Liquidazione dei compensi di avvocato (semplificazione dei riti)

01 Febbraio 2024

L'art. 15 del d.lgs. n. 149/2022 ha modificato la disciplina dell'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 per renderla innanzitutto coerente alla scelta, compiuta dalla legge delega, di abrogare il rito sommario di cognizione e sostituire ad esso quello semplificato.

Inquadramento

Il d.lgs. n. 150/2011, in attuazione dell'art. 54, comma 2, lett. b, n. 2, della legge delega (l. n. 69/2009aveva ricondotto al rito sommario di cognizione il procedimento camerale, già disciplinato dagli artt. 28-30 l. n. 794/1942, riguardante le controversie in materia di liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti dell'avvocato nei confronti del suo cliente. La scelta, secondo quanto si legge nella relazione al d.lgs., è stata dettata dai «caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa» che contraddistinguono il procedimento.

Poiché l'art. 28, a differenza delle altre norme sopra citate, non era stato abrogato ma modificato, anche introducendovi il rinvio all'art. 14 del decreto semplificazione, come già per il procedimento camerale era stata prevista:

1) la competenza dell'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la sua opera;

2) la composizione collegiale del Tribunale;

3) la possibilità delle parti di stare in giudizio personalmente;

4) la non appellabilità dell'ordinanza decisoria.

La previsione di cui all'art. 14 andava poi integrata con le norme del d.lgs. n. 150/2011 riguardanti tutti i procedimenti sommari speciali (artt. 3 e 4), in virtù del richiamo ad essa contenuto nell'ultima parte del comma 1 dell'art. 14.

Proprio perché la nuova disciplina era sostanzialmente riproduttiva di quella precedente si era ritenuto, in maniera pressoché unanime, che l'ambito di applicazione del procedimento fosse rimasto immutato e che quindi esso non potesse riguardare le prestazioni stragiudiziali, che non fossero state strettamente connesse a quelle giudiziali in materia civile (con riguardo al procedimento camerale si vedano: Cass. civ., sez. II, 14 ottobre 2004, n. 20293Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 1998, n. 2020Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 1996, n. 10770), le prestazioni giudiziali in materia penale anche in funzione dell'esercizio dell'azione civile in sede penale (Cass. civ., sez. II, 11 maggio 1984, n. 2984), le prestazioni giudiziali in materia amministrativa (Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2004, n. 14394) e quelle in materia tributaria (Cass. civ., sez. un., 16 ottobre 2018, n. 25938) o davanti ai giudici speciali.

E' evidente poi che la domanda di accertamento negativo, totale o parziale, del credito proposta dal cliente nei confronti del suo ex avvocato non era soggetta al procedimento in esame atteso che l'art. 28 l. 794/1942 individuava nell'avvocato l'unico soggetto legittimato ad utilizzarlo (così espressamente Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 2018, n. 4458).

In giurisprudenza si era anche affermato, sia pure con riguardo al previgente rito camerale, che, quando la causa promossa dall'avvocato, nelle forme del rito speciale, per ottenere la liquidazione del compenso si fosse posta in rapporto di connessione con quella di accertamento negativo promossa dal cliente con il rito ordinario, la prima deve trasmigrare davanti al giudice dell'altra causa, in considerazione della maggiore garanzia che offre tale rito (Cass. civ., sez. II, 5 dicembre 2001, n. 15366 e, per il caso di continenza di cause si veda Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 1999 n. 13497).

La competenza e la possibilità delle parti di stare in giudizio personalmente

Per effetto dell'abbandono del rito camerale, secondo parte della dottrina (Balena), doveva ritenersi superato l'orientamento, dominante fino al momento dell'entrata in vigore della riforma, che riteneva inderogabile la competenza del capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo.

Di conseguenza avrebbe dovuto ammettersi che la competenza in esame potesse subire deroghe per ragioni di connessione.

Peraltro, tenuto conto dell'oggetto del giudizio sommario speciale, qualora in esso, alla domanda di liquidazione di compensi per prestazioni giudiziali civili fosse stata cumulata quella di compensi per prestazioni, rese nei confronti del medesimo cliente ma escluse dall'ambito di applicazione del rito sommario speciale (es. prestazioni di assistenza in un giudizio penale o amministrativo), il giudice avrebbe dovuto separare le domande sulle quali non fosse stato funzionalmente competente e, se fosse stato competente su di esse per valore e per territorio, convertire il rito ai sensi dell'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 150/2011 o, in caso contrario, dichiararsi incompetente.

