Giudicato civile e Corte EDU ancora sul caso Zhou
14 Agosto 2017
Massima
La mancata previsione, nella disciplina del codice di rito civile (artt. 395 e 396 c.p.c.), della revocazione della sentenza quando è necessario uniformarsi a decisioni vincolanti della CEDU costituisce questione di costituzionalità per contrasto con l'art. 117 Cost.; la questione è non manifestamente infondata ed è rilevante in relazione all'esecuzione della sentenza Zhou contro Italia (21 gennaio 2014) in tema di adozione senza interruzione di rapporti con la famiglia d'origine. Il caso
Il Tribunale minorile di Venezia dichiarava lo stato di adottabilità del minore Z. sul presupposto che non si conoscesse il padre e che la madre fosse carente nell'accudimento. La madre proponeva appello sia contestando lo stato di abbandono, sia lamentando che il primo giudice non avesse valutato la possibilità di un'adozione ex art. 44,l. n. 184/1983, che avrebbe consentito il mantenimento di rapporti. La Corte d'appello rigettava l'impugnazione e la richiesta conforme del curatore speciale per la pronuncia di un'adozione “mite” o “aperta”, affermando che esisteva un vuoto nell'ordinamento italiano. La Corte si dichiarava non favorevole ad un'interpretazione estensiva dell'ipotesi di cui alla lettera d) dell'art. 44, l. n. 184/1983 (impossibilità di affidamento preadottivo), attraverso la quale altri tribunali per i minorenni avevano pronunciato adozione senza interruzione di rapporti con la famiglia d'origine (per tutti si veda Trib min. Bari 7 maggio 2008, in Fam. e dir., n. 4/2009, 393 ss). La madre ricorreva alla Corte EDU, che accoglieva il ricorso accertando una violazione da parte dello Stato italiano del diritto al rispetto della vita familiare di cui all'art. 8 CEDU. La Corte , in particolare, stabiliva: 1) che le Autorità Nazionali prima di decidere di sopprimere il legame di filiazione materna non avevano preso tutti provvedimenti necessari e ragionevolmente esigibili, affinché il minore potesse condurre una vita familiare normale in seno alla famiglia di origine. 2) che, non sussistendo nel caso di specie un conclamato stato di abbandono, una volta optato comunque per l'adozione, l'A.G. avrebbe dovuto pronunciarla nella forma dell'adozione semplice, come richiesto dalla ricorrente. La sentenza CEDU diventava definitiva il 2 giugno 2014 a seguito del rigetto della richiesta di rinvio del caso in Grande Camera, presentata dal Governo ex art. 43 CEDU. A seguito di questo iter la signora Z. proponeva ricorso alla Corte d'appello di Venezia, il giudice che aveva confermato la dichiarazione di adottabilità, chiedendo di ammettere la revocazione ex art. 395 c.p.c. della sentenza. La questione
La pronuncia in esame affronta due questioni: 1) se sia ammissibile la revocazione delle sentenze civili a seguito di pronunce della Corte EDU; 2) se, nel caso di specie, sia necessario riesaminare il merito della controversia. Le soluzioni giuridiche
Come noto, le pronunce della Corte EDU sono vincolanti ed impongono allo Stato condannato non solo la prestazione risarcitoria, ma l'adozione di tutte le misure necessarie alla reintegrazione nel godimento del diritto violato, ai sensi dell'art. 46 CEDU. L'obbligo di conformarsi alle decisioni della Corte impone certamente anche l'eventualità di dover rivedere gli effetti di decisioni dichiarate illegittime dalla Corte stessa. L'ordinamento italiano, però, non prevede tra le ipotesi in cui può aver luogo la revocazione delle sentenze, quella della sopravvenienza del giudicato di una pronuncia della CEDU. Si tratta della stessa lacuna che nel processo penale è stata colmata con la sentenza della Corte Cost. n. 113/2011, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva tra le ipotesi di revisione della sentenza, quella della necessità di riapertura del processo per conformarsi a decisioni della CEDU. La Corte d'appello di Venezia ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, aprendo la strada ad un allineamento del sistema della giustizia civile, come già è avvenuto per quella penale, al vincolo sovranazionale contratto con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, definita dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. nn. 348 e 349/2007) un sistema di norme interposte, di rango sub costituzionale, ma superiore a quello della legge ordinaria, alla luce dell'art. 117 Cost.. Secondo la ricostruzione della Consulta, la norma nazionale incompatibile con la norma CEDU, che è fonte di obblighi internazionali ai sensi dell'art. 117 Cost., viola proprio tale ultimo parametro costituzionale, che consente «un rinvio mobile, di volta in volta, alla norma convenzionale conferente» (Corte Cost. n. 349/2007, par 6.2). Nel caso in esame vi è un'incompatibilità del sistema processuale, che non prevede la possibilità di sottoporre a riesame le decisione che la CEDU ha accertato essere fonte di violazione di norme convenzionali. In ordine alla seconda questione, va evidenziato come, a seguito della pronuncia di adottabilità, con l'interruzione dei rapporti parentali, è stata pronunciata l'adozione del minore. Alla dichiarazione di adottabilità fa seguito, dopo l'affidamento preadottivo, l'adozione piena con l'interruzione di rapporti con i genitori biologici, tranne che nell'ipotesi in cui risulti impossibile l'affidamento preadottivo contemplata, come si è ricordato, dall'art. 44, l.n. 184/1983, lettera d), allo scopo di consentire l'accesso ad una forma di adozione che ha gli stessi effetti di quella dei maggiorenni: non interrompe i legami con la famiglia d'origine. La Corte d'appello di Venezia, nel giudizio sulla dichiarazione di adottabilità, aveva affermato: a) la sussistenza del presupposto di cui all'art. 15, l. n. 184/1983, per la dichiarazione di adottabilità; b) la non adesione all'indirizzo giurisprudenziale che dava un'interpretazione estensiva dell'art. 44, lettera d), e considerava in modo ampio il concetto di impossibilità di affidamento preadottivo, intendendo tale impossibilità non solo in senso oggettivo ma anche soggettivo. Osservazioni
