Strasburgo condanna l'Italia per il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione formatosi all'estero

14 Maggio 2015

L'art. 8, della Convenzione dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali del 1950 si applica ai ricorrenti che hanno trascorso con il minore le prime fasi della sua infanzia e si sono comportati, nei suoi confronti, come fossero i suoi genitori
Massima

L'art. 8, della Convenzione dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali del 1950, che sancisce il diritto al rispetto alla vita privata e familiare, trova applicazione laddove si ravvisino relazioni familiari, anche di fatto e in assenza di rapporti giuridici di parentela: esso si applica quindi ai ricorrenti che hanno trascorso con il minore le prime fasi della sua infanzia e si sono comportati, nei suoi confronti, come fossero i suoi genitori.

Il rifiuto, da parte delle autorità giudiziarie italiane, di riconoscere la filiazione stabilita all'estero e l'allontanamento del minore dal contesto familiare, con la presa in carico del bambino ed il suo collocamento presso una comunità, seppure siano misure «previste dalla legge» (in considerazione dell'inesistenza di legami biologici del bambino con i pretesi genitori, e la non arbitrarietà dell'applicazione - ai sensi dell'art. 33, l. n. 218/1995 - della legge italiana, secondo la quale il bambino si trovava in stato d'abbandono) «a difesa dell'ordine pubblico» oltre che a protezione dei «diritti e delle libertà» del bambino, non costituiscono misure «necessarie» all'interno di «una società democratica», ai sensi dell'art. 8 CEDU.

Il caso

I ricorrenti sono due coniugi di cittadinanza italiana che concludono un accordo di maternità surrogata con una società avente sede in Russia. A seguito di una fecondazione in vitro, in una clinica a Mosca, due embrioni “a loro appartenenti” vengono impiantati nell'utero della madre gestante, che, partorito il bambino, presta il proprio consenso affinché il neonato venga registrato, nell'atto di nascita, come figlio degli stessi ricorrenti. Il certificato di nascita russo, che non menziona la gestazione altrui, viene munito di Apostilla in conformità alle disposizioni della Convenzione dell'Aia del 5 ottobre 1961. Rientrata in Italia, la ricorrente chiede al Comune di residenza di registrare l'atto di nascita; contestualmente il Consolato italiano a Mosca, che si era confrontato con la ricorrente ai fini del rilascio dell'autorizzazione per il “figlio” a lasciare lo Stato, comunica al Tribunale per i minorenni competente che il dossier relativo alla nascita del bambino contiene dati falsi. I ricorrenti vengono quindi imputati dei reati di alterazione di stato e di falsità ai sensi degli artt. 567, 489 e 479 c.p., oltre che incriminati ai sensi dell'art. 72 legge adozione. Su impulso del Pubblico Ministero, il Tribunale per i minorenni apre una procedura di adottabilità nell'ambito della quale i ricorrenti ed il bambino vengono soggetti al test del DNA; da esso risulta che il secondo, non solo non ha legami genetici con la madre ma neppure con il padre, diversamente da quanto affermato dalla ricorrente. Da questa constatazione, il Giudice nazionale conclude che i ricorrenti hanno portato con sé in Italia un bambino geneticamente estraneo ad entrambi e che la filiazione non è stata stabilita neppure mediante maternità surrogata. Il certificato di nascita non viene trascritto ed il Pubblico Ministero chiede che venga attribuita al minore una nuova identità. Il bambino viene collocato in una comunità familiare. I ricorrenti propongono un reclamo innanzi alla Corte d'Appello di Campobasso, che viene rigettato. Successivamente il bambino viene collocato presso una famiglia affidataria ma resta privo di identità per circa due anni, con le conseguenze che, sotto il profilo amministrativo, si creano. I ricorrenti si rivolgono infine alla Corte Europea dei diritti dell'uomo allegando violazione dell'art. 8, della omonima Convenzione.

La questione

La questione sottoposta all'esame della Corte Edu è, in sintesi, la seguente: se il rapporto di filiazione risultante da un atto di nascita formato all'estero, munito di Apostilla in conformità alla Convenzione dell'Aja del 1961, non debba trovare riconoscimento nello Stato nel quale il minore viene trasferito dai pretesi genitori, in considerazione della non veridicità dei contenuti di tale atto e del fatto che tale riconoscimento violerebbe il limite dell'ordine pubblico dello Stato accogliente (ordine pubblico che giustificherebbe così qualsiasi misura nei confronti del minore e dei genitori), o se tale rapporto debba essere riconosciuto, alla luce del superiore interesse del minore a mantenere la propria identità e a non essere allontanato dal nucleo “familiare”, anche di mero fatto.

