Direttiva comunitaria e suo mancato recepimento

27 Maggio 2014

La responsabilità dello Stato per mancato recepimento di una direttiva comunitaria rappresenta una species del più ampio genus della responsabilità per violazione del diritto europeo. La ratio si ravvisa nella tutela del cittadino, che potrebbe subire una lesione a seguito del mancato recepimento di norme europee, che gli garantiscono determinati diritti e nell'attuazione del principio di effettività del diritto comunitario. La direttiva comunitaria è un atto adottato dalle Istituzioni comunitarie che non riveste carattere di generalità, non è direttamente applicabile e non è, di regola, immediatamente efficace. Unica eccezione è costituita dalla direttiva esecutiva o self – executing, che sancisce obblighi dal contenuto chiaro, preciso e incondizionato, tali da non lasciare margini di discrezionalità agli Stati e da non richiedere l'emanazione di ulteriori provvedimenti. La mancata, scorretta o incompleta trasposizione del predetto atto comunitario nell'ordinamento interno costituisce violazione del diritto europeo e configura responsabilità in capo allo Stato legislatore.
Nozione

La responsabilità dello Stato per mancato recepimento di una direttiva comunitaria rappresenta una species del più ampio genus della responsabilità per violazione del diritto europeo.

La ratio si ravvisa nella tutela del cittadino, che potrebbe subire una lesione a seguito del mancato recepimento di norme europee, che gli garantiscono determinati diritti e nell'attuazione del principio di effettività del diritto comunitario.

La direttiva comunitaria è un atto adottato dalle Istituzioni comunitarie che non riveste carattere di generalità, non è direttamente applicabile e non è, di regola, immediatamente efficace. Unica eccezione è costituita dalla direttiva esecutiva o self–executing, che sancisce obblighi dal contenuto chiaro, preciso e incondizionato, tali da non lasciare margini di discrezionalità agli Stati e da non richiedere l'emanazione di ulteriori provvedimenti.

La mancata, scorretta o incompleta trasposizione del predetto atto comunitario nell'ordinamento interno costituisce violazione del diritto europeo e configura responsabilità in capo allo Stato legislatore.

Essa trova la sua fonte normativa nell'art. 288 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea e nelle disposizioni, che sanciscono il dovere di leale cooperazione tra gli Stati membri e il carattere vincolante degli atti normativi comunitari.

Nell'ipotesi di mancato recepimento di una direttiva comunitaria, lo Stato risponde nei confronti dell'Unione Europea per violazione del diritto comunitario e verso i soggetti lesi da tali violazioni sulla base del criterio dell'effetto utile delle norme europee.

Nel primo caso, la Commissione Europea attiva una procedura d'infrazione, che può concludersi con una sentenza di inadempimento e la comminazione allo Stato da parte della Corte di Giustizia della sanzione pecuniaria ex art. 228 TFUE.

Con riferimento al secondo caso, la giurisprudenza europea, con i leading cases Francovich (Corte giustizia UE,19 novembre 1991, C-6/90 e C-9/90) e Brasserie du Pecheur (Corte giustizia UE, 5 marzo 1996, C-46/93 e C-48/93) ha, segnatamente, riconosciuto per la prima volta l'obbligo risarcitorio in capo allo Stato membro e ne ha stabilito i presupposti di seguito indicati, estendendo il principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario alle ipotesi di mancato rispetto di direttive con efficacia orizzontale e verticale:

  • la direttiva deve attribuire ai privati specifici diritti, facilmente individuabili, al di là della natura immediatamente esecutiva della stessa;
  • la violazione del diritto comunitario deve essere sufficientemente caratterizzata;
  • deve sussistere un nesso di causalità tra la violazione perpetrata dallo Stato e il danno subito dal privato.

Dunque, l'inosservanza della norma comunitaria comporta una reazione delle Istituzioni europee diretta a garantirne il rispetto e a tutelare il cittadino.

La Corte di Giustizia con le cennate pronunzie riconosce un ruolo centrale ai giudici nazionali, cui compete l'attuazione del diritto europeo. Agli Stati membri viene affidata la definizione del giudice competente e delle modalità procedurali di risarcimento, che restano subordinate ai principi di effettività e di equivalenza, ovvero le condizioni stabilite dalla legislazioni nazionali in materia di risarcimento danni non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non devono essere congegnate in modo da rendere impossibile o estremamente difficile la richiesta di risarcimento.