L'analoga questione di quale fosse stato il giudice competente a decidere sulla domanda di liquidazione dei compensi per l'attività professionale svolta dall'avvocato in più gradi e/o fasi di un giudizio in favore del medesimo cliente era stata risolta dalle Sezioni Unite della Cassazione nel senso che tale competenza spetta al giudice collegiale che abbia conosciuto per ultimo della controversia (Cass. civ. sez. un., 19 febbraio 2020, n. 4247).

In tale occasione i giudici di legittimità avevano anche precisato che «La proposizione da parte dell'avvocato di distinte domande davanti a ciascuno degli uffici di espletamento delle prestazioni professionali senza far luogo al cumulo è meramente residuale ed è una strada percorribile soltanto se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata del credito».

Tale principio non pareva però estensibile all'ipotesi in cui nello stesso giudizio venissero cumulate domande di liquidazione dei compensi per prestazioni giudiziali civili rese davanti a organi giurisdizionali di grado diverso.

In tale ipotesi il giudice avrebbe dovuto infatti procedere a separare ciascuna domanda e a trattenere solo la domanda rispetto alla quale sia funzionalmente compente, dichiarandosi incompetente sulle altre.

La giurisprudenza di legittimità aveva anche chiarito che, qualora il cliente rivesta la qualità di consumatore, il foro speciale esclusivo ed inderogabile della sua residenza o del suo domicilio di cui all'art. 33, comma 2, lett. u, d.lgs. 206/2005 prevaleva su quello di cui all'art. 14, comma 2, d.lgs. 150/2011 (Cass. civ., sez. VI, 12 marzo 2014, n. 5703 e, indirettamente, anche Cass. civ., sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 780, e, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2011, n. 12685).

La scelta di confermare l'attribuzione di queste controversie alla competenza del tribunale in composizione collegiale, che poteva ritenersi giustificata in passato dal fatto che questo tipo di procedimenti era assoggettato alle forme del rito camerale (sul punto si veda Cass. civ., sez. un., 20 luglio 2012, n. 12609), era stata criticata in dottrina (Carratta) in quanto contraddittoria. Si era osservato infatti, da un lato, che l'art. 702-bis  c.p.c. limitava l'applicazione del procedimento sommario, per le caratteristiche di semplificazione che presentava, alle sole controversie di competenza del tribunale in composizione monocratica e, dall'altro lato, che l'opzione del legislatore a favore della competenza del tribunale collegiale (art. 50-bis  c.p.c.) sembrava essere di per sé un indice dell'assenza del criterio fondamentale della «semplificazione della trattazione o dell'istruzione», che la legge delega del 2009 indicava come criterio al quale ispirarsi nel selezionare le controversie da sottoporre al procedimento sommario.

Sebbene la Corte costituzionale (Corte cost., 26 marzo 2014, n. 65) abbia giudicato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate proprio con riguardo alla previsione in esame, era stato giustamente osservato (Trisorio Liuzzi) come restasse la perplessità di aver contemplato un collegio per decidere sulla quantificazione degli onorari di avvocato.

In evidenza

Peraltro, poiché al collegio è attribuita la competenza a decidere la controversia è ben possibile che il presidente deleghi al giudice relatore non solo la trattazione del procedimento, compresa l'assunzione di mezzi di prova, ai sensi dell'art. 3, comma 2, d.lgs. n. 150/2011, ma anche il tentativo di conciliazione che si ritiene esperibile, pur in mancanza di una espressa previsione, in virtù della norma generale dell'art. 185 c.p.c.

Era dubbio in dottrina se sussistesse una competenza funzionale anche del Giudice di pace a trattare questo tipo di controversie, ovviamente nel caso in cui rientrassero nella competenza per valore di tale organo ma riguardino prestazioni svolte davanti al Tribunale, atteso che la norma prevede la composizione collegiale dell'organo giudicante. La tesi favorevole (Bulgarelli; Balena; Trisorio Liuzzi) lo riteneva possibile sulla base della considerazione che tale previsione riguarderebbe il solo giudizio davanti al Tribunale. In contrario si era però osservato che la competenza del Giudice di pace avrebbe potuto risultare innovativa rispetto alla previgente disciplina, con il rischio di una violazione della legge delega che aveva prescritto il rispetto dei criteri previgenti di competenza.

