“Preposto di fatto” e responsabilità della società per infortunio del dipendente
02 Novembre 2016
Massima
Ai fini della sussistenza della responsabilità da reato delle persone giuridiche, laddove l'illecito presupposto sia rappresentato da un omicidio o infortunio derivante dalla violazione della normativa antinfortunistica ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 25-septies d.lgs. 231 del 2001 e artt. 589 e 590 c.p., il preposto di fatto o capocantiere – riferita questa qualifica a chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire – rientra fra le categorie, menzionate dall'art. 5 d.lgs. 231 del 2001, la cui condotta delittuosa può determinare la responsabilità dell'ente collettivo
Ai fini della sussistenza della responsabilità da reato delle persone giuridiche, laddove l'illecito presupposto sia rappresentato da un omicidio o infortunio derivante dalla violazione della normativa antinfortunistica ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 25-septies d.lgs. 231 del 2001 e artt. 589 e 590 c.p., è essenziale individuare quale profilo abbia tratto dall'accaduto l'ente collettivo dovendo l'evento dannoso essere il risultato della mancata adozione di specifiche misure di prevenzione a fronte di un interesse rilevante dell'ente a porre in essere l'attività pericolosa nonostante la consapevole condotta colposa. Ciò significa che la mancata adozione delle misure di prevenzione deve aver garantito all'ente un vantaggio sia in termini di concreto risultato economico dell'attività posta in essere senza le dovute cautele sia, e soprattutto, in termini di risparmio dei costi attuato mediante l'omissione delle misure in questione. Il caso
Nel corso di lavori di costruzione di una palazzina di civile abitazione si verificava un infortunio mortale ai danni di un lavoratore. La vicenda era assai complessa e può essere così analiticamente descritta. Sul luogo dell'evento erano presenti più società: una prima società, ALFA, era la committente dei lavori; una seconda società, BETA, era affidataria dei lavori di costruzione della palazzina; a sua volta, BETA aveva subappaltato i lavori predetti a due altre imprese, la GAMMA, per quanto riguarda la realizzazione delle opere di muratura, e la DELTA – alle cui dipendenze lavorava il soggetto deceduto – per quanto riguarda le opere di intonacatura. Il decesso era avvenuto in quanto la persona offesa, mentre svolgeva attività di intonacatura delle aree di sbarco dell'ascensore, situate ai diversi piani della palazzina, in assenza di qualsiasi misura di protezione contro il rischio di caduta, precipitava nel vano ascensore riportando lesioni gravissime che ne comportavano l'immediato decesso. Fra i soggetti responsabili – oltre all'amministratore unico della società ALFA committente quale responsabile dei lavori ed all'amministratore unico della società BETA affidataria quale il direttore tecnico dei lavori – anche un dipendente della società GAMMA – società, si ricordi, che non aveva alle sue dipendenze la persona offesa – considerato quale direttore di fatto del cantiere, per aver lo stesso violato le prescrizioni in tema di protezione contro il rischio di caduto nel vuoto, durante l'intonacatura delle aree di sbarco, delle aperture sul vano ascensore, avendo, invece, lo stesso disposto che i lavoratori procedessero alla intonacatura previa rimozione delle tavole poste a protezione del suddetto vano. Fra le diverse società coinvolte nell'accaduto, i giudici di merito ritenevano responsabile dell'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a) e b), 6, 7, 25-septies d.lgs. 231 del 2001 la sola società GAMMA avendo la stessa omesso di adottare ed attuare modelli di organizzazione e gestione idonei ad impedire reati della specie di quello descritto al capo di imputazione. Il fatto illecito era attribuito alla responsabilità di questa società in quanto la stessa aveva, presso il cantiere ove si era verificato l'accaduto, un suo dipendente che svolgeva di fatto funzioni di direzione della società, avuto anche riguardo al risparmio delle spese e dei costi che la società avrebbe dovuto sostenere per l'adozione delle misure idonee ad evitare il suddetto reato. La questione
Due i profili della decisione che assumono particolare interesse. In primo luogo, occorre comprendere quale rilievo possa assumere, con riferimento alla responsabilità per infortuni derivanti da violazioni della disciplina antinfortunistica, l'esercizio di fatto di funzioni di direzione e gestione di un luogo di lavoro. In secondo luogo, quali siano i presupposti in presenza dei quali possa riconoscersi una responsabilità della persona giuridica per il reato di omicidio o lesioni colpose derivanti dall'inosservanza delle prevenzioni antinfortunistiche. Quanto a questo secondo aspetto, si ricorda che è ormai assolutamente consolidato in giurisprudenza l'orientamento secondo cui con riferimento alla possibile responsabilità della società per illeciti colposo, la sussistenza dell'interesse dell'ente si deve accertare in relazione alla condotta colposa e non all'evento verificatosi, per cui l'interesse può essere correlato anche ai reati colposi d'evento, rapportando i due criteri indicati dal citato art. 5 non all'evento delittuoso, bensì alla condotta violativa di regole cautelari che ha reso possibile la consumazione del delitto, mentre l'evento andrebbe ascritto all'ente per il fatto stesso di derivare dalla violazione di regole cautelari (da ultimo Cass. pen., Sez. IV, 10 maggio 