L'assegno di divorzio secondo la Cassazione: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto

30 Maggio 2017

Nella pronuncia in commento la Corte di Cassazione si è chiesta se ancorare il giudizio sull'an dell'assegno divorzile al tenore di vita matrimoniale fosse ancora attuale.
Massima

Giacché il divorzio rescinde ogni legame con il precedente vincolo matrimoniale e in considerazione del principio di autoresponsabilità economica, il contributo ex art. 5 l. n. 898/1970 non può essere parametrato, sotto il profilo dell'an, al tenore di vita matrimoniale; dunque spetterà solo all'ex coniuge che non abbia mezzi adeguati - o che dimostri essere nell'impossibilità procurarseli - per poter essere economicamente indipendente.

Il caso

Tizio deposita ricorso per lo scioglimento del matrimonio innanzi al Tribunale di Milano, luogo di residenza di Caia, che si costituisce sollevando eccezione di incompetenza territoriale, assumendo di essere residente all'estero e formulando domanda di assegno divorzile. Il Tribunale pronunzia lo scioglimento, respingendo sia l'eccezione in rito sia la domanda di contributo ex art. 5 l. n. 898/1970.

Investita da Caia del gravame, la Corte d'appello conferma la sentenza di primo grado, ritenendo, in particolare, non dovuto l'assegno divorzile «non avendo la richiedente dimostrato l'inadeguatezza dei propri redditi ai fini della conservazione del tenore di vita matrimoniale, in una situazione di fatto in cui l'altro coniuge aveva subito una contrazione reddituale».

Caia ricorre in Cassazione sulla base di 4 motivi: a) violazione delle norme sulla competenza; b) violazione e falsa applicazione dell'art. 5 l. n. 898/1970, evocando l'errore in cui era incorsa la Corte per avere negato l'assegno sul presupposto del deterioramento delle condizioni economiche dell'obbligato, omettendo invece la doverosa indagine sulla mancanza di mezzi del richiedente per condurre un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di convivenza; c) per vizio di motivazione, non avendo preso in considerazione elementi probatori ritenuti rilevanti; d) per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c.

La questione

Con il provvedimento in commento, la Corte di Cassazione ha sì confermato la sentenza di primo grado, ma ne ha corretto la motivazione, esprimendo ex art. 384, comma 4, c.p.c. un principio di diritto difforme rispetto a quello utilizzato sino dalla sentenza Cass. n. 11490/1990. In sostanza la Corte si è chiesta se ancorare il giudizio sull'an dell'assegno divorzile al tenore di vita matrimoniale fosse ancora attuale, oppure se dovesse individuarsi un diverso parametro per l'attribuzione di un contributo a favore dell'ex coniuge, per la fase successiva a quella di dissoluzione del vincolo matrimoniale, di cui il tenore di vita è espressione.

Le soluzioni giuridiche

La decisione della Corte può suddividersi sostanzialmente in due parti nettamente distinte. Nella pars destruens, i giudici di legittimità si sono preoccupati di sottoporre a severa critica il principio, seguito negli ultimi 27 anni, in forza del quale «il parametro di riferimento –al quale rapportare l'adeguatezza o inadeguatezza dei mezzi del richiedente è stato ....individuato ... nel tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente o ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio». Nella pars costruens, la Corte si premura di individuare un diverso parametro di riferimento, individuandolo nell'”indipendenza economica” del richiedente l'assegno e preoccupandosi, altresì, di segnalare, sin d'ora, gli indici da utilizzare nella relativa fase del giudizio.

Si tratta di due passaggi della motivazione che meritano di essere analizzati partitamente.

a) Pars Destruens: l'antistoricità del parametro del tenore di vita.