Sul punto va segnalata una pronuncia di legittimità che ha affermato che l'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, configura una vera e propria «competenza funzionale» dell'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera con la conseguenza che, trattandosi di competenza funzionale, non rileva il valore della controversia, con la conseguenza che la causa di valore rientrante nella competenza del giudice di pace, ma relativa a prestazioni svolte davanti al tribunale, va promossa davanti al tribunale (Cass. civ., sez. VI-2, 11 gennaio 2017, n. 548).

Recentemente la Corte di Cassazione ha invece affermato che il giudice di pace adito per il processo nel quale  l'avvocato ha prestato la propria opera è competente per le controversie in materia di liquidazione degli onorari previste dall'art. 28 della legge n. 794 del 1942, n. 794 e regolate dal rito di cui all'art. 14, d.lgs. n. 150/2011 (Cass. civ. Sez. II, |29 marzo 2023, n. 8929).

E' necessario peraltro chiarire che l'opposizione a decreto ingiuntivo emesso da giudice di pace va invece proposta davanti a quest'ultimo, in quanto trattasi del giudice funzionalmente competente a trattare l'opposizione (Cass. civ. sez. VI 22 settembre 2020, n. 19573).

In dottrina (Balena) si riteneva che la competenza esclusiva dell'ufficio giudiziario che ha deciso la causa non valesse allorquando l'avvocato preferisse avvalersi del procedimento monitorio (Cass. civ., sez. II, 16 luglio 2002, n.10293, con riferimento al rito camerale previgente), atteso che in tal caso vi è concorrenza con il foro di cui all'art. 637 c.p.c., e purché, ovviamente, l'ingiunto non avesse rivestito la qualità di consumatore.

CASISTICA

Causa di valore rientrante nella competenza per valore del giudice di pace ma relativa a compensi per attività svolta davanti al Tribunale.

procedimento monitorio davanti al giudice di pace o giudizio sommario speciale davanti al tribunale (secondo Cass. civ., n. 548/2017 cit.)

Causa di valore rientrante nella competenza per valore del giudice di pace ma relativa a compensi per attività svolta davanti a tale ufficio giudiziario.

procedimento monitorio davanti al giudice di pace o giudizio sommario (o ordinario secondo Cass. civ., n.  27591/2019 cit.) davanti al giudice di pace.

Opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace.

giudizio sommario speciale da proporsi davanti al giudice di pace.

Con riguardo alla possibilità delle parti di stare in giudizio personalmente nel giudizio, se si fosse esteso alla nuova previsione l'orientamento giurisprudenziale (Cass. civ., sez. II, 4 novembre 2010, n. 22463Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 850) formatasi con riguardo alla normativa previgente, l'esenzione dall'obbligo della rappresentanza tecnica avrebbe dovuto riguardare esclusivamente le attività successive all'introduzione del giudizio e non anche la redazione degli atti introduttivi, vale a dire il ricorso ex art. 28 l. 794/1942;  la memoria costitutiva nel procedimento ex art. 29 l. 794/1942; l'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c. e art. 30 l. 794/1942.

In dottrina (Balena) era stato però auspicato, con riguardo all'analoga previsione dell'art. 15 del d.lgs. 150/2011, un superamento di tale orientamento che, sulla base di un'interpretazione lata dell'espressione «stare in giudizio» utilizzata dalla norma, giungesse a ricomprendervi tutte le attività giudiziali di parte evitando uno svuotamento di significato della scelta legislativa di facilitare la promozione del procedimento e la difesa in esso.

Obbligatorietà o facoltatività del procedimento?

A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011 era sorto il dubbio se la nuova disciplina dovesse ritenersi inderogabile, oppure se l'avvocato avesse la possibilità di azionare il proprio credito anche nelle forme del giudizio ordinario di cognizione e in quelle del giudizio sommario ordinario, non essendo invece discusso che egli potesse utilizzare a tal fine anche il procedimento monitorio, dal momento che tale facoltà gli è espressamente attribuita dallo stesso art. 14.

La risposta al quesito aveva delle rilevanti conseguenze processuali, dal momento che il modello di rito sommario delineato dal d.lgs. n. 150/2011 era ben diverso da quello regolato nel codice di rito, non essendo previsti per esso, a differenza del procedimento sommario ordinario, oltre alla competenza del tribunale monocratico, il potere del giudice di convertire il rito da sommario in ordinario quando la causa non può essere sommariamente istruita (art. 3, comma 1, d.lgs. n. 150/2011) e l'appellabilità della ordinanza che definisce il giudizio.

