Assegno di mantenimento per il coniuge

04 Giugno 2015

L'assegno di mantenimento dovuto al coniuge in caso di separazione è considerata la proiezione degli obblighi di mantenimento reciproci derivanti dal matrimonio (art. 143 c.c.) nonché estrinsecazione del generale dovere di assistenza materiale, che permane anche dopo la cessazione della convivenza.
Inquadramento

L'assegno di mantenimento dovuto al coniuge in caso di separazione è considerata la proiezione degli obblighi di mantenimento reciproci derivanti dal matrimonio (art. 143 c.c.) nonché estrinsecazione del generale dovere di assistenza materiale, che permane anche dopo la cessazione della convivenza: la separazione, infatti, instaura un regime che tende a conservare quanto più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, con il tipo di vita di ciascuno dei coniugi (Cass. civ. sez. I, 20 febbraio 2013, n.4178, cfr. anche Cass. Civ. Sez I, 16 maggio 2017, n. 12196).

Ai sensi dell'art. 156 c.c., dunque, il giudice, per stabilire se e in quale misura sia dovuto il contributo per il coniuge, deve compiere una serie di passaggi consequenziali:

a) verificare la non addebitabilità della separazione al richiedente;

b) valutare il tenore di vita in costanza di convivenza, che costituisce il parametro per l'inadeguatezza dei redditi del richiedente;

c) accertare, comparativamente, le disponibilità economiche delle parti;

d) valutare le altre circostanze che, ex art. 156 comma 2 c.c., ai fini della quantificazione in concreto dell'importo mensile dovuto.

Si tratta di una serie di operazioni, certamente non solo aritmetiche, di per sé difficili ma rese ancora più complesse dai numerosi mutamenti della realtà sociale (aumento dei coniugi che ricostituiscono un nuovo nucleo familiare; persistenza della capacità lavorativa differenziata in base al sesso; aumento del numero delle convivenze more uxorio; maggior intervento delle famiglie di origine) che impongono all'operatore un'attenta valutazione complessiva e al contempo analitica di tutti i fattori che possono portare all'imposizione di un contributo al mantenimento da un coniuge all'altro.

La non addebitabilità della separazione

L'assegno di mantenimento spetta solo al coniuge cui la separazione non sia addebitata: l'avvenuto accertamento della responsabilità individuale della frattura coniugale esclude in radice qualsiasi imposizione di un assegno di mantenimento, permanendo, nel caso, spazi solo per il riconoscimento di un assegno alimentare.

Come noto, ai fini della declaratoria di addebito non è sufficiente la, pur conclamata, violazione dei doveri coniugali (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 6 agosto 2020, n. 16739; Cass. civ. 10 febbraio 2015, n. 2576) essendo invece necessario che da detta violazione sia conseguita l'impossibilità di prosecuzione della convivenza (nesso di causalità; Cass. Civ. Sez. I, 5 agosto 2020, n. 16691; Cass. Civ. 30 ottobre 2019, n. 27777; contra in materia di violenza domestica Cass. Civ. Sez. I 10 dicembre 2018) secondo una valutazione non atomistica ma complessiva dei comportamenti di entrambi i coniugi (Cass. civ., 23 marzo 2005, n. 6276; Trib. Catania, sez. I, 12 giugno 2020, n. 2025; Trib. Brescia, 4 novembre 2017). In caso di addebito al coniuge separato, che abbia richiesto il contributo ex art. 156 c.c., potrà essere riconosciuto un assegno esclusivamente alimentare anche in mancanza di espressa domanda in tale senso (Cass. Civ. Sez VI 21 novembre 2017, n. 27695).

La mancanza di redditi adeguati

L'assegno spetta al coniuge che non solo non è responsabile della frattura coniugale ma che non possiede “redditi adeguati

L'art. 156 c.c. non fornisce alcuna specificazione del concetto ma la giurisprudenza, ormai consolidata, ha precisato che l'inadeguatezza debba essere parametrata al tenore di vita matrimoniale (Cass. Civ. Sez. VI, 4 dicembre 2017, n. 28938; Cass. Civ. Sez VI, n. 1° marzo 2017, n. 5251).

Il contributo, dunque, spetta al coniuge che con le proprie risorse complessivamente intese (Cass. civ., sez. VI, 4 aprile 2016, n. 6427), dichiarate e non dichiarate fiscalmente (Cass. civ., 2 novembre 2004, n. 21047; Trib. Cagliari, 7 febbraio 2012), non può continuare a godere del pregresso train de vie familiare (Cass. civ.,7 luglio 2008, n. 18613; Trib. Milano, 21 novembre 2013).

