Unioni civili e convivenze di fatto: tutte le novità della Legge
11 Maggio 2016
Le unioni civili
Dopo un lungo e travagliato iter parlamentare anche l'Italia si è dotata di una legge che permette a due cittadini dello stesso sesso di godere di diritti che, prima, era riservati alle sole coppie eterosessuali. L'introduzione del nuovo istituto nasce dalla necessità di rispondere alle pressioni interne – le plurime sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione - ed esterne – la legislazione europea nonché le sentenza di condanna inflitte all'Italia dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo - circa l'opportunità di riconoscere anche alle coppie same sex un nocciolo duro di diritti. Non siamo certo all'avanguardia in un'Europa in cui le unioni civili sono da tempo regolamentate in 6 paesi e il matrimonio gay è previsto in 14 Stati membri.
Definizione. L'unione civile è considerata come «una formazione sociale specifica» tutelata ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost; la definizione è stata fortemente voluta per differenziare, almeno in linea di principio, le unioni civili dal matrimonio su cui, secondo una lettura ancora in voga dell'art. 29 Cost., si fonda la famiglia.
Creazione del vincolo. L'unione si costituisce con le stesse modalità previste per il matrimonio (civile) ovvero mediante dichiarazione rilasciata all'Ufficiale di stato civile alle presenza di due testimoni (comma 2); l'unica differenza è che le unioni non sono precedute dalle pubblicazioni (comma 3) e che il minore di età non può contrarre l'unione, neppure con l'autorizzazione del Tribunale, non trovando applicazione l'art. 84 c.c.; pressoché identico è il regime delle invalidità (comma 4).
Cognome. Al momento della celebrazione le parti possono scegliere quale cognome utilizzare come comune, scegliendolo tra i loro, anteponendolo o posponendolo al proprio. L'uso del cognome comune cesserà al momento dello scioglimento del vincolo, senza applicazione dell'art.5, comma 3 L. 898/1970 (comma 10). Nella disciplina del cognome viene qui mostata una parificazione che nel matrimonio non c'è.
Regime patrimoniale. Le parti possono scegliere il regime patrimoniale applicabile alla loro unione che, in assenza di scelta, è quello della comunione; si applicano in questo caso tutte le norme che riguardano il regime patrimoniale della famiglia eterosessuale e l'impresa familiare, eccezion fatta per l'art. 165 c.c. (capacità del minore).
Diritti e doveri. I componenti dell'unione acquisiscono i medesimi diritti e i medesimi doveri che la legge (comma 11) precisa essere quello all'assistenza morale e materiale, alla coabitazione e alla partecipazione agli obblighi comuni, in proporzione rispetto alle proprie sostanze e alla capacità di lavoro professionale e casalingo; rispetto al matrimonio non è previsto espressamente l'obbligo di fedeltà ancorché lo stesso, possa essere ritenuto esplicazione del più generale dovere di solidarietà e rispetto della dignità dell'altro. Manca anche il dovere di collaborazione, che però, è comunemente ritenuto un elemento dell'assistenza morale e materiale. La violazione dei doveri discendenti dall'unione – non essendo previsto l'istituto della separazione e dunque l'addebito- dovrebbe costituire fonte di risarcimento (al pari di quanto previsto in materia di risarcimento del danno endofamiliare) e, presumibilmente, essere valutata ai fini del quantum dell'assegno dovuto alla parte dell'unione economicamente più debole sotto il profilo delle ragioni della decisione. Il cuore della legge è poi rappresentato dal comma 20 che prevede che ai singoli componenti dell'unione civile si applichino solo le norme del codice civile espressamente richiamate dalla legge nonché tutte le altre norme (previste in leggi, regolamenti, atti amministrativi, contratti collettivi) purché tale