Quando l'autoriduzione dell'assegno di mantenimento integra la "violazione degli obblighi di assistenza familiare"

13 Ottobre 2016

La questione posta all'attenzione della Cassazione attiene alla configurabilità del reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2 c.p., in caso di autoriduzione limitata nel tempo del mantenimento posto a carico di un coniuge.
Massima

In materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570, comma 2, n. 2 c.p., ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'agente che, per qualche mese, abbia autonomamente ridotto gli importi delle somme dovute al coniuge separato per il mantenimento dei figli, provvedendo, comunque, al versamento di importi di non trascurabile rilevanza economica, con saldo finale di quanto effettivamente dovuto, è imprescindibile l'accertamento in concreto dello stato di bisogno dei destinatari, individuato quale necessario per la sopravvivenza, sia pure con la valutazione di altre complementari esigenze.

La presunzione di esistenza dello stato di bisogno dei figli minori e la non influenza di versamenti e corresponsione di denaro da parte di familiari non costituiscono quindi circostanze da sole sufficienti per la configurabilità del reato.

Il caso

F. veniva condannato in primo grado dal tribunale di Milano alla pena di due mesi di reclusione e 200,00 Euro di multa, per il reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2,c.p. per essersi sottratto ai doveri di coniuge separato e di padre di due minori «perché aveva ridotto l'importo dell'assegno di mantenimento mensile da 4.000,00 a 800,00 Euro ed aveva fatto quindi mancare i mezzi di sussistenza».

La Corte di appello di Milano confermava la condanna.

L'imputato proponeva quindi ricorso per Cassazione con cui contestava, tra l'altro, la configurabilità del reato sia per mancanza dello stato di bisogno della moglie e dei figli, sia per la concreta possibilità di adempimento da parte sua.

Nei motivi di ricorso, sotto il primo profilo, veniva evidenziato che la riduzione dell'assegno di mantenimento ad 800,00 Euro mensili era durata solo pochi mesi, da gennaio a luglio 2009, e dall'altro la ex moglie aveva risparmiato, per sua stessa ammissione, la somma di 25.000,00 Euro, «così che l'aiuto dei familiari era in realtà del tutto inutile».

Sotto il secondo profilo, l'imputato evidenziava che si era trovato effettivamente, nel periodo indicato, nella impossibilità di versare interamente quanto dovuto.

La Corte di cassazione riteneva infondato il motivo relativo all'impossibilità da parte dell'imputato di corrispondere i mezzi di sussistenza mentre non riteneva adeguatamente motivata la circostanza dello stato di bisogno della moglie e dei figli minori e sul punto annullava con rinvio la sentenza impugnata per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano.

La questione

La questione posta all'attenzione della Corte di Cassazione attiene alla configurabilità del reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2 c.p., in caso di autoriduzione, limitata nel tempo (nella specie 7 mesi), dell'importo di assegno di mantenimento posto a carico di un coniuge, (da 4.000,00 euro mensili a 800,00 euro mensili) quando interviene successiva ed intera sanatoria degli importi non versati e il beneficiario gode di risparmi di un certo rilievo economico (nella specie circa 25.000,00 euro) o quando intervengono comunque corresponsioni da parte di familiari.

Il punto esaminato è se un'omissione o un'autoriduzione dell'assegno di mantenimento, limitate nel tempo, comportino comunque un grave disagio e effettivo stato di bisogno di moglie e figli penalmente rilevante.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione, con riferimento al reato di cui all'art. 570 c.p., ha diversamente modulato la nozione di stato di bisogno.

In un primo tempo, per l'ipotesi della mancanza dei mezzi di sussistenza, prevista dal comma 2 al n. 2 dell'articolo richiamato, l'organo di legittimità ha sostenuto una presunzione assoluta di esistenza dello stato di bisogno in caso di figli minori e l'ininfluenza di versamenti e corresponsioni di denaro da parte di familiari ed altre persone (cfr. ex plurimis Cass. pen., sez. VI 20 novembre 2014, n. 53607 ).

Sulla base di tale indirizzo consolidato, infatti, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenterebbe in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza.

Tale elemento distinguerebbe la fattispecie prevista al comma 2, n. 2, dell'art. 570 c.p. da quella prevista dal comma 1 della stessa norma, che si configura a prescindere dalla verificazione di uno stato di bisogno della persona avente diritto, per la realizzazione di una condotta violativa dei doveri di assistenza materiale di coniuge e genitore (cfr. Cass. pen., sez. VI, 4 novembre 2014, n. 47139).

Secondo un diverso orientamento giurisprudenziale, affermatosi più di recente e di cui è espressione la pronuncia in commento, per la fattispecie prevista dal comma 2, n. 2 dell'art. 570 c.p., la presunzione di sussistenza di uno stato di bisogno in conseguenza di una condotta totalmente o parzialmente omissiva del mantenimento statuito dal giudice civile in sede di separazione non è assoluta. È richiesta quindi una valutazione critica e più pregnante di tutti i dati del caso concreto: sul rilievo economico della somma comunque versata e sulla durata del ridotto adempimento, onde rilevare una sostanziale esistenza di un effettivo stato di bisogno dei destinatari dei versamenti (tenuto esso distinto dall'obbligo di mantenimento) individuato in quanto necessario per la sopravvivenza, sia pure con la valutazione di altre complementari esigenze quali abbigliamento, istruzione, abitazione, mezzi di trasporto e simili (Cass. pen., S.U., 31 gennaio 2013, n. 23866 e Cass. pen., sez. VI, 21 gennaio 2009, n. 2736).
L'organo di legittimità ha puntellato la struttura del reato, sottolineando sotto il profilo oggettivo la necessità dello stato di bisogno e la possibilità di adempiere del soggetto obbligato, mentre sotto il profilo soggettivo la necessità della conoscenza dello stato di bisogno da parte di quest'ultimo. La pronuncia in commento si pone quindi sul solco, già tracciato da altre sentenze, consolidando il principio secondo cui nell'ipotesi di corresponsione parziale dell'assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire ai beneficiari, tenendo inoltre conto di tutte le altre circostanze del caso concreto, ivi compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacità economica intervenuta, in relazione alla persona del debitore, mentre deve escludersi ogni automatica equiparazione dell'inadempimento dell'obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale (cfr. Cass. pen., sez. VI, 8 gennaio 2016, n. 535).