Il contributo al mantenimento del coniuge non presuppone, dunque, uno “stato di bisogno”, inteso come impossibilità di provvedere in via autonoma al soddisfacimento delle basilari e minime esigenze di vita (Cass. civ., sez. I, 27 giugno 2007, n. 5762), rilevando, semmai, solo l'apprezzabile deterioramento delle sue condizioni economiche rispetto a quelle su cui egli poteva contare in costanza di matrimonio (ex plurimis App. Roma, 16 gennaio 2008, n. 160).

Ancorché la norma parli solo dei redditi, è evidente che la valutazione della posizione economica del richiedente dovrà ricomprendere anche l'eventuale patrimonio, nella misura in cui sia suscettibile di permettergli di mantenersi in via autonoma. Pochi problemi si pongono con riferimento agli eventuali investimenti mobiliari (risparmi, conti o dossier titoli, polizze assicurative immediatamente liquidabili, azioni) quantomeno con riferimento agli eventuali frutti (interessi, cedole, utili) che questi producono e ciò al di là della loro evidenza fiscale. Più composito l'orientamento nei confronti del patrimonio immobiliare: a fronte di un risalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, in base al quale l'assegno di mantenimento può essere concesso al coniuge titolare di un patrimonio immobiliare, senza che il richiedente debba essere costretto alla vendita dello stesso (Cass. civ., 12 aprile 2001, n.5492), si riscontrano nella prassi numerose decisioni di segno contrario.

Nella prima fase (relativa all'accertamento dell'an dell'assegno) non incidono né la mancanza di convivenza (Cass.civ.,22settembre2011,n. 19349, contra Cass. Civ. Sez VI 10 gennaio 2018, n. 402) né la breve durata del matrimonio (Cass. Civ. Sez. I, 18 gennaio 2017, n. 1162), essendo questi elementi da valutare nella fase successiva di determinazione del quantum dell'assegno (Cass.civ.,20giugno2013,n.15486; Cass.civ.,16dicembre 2004, n. 23378; Cass. civ., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass. civ., 22 ottobre 2004, n. 20638).

Il tenore di vita

Entra in gioco sotto un duplice profilo: come parametro per valutare l'inadeguatezza dei redditi del richiedente l'assegno e come finalità dell'assegno (Cass. Civ. 15 gennaio 2018, n. 770; Cass. Civ. 12 gennaio 2017, n. 605)

Sotto il primo profilo non è necessario provare in maniera analitica il tenore di vita pregresso, essendo questo desumibile “dalle potenzialità economiche dei coniugi durante la vita matrimoniale, quale elemento condizionante la qualità delle esigenza e l'entità delle aspettative del richiedente” (Cass.civ.,ord.,10giugno 2014,n.13026; Cass.civ.,12settembre2011,n.18618; App. Roma, 7 luglio 2010; Trib. Aosta, 4 marzo

2010; App. Roma, 20 maggio 2009; contra Cass. civ., 13 dicembre 2012, n. 22949; Trib. Napoli, sez. I, 31 ottobre 2013), non rilevando che, prima della separazione, il coniuge richiedente abbia tollerato, subito o - comunque - accettato un tenore di vita più modesto (Cass. civ., 25 agosto 2006, n. 18547).

Sotto il secondo profilo, la giurisprudenza ha chiarito che l'assegno deve garantire al percipiente il mantenimento del pregresso tenore di vita, comprensivo di tutte le attività inerenti allo sviluppo della persona, comprese quelle di svago o sociali (Cass. Civ. Sez. I 16 maggio 2017, n. 12196; Cass. civ., 7 luglio 2008, n. 18613), tenendo conto del contesto sociale in cui i coniugi hanno vissuto (Cass. civ., 23 ottobre 2012, n. 18175) e comprensivo di quei miglioramenti connessi agli sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta in costanza di convivenza (Cass.civ.,10giugno 2014, n.13026).