Sul punto si era registrato un acceso contrasto non solo dottrinale (propende per la facoltatività del rito Bulgarelli; mentre sono a favore della sua obbligatorietà, tra gli altri, Balena e Trisorio Liuzzi) ma anche giurisprudenziale di cui si dà conto nel seguente schema.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO: OBBLIGATORIETA' O DISCREZIONALITA' DEL PROCEDIMENTO SOMMARIO SPECIALE

Il procedimento di cui all'art. 14 d.lgs. 150/2011 ha carattere obbligatorio, con la conseguenza che l'avvocato, per tutelare il proprio credito, non può optare in alternativa per il giudizio ordinario o per il procedimento ex art. 702-ter c.p.c. (Cass. civ., sez. VI, 19 febbraio 2014, n. 3915Cass. civ., sez. VI, 29 febbraio 2016, n. 4002Cass. civ., sez. II, 17 maggio 2017, n. 12411Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 2017, n. 3993) .

Obbligatorietà del procedimento sommario speciale

L'intento del d.lgs. n. 150/2011 è stato quello di sostituire la forma camerale del procedimento ex art. 28 l. n. 794/1942 con quella del procedimento ex art 702-bis c.p.c. «speciale», senza con ciò incidere sul sistema complessivo degli strumenti di tutela invocabili, con la conseguenza che, a seguito della riforma, il procuratore può proporre due procedimenti ex art 702-bis c.p.c.: uno è quello ordinario; l'altro è quello speciale proponibile ai sensi dell'art. 28 l. n. 794/1942 - art. 14 d.lgs. n. 150/2011 (Trib. Treviso, 13 dicembre 2012; Trib. Verona, 3 maggio 2013; Trib. Roma, sez. IX, 12 marzo 2015)

Discrezionalità del procedimento sommario speciale

Orbene, la tesi dell'obbligatorietà del rito sommario speciale era stata avallata dalle Sezioni unite (sent., 23 febbraio 2018, n. 4458) che hanno affermato che, mentre prima della riforma del 2011, il rito camerale per la liquidazione di onorari di avvocato concorreva con quello ordinario e con il sommario codicistico, a seguito della entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011, la controversia di cui all'art. 28 l. n. 794/1942 deve necessariamente introdursi con il procedimento sommario speciale o, in alternativa, con il procedimento monitorio, sulla base dei criteri determinativi della competenza propri di esso, restando invece esclusa la possibilità di utilizzare il rito ordinario e il rito sommario codicistico.

Tale ricostruzione comporta che, qualora il giudizio venisse trattato, nelle forme del sommario speciale, dal giudice monocratico, la decisione sarebbe nulla perché adottata in violazione del combinato disposto degli artt. 50-quater 161, comma 1, c.p.c.

Essa però non pare compatibile con gli artt. 3 e 24 Cost. poiché limita, senza giustificazione, il diritto di azione dell'avvocato rispetto a quello degli altri creditori, costringendolo, nel caso intenda agire presso l'ufficio giudiziario ove ha prestato la propria attività, ad optare per solo due istituti e precludendogli così in particolare la facoltà di ricorrere al giudizio ordinario.

Inoltre l'interpretazione dei giudici di legittimità priva il professionista di un grado di giudizio atteso che l'ordinanza emessa al termine del giudizio sommario speciale, come si è detto, è ricorribile solo per Cassazione (art. 14, comma 4, d.lgs. n. 150/2011).

Ancora, secondo le Sezioni Unite anche le controversie rientranti nella competenza per valore del giudice di pace e quelle in cui sia parte un soggetto qualificabile come consumatore vanno trattate con il rito sommario speciale.

Anche queste affermazioni destano grosse perplessità.

La prima di esse infatti contrasta con il disposto dell'art. 14 d.lgs. n. 150/2011, che demanda al tribunale in composizione collegiale la decisione di questo tipo di controversie. Inoltre tale soluzione comporta una deroga alla regola generaleex art. 702-bis c.p.c., secondo cui la disciplina del procedimento sommario ordinario può trovare applicazione solo nelle cause davanti al Tribunale (sul punto Cass. civ., sez. II, 11 novembre 2011, n. 23691).

In secondo luogo l'orientamento delle Sezioni Unite non tiene conto che il rito sommario è utilizzabile, ai sensi dell'art. 702-bis, comma 1, c.p.c., solo nelle cause monocratiche di competenza del tribunale e la sua estensione anche al giudizio davanti al giudice di pace integra una violazione del criterio della invarianza della composizione dell'organo giudicante, fissato dall'art. 54, comma 2, lett. a) della legge delega, rispetto al giudizio sommario.

