Risarcimento del danno endofamiliare nel giudizio di separazione: l'offesa al coniuge su Facebook

Stefano Molfino
23 Giugno 2017

Il procedimento di separazione è il luogo preposto per la domanda risarcitoria del danno non patrimoniale (c.d. danno endofamiliare) nei confronti del coniuge?
Massima

La dichiarazione pubblica della esistenza di un rapporto di fidanzamento con l'amante e la gravità delle offese rivolte al marito anche tramite Facebook – con elezione dello status di “separata” prima dell'instaurazione del procedimento di separazione – sono sufficienti a ritenere lesa la dignità e la reputazione del coniuge, attesa la oggettiva lesività della sfera psico-fisica, per la sofferenza morale e psicologica subita dal medesimo, con conseguente diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c..

Il caso

Tizia, unita in matrimonio quasi ventennale con Caio, chiede la separazione giudiziale con addebito al marito per plurime violazioni dei doveri coniugali ex art. 143 c.c.: violenze fisiche e psichiche, mancata assistenza morale a seguito di un intervento chirurgico e numerosi tradimenti.

Dal matrimonio erano nati due figli, entrambi maggiorenni ed economicamente indipendenti.

Il marito si costituisce contestando ogni addebito e deducendo, al contrario, le gravi violazioni della moglie. Quest'ultima secondo il marito intratteneva una relazione extraconiugale dal 2013 con il sig. Sempronio, che la medesima presentava pubblicamente come il suo fidanzato.

La moglie inoltre aveva parlato del marito a conoscenti e amici definendolo “il verme”, affermando falsamente che aveva tendenze omosessuali; dal maggio 2013 si era rifiutata di avere rapporti sessuali con il marito, il quale aveva scoperto che la stessa intratteneva, proprio dagli inizi del 2013 una relazione sentimentale con un uomo di Castellammare di Stabia, che manifestava pubblicamente.

Oltre alla domanda di separazione giudiziale, l'uomo chiedeva ex art. 709-ter c.p.c. la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale per il comportamento della donna che, secondo quanto allegato dal resistente e non contestato dalla moglie, si mostrava in pubblico in compagnia del suo amante, o incontrava anche sotto casa per poi salire sulla sua auto e presentava come suo fidanzato.

Il Tribunale di Torre Annunziata ritiene la domanda di separazione fondata e meritevole di accoglimento, atteso il venir meno dell'affectio familiare e constatata la crisi coniugale con conseguente esclusione di una verosimile possibilità della ricostruzione di una serena vita coniugale.

Ritiene inoltre non sussistere i presupposti per la declaratoria di addebito a carico dell'uno o dell'altro, per essere emerso, nel corso del giudizio, che i dissapori e le reciproche incomprensioni sono sorte molto tempo prima della proposizione della domanda, e che i comportamenti contrari ai doveri fondanti la solidarietà familiare siano da attribuirsi ad entrambi i coniugi. Non può pertanto attribuirsi efficacia causale a nessuno specifico comportamento dedotto dalle parti; in altre parole, non è dimostrato che la violazione di uno specifico dovere abbia inciso, con efficacia disgregante, sulla vita familiare.

Rigettata la richiesta della moglie di assegnazione della casa, vista la autosufficienza economica dei figli, entrambi maggiorenni, il Tribunale pone a carico del marito l'obbligo di corrispondere alla moglie un assegno di mantenimento mensile ma condanna la donna al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal marito per lesione della dignità e della reputazione.

In motivazione

«Non appare revocabile in dubbio che il comportamento descritto abbia gravemente offeso la dignità e la reputazione del resistente, e non costituisca inoltre mera violazione del dovere di fedeltà tutelato e sanzionato dall'addebito. La connotazione pubblica della relazione adulterina, la dichiarazione pubblica della esistenza di un rapporto di fidanzamento tra la ricorrente ed altro uomo e la gravità delle offese rivoltegli, sono sufficienti per ritenere lesa la dignità e la reputazione di ….».

«Pertanto, attesa la oggettiva lesività della sfera psico-fisica, per la sofferenza morale e psicologica dal resistente subita a causa del comportamento della ricorrente, costei deve essere condannata al pagamento, in favore del ……., della somma di euro 5.000,00, equitativamente liquidata ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., oltre gli ulteriori interessi legali sino al soddisfo».

La questione

La questione in esame è la seguente: è il procedimento di separazione il luogo preposto per la domanda risarcitoria del danno non patrimoniale (c.d. danno endofamiliare) nei confronti del coniuge?

Le soluzioni giuridiche

Il danno non patrimoniale, nella elaborazione concettuale derivante dalle sentenze cosiddette di San Martino della Corte di Cassazione, che ne ha esteso la portata al di là delle ipotesi previste dalla legge come reato, è risarcibile, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., quale conseguenza seria della lesione grave di diritti inviolabili della persona, costituzionalmente tutelati.

Uno dei punti più controversi in tema di danno non patrimoniale e nella specie di danno c.d. endofamiliare è proprio quello della sede adibita alla proposizione della relativa domanda. La giurisprudenza di merito si è inizialmente pronunciata a favore della ammissibilità di tale petitum all'interno dei giudizi di separazione e divorzio, ben potendo ricollegarsi, la pretesa risarcitoria, alla domanda di addebito della separazione, se pur con differenti caratteristiche in tema di onere probatorio.

Per quanto siano condivisibili alcune considerazioni, soprattutto con riferimento al principio di economia processuale, il quesito sulla ammissibilità della domanda risarcitoria nei giudizi separativi trova la sua risposta – negativa – direttamente nel dato normativo.