applicazione sia necessaria «ad assicurare l'effettività di tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile». Con riferimento al codice civile si applicheranno dunque: gli artt. 65 e 68 (effetti della dichiarazione di morte presunta); le norme in materia di nullità (ma non l'art. 122 sostituito dal comma 7 della Legge); le norme in materia di regime patrimoniale e delle convenzioni (vedi sopra) e di alimenti (comma 19); gli artt. 2118 e 2120 (indennità dovute al lavoratore); 116 (unione contratta dallo straniero in Italia), 146 (giusta causa di allontanamento e sequestro), 2647, 2653, 2569 (trascrizione); l'unito civile poi sarà preferito nella scelta dell'amministratore di sostegno, potrà chiedere l'interdizione o l'inabilitazione dell'altro componente l'unione o la revoca del provvedimento (comma 15). Il comma 14 estende poi all'unito civile la tutela di cui all'art. 342-ter c.c. (ordini di protezione); un'estensione peraltro non particolarmente utile giacché l'istituto si applicava già ai conviventi
Successioni. L'unito civilmente avrà lo stesso trattamento del coniuge con riferimento all'indegnità (artt. 463, 464, 465, 466 c.c.) alla quota di legittima (artt. da 536 a 564 c.c.), all'ordine di chiamata nella successione legittima (artt. da 565 a 585 c.c., ancorché il riferimento al coniuge separato di cui all'art. 585 c.c. pare frutto di una svista), alla collazione (artt. da 737 a 751 c.c.) e al patto di famiglia (artt. da 768 bis a 768-octies c.c.). L'unito civile non è parificato al coniuge, invece, per accedere all'adozione fermo restando «quanto consentito in materia di adozione della norme vigente»; tale formulazione pare destinata a salvare (o forse a non prendere posizione) l'attuale indirizzo giurisprudenziale che permette l'adozione in casi particolari ai sensi dell'art. 44 L. 184/1983 del figlio del partner anche all'interno della coppia (anche di fatto) dello stesso sesso.
Scioglimento dell'unione. E' disciplinata dai commi 22, 23,24, 25 e 26 della Legge; l'unione si scioglie in caso di morte, dichiarazione presunta di morte di una delle parti (comma 22) nelle ipotesi di cui all'art. 3, n. 1 e n. 2) lett.a), c), d) ed e) della L. 898/1970 (divorzio), nonché per volontà di uno o di entrambi i componenti dell'unione. In quest'ultimo caso una o entrambe le parti devono prima dichiarare la volontà di scioglimento innanzi all'Ufficiale di Stato civile e poi, decorsi tre mesi, chiedere al Tribunale lo scioglimento dell'unione. Al nuovo istituto si applicano quasi tutte le norme sostanziali del divorzio ma non quelle della separazione (che essendo contenute nel codice civile non rientrano tra quelle previste dalla Legge e dunque, ex comma 20, non sono applicabili); viceversa si applicano allo scioglimento dell'unione le norme processuali (e procedimentali) della separazione, del divorzio, e della negoziazione assistita in materia familiare (art. 6 e 12 D.l. 132/2014 convertito con modifiche dalla L. n. 162/2014).
Cambio di sesso. La legge – in analogia con quanto previsto dalla L. n. 898/1970 - prevede che l'unione si sciolga automaticamente con la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso (comma 26). In adempimento di quanto previsto dalla giurisprudenza della C.E.D.U. e della Corte di Cassazione, sparisce il “divorzio imposto”: la rettificazione di sesso di uno dei due coniugi (cioè legato da vincolo matrimoniale) non comporta più l'immediato scioglimento del vincolo ma il suo passaggio a unione civile, qualora i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio. Non è previsto invece il passaggio contrario (da unione a matrimonio) per il caso in cui la coppia da omosessuale diventi eterosessuale (ovverosia quando uno dei componenti modifichi il sesso). Nulla si dice nemmeno in materia di pubblicità per tale automatico passaggio da matrimonio ad unione civile.