Merita poi di essere segnalata una pronuncia della Suprema Corte che, in dissenso dalle Sezioni Unite, ha affermato che il procedimento sommario, previsto dagli artt. 702-bis e segg. c.p.c. è applicabile esclusivamente alle controversie di competenza del tribunale in composizione monocratica, con la conseguenza che in tutte le ipotesi in cui la competenza appartenga ad un diverso giudice (nella specie, il giudice di pace) non se ne può invocare l'applicazione. (Cass. civ., sez. III, 29 ottobre 2019, n. 27591).

E' opportuno a questo punto riepilogare, per esigenze di chiarezza, quali fossero i riti utilizzabili, secondo le indicazioni delle Sezioni Unite, a seconda delle diverse tipologie di giudizi di competenza del giudice di pace.

L'estensione del giudizio sommario speciale alle controversie in cui sia parte un consumatore, sostenuta dalle Sezioni Unite, produceva due effetti che paiono confliggere drasticamente con la ratio della norma. Essa infatti consente che un soggetto, per definizione debole, posa trovarsi a difendersi personalmente nei confronti di un professionista anche quando la controversia, investendo l'an della pretesa, perda quei caratteri di semplificazione che giustificano la trattazione con il rito sommario speciale.

Inoltre faceva sì che la causa sia trattata con le peculiari forme di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011 davanti ad un ufficio giudiziario diverso da quello presso il quale l'avvocato ha prestato la propria attività e quindi in mancanza del presupposto specifico individuato dalla norma.

Va peraltro tenuto presente che nelle cause aventi ad oggetto la liquidazione delle prestazioni professionali dell'avvocato, il mutamento del rito, nelle ipotesi in cui il giudizio sia stato venga introdotto con citazione anzichè con ricorso, può avvenire, anche d'ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti (Così Cass. civ., sez. II,  9 gennaio 2020, n. 186, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo). 

Oggetto del procedimento

Ulteriore questione che si era posta a seguito della novella è quella della individuazione dell'oggetto del giudizio ed in particolare se esso debba ancora ritenersi limitato alla determinazione del quantum dovuto al professionista, senza potersi estendere all'an della pretesa, al pari dell'omologo procedimento camerale (sulla delimitazione dell'oggetto di quest'ultimo si vedano, tra le più recenti: Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876; Cass. civ., sez. II, 15 marzo 2010, n. 6225; Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2005, n. 6578).

Sulla base di quest'ultima premessa, la giurisprudenza aveva anche individuato una serie di ipotesi che, determinando un ampliamento del thema decidendum, risultavano incompatibili con il rito camerale.

Quella ricostruzione era stata confermata dalla dottrina (Trisorio Liuzzi; Tiscini) e dalla giurisprudenza prevalenti (oltre alle pronunce citate nello specchietto sottostante si veda: Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2015, n. 19873) anche nell'attuale assetto normativo (per la tesi secondo cui il giudizio sommario speciale potrebbe estendersi anche ai presupposti del credito del difensore in dottrina: Balena; in giurisprudenza: Cass. civ., sez. VI, 29 febbraio 2016, n. 4002).

Anche sulla questione in esame sono intervenute le Sezioni Unite, con la sentenza n. 4458/2018, statuendo che il rito sommario speciale è utilizzabile anche nei casi in cui il thema decidendum del giudizio venga ampliato dall'atteggiamento difensivo del convenuto all'an della pretesa, tanto se esso consista in mere contestazioni in iure o in facto dei fatti costitutivi del rapporto di prestazione d'opera quanto se si concreti in eccezioni.

Tale conclusione dei supremi giudici risulta assai poco convincente poiché non tiene però conto delle indicazioni che la Corte costituzionale aveva dato sul punto nella sentenza n. 65/2014.

In quella occasione, infatti, il giudice delle leggi, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 d.lgs. n. 150/2011 nella parte in cui stabilisce la competenza del tribunale collegiale a decidere, ha chiarito, con riguardo ad una delle particolarità del giudizio sommario speciale, che la sua non convertibilità exart. 3, comma 1, d.lgs. 150/2011 «discende … dalla espressa prescrizione impartita dalla legge delega (art. 54, comma 4, lettera b, n. 2, della l. n. 69/2009) e corrisponde altresì alla inammissibilità - ripetutamente affermata anche prima della riforma del 2009 - del procedimento speciale previsto dalla l. n. 794/1942 nel caso in cui il thema decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso».