Pur tuttavia, nella determinazione del contributo ex art. 156 c.c., si deve tener conto dell'impatto che l'onere di contribuzione ha nei confronti del soggetto obbligato (Cass. civ., ord., 10 giugno 2014, n. 13026), giacché

«la separazione determina un impatto sulla macroeconomia domestica familiare con l'effetto di un diverso declinarsi delle due vite da single, in due microeconomie personali e non potrà consentire tutte quelle sinergie di risparmi prima possibili» (Trib. Varese, 4 gennaio 2012; vedi anche Cass. civ., 28 aprile 2006, n. 9878, Trib. Milano, 14 dicembre 2020). L'obiettivo del mantenimento dell'identico tenore di vita sarà possibile solo ove le sostanze dell'obbligato permettano allo stesso, dopo aver pagato l'assegno di mantenimento, di godere degli agi di cui fruiva precedentemente; diversamente (e, dunque, nella maggioranza dei casi), l'assegno deve puntare al mantenimento, a favore dell'avente diritto, solo “tendenziale” del pregresso train de vie con la conseguenza che il giudice, nella determinazione numerica dell'importo, dovrà ricercare un attento punto di equilibrio tra le parti, in modo da permettere a entrambi stili di vita omogenei, senza creare sperequazioni tra l'un coniuge e l'altro (il ché, di converso, non significa che il giudice debba semplicemente dividere le risorse complessive della famiglia in due).

La questione dell'assegno di separazione non sembra essere stata scalfita dall'intervento delle Sezioni Unite in materia di assegno divorzile (Cass. SS.UU. luglio 2018, n. 18287): la giurisprudenza ha infatti ribadito che il tenore di vita continua a fungere da parametro di riferimento per l'assegno di separazione, a differenza del contributo ex art. 5 l. 898/70: il primo infatti presuppone il vincolo matrimoniale, il secondo il suo definitivo venire meno (Cass.28 febbraio 2020, n. 5605; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5605; Cass. 26 giugno 2019, n. 17098; Cass. 15 gennaio 2018 n. 770; App. Roma 14 settembre 2020; App. Venezia, 9 aprile 2020; App. Milano, 2 marzo 2020; App. Torino, 31 luglio 2019; Trib. Vicenza 20 febbraio 2020; Trib. Monza, 13 febbraio 2020, Trib. Ragusa 5 febbraio 2020; contra Cass. 19 giugno 2019, n. 16405)

La convivenza more uxorio

Dal punto di vista normativo, solo la contrazione di nuove nozze determina l'estinzione del diritto a percepire l'assegno di divorzio (art. 5 l. n. 898/1970). Nulla, invece, il legislatore ha previsto per le eventuali convivenze more uxorio iniziate dall'avente diritto al contributo ex art. 156 c.c.

La giurisprudenza, nel silenzio della legge ha compiuto un lungo percorso teso ad armonizzare il dettato legislativo alla nuova realtà sociale. Inizialmente si è ritenuto che la successiva convivenza non escludesse, di per sé, l'assegno, ma che dovesse, tutt'al più, essere valutata sotto il profilo delle capacità economiche dell'avente diritto (Cass. civ., sez. I, 20 novembre 1985, n. 5717; Cass. civ., sez. I, 9 settembre 1992, n. 13060; Cass. civ., sez. I, 9 aprile 2003, n. 5560; Cass. civ., sez. I,8 ottobre 2008, n. 24858; Cass. civ., sez. I, 28 giugno 2007, n. 14921; Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2011, n. 22337) potendo portare a un ridimensionamento dell'assegno solo ove fosse provato che, dal rapporto di fatto, il coniuge percipiente riceveva delle utilità economiche (Cass. civ., sez. I, 30 gennaio 2009, n. 2417; Cass. civ., sez. I, 12 marzo 2012, n. 3923). Dopodiché si è fatta strada la teoria che l'instaurazione della convivenza ponesse l'assegno di mantenimento di separazione in una fase di quiescenza, (Cass. civ., sez. I, 11 agosto 2011, n. 17195; Cass.civ., sez. VI, 26 febbraio 2014, n. 4539).