Il dibattito giurisprudenziale e dottrinale interno in ordine alla qualificazione della responsabilità dello Stato legislatore si può riassumere in due impostazioni, che fanno capo, segnatamente, alla teoria dualista e monista dell'integrazione.

La prima sostiene che l'ordinamento comunitario e quello nazionale sono autonomi e separati. Pertanto, non è possibile qualificare come illecita la condotta del Legislatore per inosservanza dei vincoli europei.

La seconda muove dall'integrazione tra i due sistemi, comunitario e nazionale, e riconduce la fattispecie in esame alla responsabilità ex art. 2043 c.c.

Elemento oggettivo

Lo Stato membro, in sede di adeguamento alla direttiva, deve osservare il principio generale di proporzionalità, ovvero deve ricorrere a strumenti normativi adeguati ed efficaci.

L'ordinamento interno può effettuare l'adeguamento con legge, regolamento o atto amministrativo, fatto salvo che si renda necessaria la modifica di una norma, che può essere effettuata soltanto attraverso lo strumento legislativo.

La l. n. 234/2012 disciplina la legge di delegazione europea e la legge europea. Il primo provvedimento contiene le deleghe volte ad assicurare il recepimento di direttive e decisioni – quadro dell'Unione Europea e l'attuazione di regolamenti e atti delegati. I decreti legislativi si dovranno conformare ai principi di semplificazione e di coordinamento, tra cui il divieto di gold – plating, ossia il divieto di sovrapposizione alle norme comunitarie di un'eccessiva regolamentazione interna. La legge di delegazione europea è stata approvata con l. n. 96/2013, che, tra l'altro, prevede la delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazione di atti normativi dell'UE.

Il secondo introduce norme di diretta attuazione volte a garantire l'adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento europeo.

La l. n. 234/2012 disciplina anche il procedimento per il recepimento di direttive europee in via regolamentare e amministrativa. L'art. 35 stabilisce che nelle materie ex art. 117 comma 2 Cost., già disciplinate con legge, ma non coperte da riserva assoluta di legge, le direttive dell'Unione Europea possano essere recepite mediante regolamento ex l. n. 400/1988, se così dispone la legge di delegazione europea. Nelle medesime materie, non disciplinate dalla legge o da regolamento ex l. n. 400/1988 e non coperte da riserva di legge, le predette possono essere recepite con regolamento ministeriale o interministeriale o, qualora non abbiano contenuto normativo, con atto amministrativo generale da parte del Ministro con competenza prevalente nella materia, di concerto con i Ministri comunque interessati.

L'art. 39, l. n. 234/2012, dispone che ove il provvedimento di recepimento di una direttiva non sia stato adottato alla scadenza del termine da essa previsto, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, al fine di evitare l'apertura di una procedura d'infrazione, chiede ai Ministri con competenza prevalente nella materia le motivazioni del mancato esercizio della delega, ovvero della mancata o ritardata adozione dei decreti ministeriali o dei regolamenti di recepimento e trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che indica i motivi conti dalle amministrazioni a giustificazione del ritardo nel recepimento.

L'art. 40 l. n. 234/2012, sancisce che le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza, provvedono al recepimento delle direttive europee. Nelle materie di cui all'art. 117 Cost., il Governo indica i criteri e formula le direttive ai quali esse si devono attenere ai fini del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ex art. 117 comma 5 Cost.e art. 120 comma 2 Cost. esercita un potere sostituivo nell'ipotesi di inerzia da parte dei suddetti enti nel dare attuazione ad atti dell'Unione Europea.

L'art. 43, l. n. 234/2012, disciplina l'esercizio del diritto di rivalsa dello Stato nei confronti delle regioni o di altri enti pubblici, responsabili di violazioni del diritto dell'Unione europea.

Poiché i casi di rivalsa sembrano costituire un numero chiuso, si considera esclusa la rivalsa nel caso in cui dall'inadempimento derivino oneri finanziari per lo Stato.

Elemento soggettivo

Con riguardo all'elemento soggettivo, la giurisprudenza europea sostiene che il risarcimento del danno non può essere subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa.