La sentenza delinea, ripercorrendo i principi consolidati in materia, il fondamento costituzionale dell'assegno divorzile, rinvenuto nel dovere inderogabile di solidarietà economica ex art. 2 Cost (ex plurimis Cass. civ., 17 luglio 2009, n. 16789; L.M. Cosmai, Assegno divorzile e una tantum, ilFamiliarista.it) il cui adempimento, però, e qui sta la prima novità, è dovuto nei confronti dell'ex coniuge non tanto in ragione del pregresso vincolo matrimoniale, dissolto con la sentenza, quanto in virtù del suo essere “persona singola”; rovescio della medaglia è che l'ex rimane obbligato non in quanto tale, ma nei limiti di cui all'art. 23 Cost.; tale interpretazione, secondo i giudici di legittimità, risponderebbe al mutamento del costume sociale in forza del quale oggi il matrimonio è «atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché ... luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile» (p. 10) con la conseguenza che «l'interesse tutelato con l'attribuzione dell'assegno divorzile non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento dell'indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione – esclusivamente - assistenziale dell'assegno divorzile» (p. 11).

La Cassazione ribadisce altresì il proprio consolidato orientamento (ex plurimis Cass. civ., 10 gennaio 2017, n. 275; Cass. civ., ord. 3 luglio 2014, n. 15222; Cass. civ., 10 febbraio 2014, n. 2948; Cass. civ., 4 novembre 2010, n. 22501; Cass. civ., 13 maggio 1998,n. 4809) secondo cui il giudizio sull'assegno si articola in due fasi distinte: la prima diretta a verificare la fondatezza della domanda sotto il profilo dell'an e la seconda, cui si accede solo dopo il giudizio positivo sulla debenza dell'assegno, diretta alla determinazione del quantum secondo i criteri indicati nell'art. 5 l. n. 898/1970, da valutarsi tenendo conto della durata del matrimonio (Cass. civ., 29 ottobre 1996, n. 9439).

Fatto questo excursus, la Corte sottopone a severa critica il parametro del tenore di vita coniugale, cui ancorare il giudizio sulla debenza (e non sulla quantificazione) dell'assegno divorzile, assumendone l'erroneità, giacché:

i) detto parametro «se applicato anche nella fase dell'an debeatur, collide radicalmente con la natura stessa dell'istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici: ... con la sentenza di divorzio, il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non personale ma anche economico patrimoniale... sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale»;

ii) l'utilizzo di un parametro di riferimento (il tenore di vita) caratterizzante la vita in comune delle parti si pone in insanabile contraddizione con la premessa, assunta in tesi dalla sentenza, secondo la quale l'assegno è dovuto alla «persona singola» (cfr. sentenza p. 6) e non già «come parte di un rapporto matrimoniale ormai estinto anche sul piano economico patrimoniale»;

iii) «la necessaria considerazione del preesistente rapporto matrimoniale, anche nella sua dimensione economico patrimoniale.... è normativamente prevista solo per l'eventuale fase del giudizio avente ad oggetto la determinazione dell'assegno»;

iv) «il parametro del tenore di vita induce inevitabilmente ma inammissibilmente una indebita commistione tra le predette due fasi».

Ancorché suddivise in 4 ordini di motivazione, la ragione principe della demolizione della precedente, granitica, interpretazione giurisprudenziale (e risalente a Cass. S.U., 29 novembre 1990 n. 11490; Cass. S.U., 29 novembre 1990, n. 11492) dell'art. 5 l. n. 898/1970, sta tutta nel seguente ragionamento: giacché il matrimonio si dissolve se ne dissolvono, anche, conseguentemente, gli effetti; quel vincolo è venuto meno e sono venute meno anche le aspettative maturate in costanza di rapporto, cosicché ogni riferimento, nella fase dell'an, a criteri che hanno la loro radice nel vincolo ormai “inefficace”, contraddice la natura stessa dell'assegno divorzile. La sentenza, però, si preoccupa, anche, di costruire una "copertura" sociologica al prooprio ragionamento, assumento che «le menzionate sentenze delle Sezioni Unite del 1990 si fecero carico della necessità di contemperamento dell'esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio "inteso come "sistemazione definitiva", perchè il divorzio è stato assorbito dal costume sociale con l'esigenza di non turbare un costume sociale ancora caratterizzato dall'attuale esistenza di modelli di matrimonio più tradizionali, anche perchè sorti in epoca molto anteriore alla ridorma", con ciò spiegando la preferenza accordata a un indirizzo interpretativo che "meno traumaticamente rompesse con la passata tradizione»; orbene, ritiene la Suprema Corte che «questa esigenza di è molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e autoresponsabilità».