Un prima osservazione riguarda i rapporti tra la Corte EDU ed il giudice italiano; infatti la sentenza in esame rimanda alla Corte Costituzionale un altro nodo importante del tema del rapporto tra le sentenze CEDU e la giustizia interna. Sono note le resistenze di tipo autarchico della Consulta, nei confronti della giurisprudenza CEDU; la tendenza è ancora quella di guardare alla Costituzione come un sistema chiuso e al più alto grado di un sistema verticale, piuttosto che interconnesso con altre carte fondamentali. In dottrina (A. Ruggeri, Salvaguardia dei diritti fondamentali ed equilibri istituzionali in un ordinamento “intercostituzionale”, in www.rivistaaic.it, 4/2013, 8 novembre 2013) si guarda invece alla Costituzione come un sistema aperto che si integra con le altre Carte in un sistema di sistemi definito come intercostituzionale. Esiste un dialogo tra Carte, che si integrano nell'interpretazione, e deve esistere un dialogo tra Corti competenti a dare di quelle Carte applicazione. Il riferimento è sia alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea sia alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo, ma anche alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ed alla Corte EDU. In questa prospettiva gli artt. 11 e 117 Cost. sono le “porte” attraverso cui la Carta Costituzionale si apre all'integrazione con le altre Carte e con le grandi legislazioni internazionali per una reciproca e rigenerante integrazione finalizzata alla più elevata tutela dei diritti fondamentali. La seconda osservazione è relativa all'istituto dell'adozione; in particolare al tema della interruzione dei rapporti, che insieme alla segretezza sulle origini, caratterizzano l'adozione piena nei termini di una nuova nascita. L'adozione piena è centrale nel sistema, ammettendosi solo nei casi particolari di cui all'art. 44, l. n. 184/1983, una forma di accoglienza stabile di un minore che non ponga cesure rispetto alla famiglia biologica. Come è noto è partita dalla CEDU anche la spinta alla revisione del regime della segretezza; con la sentenza Godelli c. Italia (2012) la CEDU ha condannato il nostro Paese per violazione del diritto a conoscere le origini, che attiene al diritto all'identità personale, che a sua volta si iscrive nel diritto alla vita privata di cui all'art. 8 CEDU. La violazione derivava dalla assoluta prevalenza del diritto al segreto sull'identità della madre che non aveva voluto essere nominata al momento del parto, segreto che prevaleva sul diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Nonostante la sentenza Godelli e la successiva pronuncia della Corte Cost. n. 278/2013 che dichiarava l'illegittimità dell'art. 28, l. n. 184/1983 (affidamento ed adozione) nella parte in cui non prevedeva la possibilità di nuovo interpello della madre su richiesta del figlio che chiedeva di conoscere le proprie origini, molti Tribunali per i minorenni hanno continuato a rigettare le richieste di accesso alle origini in caso di madri che avevano scelto l'anonimato, sul presupposto che il legislatore non ha provveduto a dettare regole per il relativo procedimento. Come è noto il contrasto è giunto con la pronuncia Cass., S.U., 25 gennaio 2010, n. 1946 che ha ribadito l'efficacia auto applicativa della sentenza additiva della Corte Costituzionale. Ora il modello dell'adozione piena intesa come nuova nascita, viene nuovamente posto in discussione: dalla mutata realtà sociale derivano nuove domande di giustizia. Se in passato le prevalenti situazioni di abbandono erano di neonati, oggi sono tantissimi i minori che hanno un età che ha consentito loto di sviluppare relazioni significative con i genitori, pur se questi mostrano grave inidoneità al ruolo; e per questi minori l'interruzione dei rapporti sarebbe fonte di pregiudizio. Il diritto alla vita familiare, espressione specifica contenuta all'art. 8 CEDU di uno dei diritti inviolabili dell'individuo riconosciuti all'art. 2 Cost., impone di abbandonare l'idea che l'interesse del minore sia quello di avere una famiglia ideale o anche solo migliore ed impone quindi: a) di interpretare in modo rigoroso e non estensivo il concetto di abbandono quale presupposto per l'adottabilità; b) di prevedere che si possa dare luogo ad un'adozione in cui pienezza e stabilità dell'accoglienza si accompagnino a flessibilità ed apertura verso le relazioni e gli affetti del minore, sia riguardo alla sua storia che al suo presente. Un'ulteriore tappa di questo percorso è la legge n. 173/2015, cosiddetta «sulla continuità affettiva», che impone al giudice che deve pronunciare l'adozione di privilegiare nella scelta dei genitori adottivi, la coppia affidataria, sempre se abbia i requisiti di cui all'art. 6 l. n. 184/1983. Se, come appare prevedibile, la questione di legittimità costituzionale sarà accolta, con conseguente instaurazione del procedimento di revocazione della sentenza di adottabilità, si proseguirà nella strada della revisione dell'istituto adottivo in direzione di una maggiore tutela del diritto fondamentale della persona (anche minorenne) alle proprie relazioni affettive. |