Vivace è stato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla qualificazione della responsabilità.

La giurisprudenza nazionale, secondo un primo orientamento (Cass. civ. sez. III, n. 7630/2003, Cass. civ., sez. III, n. 3283/2008), che fa capo alla teoria monista dell'integrazione, ha qualificato l'attività dello Stato in contrasto con il diritto comunitario, quale attività illecita ex art. 2043 c.c., attribuendo alla responsabilità dello Stato natura aquiliana.

Un secondo orientamento (Cass. civ. S.U.,n. 9147/2009), che fa capo alla teoria dualista, criticato da parte della dottrina, ravvisa nella violazione dell'obbligo comunitario un'obbligazione ex lege dello Stato inadempiente di natura indennitaria per attività non antigiuridica, attribuendo alla responsabilità natura giuridica contrattuale derivante dall'inadempimento di un'obbligazione ex art. 1173 c.c., poiché il comportamento del legislatore può essere qualificato come antigiuridico solo nell'ordinamento comunitario, ma non in quello interno, atteso il carattere autonomo e distinto degli stessi.

La Cassazione nel 2011 (Cass. civ. sez. III, n. 10813/2011) conferma la posizione assunta in materia dalle Sezioni Unite, chiarendo i seguenti aspetti critici.

La fattispecie di responsabilità contrattuale non è ascrivibile alla responsabilità da contratto, bensì a quella che nasce dall'inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, come fonte dell'obbligo risarcitorio, considerato dall'ordinamento ex art. 1173 c.c.

Il comportamento dello Stato è considerato antigiuridico anche nel diritto interno.

Dalla natura contrattuale discende il termine di prescrizione decennale dell'azione risarcitoria.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia richiede l'applicazione di una disciplina, che non è condizionata alla sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa, poiché l'inadempimento rilevante ai fini dell'insorgenza dell'obbligo risarcitorio consiste nell'essere la violazione sufficientemente qualificata (grave e manifesta), ovvero nel dato oggettivo del grado di scostamento della legislazione nazionale da quanto impone la direttiva, che non è riconducibile al requisito soggettivo della colpa, bensì integra un'ipotesi di responsabilità oggettiva.

Dunque, nell'ambito della responsabilità contrattuale, lo Stato, ove non adempia all'obbligo di attuazione di una direttiva, risponde oggettivamente dell'inadempimento ex art. 1218 c.c.

Tuttavia, parte della dottrina attribuisce un'interpretazione soggettiva alla presunzione di responsabilità disciplinata dalla predetta norma, affermando che la non imputabilità coincide con l'assenza di colpa.

Altra dottrina (Di Majo, Contratto e torto nelle violazioni comunitarie ad opera dello Stato, in Corriere giuridico, 2009, 1352) ravvisa un obbligo dello Stato al recepimento del diritto europeo e un diritto soggettivo dei cittadini a tale recepimento.

Di conseguenza rileva un obbligo di protezione a loro favore, dal quale deriva la possibilità di invocare la responsabilità del Legislatore per il tardivo o mancato recepimento della direttiva comunitaria.

La tesi in esame consente l'applicazione del termine di prescrizione decennale e assicura un regime probatorio più favorevole.

Sembra riportare la fattispecie in esame nell'alveo della responsabilità ex art. 2043 c.c. quanto previsto dalla “Legge di stabilità 2012”, che, all'art. 4 comma 43 l. n. 183/2011 sancisce che « la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dal mancato recepimento nell'ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina ex art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata effettivamente recepita, si è effettivamente verificato».

Il termine di prescrizione quinquennale proprio dell'illecito ex art. 2043 c.c., richiamato dalla norma, può essere considerato decisivo ai fini della qualificazione della responsabilità dello Stato.

Ciò nonostante la giurisprudenza della Cassazione continua a qualificare la fattispecie, quale responsabilità da atto lecito, ravvisando nella predetta disposizione normativa una deroga alla sola disciplina del termine di prescrizione applicabile ai soli fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore (Cass. civ. sez. III, n. 4538/2012, Cass. civ. sez. lav., n. 1850/2012).