Da tale passo si evince come la Corte avesse aderito a quell'indirizzo interpretativo (Trib. Verona, 3 maggio 2013; Trib. Mantova, 16 dicembre 2014; Trib. Lucca, 3 luglio 2015), secondo il quale nel giudizio sommario speciale non è possibile controvertere della sussistenza del diritto dell'avvocato al compenso e, qualora ciò accada, il procedimento deve chiudersi con una declaratoria di inammissibilità, ferma restando la possibilità per il professionista di far valere il suo diritto con un altro mezzo processuale.

Le Sezioni Unite hanno anche ritenuto non ostativo alla interpretazione da loro proposta, circa l'ambito di applicazione dell'istituto, un passo della relazione ministeriale al d.lgs. 150/2011, che invece rivela chiaramente l'intenzione del legislatore delegato di mantenere inalterate nel nuovo modello le caratteristiche che aveva assunto il procedimento camerale.

Si legge infatti in tale documento che: «Al riguardo, non è stato ritenuto necessario specificare che l'oggetto delle controversie in esame è limitato alla determinazione degli onorari forensi, senza che possa essere esteso, in queste forme, anche ai presupposti del diritto al compenso, o ai limiti del mandato, o alla sussistenza di cause estintive o limitative (passaggio questo che rileva ai fini della valutazione delle questioni qui esposte). Tale conclusione, ormai costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, non viene in alcun modo incisa dalla presente disciplina, in assenza di modifiche espresse alla norma che individua i presupposti dell'azione, contenuta nella l. n. 794/1942».

Quanto fin qui detto consente di esaminare la questione se vada obbligatoriamente proposta nelle forme del rito sommario speciale la controversia diretta a quantificare l'equo compenso dell'avvocato, introdotto dall'art. 19-quaterdecies, l. n. 172/2017, per attività giudiziale o per attività stragiudiziale a questa strettamente connessa.

Una pronuncia di merito (Trib. Verona 19 marzo 2019, in www.ilcaso.it) lo ha escluso, sia pure solo incidentalmente, sulla scorta del rilievo che il presupposto per l'applicazione della succitata disciplina è costituito dalla esistenza di un contratto tra le parti (professionista ed impresa) che fissi il compenso dovuto al primo.

A quest'ultima considerazione si può aggiungere, a conforto della predetta conclusione, che la determinazione dell'equo compenso presuppone comunque la verifica della vessatorietà di una o più clausole del contratto tra professionista legale e cliente e tale accertamento è incompatibile con quello originariamente previsto dall'art. 28l. n. 794/1942.

Se però si tiene presente quanto sia stato ampliato l'oggetto del giudizio dalle Sezioni Unite la questione può ritenersi controversa.

Le Sezioni Unite hanno anche affermato che il procedimento sommario può continuare con l'esame delle difese del cliente e hanno indicato i diversi itinera che si possono dispiegare a seconda del tipo di domanda svolta dal convenuto e della competenza su di essa.

In caso di domanda riconvenzionale che sia di competenza del giudice adito ai sensi dell'art. 14 c.p.c. occorre distinguere due ipotesi:

1) Se la domanda del convenuto può essere trattata con il rito sommario, non richiedendo un'attività istruttoria non sommaria, può aversi la trattazione congiunta con il rito sommario;

2) Se la domanda del convenuto non può essere trattata con il rito sommario a fronte di essa la trattazione dovrà avvenire, previa separazione, non essendo applicabile l'art. 40 c.p.c., commi 3 e 4, con il rito ordinario a cognizione piena ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena, previo mutamento del rito ai sensi dell'art. 4, comma 1,d.l.gs. n. 150/2011.

Qualora poi la decisione sulla domanda separata fosse pregiudiziale rispetto a quella sulla domanda di pagamento degli onorari, trova applicazione l'art. 295 c.p.c. (per un esempio in tale senso si veda Cass. civ., sez. VI, 20 luglio 2020, n. 15431).

Se invece la domanda introdotta dal cliente convenuto non appartiene alla competenza del giudice adito ai sensi dell'art. 14 c.p.c., verranno in rilievo - in aggiunta al problema del rito - le norme sulle modificazioni della competenza per ragioni di connessione, che eventualmente potranno comportare lo spostamento della competenza sulla domanda ai sensi dell'art. 14.

Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

Subito dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011 si era affermata la tesi per cui, qualora l'avvocato avesse optato per la tutela monitoria del proprio credito, l'eventuale giudizio di opposizione doveva osservare le forme del procedimento sommario speciale, sempre che, secondo un indirizzo (Bulgarelli e, in giurisprudenza: Trib. Verona, 21 ottobre 2014) avesse riguardato il quantum della pretesa del legale, mentre secondo altri (Balena) anche qualora avesse investito l'an della medesima.

A quanto detto conseguiva che l'opposizione andava proposta con ricorso (così sia pure come obiter dictum anche Cass. civ., sez. un., 23 settembre 2013 n. 2167), anche senza avvalersi dell'assistenza di un difensore, se si condivideva la tesi dottrinale esposta sul punto nel primo paragrafo e l'osservanza del relativo termine perentorio si sarebbe avuta con il deposito dello stesso in cancelleria.

Qualora l'opposizione fosse stata erroneamente proposta con atto di citazione questo poteva «produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositato in cancelleria entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c., non essendo sufficiente che entro tale data sia stata comunque notificato alla controparte» (così Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2009, n. 8014 con riguardo ad identica questione del rito locatizio).

Tale ricostruzione è stata però messa in crisi dall'intervento delle Sezioni Unite del 2018.

Con esso infatti le conclusioni relative all'oggetto del giudizio di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011, già esposte nel precedente paragrafo, sono state estese anche al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in cui il cliente contesti non il quantum ma l'an del credito di controparte. 

Le Sezioni Unite avevano individuato anche la disciplina da applicarsi a tale tipo di giudizio, precisando che esso andava introdotto con il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. davanti allo stesso ufficio che aveva emesso il decreto ingiuntivo, ed era regolato dalle norme del procedimento sommario speciale, compresa quella che stabiliva che andasse deciso con ordinanza inappellabile, anche se restano comunque applicabili gli artt. 648, 649 e 654 c.p.c.

In evidenza

Si rammenti che, qualora il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sia introdotto per errore con atto di citazione, l'applicabilità del comma 5 dell'art. 4d.lgs. 150/2011 rende l'errore privo di conseguenze, anche con riguardo alla tempestività della opposizione, senza necessità che il deposito dell'atto di citazione avvenga nel termine di quaranta giorni.

Mezzi di impugnazione dell'ordinanza conclusiva del giudizio

Una delle peculiarità che il rito in esame aveva mutuato dalla disciplina previgente, e che, come detto, lo distingueva dal procedimento sommario ordinario, era quella della inappellabilità dell'ordinanza che definiva il giudizio, sia che essa avesse riguardato l'an sia che avesse attenuto al solo quantum della pretesa (così espressamente Cass. civ., sez. II , 22 maggio 2017, n. 12847).

Con riguardo poi all'individuazione del regime impugnatorio del provvedimento (sentenza oppure ordinanza) che avesse deciso la controversia, la Suprema Corte aveva affermato che «assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento» (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2011, n. 390, resa con riguardo al giudizio di opposizione decreto ingiuntivo per onorari ed altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili nella vigenza del procedimento ex art. 28 della l. n. 794/1942.

Secondo tale ricostruzione quindi non si doveva aver riguardo al contenuto dell'accertamento e della decisione del giudice (se limitato al quantum della pretesa dell'avvocato o se esteso, a seguito della difesa del cliente, ad un più ampio thema decidendum) ma al rito seguito durante il processo e, prima ancora, all'eventuale qualificazione della decisione adottata dal giudice all'esito dello stesso (in tal senso anche Cass. civ., sez. VI, 14 giugno 2016, n. 12248, che però risulta contraddittoria poiché è relativa all'impugnazione avverso una decisione del giudice di pace che aveva non solo forma ma anche sostanza di sentenza; Cass. civ., sez. VI, 5 giugno 2020, n. 10648).

Secondo un altro orientamento invece il provvedimento che definisce il procedimento di cui agli artt. 29 e 30 l. 794/1942, seppure adottato nella forma della sentenza, aveva natura sostanziale di ordinanza sottratta all'appello ed è, pertanto, impugnabile soltanto con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (cfr. tra gli altri: Cass. civ., sez. II, 7 Febbraio 2007, n. 2623Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2006, n. 10939, App. Palermo, 17 aprile 2015).