Entrata in vigore. Le unioni civili diventeranno effettive, secondo quanto previsto dal comma 35, dal giorno successivo alla pubblicazione della Legge sulla Gazzetta Ufficiale; dal punto di vista pratico (rectius: effettivo) sarà possibile celebrare le unioni civili solo successivamente all'emanazione dei decreti attuativi di cui al comma 34, relativi alla tenuta dei registri dello Stato civile, giacché la legge esclude l'applicazione al nuovo istituto degli artt. da 449 a 455 c.c.. Le convivenze di fatto
Ancorché l'attenzione si sia incentrata sulle coppie same sex, la legge appena approvata è ancor più rivoluzionaria nella parte in cui disciplina le coppie di fatto.
Definizione. Sono considerati come “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non legate da parentele, affinità, adozione, matrimonio o unione civili. La formulazione della norma è abbastanza confusa giacché il comma 36 definisce i conviventi di fatto ma il successivo comma 37 sostiene che per l'accertamento della qualifica di convivente di fatto si faccia riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'art. 4 e art. 13 lett. b) Dpr. 223/1989; non è chiaro dunque se la costituzione di una famiglia anagrafica sia requisito costitutivo della convivenza di fatto oppure no; a ragione della seconda opzione (si è conviventi di fatto anche se non si è nel medesimo “stato di famiglia”) pare militare il dettato letterale del comma 37 che prevede che si faccia mero “riferimento” alle dichiarazioni anagrafiche ai fini dell'accertamento della convivenza di fatto. Si tratta di un nodo interpretativo di non poco conto, in forza di tutto quanto consegue dalla convivenza di fatto.
Diritti e doveri. I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge in materia di assistenza penitenziaria (comma 38), ospedaliera (comma 39) e per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare (comma 45), risarcimento del danno per fatto illecito del terzo (comma 49). Ciascun convivente potrà, con dichiarazione autografa (non autenticata da pubblico ufficiale), designare l'altro in caso di malattia che comporti incapacità di intendere e volere, per le decisioni in materia di salute e, in caso di morte, per la decisione in merito alla donazione di organi, alla cremazione e alle celebrazioni funebri. Il convivente di fatto, poi, può essere nominato curatore, tutore o amministratore di sostegno del partner (comma 48) e deve essere informato del procedimento limitativo della capacità di agire del partner (comma 47 che novella l'art. 712 c.c.).
Successione. Al convivente di fatto non spettano diritti successori particolari (ferma la libertà del testatore e le norme in materia di legittima) ma solo un diritto di abitazione, ex 540 c.c., a tempo e cioè: a) per due anni in caso di convivenze inferiori al biennio; b) per un periodo pari alla durata della convivenza, sino a un massimo di 5 anni, per convivenze superiori al biennio; c) per un massimo di 3 anni, indipendentemente dalla durata della convivenza, se il superstite convive con figli minorenni o disabili che non siano figli anche del de cuius. La norma non appare di felice formulazione sia perché l'utilizzo di termini “massimi” implicherà il ricorso al Giudice per l'accertamento della durata del diritto di abitazione, sia per l'ingiusta esclusione dei figli maggiorenni non autosufficienti dal novero di coloro che, seppure indirettamente, possono godere della protezione del diritto di abitazione. Nella disciplina del diritto di abitazione spettante al partner sono fatti salvi gli effetti dell'art. 337 sexies c.c. in materia di assegnazione a seguito di crisi familiare.
Interruzione ed effetti. La legge non disciplina le modalità di interruzione della convivenza di fatto, lasciando aperti tutti gli interrogativi che nella prassi hanno dato origine a più di una problematica soprattutto in materia di allontanamento dalla casa familiare del partner non proprietario. Viceversa, però, la legge prevede che, in caso di interruzione della convivenza al partner che versi in stato di bisogno siano dovuti gli alimenti per un “periodo proporzionale” alla durata della convivenza e nella misura stabilita dall'art. 438 c.c.; il convivente è tenuto alla prestazione alimentare dopo coniuge, figli, genitori, generi, nuore, suocero e suocera ma prima dei fratelli e delle sorelle. I contratti di convivenza
La legge appena approvata introduce anche una disciplina tipizzata dei contratti di convivenza, anche se, forse, non se ne sentiva molto la necessità, essendo gli stessi pacificamente ammessi nel nostro ordinamento (e assai poco utilizzati) senza il bisogno di quelle particolari formalità introdotte dai commi da 50 a 57.