Vi è, quindi, chi propende per considerare il caso di specie un istituto di diritto europeo, che «gode di una disciplina specifica dettata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e, in parte dalle norme speciali nazionali in materia di prescrizione (M. Fratini, Diritto civile, in Le Lezioni, Nel diritto Editore, 2014, 856)».

«Nello spazio giuridico globale, in mancanza di regole generali idonee a disciplinare la prevalenza degli interessi ovvero i rapporti fra gli ordinamenti, le Corti divengono i regolatori dei rapporti tra i diversi livelli di governo (in senso verticale) e i produttori delle norme che riempiono gli spazi vuoti tra i diversi regulatory regimes ultrastatali (in senso orizzontale) (S. Cassese, La funzione costituzionale dei giudici npon statali. Dallo spazio giuridico globale all'ordine giuridico globale, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2007, 609)».

Nesso di causalità

La disamina delle diverse posizioni dottrinali e giurisprudenziali in ordine alla natura aquiliana o contrattuale della responsabilità dello Stato legislatore ha messo in luce l'irrilevanza sul piano applicativo delle conseguenze dei diversi rimedi.

Sotto il profilo risarcitorio, perché sia riconosciuto un danno, occorre che vi sia un nesso eziologico «sufficientemente diretto» tra il mancato, tardivo o erroneo recepimento della direttiva comunitaria, che costituisce violazione grave e manifesta, con il pregiudizio subito dai soggetti lesi, come evidenziato dalla giurisprudenza europea a far data dalla sentenza Francovich (Corte giustizia UE, grande sezione, sent. 12 dicembre 2006, causa C - 446/04).

«E' configurabile una responsabilità civile dello Stato, nei confronti del cittadino, per omessa, inesatta o tardiva trasposizione di una direttiva comunitaria che a questi riconosca una situazione giuridica soggettiva di vantaggio. I presupposti della responsabilità dello Stato sono: a) che il provvedimento assegni al cittadino europeo una situazione giuridica soggettiva di vantaggio; b) che tale situazione giuridica sia precisa nel contenuto; c) che vi sia un nesso di causalità tra la violazione dello Stato e il danno subito dal singolo; d) che la violazione sia grave e manifesta (Trib. Catanzaro, sez. I civ., sent. 20 aprile 2009)».

Il requisito del nesso di causalità è comune sia alle ipotesi di responsabilità da inadempimento, sia a quelle da fatto illecito, ai sensi dell'art. 1223 c.c., secondo il quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta della condotta del responsabile.

Onere della prova

La giurisprudenza europea ritiene che la prova dell'elemento soggettivo è assorbita dal carattere grave e manifesto della violazione.

Il danneggiato deve provare che il pregiudizio subito è conseguenza della mancata attuazione della direttiva comunitaria, ma, a differenza che nell'illecito aquiliano, non deve dimostrare l'elemento soggettivo, che dovrà considerarsi in re ipsa o presunto, in conformità con i presupposti di responsabilità fissati dalla Corte di Giustizia.

La diversa natura giuridica attribuita alla fattispecie incide sull'onere probatorio.

La responsabilità per inadempimento contrattuale prevede una presunzione relativa di colpa a carico del soggetto inadempiente, che può provarne l'insussistenza.

Vi è, quindi, un'inversione dell'onus probandi come nelle ipotesi di responsabilità oggettiva. E'lo Stato legislatore che, per non incorrere in responsabilità, dovrà provare la non imputabilità dell'inadempimento.

Aspetti medico-legali

Nell'ipotesi di pregiudizio non patrimoniale il giudice ordinario si può valere di consulenza tecnica per accertare la natura e l'intensità del danno.

Può, dunque, disporre l'accertamento medico-legale quale mezzo di prova per il danno biologico per un'adeguata personalizzazione della liquidazione.

Tale mezzo di prova non costituisce strumento unico e necessario, poiché con riferimento al danno esistenziale la prova presuntiva riveste un ruolo importante.

Il giudice può fondare così la decisione su documenti, testimonianze, nozioni di comune esperienza e presunzioni e liquidare in via equitativa.

Criteri di liquidazione

Il sistema risarcitorio/indennitario presenta un carattere misto, perché il danno può essere liquidato con criteri presuntivi, fatto salvo il diritto del soggetto interessato di provare l'esistenza di danni ulteriori.

