Il principio di non contestazione nel disconoscimento di paternità

Alberto Figone
16 Novembre 2016

Nel giudizio di disconoscimento di paternità, l'attore deve provare la mancata decorrenza del termine di un anno dalla conoscenza dell'adulterio della moglie al tempo del concepimento o può rilevare la mancata contestazione di tale circostanza da parte dei convenuti?
Massima

Ai fini della prova del rispetto del termine annuale di decadenza dall'esercizio dell'azione di disconoscimento di paternità, l'attore può avvalersi anche della mancata contestazione del momento della conoscenza dell'adulterio della moglie, ferma restando la possibilità per il giudice di merito di rilevare d'ufficio l'eventuale decadenza, altrimenti risultante dagli atti.

Il caso

Un uomo esperisce azione di disconoscimento di paternità di una figlia minore, deducendo di aver appreso in tempi recenti di un risalente adulterio della moglie, a seguito di confessione proprio di costei. Tanto la moglie, quanto il designato curatore speciale della minore nulla deducono circa la tempestività dell'azione; solo all'udienza di precisazione delle conclusioni, il curatore eccepisce la decadenza dell'azione, per decorso del termine annuale dalla conoscenza dell'adulterio. Il Tribunale, prima, e la Corte d'appello, poi, dichiarano inammissibile la domanda; la Cassazione va invece di contrario avviso.

La questione

Ci si chiede se, nel giudizio di disconoscimento di paternità, l'attore debba provare la mancata decorrenza del termine di un anno dalla conoscenza dell'adulterio della moglie al tempo del concepimento, ovvero se possa rilevare la mancata contestazione di tale circostanza da parte dei convenuti. Ci si chiede altresì, entro quali limiti il giudice possa pronunciare d'ufficio la decadenza dalla domanda.

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, l'azione di disconoscimento della paternità da parte del genitore, ancor prima della riforma di cui al d.lgs. n. 154/2013, è da tempo assoggettata ad un termine decadenziale di un anno dalla nascita del figlio, ovvero dalla conoscenza dell'adulterio da parte della moglie nel periodo di presunto concepimento. Il previgente testo dell'art. 245 c.c. era stato infatti dichiarato costituzionalmente illegittimo, proprio nella parte in cui non prevedeva la decorrenza del termine decadenziale dalla conoscenza dell'adulterio (Corte cost. 6 maggio 1985, n. 134). In oggi, il principio è stato codificato nel nuovo art. 244 c.c., che ha pure introdotto un altro termine della stessa natura, subordinando l'ammissibilità dell'azione anche al fatto che il figlio non abbia ancora raggiunto i cinque anni di età.

Colui che intende agire in giudizio deve fornire la prova della tempestività della domanda. Come ricorda la sentenza in commento, il termine annuale decorre dalla conoscenza (o dalla doverosa conoscibilità) di una relazione della moglie con altro uomo, tale da rendere verosimile una paternità biologica del nato differente da quella presunta ex lege (tra le pronunce più recenti, cfr. Cass. 26 giugno 2014, n. 14556; Cass. 26 marzo 2013, n. 7581). Ci si chiede cosa accada quando i convenuti (madre e figlio, se minore rappresentato da un curatore speciale, stante la ricorrenza di un litisconsorzio necessario) nulla eccepiscano in ordine alla tempestività della domanda (ed altrettanto faccia il p.m.). La Corte di Cassazione evidenzia come il principio di non contestazione dei fatti allegati da controparte possa assumere una duplice valenza ai fini della prova dei medesimi: da un lato, secondo l'art. 115, comma 1, c.p.c., la mancata contestazione «è un comportamento rilevante ai fini della determinazione del thema probandum», dall'altro, quando siano in gioco diritti indisponibili (quali quelli attinenti lo status), essa «è comunque valutabile ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c. , non già in riferimento agli elementi costitutivi dell'azione, ma ai fini della tempestività dell'azione medesima». La Cassazione si discosta così da non più recenti precedenti, che facevano obbligo all'attore di provare in ogni caso la tempestività della domanda, anche in difetto di eccezione di tardività delle altre parti (cfr. Cass. 11 febbraio 2000, n. 1512). Nel contempo, la stessa evidenzia come la tempestività dell'esercizio dell'azione sia strutturata in termini di decadenza e non di prescrizione, rilevabile, dunque, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio. La sentenza offre un criterio di bilanciamento, osservando che, in caso di condotta acquiescente dei convenuti circa la data indicata dall'attore quale dies a quo per la proposizione della domanda, il giudice è tenuto ad accertare se dagli atti di causa abbia a risultare un eventuale differente termine di decorrenza, tale da rendere inammissibile l'azione. Ove ciò non risultasse, «dovrà considerare senz'altro l'azione ammissibile, senza imputare all'attore le conseguenze del non avere egli stesso offerto mezzi di prova al riguardo».

Osservazioni

La sentenza in commento rileva per un progressivo superamento dei formalismi propri dell'azione di disconoscimento di paternità, ricondotta nel più ampio genus delle regole del rito ordinario, così come progressivamente modificate; ciò peraltro sempre con una particolare attenzione all'indisponibilità delle posizioni soggettive dedotte, siccome attinenti lo status. In questa prospettiva, acquista una sua rilevanza, nello specifico, anche il principio di mancata contestazione dei fatti e delle circostanze dedotte ex adverso, in base al nuovo testo dell'art. 115 c.p.c.. Il genitore, che agisce per disconoscere un figlio decorso un anno dalla sua nascita, dovrà indicare il momento in cui sia venuto a conoscenza dell'adulterio della moglie (quale dies a quo per l'esercizio dell'azione). Se nessuna delle parti convenute, ovvero il p.m., abbia ad eccepire la veridicità di quella indicazione, l'attore potrà ritenersi esonerato dal dimostrare il presupposto dell'azione, sicchè il thema decidendum si concentrerà sul merito della domanda (in oggi facilmente accertabile tramite ctu di tipo genetico). La sentenza in esame, che pur torna a ribadire come il giudice ben possa d'ufficio dichiarare comunque la decadenza dell'azione, se tanto risultasse dagli atti, denota la tendenza a rendere più fluido l'esercizio dell'azione di disconoscimento. Il profilo processuale è del tutto coerente con la riforma sostanziale del regime di filiazione, che ha creato un unico status, eliminando così quei privilegi, che pur dopo il 1975, connotavano la posizione del figlio legittimo rispetto a quello naturale. Non ha dunque più senso una predeterminata tutela dello stato di figlio matrimoniale, anche a scapito della effettiva verità biologica, quale in precedenza si esprimeva attraverso una rigorosa applicazione del sistema delle decadenze processuali.

Guida all'approfondimento

- M. Dogliotti, A. Figone, Le azioni di stato, in La nuova famiglia, collana diretta da M. Dogliotti, Giuffrè, 2015

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