Oggetto del contratto. Il contratto di convivenza ha come oggetto i rapporti patrimoniali relativi alla vita in comune (contenuto necessario) e potrà riguardare (contenuto eventuale) l'indicazione della residenza comune, le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo, nonché la scelta del regime di comunione legale dei beni (restano dunque escluse le convenzioni diverse o il fondo patrimoniale). Il contratto non può essere sottoposto a termine o condizione.
Forma. E' necessariamente scritta ad substantiam e il contratto dovrà essere contenuto in scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità all'ordine pubblico e alle norme imperative. Il professionista incaricato dovrà inviare copia del contratto entro 10 giorni dalla sottoscrizione al Comune di residenza dei conviventi. Il contratto è affetto da nullità insanabile se contratto in presenza di matrimonio, unione civile o altro contratto di convivenza, qualora sia stipulato da soggetti non legati da reale legame affettivo di coppia, minori di età, interdetti o nell'ipotesi di cui all'art. 88 c.c..
Risoluzione consensuale e recesso unilaterale. Il contratto di convivenza sarà sottoposto poi alle regole previste dal Libro IV del codice civile; le legge prevede però due ipotesi ulteriori: risoluzione consensuale (comma 60) e libero recesso unilaterale (comma 61). Nel primo caso (risoluzione) i conviventi devono redigere un atto scritto, con sottoscrizioni autenticate da parte di un notaio o di un Avvocato; ancorché la norma non lo dica, è da supporre che il professionista, o quanto meno una delle parti, debbano trasmettere copia dell'atto di risoluzione al Comune di residenza, ai fini dell'opponibilità dello scioglimento della comunione legale (se questo era il regime scelto nel contratto); scioglimento che opera inter partes dal momento della sottoscrizione dell'atto di risoluzione. Nel secondo caso (recesso unilaterale), ciascuna parte può rivolgersi a un avvocato a un notaio (che non necessariamente deve essere quello che ha redatto il contratto originale) dichiarando la propria volontà di liberarsi dei vincoli connessi alla regolamentazione pattizia; ove il recedente sia il proprietario della casa familiare il recesso deve contenere, a pena di nullità, un termine non inferiore a 90 giorni concesso all'altra parte per liberare l'abitazione. Il professionista che riceve la dichiarazione deve notificare copia della dichiarazione di recesso all'altro contraente all'indirizzo contenuto nel contratto di convivenza. La legge non prevede nulla in merito allo scioglimento della comunione legale per recesso unilaterale (il comma 60 si riferisce solo alla risoluzione consensuale) cosicché è da ritenersi che, inter partes, il regime patrimoniale cessi di efficacia al momento del perfezionamento della notificazione della dichiarazione unilaterale e che il professionista incaricato (o la parte recedente) debba inviare al Comune di residenza comune, ai fini della pubblicità, copia della dichiarazione di recesso unitamente a prova dell'avvenuta notificazione.
Altre ipotesi di risoluzione. Il contratto di convivenza si risolve anche nell'ipotesi in cui uno dei partner contragga matrimonio o unione civile; in questo caso (comma 62) il contraente deve notificare all'altra parte e al professionista “autenticante” copia dell'estratto di matrimonio o di unione civile. Qualora uno dei due partner muoia (comma 63) il contraente superstite o gli eredi del defunto devono notificare al professionista “autenticante” copia dell'atto di morte, affinché sia annotata a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all'anagrafe del comune di residenza.
