dell'art. 3 l. n. 219/2012 recita «Modifica dell'articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni a garanzia dei diritti dei figli agli alimenti e al mantenimento».

Si tratta, dunque, di un unico articolo che però disciplina due aspetti differenti, come dimostra l'utilizzo della congiunzione «e»: al comma 1, con la modifica dell'art. 38 disp. att. c.c., viene introdotta una differente disciplina processuale tra procedimenti per figli “matrimoniali” e quelli per figli “non matrimoniali” (in realtà a ben vedere la disciplina è unica per tutti ma il diverso rito della separazione e del divorzio riveste carattere assorbente vista la clausola di salvaguardia delle azioni di stato); al comma 2, viene introdotto un sistema unitario di garanzie per il mantenimento dei figli, indipendentemente dal fatto che i genitori siano o meno legati da vincolo di coniugio o che sia tra di loro in corso un giudizio di separazione.

iii) da una disparità di rito discenderebbe una disparità sostanziale, giacché, ad esempio l'ordine di pagamento diretto non incontra il limite della metà delle somme dovute dal terzo; la richiesta di pagamento diretto si; lo strumento dell'art. 8 l. n. 898/1970 conferisce al beneficiato azione diretta nei confronti del terzo, quello di cui all'art. 156 comma 6 c.c., invece no.

È dunque evidente che l'unica interpretazione possibile, giacché rispondente alla ratio della legge, è quella che preveda un unico sistema di garanzie per i figli, indipendentemente dalla relazione dei genitori.

Ipotesi di modello unitario

Ciò chiarito, occorre chiedersi come la nuova normativa si inserisca nell'ordinamento.

In primo luogo, sembra preferibile ritenere che lo strumento di cui all'art. 3, comma 2, l. n. 219/2012 si sostituisca in toto ai precedenti di cui all'art. 156 comma 6 c.c. e art. 8 l. n.898/1970.

Un'interpretazione differente (tendente all'affermazione della convivenza dei vari modelli) renderebbe, de facto, inutile l'introduzione del nuovo strumento di tutela e non valorizzerebbe a sufficienza le differenti caratteristiche che questo ha rispetto ai “vecchi” strumenti dell'ordine diretto e della richiesta di pagamento diretto.

Differenze che non sono solo processuali ma anche e soprattutto sostanziali considerato che il Legislatore del 2012 ha svincolato l'ordine di distrazione dall'esistenza di un pregresso inadempimento, presupposto invece del modello codicistico e di quello previsto dalla legge divorzile. La ragione di tale omissione non può essere individuata in una svista ma semmai nella volontà del legislatore di approntare, a tutela dei figli, una tutela ancora più pregnante rispetto a quella prevista per l'assegno del coniuge. Di conseguenza si può sostenere che l'ordine di pagamento ex art. 3 l. n. 219/2012 possa essere impartito dal Giudice anche in assenza di un pregresso inadempimento e sulla base di una valutazione complessiva delle circostanze e del comportamento pregresso dell'obbligato da cui possa desumersi anche un semplice “pericolo di inadempimento”.

Occorre a questo punto sciogliere il nodo della prevalenza, nella strutturazione letterale della norma, tra la prima parte («Il giudice può ordinare»), che presuppone l'intervento giudiziale, e la seconda parte («secondo quanto previsto dall'articolo 8, secondo comma e seguenti») che invece lo esclude.

La soluzione dell'intervento giudiziale, come presupposto della distrazione, sembra preferibile, considerato che:

a) nel corso dei lavori parlamentari il tema delle garanzie veniva risolto tramite l'estensione del modello dell'ordine di pagamento diretto ex art. 156 comma 6 c.c.;

b) dal punto di vista grammaticale la frase principale è «Il giudice può ordinare»; il che determina la prevalenza del modello giudiziale rispetto a quello non giurisdizionale della legge divorzile;

c) l'estensione del modello giudiziale anche ai figli risponde maggiormente all'esigenza di tutela sia dell'obbligato al mantenimento (chiamato a dare prova dell'eventuale adempimento), sia dell'avente diritto all'assegno che potrà richiedere, dunque, che l'ordine di pagamento diretto riguardi importi superiori al 50% delle somme dovute dal terzo all'inadempiente, diversamente da quanto accadrebbe con il ricorso allo strumento della legge divorzile.

Ciò premesso, il successivo passaggio interpretativo riguarda le modalità di inserimento (rectius: sintesi) del richiamo all'art. 8 l. n. 898/1970 nella nuova norma.

Sul punto pare corretta la tesi di chi sostiene che «il richiamo (all'art. 8 l. n. 898/1970, n.d.r.) deve ritenersi operante per le parti per le quali la novella non abbia diversamente disciplinato» e, comunque, in quanto compatibile.

Conseguentemente:

a) il comma 3 non può trovare applicazione, per effetto della prevalenza della frase principale «il giudice può disporre» che rende manifestatamente incompatibile con il nuovo impianto l'eventuale ricorso alla richiesta di pagamento diretto che invece prescinde dall'intervento del Giudice;

b) l'intervento giudiziale rende altresì inapplicabile il comma 6 dell'art. 8 L. div. (che limita la distrazione al 50% degli importi dovuti dal terzo al debitore principale) sicuramente per i datori di lavoro privati, ma fors'anche per i dipendenti pubblici per i quali, in applicazione dei principi giurisprudenziali fissati dalla Suprema Corte nell'interpretazione dell'art. 156 comma 6 c.c. (ex plurimis, Cass. civ. 2 dicembre 1998, n. 12204; Cass. civ. 6 novembre 2006, n. 23368), il Giudice potrà disporre che il terzo versi per intero la somma dovuta all'avente diritto anche qualora essa sia superiore al 50% degli importi dovuti dal terzo all'obbligato inadempiente.

L'intervento giudiziale permette anche il superamento del limite di cui all'art. 545 c.p.c., nell'ottica del rafforzamento della tutela per gli assegni di mantenimento della prole.

c) l'ordine di distrazione può essere emesso dal Giudice anche in assenza di inadempimento (la norma infatti non prevede tale presupposto) ma semplicemente nel caso di mero “pericolo di inadempimento”.

Troveranno invece applicazione:

1) il comma 4 che concede azione esecutiva diretta verso il terzo inadempiente;

2) il comma 5 che individua la competenza del giudice dell'esecuzione nell'ipotesi in cui il credito del coniuge obbligato sia stato già pignorato al momento della notificazione del provvedimento.

In conclusione

Si può sostenere, tra le varie interpretazioni possibili, che, per effetto dell'art. 3 comma 2 l. n. 219/2012, il giudice - su istanza di parte e in presenza anche di un mero pericolo di inadempimento - possa ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro all'obbligato, di versare direttamente detti importi all'avente diritto all'assegno di mantenimento per i figli, “matrimoniali e non”.

L'ordine potrà avere ad oggetto importi superiori al 50% delle somme dovute dal terzo all'obbligato principale.

In caso di inadempimento del terzo, l'avente diritto ha azione esecutiva diretta per il pagamento degli importi oggetto dell'ordine. Qualora il credito dell'obbligato sia pignorato all'atto della notificazione dell'ordine, provvede il Giudice dell'esecuzione.

Guida all'approfondimento

- Graziosi A., Una buona novella di fine legislatura: tutti i “figli” hanno eguali diritti, dinanzi al tribunale ordinario in Famiglia e Diritto, vol. 3, 263, 2013

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