Peraltro in altra pronuncia la Cassazione aveva applicato il principio di ultrattività del rito per giungere alla conclusione che la sentenza che il giudice, errando, abbia emesso all'esito di un giudizio che avrebbe dovuto essere introdotto con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. e 14 d.lgs. 150/2011 anziché con le forme del rito ordinario o di quello sommario generale, è appellabile e non ricorribile per cassazione (Cass. civ., Sez. III, 30 settembre 2016, n. 19388Cass. civ., sez. I, 8 gennaio 2019, n. 210). Parimenti appellabile era, ai sensi dell'art. 702-quater c.p.c., l'ordinanza emessa all'esito di un giudizio sommario ordinario, direttamente proposto dall'avvocato, o di quello che costituisse prosecuzione del giudizio ex art. 14 d.lgs. n. 150/2011 ampliatosi all'an della pretesa dell'avvocato.

Nel riquadro sottostante si riportano i diversi regimi impugnatori che erano utilizzabili a seconda del rito seguito in primo grado e del tipo di decisione adottata.

Regimi impugnatori dei provvedimenti conclusivi dei giudizi per la determinazione del compenso dell'avvocato

Ordinanza conclusiva di un giudizio ex art. 14d.lgs. n. 150/2011, introdotto con ricorso e vertente sull'an o sul quantum del credito: no appello; solo ricorso per cassazione.

Provvedimento conclusivo di un giudizio, anche di opposizione a decreto ingiuntivo, trattato con il rito sbagliato (sommario speciale anziché ordinario o viceversa): appello se avente forma di sentenza; solo ricorso per cassazione se avente forma di ordinanza.

Ordinanza emessa all'esito di un giudizio sommario ordinario (artt. 702-bis ss. c.p.c.) : appello e ricorso per cassazione.

Infine va segnalato che la Corte Costituzionale con la sentenza 5 maggio 2021, n. 89 ha chiarito che anche l'ordinanza conclusiva del procedimento sommario speciale che fosse viziata da errore di fatto è revocabile ai sensi dell'art. 395, n. 4,  c.p.c. sul presupposto che tale provvedimento è assimilabile alla sentenza. 

Le novità introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149

Il rito in esame ha subito alcune rilevanti modifiche a seguito dell'entrata in vigore, a decorrere dal 1° marzo 2023, della riforma Cartabia.

Infatti l'art. 15 del d.lgs. n. 149/2022 ha modificato la disciplina dell'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 per renderla innanzitutto coerente alla scelta, compiuta dalla legge delega, di abrogare il rito sommario di cognizione e sostituire ad esso quello semplificato.

Conseguentemente si è sostituito, nel primo comma dell'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, il riferimento al rito sommario di cognizione con quello al rito semplificato e il riferimento, presente al terzo comma, all'ordinanza con quello alla sentenza a proposito della natura del provvedimento conclusivo del giudizio.

Occorre poi tener presente che è stato modificato anche il disposto dell'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011, che disciplina forme e termini per disporre il mutamento di rito, prevedendo al secondo comma, che l'ordinanza relativa vada adottata entro il termine di cui all'art. 171-bis c.p.c.

Le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi quindi vanno ora riferite al rito semplificato di cognizione.

Come è noto la riforma (art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010 come modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022), ha esteso l'ambito di applicazione della mediazione obbligatoria anche alle controversie relative ai contratti di prestazione d'opera e quindi anche a quelli di prestazione d'opera professionale.

Ciò comporta il paradosso che l'ex cliente è esonerato dall'obbligo di difesa tecnica nel procedimento semplificato di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 ma non nell'ambito della mediazione che si svolga prima o o nel corso di esso.

Riferimenti

Balena, Commento all'art. 14, in Codice di procedura civile commentato. La “semplificazione” dei riti e altre riforme processuali, 2010-2011, diretto da Consolo, Milano 2012, 192-198;

Bulgarelli, Il procedimento di liquidazione degli onorari e dei diritti degli avvocati dopo il decreto legislativo sulla semplificazione dei riti, in Giust. Civ., 2011, 439 ss.;

Bulgarelli, Recupero crediti dell'avvocato: un bivio e due strade, in www.altalex.com;

Carratta, La «semplificazione» dei riti e le nuove modifiche del processo civile, in www.dirittoonlinetreccani.it;

Trisorio Liuzzi, Il foro del consumatore e il procedimento di liquidazione degli onorari di avvocato, in Corr. giur., 2015, p. 684-693;

Tiscini, Art. 14, in Sassani-Tiscini (a cura di), La semplificazione dei riti civili, Roma, 2011, 129.

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