Posto che l'art. 40 c.p.c. consente il cumulo nello stesso processo di domande soggette a riti diversi esclusivamente in presenza di ipotesi qualificate di connessione "per subordinazione" o "forte", la Corte di Cassazione, è intervenuta (Cass. civ., sez. I, sent. 8 settembre 2014, n. 18870) sul possibile comulo della domanda di separazione personale, soggetta a rito speciale (art. 709-bis ss. c.c.) con quella di risarcimento del danno, soggetta a rito ordinario; I Giudici di Legittimità hanno chiarito come, la connessione tra la domanda di risarcimento danni e quella di separazione personale con addebito sia riconducibile alla previsione dell'art. 33 c.p.c. - trattandosi di cause tra le stesse parti e connesse solo parzialmente per causa petendi -, rimanendo pertanto esclusa una ipotesi di connessione "forte".

La stessa Corte tuttavia non ha mancato di sottolineare che la mancanza di una ragione di connessione idonea a consentire, ai sensi dell'art. 40, comma 3, c.p.c., la trattazione unitaria delle cause, può essere eccepita dalle parti o rilevata dal giudice non oltre la prima udienza, in analogia a quanto disposto dal medesimo art. 40, comma 2 (v. Cass., sent. n. 9915/2007).

Nel caso giunto dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, la difesa della donna non ha eccepito alcunchè in merito alla non cumulabilità della domanda risarcitoria con quella di separazione giudiziale con addebito e il Giudice, nella fase presidenziale, non ne ha rilevato la inammissibilità.

Il Tribunale di Torre Annunziata ribadisce l'orientamento corrente sulla rilevanza dei comportamenti lesivi dei diritti fondamentali della persona, anche nella famiglia e al di là delle misure tipiche del diritto familiare. Il tutto svincolando la pronuncia di addebito – nella fattispecie negata a entrambi i coniugi – da quella di risarcimento del danno, a conferma di un indirizzo che vuole le due azioni e, in generale, le due domande, indipendenti ed autonome, sì che non vi è alcuna pregiudizialità tra addebito e risarcimento del danno endofamiliare (cfr. Cass. civ., sez. I, n. 18853/2011).

Passaggio particolare è quello che compie il Tribunale riqualificando la domanda di risarcimento posta dal resistente ex art. 709-ter c.p.c., come richiesta di risarcimento danni proposta ai sensi dell'art. 2043 c.c., sulla scorta del potere/dovere di qualificazione della domanda del giudice, ex art. 99 c.p.c. (Cass. civ.n. 26159/2014; Cass. civ. n. 116/2016).

Il resistente aveva impropriamente chiesto il risarcimento del danno ex art. 709-ter c.p.c., il quale, come noto, è strumento deputato alla soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento. Esso prevede, fra l'altro, che il Giudice possa disporre il risarcimento del danno a favore del minore o dell'altro genitore solo in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento.

Non è escluso il ricorso a tale istituto per la richiesta di risarcimento del danno a seguito della violazione di doveri familiari relativi ai rapporti genitori – figli, cui la giuriprudenza attribuisce per lo più funzione sanzionatoria che compensativa, mentre non è dato intravedere alcuna possibile applicazione per quanto concerne il risarcimento del danno c.d. endofamiliare a seguito di violazione di doveri coniugali.

Il Tribunale ha fatto applicazione del principio per cui il giudice del merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, invece, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, così come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante.

Pertanto, a fronte delle deduzioni e allegazioni offerte dal ricorrente, ha rilevato all'esito dell'istruttoria la configurabilità di un illecito, nello specifico per l'offesa alla dignità ed onore derivante dalla infedeltà del coniuge a seguito delle affermazioni lesive della dignità e della reputazione del marito.

Quanto infine alla prova della lesione dei diritti costituzionalmente protetti del coniuge, l'offesa consistita nell'aver la moglie cambiato il proprio status sul proprio profilo Facebook è stata considerata come rilevante, quale comportamento che, oltrepassando i limiti dell'offesa di per sè insita nella violazione dell'obbligo di fedeltà, si è concretizzato in un atto specificamente lesivo della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto (in tal senso, Cass. civ., n. 18853/2011).

Osservazioni

La giurisprudenza si è ormai consolidata nel ritenere che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio non debba ricevere la propria sanzione esclusivamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, in nome di una presunta specificità, completezza ed autosufficienza di tale branca del diritto.

Ciò premesso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata si inserisce nel solco di quella giurisprudenza di merito favorevole alla ammissibilità del risarcimento del danno endofamiliare nei procedimenti separativi, senza necessità di ulteriore e autonomo ricorso al giudice ordinario per l'accertamento della illiceità del comportamento coniugale quale fatto generatore di responsabilità aquiliana.

Da segnalare come il comportamento on-line del coniuge sia sempre più oggetto di attenzione da parte del giudice della separazione e del divorzio; la giurisprudenza si mostra sensibile alla valutazione delle condotte virtuali dei coniugi non solo in violazione ai doveri coniugali ex art. 143 c.c. ma anche con riferimento alla possibile lesione di diritti e interessi costituzionalmente tutelati del partner.

Sul punto si sottolinea che l'utilizzo del strumento informatico con cui viene perpetrata la lesione del diritto costituzionale del coniuge deve essere considerato nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato «a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorchè non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa» (Cass. pen., sez. I, sent., 8 giugno 2015, n. 24431).

Resta inteso che la parte interessata a far valere in sede di separazione o divorzio il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale dovrà assolvere ad un onere probatorio differente rispetto all'addebito: in quest'ultimo caso il coniuge dovrà provare che la violazione dei doveri coniugali ha determinato con efficacia causale la intollerabilità della prosecuzione della convivenza familiare, mentre, qualora dovesse chiedersi il risarcimento dei danni la parte istante dovrà dimostrare, anche sotto il profilo del nesso di causalità, che tale condotta, per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione di suoi diritti costituzionalmente protetti.