Nel 2015 è avvenuta la svolta della Suprema Corte: l'instaurazione di un rapporto more uxorio, determina l'estinzione del diritto all'assegno divorzile senza alcuna possibile riviviscenza (Cass.civ., sez. I, 3 aprile 2015, n. 6855; Cass. civ., sez. I, 9 settembre 2015, n. 17856; Cass. civ., sez. VI, 11 gennaio 2016, n. 225; Cass.civ., sez. VI, 29 settembre 2016, n. 19345; Cass. civ., sez. VI, 13 dicembre 2016, n. 25528; Cass. civ., sez. VI, 5 febbraio 2018, n. 2732). I principi elaborati per l'assegno di divorzio sono stati estesi all'assegno di separazione (Cass. Civ. Sez. I 19 dicembre 2018, n. 32871; Cass. Civ. Sez I, 27 giugno 2018, n. 16982) Alcune decisioni di merito, poi, si sono spinte oltre, assumendo che anche la costituzione di una “famiglia di fatto” caratterizzata da coabitazione non costante o non continua determina il venire meno del diritto all'assegno (cfr. Trib. Alessandria, 17 agosto 2017 Trib. Ancona, 21 maggio 2018, (Revocato l'assegno divorzile anche se la nuova relazione dell'ex coniuge è un mero legame di fatto, in ilFamiliarista.it); Trib. La Spezia, 1° giugno 2016; Trib. Milano, 30 gennaio 2018); tale interpretazione sembra aver avuto un avallo dalla Suprema Corte (Cass. Civ. 16 ottobre 2020, n. 22604, seppure in materia di assegno divorzile).

La valutazione comparativa delle posizioni economiche delle parti

Una volta stabilito che il coniuge non è responsabile della frattura coniugale e che non ha redditi sufficienti a fargli mantenere un tenore di vita analogo (ma non necessariamente identico) a quello goduto in costanza di convivenza, il giudice procede alla valutazione comparativa dei mezzi a disposizione di ciascun coniuge e delle altre circostanze In questa analisi entrano in gioco tutti i fattori di carattere economico o suscettibili di valutazione economica (Cass. Civ. Sez. VI, 24 giugno 2019, n. 16809; Cass, civ. Sez VI, 15 febbraio 2018, n.3709): reddito al netto della fiscalità (Cass. Sez VI, 31 maggio 2018, n. 13954) e patrimonio. All'esito di tale valutazione complessiva, se sussiste sproporzione tra le parti, il giudice procederà alla determinazione dell'assegno, diversamente no. Ciò significa che:

a) potrebbe realizzarsi l'ipotesi in cui il coniuge richiedente, con i propri redditi, non possa garantirsi il pregresso tenore di vita, ma che non sussista alcuna sperequazione tale da imporre un assegno di mantenimento al coniuge solo lievemente “più ricco dell'altro”;

b) viceversa, l'assegno può essere riconosciuto anche al coniuge “ricco” ma che, ciò nonostante, non sia in grado di mantenere, con le proprie sostanze il pregresso tenore di vita, garantito dall'altro coniuge, avente disponibilità maggiori del richiedente (Cass. civ., 4 febbraio 2011, n.2747).

Nell'accertamento delle capacità delle parti, il giudice non è vincolato alle risultanze dei modelli fiscali, che sono semplici dichiarazioni unilaterali di parte, (Cass. civ., 22 agosto 2006, n. 18239; Cass. civ., 24 aprile 2007, n. 9915; App. 19 gennaio 2005, Trib. Monza, sent., n. 2259/2004) soprattutto quando l'ammontare delle spese sostenute supera il reddito netto risultante dalle dichiarazioni (Trib. Milano, sent., 19 marzo 2014).

Le altre circostanze

Il secondo comma dell'art. 156 c.c. è stato correttamente interpretato nel senso che il giudice, nella fase di quantificazione dell'assegno, tiene conto di tutte le circostanze non indicate specificatamente, né determinabili a priori, consistenti in quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'obbligato, che incidano sulle condizioni delle parti (Cass. civ., ord., 13 giugno 2014, n. 13423; Cass. civ., 11 luglio 2013, n. 17199; App. Roma 3 dicembre 2013).

In quest'ottica sono elementi di valutazione, che possono fungere ovviamente anche da fattore di diminuzione dell'assegno di mantenimento:

a) la nascita di nuovi figli in capo all'obbligato all'assegno, nella misura in cui la nascita abbia inciso significativamente sulle sue capacità di spesa (Cass. civ., 15 ottobre 2014, n. 21878; Trib. Milano 14 gennaio 2015). Ovviamente si deve rifuggire da ogni sorta di automatismo (nascita nuovi figli= riduzione assegno) bensì verificare (Cass. civ., 12 ottobre 2006, n. 21919) se, anche dopo l'assolvimento degli oneri economici per i nuovi figli permangano o meno degli spazi “economici” per l'assegno di mantenimento a favore del coniuge della “prima famiglia”. Viceversa, l'instaurazione di una nuova convivenza (non allietata dalla prole) non dovrebbe incidere sulla determinazione del contributo ex art. 156 c.c., trattandosi di una scelta volontaria non assistita, al momento, da alcun obbligo di mantenimento del partner;