Il risarcimento deve essere determinato in modo da assicurare un'idonea compensazione della perdita subita. Nella liquidazione del danno, quale credito di valore, il giudice ordinario, dovrà considerare il pregiudizio patrimoniale (danno emergente e lucro cessante) e il pregiudizio non patrimoniale (danno alla salute/danno morale/danno esistenziale) subiti dal danneggiato, con possibilità di quantificazione anche equitativa.

Dovrà considerare, altresì, la perdita di chance di ottenere i benefici resi possibili da una tempestiva attuazione della direttiva. In via generale, tale tecnica risarcitoria, atteso che dottrina e giurisprudenza riconoscono alla chance una valenza ontologica autonoma, comporta che il giudice ordinario dovrà concedere ristoro solo a quelle probabilità superiori alla soglia del 50%; in difetto di prova, potrà procedere a una valutazione equitativa.

Tuttavia, poiché nel caso di specie è ravvisabile un'illegittimità esclusivamente procedimentale, è ammissibile il riconoscimento nell'interezza del risarcimento del danno per il cosiddetto interesse negativo.

Aspetti processuali

Il giudice nazionale è chiamato a condannare lo Stato membro al risarcimento dei danni causati dalle Istituzioni nazionali ai privati per inosservanza delle norme dell'Unione Europea.

Competente a conoscere del risarcimento del danno causato dallo Stato per mancato recepimento di una direttiva comunitaria è il giudice ordinario, «venendo in considerazione la responsabilità diretta dello Stato in quanto tale, rispetto alla quale è indifferente la natura pubblicistica dell'organo che ha compiuto la trasgressione (Cass. civ. S.U., n. 11092/2010)».

«Va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di risarcimento del danno, avendo indubbiamente il ricorrente fatto valere, alla base della domanda di ristoro patrimoniale per mancato tempestivo adeguamento della legge interna alla normativa comunitaria, una situazione giuridica avente natura e consistenza di diritto soggettivo, da ricondurre allo schema della responsabilità per inadempimento dell'obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria, inquadrabile nell'area della responsabilità contrattuale (Cass. civ. S.U., n. 20323/2012)».

«E' orientamento costante della giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, che le controversie […], fondate sull'obbligo risarcitorio gravante sullo Stato per la mancata tempestiva attuazione delle direttive comunitarie, […], rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario e non in quella esclusiva del giudice amministrativo, dal momento che tali direttive hanno natura sufficientemente precisa e tale da configurare in capo ai privati una posizione di diritto soggettivo e non di mero interesse legittimo (Trib. Perugia, 21 gennaio 2010, n. 1367)».

Profili amministrativi

Nel caso di responsabilità dello Stato per mancata attuazione delle direttive nei confronti dell'Unione Europea, ove dall'inadempimento derivino esborsi è configurabile, quale indiretta conseguenza, un'ipotesi di danno e di responsabilità amministrativa rilevabile a carico dei funzionari pubblici, cui discende l'inottemperanza degli obblighi comunitari.

La L. n. 234/2012 dispone che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, sulla base delle informazioni ricevute dalle amministrazioni competenti, trasmette ogni tre mesi alle Camere, alla Corte dei conti, alle regioni e alle province autonome un elenco, articolato per settore e materia:

a) delle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea relative a giudizi di cui l'Italia sia stata parte o che abbiano rilevanti conseguenze per l'ordinamento italiano;
b) dei rinvii pregiudiziali disposti ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea da organi giurisdizionali italiani;
c) delle procedure d'infrazione avviate nei confronti dell'Italia ai sensi degli articoli 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con informazioni sintetiche sull'oggetto e sullo stato del procedimento nonché sulla natura delle eventuali violazioni contestate all'Italia;

d) dei procedimenti di indagine formale avviati dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Informa, altresì, senza ritardo le Camere e la Corte dei conti di ogni sviluppo significativo relativo a procedure d'infrazione basate sull'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Casistica