Considerazioni conclusive
La legge licenziata alla Camera dei deputati è profondamente diversa dal progetto originale (il c.d. ddl Cirinnà) e porta su di sè i segni di una lacerante battaglia tra i fautori dell'estensione alle coppie omosessuali del modello matrimoniale e coloro che, invece, hanno cercato di differenziare il più possibile il nuovo istituto da quello “storico”. Il risultato, nel concreto, è pregevole dal punto di vista culturale (proprio per la novità) ma desta non poche perplessità, sotto plurimi profili; perplessità che potrebbero avere l'effetto, nei prossimi anni, di proseguire, nelle aule dei Tribunali quello scontro che l'approvazione della legge avrebbe voluto – e forse dovuto - evitare. In particolare, potrebbe essere complicata l'estensione di tutta la normativa ordinamentale all'unione civile per la premessa - inserita con il maxi emendamento- con cui si apre il comma 20 dell'art. 1, che estende le norme relative al coniuge all'unito civile “al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento dei doveri derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso”; una pre-condizione applicativa che potrebbe anche essere utilizzata come “cavallo di troia” per impedire ai componenti dell'unione di avere, in determinate materie, lo stesso trattamento spettante al coniuge. Solo l'interpretazione che verrà data dalla giurisprudenza – in assenza di quelle che invece appaiono le doverose specificazione da introdursi con i decreti delegati - potrà chiarire la portata estensiva o limitativa del comma 20. Anche il meccanismo misto scelto per lo scioglimento dell'unione (dichiarazione della parte, ricezione dell'Ufficiale di Stato civile, intervento del Tribunale) sembra andare nella direzione opposta rispetto alle esigenze di semplificazione delle procedure che sembrano, a torto o ragione, caratterizzare l'intervento del Legislatore in tema di rapporti familiari. I dubbi non mancano neppure con riferimento alla normativa sulla convivenza. Se pur ormai era indifferibile la previsione di una serie di norme a tutela delle coppie di fatto (assistenza ospedaliera o penitenziaria) così da eliminare la supremazia del dato burocratico sul legame affettivo, preoccupa lo spirito della normativa nella parte in cui determina l'insorgenza dell'obbligo alimentare (ancorché residuale, considerata la posizione nell'elenco delle persone tenute alla prestazione) anche in capo a chi ha deciso, convivendo, di non assumersi obblighi. Oggi, un cittadino, etero o omosessuale, ha la possibilità di legarsi o meno in un legame affettivo contraendo matrimonio (se eterosessuale) un'unione civile (se omosessuale) o un contratto di convivenza (sia esso etero od omo) assumendo dunque anche uno specifico dovere di contribuzione; chi non opta per nessuna delle tre forme avrebbe dovuto mantenere intatto il proprio diritto di “disimpegnarsi” senza che il legislatore possa intervenire in una sfera così delicata come quella della vita familiare per imporgli un qualcosa che lo stesso non avrebbe voluto: un obbligo cui peraltro non fa' da contraltare alcun tipo di diritto giacchè le convivenze – se non accompagnate da un contratto- sono a “schema libero”; un contenitore vuoto che ciascuno ha il diritto, con il consenso dell'altro, di non riempire oppure di riempire come meglio ritiene opportuno. Con la novità legislativa in questione, il Parlamento, ha deciso di eliminare la facoltà di scelta obbligando chiunque ad incasellare il proprio rapporto affettivo. Questo sembra essere il profilo – almeno dal punto di vista generale- più problematico e sicuramente limitativo dei diritti di libertà. Meglio sarebbe stato lasciare alle parti il diritto o la libertà di sperimentare liberamente le modalità di strutturare i propri rapporti. Né ci si può esimere dal sottoporre a una severa critica l'introduzione di una regolamentazione, anche bizantina, dei contratti di convivenza. La giurisprudenza già oggi li riteneva pienamente ammissibili; la legge li ha procedimentalizzati e burocratizzati in maniera eccessiva obbligando le parti a una formalizzazione – a tratti farraginosa- che determinerà la riduzione del ricorso (già limitato) alla regolamentazione pattizia anche per i costi (del professionista e presumibilmente della tassa di registro) che la nuova norma impone e che, sino a oggi, non erano invece previsti e che, invece, avrebbero dovuto essere limitati alle ipotesi (invero residuali) in cui i conviventi avessero scelto la comunione legale dei beni come regime loro applicabile. |