b) l'assegnazione della casa coniugale ex art. 337-quater c.c. (Cass. civ., 17 aprile 2009, n. 9310); ancorché funzionale esclusivamente all'interesse dei figli, il vincolo impresso al proprietario provoca una netta contrazione delle uscite a favore dell'assegnatario e un correlativo aumento delle spese per il coniuge che deve rilasciare la precedente dimora (considerato che egli dovrà reperire una nuova casa per sé e per ospitare i figli);

c) l'eventuale esposizione debitoria delle parti, tenendo presente che possono incidere quelle forme di indebitamento fatte nell'interesse della famiglia (p.e.: mutuo per l'acquisto della casa coniugale; finanziamenti per l'acquisto dei mobili) o in vista della separazione per il sostentamento di ciascuno dei coniugi e/o dei figli;

d) le attribuzioni fatte dagli ascendenti dell'obbligato in costanza di convivenza, se protratti con una certa regolarità e continuità (Cass. 10 giugno 2014, n.13026);

e) l'impatto fiscale sugli assegni; come noto il contributo ex art. 156 c.c. è sottoposto a tassazione (costituendo reddito per il percipiente) ed è onere deducibile per l'obbligato (dunque per costui avrà un costo reale pari all'importo versato detratto il risparmio di imposta). Si osserva che tale elemento non viene quasi mai considerato nelle decisioni di merito il ché rischia di provocare profonde ingiustizie (si pensi ad esempio a assegni di mantenimento che scontano un'aliquota media di circa il 30%).

Segue: la capacità lavorativa delle parti

Nel determinare se e in quale misura sia dovuto l'assegno di separazione si deve tenere conto dell'attitudine al lavoro proficuo delle parti e in specie del richiedente l'assegno, quale potenziale capacità di guadagno, da valutarsi “in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche a capacità lavorativa del richiedente” (ex plurimis Cass. Civ., sez. VI, 9 marzo 2018, n. 5817; Cass. Civ. Sez. VI, 4 dicembre 2017 n. 28938; Cass. Civ. Sez VI 20 luglio 2017, n. 17971; cfr. anche Cass. Civ. Sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 25781).

La giurisprudenza ha chiarito che il semplice stato di disoccupazione del richiedente non è sufficiente a fondare la domanda di assegno di mantenimento (Cass. civ., sez. VI, ord. 04 aprile 2016, n. 6427; Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2013, n. 4178; Cass. civ., sez. I, 25 agosto 2006, n. 18547 contra Cass. civ., 21 novembre 2008, n. 27775; Cass. civ., 13 febbraio 2013, n. 3502) giacché il giudice dovrà indagare sia sulle ragioni della mancanza di attività lavorativa da parte del richiedente l'assegno, sia sulla sua possibilità di collocazione o ricollocazione professionale.

Nell'ipotesi in cui l'inoccupazione del richiedente costituisca proiezione di una scelta comune fatta in costanza di convivenza ex art. 144 c.c. (ad esempio perché si è comunemente deciso che uno di essi si dedicasse alla cura dei figli) l'efficacia di detto accordo permane anche dopo la separazione, con la conseguenza che il coniuge titolare dei redditi sarà tenuto al mantenimento dell'altro, se sussistenti anche gli altri requisiti di cui all'art.156 c.c. (Cass. civ., 19 marzo 2004; Cass.civ.,25 agosto2006,n.18547; Cass. civ., 9 giugno 2008, n.15221).

Tale principio ovviamente dovrà essere contemperato anche con altri elementi, quali la collocazione professionale antecedente, le motivazioni sottese alla decisione di non lavorare e la possibilità di ricollocarsi professionalmente, l'età della richiedente, la situazione attuale dei figli (se necessitino o meno ancora di cure continue e attenzione), l'analisi del mercato del lavoro e anche la durata della convivenza.