La sentenza, infine, non risparmia un accenno critico alla decisione della Corte Costituzionale (C. cost. n. 11/2015) che aveva «sostanzialmente recepito l'orientamento in questa sede non condiviso, senza peraltro prendere posizione sulla sostanza delle censure formulate dal giudice rimettente.. e omettendo di considerare che in una precedente occasione…(sentenza n. 472/1989, n. 3 del Considerato in Diritto, precedente dunque Cass. S.U. n. 11490/1990, nda)» lo stesso Giudice delle Leggi aveva escluso ogni correlazione tra assegno divorzile e tenore di vita.

b) Pars Construens: il nuovo parametro dell'“indipendenza economica”.

Nella seconda parte (p. 13) la Corte si fa carico, correttamente, di individuare un nuovo parametro cui ancorare il giudizio di inadeguatezza/adeguatezza dei mezzi del richiedente ai fini della valutazione dell'an dell'assegno divorzile, individuandolo nel raggiungimento dell'indipendenza economica del richiedente: «se è accertato che quest'ultimo è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto».

Tale parametro:

i) ha la sua base normativa nell'art. 337-septies c.c.;

ii) ha una sua coerenza logica con le premesse della motivazione: «se (l'indipendenza economica, nda) infatti condiziona negativamente il diritto del figlio maggiorenne alla prestazione dovuta dai genitori nonostante le garanzie di uno status filiationis tendenzialmente stabile e permanente (art. 238 c.c.) e di una specifica previsione costituzionale (art. 30 Cost.)... a maggior ragione può essere richiamato e applicato quale condizione negativa del diritto all'assegno di divorzio, in una situazione giuridica che è connotata dalla perdita definitiva dello status di coniuge»;

iii) è ispirato al “principio di autoresponsabilità economica” che non solo è applicato in materia di determinazione del contributo dovuto al figlio maggiorenne (cfr. Cass. civ.n. 18076/2014) ma «appartiene al contesto giuridico europeo, essendo da tempo presente in molte legislazioni dei Paesi dell'Unione, ove è declinato in termini rigorosi e radicali che prevedono, come regola generale, la piena autoresponsabilità economica degli ex coniugi, salve limitate – anche nel tempo- eccezioni di ausilio economico e dimostrate ragioni di solidarietà».

c) Segue: indici da utilizzare e l'onere della prova.

La Cassazione si premura, infine, di precisare che l'indipendenza economica «attiene esclusivamente alla persona dell'ex coniuge richiedente l'assegno come singolo individuo cioè senza alcun riferimento al preesistente rapporto matrimoniale» e individua 4 indici «salvo ovviamente altri elementi che eventualmente potranno rilevare nelle singole fattispecie», al fine di «accertare, nella fase di giudizio dell'an debeatur, la sussistenza o no dell'indipendenza economica dell'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio – e, quindi, l'adeguatezza o meno dei mezzi nonché la possibilità, o no per ragioni oggettive, dello stesso di procurarseli»; esprime, altresì, un principio di ordine generale sull'onere della prova assumendo, finalmente, che “spetta” al richiedente «allegare, dedurre e dimostrare di non aver mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni oggettive.. tale onere presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte del medesimo coniuge, restando fermo, ovviamente, il diritto all'eccezione e alla prova contraria dell'altro».