Nei confronti dell'Unione Europea

  • L'Italia, non avendo previsto l'obbligo di consegnare un attestato relativo al rendimento energetico in caso di vendita o locazione di un immobile, conformemente agli artt. 7 e 10 della direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, sul rendimento energetico nell'edilizia ed avendo omesso di notificare alla Commissione europea le misure di recepimento dell'art. 9 della direttiva 2002/91 è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 7, paragrafi 1 e 2, e 10 di detta direttiva, nonché 15, paragrafo 1, della medesima, letti in combinato disposto con l'art. 29 della direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia. (Corte giustizia UE, sez. X, 13 giugno 2013, C-345/12).
  • Il diritto dell'Unione deve essere interpretato dichiarando che non osta a che uno Stato membro eccepisca la scadenza di un termine di prescrizione ragionevole a fronte di un'azione giurisdizionale proposta da un singolo per ottenere la tutela dei diritti conferiti da una direttiva, anche qualora tale Stato non l'abbia correttamente trasposta, a condizione che, con il suo comportamento, esso non sia stato all'origine della tardività del ricorso. L'accertamento da parte della Corte della violazione del diritto dell'Unione è ininfluente sul dies a quo del termine di prescrizione, allorché detta violazione è fuori dubbio. (Corte giustizia UE, sez. I, 19 maggio 2011, C-452-09).

Nei confronti dei privati

  • Deve escludersi che le fonti comunitarie contengano disposizioni vincolanti per gli Stati membri e sufficientemente determinate da poter attribuire diritti soggettivi ai relativi cittadini medici specializzandi, con specifico riferimento al quantum e al contenuto della remunerazione adeguata loro spettante. (Trib. Roma sez. II civ., 10 settembre 2013, n. 17976).
  • In tema di Direttive CEE 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva n. 82/76/CEE, riguardante l'organizzazione dei corsi di specializzazione medica, a seguito dell'inadempimento statuale ad esse, verificatosi il 31 dicembre 1982, non insorse alcun diritto al risarcimento del danno a favore dei medici che a quella data avevano già iniziato il loro corso di specializzazione. Al momento di inizio dei corsi prima del 31 dicembre 1982 lo Stato, non essendo ancora scaduto il termine per adempiere, nell'organizzare i corsi senza tener conto delle direttive tenne un comportamento pienamente legittimo sul piano comunitario e non può sostenersi, stante il carattere unitario del corso , che una volta sopravvenuta la scadenza del termine per adempiere, detto comportamento venne colpito da una sorta di illegittimità sopravvenuta. (Cass. civ. sez. VI, n. 5275/2014).
  • Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della Direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle Direttiva n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni dall'1 gennaio 1983 all'anno accademico 1990 – 1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della l. n. 370 del 1999, art. 11. Nel caso di specie i diritti disconosciuti erano rappresentati, sia dal non poter conseguire il diploma in modo certificato ai fini comunitari e, quindi, in modo da poterlo utilizzare in ambito comunitario fuori dall'Italia, sia dalla negazione dell'adeguata remunerazione, prevista tanto nel caso di formazione a tempo pieno, quanto nel caso di formazione a tempo parziale, rispettivamente dall'ultimo inciso del co. 2 del p. 1 e dal co. 3 del p. 2 dell'allegato della cd. Direttiva di coordinamento, cioè la Direttiva n. 75/363/CEE. La negazione di tali diritti si configurava come danno evento conseguente all'inadempimento delle direttive, nel senso che si trattava di una perdita sofferta dagli specializzandi, i quali, se l'adempimento vi fosse stato, avrebbero potuto seguire i corsi di specializzazione organizzati nei termini voluti dal diritto comunitario e conseguire i suddetti diritti e tale evento dannoso, del quale lo Stato italiano è tenuto a rispondere a prescindere da colpa, dà luogo all'obbligo risarcitorio di natura contrattuale.(Cass. civ. sez. III, n. 3279/2013).
  • Va affermata la giurisdizione del giudice ordinario perché i medici specializzandi nel domandare la retribuzione fanno valere non già l'interesse legittimo a che lo Stato legiferi (o lo faccia in modo certo), bensì il diritto soggettivo alla retribuzione violato dal ritardo nell'attuazione della direttiva comunitaria. Il danno da risarcire è pari alle retribuzioni che il medico avrebbe percepito se la regola comunitaria fosse stata tempestivamente introdotta nell'ordinamento italiano. Non vi è prova di maggior danno, mentre gli interessi decorrono dalla domanda, che è l'unico atto di messa in mora. (Trib. Roma, 13 aprile 2012, n. 8427).
Sommario