2016, n. 31210). È una posizione risalente quanto meno alla sentenza delle Sezioni unite sul caso Thyssen (Cass. pen., Sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343) con cui si affermò che non rispondono all'interesse della società e non procurano alla stessa un vantaggio la morte o le lesioni riportate da un suo dipendente in conseguenza di violazione di norme antinfortunistiche ma un vantaggio per l'ente può essere ravvisato nel risparmio di costi o di tempi che lo stesso avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa di prevenzione, la cui violazione ha determinato l'infortunio sul lavoro. Di conseguenza ricorre il requisito dell'interesse quando la persona fisica imputata del reato presupposto, pur non volendo il verificarsi dell'evento rappresentato dalla morte o dalla lesione del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un'utilità per la persona giuridica, mentre ricorre requisito del vantaggio quando si assiste ad una violazione sistematica delle norme di prevenzione realizzando una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo in entrambi i casi una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massima azione del profitto. Per verificare se sussista la responsabilità della società si devono tuttavia accertare in concreto le modalità del fatto onde valutare se la violazione della normativa antinfortunistica che ha determinato l'infortunio rispondesse ex ante all'interesse della società o abbia consentito alla stessa di conseguire un vantaggio. In particolare, può verificarsi che, pur non volendo il verificarsi dell'infortunio in danno del lavoratore, l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell'ente (ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre, invece, il requisito del vantaggio per l'ente quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente, anche in questo caso ovviamente non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto. Quanto poi al profitto che l'ente può trarre da tali tipologie di reati connessi alla violazione della disciplina prevenzionistica degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, si ritiene che tale nozione si colleghi con naturalezza ad una situazione in cui l'ente trae da tale violazione un vantaggio che si concreta, tipicamente, nella mancata adozione di qualche oneroso accorgimento di natura cautelare, o nello svolgimento di una attività in una condizione che risulta economicamente favorevole, anche se meno sicura di quanto dovuto (Cass. pen., Sez. IV, 17 dicembre 2015, n. 2544, Gastoldi e altri, laddove, in particolare, si è chiarito che, per fondare la responsabilità dell'ente, occorre accertare in concreto le modalità del fatto e verificare se la violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, che ha determinato l'infortunio, rispondesse ex ante a un interesse della società o abbia consentito comunque alla stessa di conseguire un vantaggio, ad esempio, con il risparmio dei costi necessari all'acquisto di un'attrezzatura di lavoro più moderna ovvero all'adeguamento e messa in norma di un'attrezzatura vetusta). In ogni caso, i termini interesse e vantaggio richiamati nel d.lgs. 231 del 2001 esprimono concetti giuridicamente diversi e possono essere alternativamente presenti, sì da giustificare comunque la responsabilità dell'ente, come giustificato dall'uso della congiunzione o da parte del Legislatore nell'articolo 5 del decreto legislativo 231 del 2001, e come è desumibile, da un punto di vista sistematico, dall'articolo 12, comma 1, lettera a), dello stesso decreto legislativo 231 del 2001, laddove si prevede una riduzione della sanzione pecuniaria nel caso in cui l'autore ha commesso il reato nell'interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato un vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo, il che implica astrattamente che il reato può essere commesso nell'interesse dell'ente, senza procurargli in concreto alcun vantaggio. In questa prospettiva, il concetto di interesse attiene a una valutazione antecedente (ex ante) alla commissione del reato presupposto, mentre il concetto di vantaggio implica l'effettivo conseguimento dello stesso a seguito della consumazione del reato, e, dunque, si basa su una valutazione ex post (cfr. SANTORIELLO). Le soluzioni giuridiche
La Cassazione nel confermare la responsabilità del dipendente della ditta GAMMA, ha sostenuto che in capo allo stesso andava senz'altro riconosciuta una posizione di garanzia quale preposto di fatto. Secondo i giudici di legittimità, infatti, in tema di prevenzione degli infortuni, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione e di conseguenza egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (Cass. pen., Sez. IV, n. 9491/2013). La qualifica di preposto o capocantiere, tuttavia, dev'essere attribuita, più che in base a formali qualificazioni giuridiche o alla sussistenza di specifiche deleghe, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte dal soggetto all'interno del cantiere; ne consegue che chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto all'osservanza ed all'attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori (Cass. pen.,Sez. IV, n. 35666/2007). In altri termini, secondo la suprema Corte, risponde della violazione delle norme antinfortunistiche non solo colui il quale non le osservi o non le faccia osservare essendovi istituzionalmente tenuto ma anche chi, pur non avendo una veste istituzionale formalmente riconosciuta, si comporta di fatto come