Le soluzioni giuridiche

Con la decisione che si commenta la Corte Europea dei diritti dell'uomo riafferma e sviluppa, fino alle estreme conseguenze, il principio della prevalenza dell'interesse del minore di età in tutte le decisioni che lo riguardano; prevalenza che è stata affermata anche nel contesto dei procedimenti volti al riconoscimento dei rapporti di filiazione formati all'estero in applicazione di norme confliggenti con quelle, in materia, dei rispettivi ordinamenti nazionali.

Ciò è accaduto in due recenti sentenze della Corte Europea, che ha condannato la Francia, in due casi tra loro analoghi, per aver rifiutato il riconoscimento del rapporto di filiazione formato negli Stati Uniti sulla base di un accordo di maternità surrogata (C. Edu, Mennesson v. France – 65192/2011 e Labassee c. France65941/2011, decisi il 26 giugno 2014). Questi i fatti: a causa dell'infertilità delle mogli, le due coppie si erano recate negli Stati Uniti per ricorrere alla “maternità surrogata”, in entrambi i casi effettuata mediante impianto di embrioni, formati da gameti propri della gestante e di ciascun marito della coppia e conseguente gestazione della gravidanza da parte della prima fino al parto. A seguito della nascita, i Giudici statunitensi (Californiano nel primo caso e del Minnesota nel secondo) avevano dichiarato che i coniugi Mennesson erano genitori della neonata Jumelles e che i coniugi Labassee erano genitori della piccola Juliette.

Tornati in Francia, i coniugi Mennesson e Labassee avevano incontrato l'opposizione al riconoscimento del rapporto di filiazione prima delle autorità amministrative e poi di quelle giudiziarie, fino al rifiuto definitivo di trascrizione dei documenti attestanti i relativi legami parentali pronunciato dalla Corte di Cassazione, sulla base della nullità di tali documenti per violazione dell'ordine pubblico secondo il codice civile francese. Tale rifiuto di trascrizione non aveva inciso, nei casi menzionati, sull'unità familiare dei coniugi e delle figlie, riconosciute come tali dall'ordinamento statunitense.

In tali casi, la Corte ha distinto il diritto dei genitori al rispetto della «vita familiare» dal diritto del minore al rispetto della propria «vita privata».

Mentre sotto il primo profilo, la Corte ha ritenuto non violato l'art. 8 CEDU, poiché le difficoltà che i genitori incontravano nella vita quotidiana, derivanti dall'assenza di un legame di filiazione con le figlie riconosciuto dall'ordinamento francese, erano parificabili a quelle di altre famiglie di fatto e non superavano comunque il margine di discrezionalità riconosciuto allo Stato Membro ai sensi dell'art. 8; sotto il secondo profilo la Corte ha ritenuto violato tale articolo della Convenzione. Il mancato riconoscimento del legame di filiazione, ed in particolare quello nei confronti del padre “sociale”, che era anche padre biologico, e la conseguente incertezza in capo alle bambine sulla propria identità ed in particolare la propria cittadinanza, i possibili rischi rispetto all'unità familiare e ai problemi successori che sarebbero sorti a causa dell'assenza del riconoscimento del legame di filiazione, sono state considerate non compatibili con l'interesse preminente delle minori; interesse che, in generale, secondo la Corte, deve “guidare” tutte le decisioni che riguardano i soggetti minori di età.

In tali casi, dunque, la Corte, stante che le due famiglie avevano mantenuto la propria coesione (nonostante il mancato riconoscimento del vincolo di filiazione da parte dello Stato francese), ha considerato violato il solo diritto delle due minori di età alla loro vita privata, ai sensi dell'art. 8 CEDU.

Il caso in esame differisce, tuttavia, nei fatti da quelli sottostanti le decisioni Mennesson e Labassee citate. I pretesi genitori del bambino infatti, come è emerso all'esito degli accertamenti genetici effettuati nel corso del procedimento di merito innanzi alle autorità nazionali, non avevano alcun vincolo biologico con il secondo, motivo per il quale il minore, tenute anche in considerazione le gravi accuse che venivano mosse ai pretesi genitori sotto il profilo penale, era stato dichiarato in stato di abbandono ed allontanato dal nucleo familiare.