Dunque, si ribadisce che il reato previsto dall'art. 570, comma 2, n. 2, c.p. ha come presupposto necessario l'esistenza di un'obbligazione alimentare ai sensi del codice civile la cui inosservanza – anche parziale – però non importa automaticamente l'insorgere del reato: perchè si configuri l'ipotesi delittuosa in esame, occorre che gli aventi diritto all'assegno alimentare versino in stato di bisogno, che l'obbligato sia a conoscenza di tale stato e che sia in grado di fornire i mezzi di sussistenza.

Nel caso valutato dalla sentenza della suprema Corte di Cassazione in esame, l'imputato, pur avendo autoridotto l'importo dell'assegno di mantenimento, violando il provvedimento del giudice civile, aveva però continuato a versare una cifra non modesta (800,00 euro mensili) in un periodo di tempo in cui la coniuge separata aveva comunque potuto fare ricorso ai propri personali risparmi. Trattandosi di risparmi non esigui (di importo di circa euro 25.000,00) su cui il nucleo familiare aveva potuto far leva durante il periodo limitato di inadempimento parziale del coniuge obbligato, protrattosi per circa 7 mesi, a cui era inoltre seguito il versamento in unica soluzione degli arretrati, la configurabilità di uno stato di bisogno non poteva ritenersi indiscutibile ed automatica.

Di qui la necessità di una più compiuta motivazione sul punto della sentenza cassata, ai fini di un'affermazione di responsabilità penale.

Osservazioni

L'opzione interpretativa recepita dalla pronuncia in commento appare condivisibile.

La necessità di un accertamento in concreto dello stato di bisogno, non più presumibile in via assoluta, rende più coerente il sistema di tutela penale nei confronti di condotte che attentano in vario modo all'integrità famiglia e ai doveri di assistenza familiare, a presidio dei quali è posta la fattispecie normativa de qua, collocata all'interno dell'undicesimo titolo del secondo libro del codice penale, dedicato ai delitti contro la famiglia ed, in particolare, nel capo quarto, intitolato dei delitti contro l'assistenza familiare.

La sentenza in commento, ponendosi sul solco di altre autorevoli pronunce, ribadisce la necessità di accertare – ai fini del rilievo della responsabilità penale per la mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza a discendenti minorenni, inabili al lavoro, agli ascendenti ovvero al coniuge – che i mezzi di sussistenza siano, di fatto, mancati anche in caso di adempimento parziale (secondo il paradigma normativo dell'art. 570 c.p. che prevede tre diverse condotte delittuose, ricomprendendo altresì la condotta di abbandono del domicilio domestico o l'assunzione di altra condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie, nonché a malversazione o dilapidazione di beni del figlio minore o del coniuge da parte del genitore o dell'altro coniuge).

L'opzione ermeneutica recepita appare dunque escludere forme di automatismi in caso di adempimenti parziali od occasionali che, secondo altro orientamento, sarebbero sempre inidonei a far cessare la permanenza del reato di cui all'art. 570 c.p.

L'interpretazione accolta dalla pronuncia in commento consente però di distinguere opportunamente l'ipotesi penale di cui all'art. 570, comma 2, n. 2 c.p., dalla fattispecie penale di nuova introduzione, prevista dall'art. 3, l. n. 54/2006, sul cosiddetto affido condiviso, che ha introdotto un nuovo reato, punendo con le stesse pene previste dall'art. 570 c.p. la violazione degli obblighi di natura economica, ossia quegli obblighi che conseguono alla decisione del giudice civile che fissa a carico di uno dei genitori il contributo per il mantenimento dei figli, in misura proporzionale al reddito dello stesso genitore.

A differenza di quanto disposto nell'art. 570 c.p., dove la condotta pregiudizievole consiste nel far mancare i mezzi di sussistenza a chi versa in stato di bisogno, la nuova norma introdotta con la legge del 2006 punisce il semplice mancato versamento della somma stabilita dal giudice in favore dei figli, prescindendo quindi dalla sussistenza di un effettivo stato di bisogno.

La semplice mancata corresponsione dell'assegno disposto in sede civile quindi, di per sé, potrebbe essere sufficiente a determinare la commissione del reato mentre secondo l'assunto recepito nella sentenza in commento, per il reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2 c.p., sarebbe necessario un quid pluris e cioè il consequenziale stato di bisogno dell'avente diritto.

Guida all'approfondimento

- F. Gatti, I delitti contro l'assistenza familiare, in penale.it;

- V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, P. Nuvolone e G. D. Pisapia (a cura di), VII, Torino, 1984, 863;

Fonte ilPenalista.it

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