Tali indici sono:

1) «il possesso di redditi di qualsiasi specie»;

2) «il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e dal costo della vita del luogo di residenza della persona che richiede l'assegno». Il possesso di redditi e patrimonio “formerà normalmente oggetto di prove documentali - salva comunque, in caso di contestazione, la facoltà del giudice di disporre al riguardo indagini officiose»;

3) «le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale» da provarsi con «ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l'onere del richiedente l'assegno di allegare specificatamente (e provare in caso di contestazione) le concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell'indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative»;

4) «la stabile disponibilità di una casa di abitazione» che sarà oggetto – la sentenza non lo dice ma è intuitivo - di prova documentale.

Osservazioni

In base alla sentenza in commento, il giudizio sull'assegno di divorzio si articola in due fasi:

1) Nella prima fase, che ha ad oggetto solo l'an debeatur e che deve essere «informata al principio di autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi quali persone singole», il Giudice dovrà verificare, sulla base delle prove fornite dal richiedente, ferma la contestazione e il diritto al prova contraria dell'altro, se l'ex coniuge ha o non ha, può procurarsi o non può procurarsi, per ragioni oggettive, i mezzi per essere economicamente indipendente, facendo riferimento ai redditi o al patrimonio posseduto, all'attività lavorativa (o alla possibilità di reperire un'attività lavorativa, tenendo conto delle personali attitudini ed esperienze) e alla disponibilità di una casa di abitazione; in tale fase nessuna rilevanza dovranno assumere il tenore di vita matrimoniale, le condizioni economiche dell'altro, la storia personale e, soprattutto, quella familiare che il divorzio, secondo la Cassazione, cancella.

2) Ove poi il Giudice, dopo aver concluso la prima fase, ritenga che il richiedente non abbia mezzi o non possa procurarsi, per ragioni oggettive, mezzi tali da poter esser economicamente indipendente, potrà porre, a carico dell'altro, un assegno mensile calcolato sulla base dei criteri indicati nell'art. 5, comma 6 (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito) da valutare in rapporto alla durata del matrimonio. Detti criteri - anche se la sentenza espressamente non lo dice, ma lo si può desumere dalla sentenza Corte Cost. n. 11/2015 – continueranno ad agire come fattore di ponderazione del quantum, potendo arrivare ad azzerarlo (Cass. civ., 5 febbraio 2014, n. 2546; Cass. civ., 27 novembre 2013, n. 26491; Cass. civ., 14 gennaio 2008, n. 593).

Il principio sopra richiamato è stato riconfermato nell'obiter dictum di Cass. civ., 26 maggio 2017, n. 12196 che, seppur vertente in materia di separazione, ha precisato che in sede di separazione «vale bene evidenziare in via preliminare la sostanziale diversità del contributo in favore del coniuge separato dall'assegno divorzile... al riguardo è sufficiente richiamare la recente sentenza di questa Corte, n. 11504 del 10 maggio 2017, le argomentazioni che la sorreggono ed i principi di diritto con essa enunciati»; esso è stato poi, ulteriormente, “puntellato” da Cass. civ., 11 maggio 2017, n. 11538, che ha precisato che «l'assegno divorzile ha indubbiamente natura assistenziale e deve essere disposto in favore della parte istante la quale disponga di redditi insufficienti a condurre un'esistenza libera e dignitosa e deve essere contenuto nella misura che permetta il raggiungimento dello scopo senza provocare illegittime locupletazioni».

Non v'è dubbio che la sentenza in questione, per i principi che sono ivi espressi, abbia avuto l'effetto di un terremoto, o, per usare le parole di un illustre commentatore, di una rivoluzione copernicana (Figone A., Scompare il riferimento al tenore di vita nella determinazione dell'assegno divorzile, ilFamiliarista.it).

Purtuttavia non possono non sollevarsi dubbi sia con riferimento all'eliminazione del criterio del tenore di vita, sia con riferimento alla sua sostituzione con il concetto di indipendenza economica.