se l'avesse e impartendo ordini nell'esecuzione dei quali il lavoratore subisca danni per il mancato rispetto della normativa a presidio della sua sicurezza. Nel caso di specie era stata accertata la concreta ingerenza da parte dell'imputato – ancorché privo di attribuzioni formali o deleghe all'interno dell'organizzazione del cantiere – nell'attività della società DELTA, pur essendo l'imputato, dipendente di altra società, estraneo alla stessa: come evidenziato nelle decisioni di merito l'imputato dava ai lavoratori presenti in cantiere – compreso il deceduto – le disposizioni sulle lavorazioni ed era presente presso il cantiere anche il giorno dell'incidente nonostante i lavori di muratura – di competenza della società da cui lui dipendeva – fossero terminati, il che viene ritenuto dalla Corte indice inequivocabile del ruolo di fatto svolto dall'imputato, quale capocantiere di fatto e punto di riferimento anche degli operai dell'altra ditta subappaltatrice, la società DELTA alle cui dipendenze appunto lavorava la persona offesa. Dalla responsabilità dell'imputato, poi la Cassazione fa discendere la responsabilità ex d.lgs. 231/2001 anche della società GAMMA presso la quale l'imputato stesso prestava la sua attività lavoratrice. Infatti, ai sensi dell'art. 5 del citato decreto, l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo dello stesso (lett. a) o da persone sottoposte alla direzione/vigilanza di una dei predetti soggetti (lett. b). Stante la posizione di preminenza che sul cantiere rivestiva, sia pur in via di mero fatto, l'imputato il requisito di cui al citato art. 5 risulta perfettamente integrato (sulla possibile rilevanza, per l'applicazione agli enti delle sanzioni previste nel decreto legislativo 231 del 2001, da riconoscersi alla condotta tenuta da eventuali soggetti che, nell'ambito della persona giuridica, svolgano la funzione di gestore di fatto ed in questo senso si è pronunciata la giurisprudenza di merito nell'unica decisione di cui finora si ha notizia: Giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Torino, 11 ottobre 2005. In dottrina, BASSI – EPIDENDIO; DI GIOVINE PALIERO; DE SIMONE; SANTORIELLO). Rimaneva allora da verificare se potesse ritenersi che dall'infortunio – o meglio dalla condotta colposa che poi aveva condotto al sinistro mortale – l'ente potesse aver tratto un qualche beneficio o vantaggio. In proposito, la sentenza in parola ricorda come la giurisprudenza riconnetta il requisito dell'interesse, da valutarsi ex ante, agli obiettivi strategici dell'impresa perseguiti nonostante la consapevolezza della assenza di mezzi tecnici e di adeguata formazione ed esperienza nonché delle proprie lacune operative e quindi mettendo a rischio, in tal modo, la salute dei lavoratori impiegati – essendo invece il vantaggio connesso alla dimostrazione di rilevanti corrispettivi economici riscontrabili tramite l'esame del fatturato. Di conseguenza, il giudice, ai fini della responsabilità dell'ente, deve stabilire se la condotta di chi ha cagionato l'infortunio sia stata o meno determinata da scelte effettivamente rientranti nella sfera di interesse dell'ente o se abbia comportato un beneficio alla società sia in termini assoluti — cioè con riguardo ai valori economici — sia rispetto alle dimensioni della singola impresa, all'impatto sul risparmio dei costi ed al correlativo potenziale guadagno. Nel caso di specie, alla Corte sembra di poter concludere senza alcun dubbio che risulti sussistere l'interesse o il vantaggio dell'ente in relazione al reato colposo allo stesso addebitato, in quanto vi era un evidente interesse della predetta impresa ad una celere ultimazione del lavori subappaltati. Invero tale interesse deve considerarsi insito nella natura del contratto di subappalto concluso dalla GAMMA con la società BETA, trattandosi di contratto "a corpo” non in "economia", quindi con pagamento a stato avanzamento lavori e, come è facile intuire, tale tipologia di contratto - che comporta il pagamento, non sulla base delle ore impiegate, bensì ad opera finita o in base agli stati di avanzamento lavori – spinge l'impresa ad accelerare i tempi di lavorazione al fine di concludere velocemente i lavori ottenendone il pagamento e di impiegare le proprie risorse in altre commesse in corso. Osservazioni
Ormai il principio – messo in discussione in un primo momento – secondo cui è pacificamente configurabile un interesse o un vantaggio della persona offesa anche in presenza di illeciti colposi è assolutamente acquisito in giurisprudenza. Piuttosto, rimane problematica la definizione di cosa possa definirsi come interesse o vantaggio dell'ente collettivo in tali ipotesi: nella decisione in esame, la Cassazione – forse in maniera troppo frettolosa – afferma che tali requisiti possano individuarsi anche in una velocizzazione dei tempi di lavorazione dell'opera onde ottenere il prima possibile il pagamento degli stessi. Trattasi di affermazione in astratto condivisibile ma certo il giudice dovrebbe dimostrare – in casi come quelli esaminati nella presente decisione – che il sinistro è dipeso per l'appunto da tale accelerazione dei lavori, non dando per presunto che ad una maggiore celerità nell'esecuzione degli stessi corrisponda necessariamente un profilo di colpa. SANTORIELLO, Violazioni delle norme antinfortunistiche e reati commessi nell'interesse o a vantaggio della società, in Riv. Resp. Amm. enti, 1-2008, 161; *** BASSI – EPIDENDIO, Enti e responsabilità da reato, Milano 2005, 155; |