Per la rettificazione anagrafica del sesso non è obbligatorio l’intervento chirurgico
10 Novembre 2015
Il caso. Al Tribunale ordinario di Trento veniva proposta una domanda di rettificazione del sesso da parte di una donna, nubile e senza figli, la quale voleva ottenere il riconoscimento di un'identità maschile, senza essersi preventivamente sottoposta alla modificazione dei caratteri sessuali primari. Il giudice, ritenendolo illegittimo, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, l. 14 aprile 1982, n. 164 per contrasto con gli artt. 2, 3, 32, 117 Cost., l'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU. Il giudice osservava che l'imposizione di un determinato trattamento, ormonale o di riassegnazione chirurgica, costituisce un'inammissibile limitazione all'identità di genere, tanto più che il raggiungimento del benessere psico-fisico di una persona si può realizzare attraverso la rettificazione dell'attribuzione di sesso e non solo con l'intervento chirurgico. Venivano altresì richiamate le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo con le quali era stata estesa la tutela prevista dall'art. 8 CEDU (che sancisce il rispetto della vita privata e familiare) al diritto all'identità di genere. Ciò premesso, il giudice sosteneva di non poter interpretare la disposizione nel senso di ritenere ammissibile la rettificazione dell'attribuzione di sesso anche in assenza di intervento medico, e dunque di non poterne fornire un'interpretazione costituzionalmente orientata.
Il trattamento chirurgico non può essere imposto. La Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 comma 1, l. n. 164/1982. La norma citata manca di un riferimento testuale alle modalità attraverso cui realizzare la modifica del sesso e questo porta ad escludere che, ai fini della rettificazione anagrafica, sia necessario sottoporsi ad intervento chirurgico; quest'ultimo costituisce solo una delle possibili strade per realizzare l'adeguamento dell'identità di genere. Del resto, la stessa Corte aveva già anticipato questa interpretazione, con la sentenza n. 161/1985, evidenziando come la l. 164/1982 avesse accolto un concetto di identità sessuale nuovo e diverso rispetto al passato, non più correlato alla conformazione degli organi genitali esteri, ma estesa anche ad elementi di carattere psicologico e sociale. Escludere la necessità di sottoporsi ad intervento medico appare coerente con la scelta di rimettere al singolo la decisione di quale percorso intraprendere, con il sostegno di medici e specialisti, per realizzare la propria transizione, tenendo conto degli aspetti psicologici oltreché fisici. La Corte Costituzionale ricorda come anche la Cassazione recentemente, con sentenza n. 15138/2015, abbia affermato che la scelta di sottoporsi ad una operazione chirurgica per la modifica dei caratteri sessuali non può che essere libera conseguenza di un percorso di autodeterminazione. È inevitabile che le modalità con le quali il cambiamento di sesso è avvenuto ed il suo carattere definitivo dovranno essere accertate giudizialmente, ma il trattamento chirurgico costituisce un elemento solo eventuale ai fini della elativa valutazione. Per di più la prevalenza del diritto alla salute sulla corrispondenza tra sesso anatomico e sesso anagrafico conferma come detto trattamento non rappresenti un requisito essenziale per dar corso alla rettificazione di sesso, con l'imposizione di interventi invasivi sul corpo della persona. L'attuale disciplina, oggetto di intervento da parte della Consulta, tutela dunque il diritto all'identità di genere, espressione del più generale diritto all'identità personale, di rilevanza costituzionale, e al tempo stesso rappresenta uno strumento per la realizzazione di altro diritto (pur esso dotato di copertura costituzionale) alla salute. |