La Corte, nonostante l'assenza di qualsiasi vincolo parentale tra i pretesi genitori ed il minore, ed anzi proprio nell'ottica della protezione della famiglia di fatto e del superiore interesse del minore, ha ritenuto applicabile l'art. 8 CEDU ed ha considerato il rifiuto, da parte delle autorità giudiziarie italiane, di riconoscere la filiazione stabilita all'estero e le misure che ne erano coerentemente seguite in applicazione della normativa interna (allontanamento del minore dal contesto familiare, con la presa in carico del bambino; suo collocamento presso una comunità e poi presso una famiglia affidataria) come misure non «necessarie» all'interno di «una società democratica», ai sensi dell'art. 8 CEDU. La Corte ha così concluso che la stretta applicazione delle disposizioni legislative nazionali da parte delle autorità italiane non aveva rappresentato il giusto bilanciamento tra gli interessi pubblici e gli interessi privati in gioco, in considerazione del principio essenziale secondo il quale, ogni volta che la situazione coinvolge un minore di età, l'interesse di quest'ultimo deve prevalere.

Un caso aventi identiche caratteristiche, è stato deciso innanzi alla Corte di Cassazione alcuni mesi prima della decisione della Corte Europea che si commenta (Cass., 11 novembre 2014, n. 24001). La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso e confermato la decisione di merito.

Nell'affrontare i cinque motivi di ricorso, la Corte ha statuito quanto segue:

  1. riguardo alla natura dell'Apostilla, apposta sull'atto di nascita formato all'estero, secondo quanto previsto dalla Convenzione dell'Aja del 1961, la Corte ha affermato che essa attesta solo l'autenticità del documento, e non l'efficacia dello stesso documento nell'ordinamento Italiano; efficacia che è invece disciplinata dalla legge di diritto internazionale privato (L. n. 218/1995), il cui art. 65 pone il limite dell'ordine pubblico;
  2. rispetto alla contestazione secondo cui il certificato di nascita formato all'estero non poteva essere privo di valore in Italia in considerazione della contraddittorietà che si sarebbe creata con riguardo allo stato familiare dello stesso minore in Italia ed all'estero, la Corte ha ribadito l'operatività del limite generale dell'ordine pubblico, con il quale la disciplina straniera della filiazione si trovava in contrasto;
  3. sulla definizione ed estensione dell'ordine pubblico, a fini internazionalistici, e sulla relazione dello stesso concetto con il principio di prevalenza dell'interesse del minore, la Corte ha affermato che l'ordine pubblico internazionale è «il limite che l'ordinamento nazionale pone all'ingresso di norme e provvedimenti stranieri, a protezione della sua coerenza interna». Esso non può dunque ridursi ai soli valori condivisi dalla Comunità internazionale, ma «comprende anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e irrinunciabili». È tuttavia evidente che, ai fini della individuazione di tali principi, l'ordinamento debba essere considerato nella sua completezza, inclusi quindi i principi, le regole e gli obblighi di origine sovranazionale. In questo senso, il divieto di pratiche di surrogazione di maternità, la cui violazione era accompagnata da sanzione penale, costituiva un limite di ordine pubblico (nel caso di specie peraltro non si versava in una fattispecie di surrogazione materna, essendo anche il gamete maschile non appartenente alla coppia committente).

Rispetto all'interesse del minore, la Corte rilevava che tale valutazione era stata effettuata a monte dallo stesso legislatore italiano, che aveva considerato che esso si realizzasse proprio «attribuendo la maternità a colei che partorisce ed affidando all'istituto dell'adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo delle parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico».

Parimenti la Corte ha contestato che la Corte Europea dei diritti dell'Uomo abbia affermato il diritto del nato mediante surrogazione di maternità ad essere riconosciuto come figlio legittimo della coppia committente. Al contrario, secondo la Corte di legittimità, la CEDU nelle sentenze Mennesson e Labassee c. Francia, avrebbe riconosciuto ampio margine di discrezionalità ai singoli Stati sul tema della maternità surrogata, ravvisando il superamento di detto margine nel difetto di riconoscimento giuridico del rapporto di filiazione tra il nato e il padre committente allorché quest'ultimo fosse anche padre biologico.

Tali argomentazioni e la decisione cui è pervenuta la Corte di legittimità Italiana sono opposte a quelle cui è pervenuta, successivamente, la Corte Europea dei diritti dell'Uomo nella sentenza di condanna dell'Italia nel caso che si commenta.

Non sappiamo, qualora la sentenza della CEDU dovesse diventare definitiva, come potrà lo Stato Italiano “adeguarsi” ai dettami della Corte sovranazionale.

Con riguardo all'orientamento dei Giudici di merito nazionali in materia, decisioni di riconoscimento dello stato di filiazione formato all'estero in violazione delle norme italiane in materia di maternità surrogata (App. Bari, 13 febbraio 2009; App. Torino, 29 ottobre 2014; Trib. Napoli, 1 luglio 2011), si contrappongono a quelle che escludono tale riconoscimento (Trib. Forlì, 25 ottobre 2011; App. Campobasso, 28 febbraio 2012).