In tutte le altre ipotesi, il giudice potrà negare, anche al coniuge disoccupato, l'assegno di mantenimento se e in quanto risulti accertata una sua reale possibilità (anche non colta) di ricollocazione proficua sul mercato del lavoro non in termini di mere valutazioni ipotetiche o astratte ma di effettiva possibilità di svolgimento

di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale o ambientale

Sotto il profilo probatorio, è onere del richiedente allegare e provare di avere posto in essere tutte le iniziative per reperire un'occupazione lavorativa confacente alle sue attitudini (Cass. Civ. 20 marzo 2018, n. 6886; Trib. Monza 13 febbraio 2020, n. 340; contra Cass.civ., 30marzo 2009,n.7614).

Ovviamente lo stato di occupazione lavorativa e, a maggior ragione, il giudizio positivo sulla capacità professionale - non sono di per sé sufficienti a escludere automaticamente il diritto all'assegno in tutte quelle ipotesi in cui il reddito da lavoro, oppure il reddito che potrebbe essere prodotto dal richiedente l'assegno nell'ipotesi in cui lavorasse, non sia sufficiente a garantire un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di convivenza (Cass. civ. 5 novembre 2013, n. 13760).

Aspetti processuali

La domanda ex art. 156 c.c. può essere proposta, all'interno del ricorso per separazione giudiziale, con la memoria difensiva nella fase presidenziale, con la memoria integrativa o la comparsa di costituzione di cui all'art. 709 comma 3 c.p.c. (Trib. Novara 12 febbraio 2010; App. Roma 13 gennaio 2010).

La domanda può essere proposta anche successivamente, sino all'udienza di precisazione delle conclusioni o anche per la prima volta in grado d'appello, se e solo se il richiedente dimostra che i presupposti per il sorgere del diritto all'assegno si sono verificati successivamente allo scadere dei termini di cui sopra (cfr. Cass. civ. 12 marzo 2012, n.3925).

L'assegno ex art. 156 c.c. può essere riconosciuto in sede presidenziale o anche successivamente, nell'ambito dei procedimenti ex art. 709 c.p.c. di modifica delle ordinanze presidenziali da parte del giudice istruttore. Le ordinanze ex art. 708 c.p.c. sono reclamabili in Corte d'Appello, quelle successive di modifica non possono essere impugnate (Cass. civ., 4 luglio 2014, n. 15416; Trib. Messina 24 aprile 2012; Trib. Cosenza, 9 maggio 2011; Trib. Varese, 27 gennaio 2011) ma solo modificate dallo stesso giudice istruttore. L'assegno per il coniuge è sottoposto alla regola rebus sic stantibus, sicché è sempre possibile richiederlo, anche successivamente alla separazione consensuale omologata, all'accordo frutto di negoziazione assistita autorizzato (o vistato dal PM), o al passaggio in giudicato della sentenza, a patto che sussistano elementi di fatto, sorti dopo il giudizio, tali da alterare l'equilibrio che aveva portato a escludere il diritto all'assegno (lo stesso schema di ragionamento vale a contrario, cosicché, in presenza di fatti nuovi, è possibile agire per la riduzione o l'eliminazione del contributo ex art. 156 c.c.). La richiesta è possibile anche in presenza di pregressa rinuncia al contributo.

Le vicende riguardanti l'assegno (eliminazione, riduzione, nuova richiesta) possono essere fatte valere solo ed esclusivamente con il procedimento regolato dagli artt. 710 e ss. c.p.c...

Garanzie

L'assegno per il coniuge è assistito da una particolare rete di garanzie (art. 156 commi 4, 5, 6 c.c.):

a) la sentenza di separazione (e non il provvedimento provvisorio) è titolo di iscrizione ipotecaria, pur dovendo sempre sussistere il pericolo di inadempimento e dunque, potendo il debitore rivolgersi al giudice per ottenere la cancellazione del provvedimento giudiziale, qualora il pericolo non sussista nel caso di specie;

b) sia con il provvedimento finale che nel corso del giudizio, nell'ipotesi di inadempimento del debitore, l'avente diritto all'assegno può chiedere al Giudice di ordinare al terzo, tenuto a corrispondere periodicamente somme di denaro all'obbligato, di versare direttamente all'avente diritto l'assegno di mantenimento, anche qualora questo sia superiore alla metà delle somme dovute dal terzo all'obbligato principale;

c) il giudice, con la sentenza, può obbligare il coniuge tenuto al pagamento dell'assegno a prestare “idonee garanzie” reali o personali a garanzia dell'assegno di mantenimento;

d) sempre in caso di inadempimento, il giudice, su richiesta dell'avente diritto, può autorizzare il sequestro di parti dei beni dell'obbligato.

Sommario