Quanto al primo aspetto, se è pur vero che il ragionamento della Suprema Corte è lucido e coerente (non si può parametrare l'assegno di divorzio al tenore di vita, giacché il tenore di vita caratterizza un legame che, proprio per effetto della pronunzia di scioglimento/cessazione effetti civili non è più produttivo di effetti), non può, però, sottacersi che, con la propria interpretazione, la Suprema Corte ha, di fatto, cancellato le aspettative che uno o entrambi i coniugi avevano riposto nel vincolo matrimoniale, assumendo scelte personali su determinati presupposti che, per effetto del divorzio, vengono cancellati.

Inoltre suscita qualche perplessità il richiamo ai principi espressi dagli ordinamenti europei, giacché nei Paesi più popolosi, l'eccezionalità del contributo alimentare è sempre accompagnata, ancorchè con diverse motivazioni, dal potere del Giudice del divorzio di adottare misure riequilibratrici della situazione economica della parte debole. Si pensi, ad esempio, all'indennità compensativa francese (art. 270 code civil), alla ripartizione dei beni e all'imposizione di una lump-sum che può essere fatta dal Giudice inglese (Matrimonial Causes Act, 1973 Part. II, section 21 ss.), alla “compensación” spagnola (art. 97 codigo civil), all'assegno di mantenimento “finalizzato” del codice civile tedesco (Section 1569), e a quello austriaco. Nella maggior parte degli ordinamenti europei – e comunque in quelli più vicini al nostro - il Giudice si premura di tenere, nella debita considerazione, le peculiarità di ogni famiglia e dei suoi componenti, valutando, dunque, i sacrifici fatti in costanza di matrimonio. Il Giudice italiano sarà invece autorizzato a non valutare la storia familiare, trasformandosi l'assegno divorzile, in una sorta di “indennità di disoccupazione”, imposta non allo Stato, ma all'ex.

Parimenti non esente da critiche appare il richiamo al concetto di indipendenza economica, cui parametrare l'assegno: sia perché il richiamo all'art. 337-septies c.c. sembra essere “sfocato” (in materia di assegno per il figlio maggiorenne, l'autosufficienza economica agisce, per lo più, come limite temporale), sia perché non tiene conto del fatto che un figlio ha la possibilità di costruire la propria professionalità e, dunque, accrescere le proprie capacità di guadagno; l'ex coniuge, spesso, questa possibilità l'ha ormai persa, specialmente nei casi in cui il divorzio sopraggiunga dopo il 40/45 esimo anno di età.

Al netto dei dubbi, è però certo che, ove l'orientamento, come pare, dovesse essere confermato sia dai Giudici di merito (Trib. Milano, ord. 22 maggio 2017, v. A. Simeone, Nessun assegno divorzile se il richiedente guadagna almeno 1.000,00 euro al mese, in ilFamiliarista.it), sia da quelli di legittimità (Cass. civ., 11 maggio 2017, n. 11538, cit.) l'assegno di divorzio sarà dovuto nell'ammontare massimo di quanto sia necessario, per il richiedente per “condurre un'esistenza libera e dignitosa”, e dunque se e solo se l'ex coniuge non abbia una situazione economica complessiva tale da potersi permettere un alloggio, il vitto e il soddisfacimento delle esigenze basilari, senza alcun riferimento, o compensazione, ai sacrifici e alle rinunzie fatte durante il matrimonio.

La Cassazione si è fatta carico dell'esigenza di eliminare quelle fastidiose rendite parassitarie in cui sovente si trasformavano gli assegni di divorzio: per farlo, però, non ha valorizzato i criteri di cui all'art. 5 l. n. 898/1970, imponendo ai giudici di merito di analizzarli partitamente e compiutamente e, così, valorizzando le singole specificità di ogni storia matrimoniale; ha optato per un'operazione da “nordo gordiano”. In questo modo, però, si rischia di gettare via il bambino (le singole storie familiari, con il loro carico di sacrificio e di dolore) con l'acqua sporca (gli assegni riconosciuti a chi non ne avrebbe avuto il diritto, ove si fossero applicati i criteri previsti dalla norma).

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