In realtà, tra le varie decisioni, devono distinguersi quelle che riguardano casi di rapporto di filiazione formato all'estero sulla base di accordi di maternità surrogata (nei quali almeno uno dei due genitori “committenti” è donatore di gameti e quindi genitore biologico) da quelle che riguardano, una volta effettuati gli accertamenti genetici in corso di giudizio, rapporti di filiazione senza alcun vincolo biologico con i pretesi genitori, ossia casi che, anche per il paese straniero in cui si è formato l'atto di nascita, non rientrano nella fattispecie della “maternità surrogata”.

In ogni caso, nocciolo della questione è l'individuazione dell'estensione del limite dell'ordine pubblico; limite che impedisce l'ingresso di norme straniere o di atti formati sulla base di norme straniere che confliggono con quelle italiane.

Così, mentre ad esempio, per la Corte d'Appello di Brescia, il limite dell'ordine pubblico dovrebbe essere valutato, non in termini astratti, ma con riferimento agli effetti che l'applicazione di tale limite produrrebbe nel caso specifico e che inoltre esso dovrebbe essere inteso come il complesso dei principi di civiltà essenziali ad un dato ordinamento e come la proiezione normativa dei diritti inviolabili dell'uomo (con l'effetto di far prevalere l'interesse del minore all'unicità dello status sul rispetto dell'ordine pubblico, App. Bari, 13 febbraio 2009), per la Corte di Cassazione italiana, l'ordine pubblico, anche ai fini internazionalistici, comprende «anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e irrinunciabili» (Cass., 11 novembre 2014, n. 24001) quali il divieto di maternità surrogata, posto che, secondo l'ordinamento italiano, non si potrebbe parlare in alcun modo di “maternità” in assenza di un legame naturale di gestazione tra madre e figlio (Trib. Forlì, 25 ottobre 2011).

Osservazioni

La questione del riconoscimento del rapporto di filiazione costituito con atto di nascita formato all'estero secondo norme diverse o addirittura confliggenti con quelle italiane in materia di filiazione si pone con sempre maggiore frequenza in relazione all'aumento del numero di coppie che varcano i confini italiani per accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita ed in particolare, venuto meno il divieto delle pratiche di fecondazione eterologa, a quelle di maternità surrogata, laddove esse sono ammesse e danno luogo, in virtù di specifico accordo, ad un vincolo parentale diverso da quello strettamente biologico, e che si potrebbe definire “istituzionale” o “sociale”.

Le decisioni delle autorità giudiziarie nazionali si contrappongono tra loro a seconda della estensione attribuita al limite dell'ordine pubblico in relazione all'interesse del minore di età al riconoscimento dello status di figlio. Decisioni interne successive a quella della Corte Europea che si commenta ancora non ve ne sono. D'altra parte tale decisione non è ancora divenuta definitiva e ancora non esplica gli effetti nei confronti dell'ordinamento italiano ai sensi degli artt. 41 e 46, comma 1, CEDU.

Tuttavia, in relazione all'evoluzione della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo, dell'evoluzione dei costumi sociali, oltre che della sempre maggiore affermazione, nella normativa interna (quale quella sulle azioni di stato), nelle decisioni della Corte Costituzionale (C. Cost., 9 aprile 2014, n. 162) e in quelle dei giudici di merito, dell'irrilevanza del dato genetico quale requisito imprescindibile per la formazione di un legame “familiare”, non ci si può che aspettare un orientamento più omogeneo nel senso del riconoscimento degli status di filiazione formati all'estero in conformità al diritto interno dello Stato di provenienza, sulla base di normativa anche difforme se non confliggente a quella italiana. Ciò a beneficio del rispetto del diritto all'identità dei figli nati all'estero e della circolazione degli status famigliari.

Guida all'approfondimento

- M. Castellaneta, Dietro l'interesse del minore si nasconde il rischio di un turismo procreativo, Guida al Diritto, maggio 2009, n. 5, 66;

- A. Palazzo, Surrogazione materna e interesse del minore, Libero osservatorio del Diritto (www.lodd.it)

- A. Lorenzetti, Bilanciamento di interessi e garanzie per i minori nella filiazione da fecondazione eterologa e da maternità surrogata, in La Famiglia si trasforma, a cura di Cesaro, Lovati e Mastrangelo, Milano, 2014, 80.

- F. Zanasi, Fecondazione assistita, in Persona e danno, www.personaedanno.it

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