La difficile configurazione del momento consumativo nel reato di usura
03 Marzo 2017
Abstract
Suscita una problematica acuta, foriera di molte questioni, l'inquadramento del momento perfezionativo, della consumazione nel reato d'usura, alla luce della riforma dell'articolo 644 codice penale, dopo il varo della legge 108/1996. Infatti se prima dell'introduzione della nuova normativa si poteva facilmente ritenere che il momento perfezionativo del reato si identificava nel patto usurario, nel momento della stipulazione (si parlava di reato istantaneo) senza che avesse rilevanza quello della dazione, della riscossione degli interessi promessi, con la detta riforma il Legislatore ha attribuito importanza decisiva e dirimente anche al momento successivo, quello della dazione (per tutti si legga MANZINI). Il reato di usura come delitto istantaneo a condotta frazionata o a consumazione prolungata
Vigente l'originario testo dell'articolo, l'usura era tradizionalmente considerata un reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti: istantaneo in considerazione del suo perfezionarsi attraverso il compimento di una condotta, il farsi promettere o il farsi dare una prima volta interessi o vantaggi usurari. Il protrarsi nel tempo (ogni successivo episodio di ulteriore dazione o di altri vantaggi) non determina che il perdurare degli effetti lesivi permanenti del delitto. In questo caso il momento della riscossione o dazione era irrilevante, degradato ad un post factum, fuori dal perimetro della condotta lesiva. La novella del 1996 ha rimesso in discussione il problema, anche perché è stato introdotto l'articolo 644-ter c.p sotto la rubrica Prescrizione del reato d'usura. Quest'ultima disposizione stabilisce infatti che la prescrizione decorre dal giorno dell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale. Ciò ha determinato una rivisitazione dell'intera condotta del reato, soprattutto per la fase esecutiva del rapporto usurario (si leggano in proposito le riflessioni di PROSDOMICI). Si è ritenuto perciò che la sola pattuizione non esaurisca il momento della consumazione, perché assume rilevanza, nel fatto lesivo della norma, anche la riscossione, che può avvenire in più fasi (si pensi ad un pagamento rateale), come concreta esecuzione dell'originario patto. Ecco allora che, per conferire rilevanza al momento della dazione, un'autorevole dottrina ha sostenuto che con il reato di usura si è in presenza di una condotta complessa, il cui ultimo segmento, la dazione, segna l'effettivo momento consumativo di un reato comunque già perfetto ma non esaurito al momento della promessa. Ciò significa che la dazione degli interessi o vantaggi usurari fa parte a pieno tiolo del fatto. Segnò in proposito il mutamento di rotta la famosa sentenza D'Agata più altri: In tema di usura, qualora alla promessa segua – mediante la rateizzazione degli interessi convenuti – la dazione effettiva di essi, questa non costituisce un post factum penalmente non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell'originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo "sostanziale" del reato, realizzandosi, così, una situazione non necessariamente assimilabile alla categoria del reato eventualmente permanente, ma configurabile, secondo il duplice e alternativo schema della fattispecie tipica del reato, che pure mantiene intatta la sua natura unitaria e istantanea, ovvero con riferimento alla struttura del delitti cosiddetti a condotta frazionata o a consumazione prolungata (Principio enunciato con riferimento ad una fattispecie relativa all'incasso degli interessi usurari da parte di soggetti diversi da quelli partecipanti alla stipula del patto, dei quali la S.C. ha ritenuto la responsabilità a titolo di concorso nel reato) (Cass. pen., Sez. I, 19 ottobre 1998]. Dunque anteriormente alla riforma, la giurisprudenza costante e la dottrina maggioritaria riconoscevano al reato de quo natura istantanea ad effetti permanenti; il reato si perfezionava con la semplice promessa degli interessi o vantaggi usurari, anche se la concreta corresponsione avveniva successivamente. Pertanto, si affermava che il reato era istantaneo se il pagamento era contestuale alla pattuizione ed istantaneo con effetti permanenti, se la dazione avveniva successivamente, a ragione della promessa (DEANGELIS; in giurisprudenza, Cass. pen., Sez. II, 7 marzo 1997, Riggiola, in Giust. pen., 1998, II, 246; Cass. pen., Sez. II, 27 maggio 1992, Di Puccio, in Cass. pen., 1994, 1858; Cass. pen., Sez. II, 5 aprile 1991, Di Rocco, in Riv. Pen., 1991, 817; Cass. pen., Sez. II, 26 settembre 1983, Benigni, in Cass. Pen., 1985, 395). In conseguenza di questo orientamento, la prescrizione iniziava a decorrere dal momento della promessa e le successive dazioni degli interessi usurari, come rilevano gli stessi giudici nella sentenza, finivano per essere considerate estranee alla fattispecie, degradate a mero post factum penalmente irrilevante, come è stato sostenuto, talvolta, dalla giurisprudenza a fronte dell'effettiva dazione del denaro in caso di concussione (ampio inquadramento in Fiadino, Irretroattività ed istantaneità del nuovo reato d'usura nell'ultima giurisprudenza, in Indice Pen., 1999, 353; in giurisprudenza considera la dazione un post factum non punibile, in tema di concussione, Cass., Sez. VI, 5 febbraio 1981, Astolfi, in Cass. Pen., 1982, 1964). Abbiamo perciò:
Questa costruzione fa ritenere che il momento della dazione non costituisca un post factum, un effetto successivo al reato, esulante dalla condotta lesiva, bensì un'attuazione, esecuzione penalmente rilevante, che rientra a pieno nel perimetro del fatto storico, che ne rappresenta un momento costitutivo fondamentale. Ecco allora che la qualificazione del reato a duplice schema appare decisamente fuorviante. Allora bisogna spostare l'asse del ragionamento, dimenticare il doppio schema e pensare che la durata della consumazione parta dalla pattuizione e si sposta in avanti sino al momento della riscossione. Cioè bisogna leggere il reato d'usura come una condotta di disvalore criminale nella quale i due momenti descritti siano un tutt'uno e non abbiano una separazione, uno iato. Si può perciò ritenere ,alla luce di quanto esposto, che il reato di usura non sia né un reato istantaneo, né un reato permanente, ma un reato istantaneo a condotta frazionata (Si veda sul punto PEDRAZZI). Così ha statuito la migliore giurisprudenza: In tema di usura, i caratteristici connotati di sinallagmaticità, propri del momento iniziale della determinazione convenzionale degli interessi, non sono in grado di esaurire la condotta tipica della fattispecie criminosa di cui all'art. 644 c.p., come sostituito dall'art. 11 l. 7 marzo 1996 n. 108. Invero, il rilievo assegnato dal legislatore all'ultima riscossione degli interessi, introdotto in tema di prescrizione del reato de quo, è incompatibile con una sua prospettata natura di reato istantaneo. Sembra preferibile invece affermare che, qualora alla promessa segua la dazione effettiva, questa faccia parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segni, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell'originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo sostanziale del reato: una situazione non necessariamente assimilabile alla categoria della permanenza, eventuale, del reato, ma configurabile, ad esempio, con riferimento alla struttura dei delitti c.d. a condotta frazionata o a consumazione prolungata (tribunale Piacenza, 24 aprile 2003). In tema di delitto di usura, la riscossione degli interessi dopo l'illecita pattuizione integra il momento di consumazione e non costituisce un post factum penalmente irrilevante (La Cassazione ha precisato che il delitto di usura si atteggia a delitto a consumazione prolungata, che perdura nel tempo sino a quando non cessano le dazioni degli interessi. Cass. pen., Sez. II, 10 luglio 2008, n. 34910 conforme Cass. pen., Sez. II, 22 gennaio 2014, n. 5943 ). Tale costruzione consente di estendere la punibilità anche ad altri soggetti che abbiano partecipato a titolo di concorso (si pensi all'adiectus, il soggetto che per conto dell'usuraio percepisca il denaro e che di fatto non abbia partecipato alla stipulazione del patto originario). Colui che, successivamente alla formazione del patto usurario, interviene nel rapporto come portatore di un interesse diretto, manifestato attraverso la diretta riscossione del debito, risponde del delitto di concorso in usura giacché, appartenendo detto reato al novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata, i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario, compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale e non sono qualificabili, pertanto, come post factum, non punibile della illecita pattuizione (Cass. pen., Sez. II, 21 novembre 2014, n. 9929). Questa costruzione dunque attribuisce un momento decisivo a quello della dazione. Insussistenza ed irrilevanza dello sfruttamento dello stato di bisogno nell'attuale formulazione del delitto
Deve tuttavia conferirsi risalto al fatto che la norma, con la rimodellazione della legge 108/1996, ha oggettivato il reato di usura, preferendo, con l'introduzione del tasso soglia, l'identificazione di un limite oltre il quale la condotta diventa usuraria; solo così essa assurge a disvalore criminale. Non c'è più bisogno di stabilire, in ultima analisi, che il reato di usura si perfezioni solo quando vi sia lo sfruttamento dello stato di bisogno della vittima ma esso si configura quando il tasso soglia sia superato. Ai fini del tempus delicti tale indagine (quella riferita allo sfruttamento della condizione di difficoltà della vittima) dunque, risulta ultronea ed irrilevante. Si staglia la differenza tra reati contratto e reati in contratto. Con l'espressione reati-contratto si intende designare la categoria costituita da quelle fattispecie incriminatrici che la legge penale ha individuato e tipizzato per emettere, nei loro confronti, una censura di inammissibilità in senso assoluto. Trattasi di convenzioni negoziali reputate illecite di per sé: figure negoziali, tipiche o innominate, alle quali la presenza degli elementi costitutivi del reato conferisce lo stigma della illiceità penale, così di fatto sottraendole, per ragioni politico-criminali, alla libertà di iniziativa negoziale e all'autonomia dispositiva delle parti (LEONCINI) La legge punisce il fatto stesso della conclusione del contratto, per la sottesa esistenza della norma penale, che descrive minuziosamente la condotta criminale. Siamo al cospetto di una volontà negoziale illecita. La stipulazione è nulla, indipendentemente dalla sua esecuzione, perché la funzione economica sociale del contratto è contra legem, la sua causa non è degna della tutela ordinamentale. Come rimodellata dalla L. n. 108/96, l'usura è strutturata, indubbiamente, come un reato-contratto. È del tutto indifferente, ai fini della rilevanza penale del fatto, il ruolo in concreto assunto dai due contraenti all'interno della vicenda contrattuale. Siamo al cospetto di un reato plurisoggettivo improprio perché, per l'attuazione del disegno criminoso, si richiede necessariamente e costitutivamente il consenso o la cooperazione della vittima, a prescindere se essa sia o meno voluta o coartata. Il reato contratto è stato anche definito reato accordo, perché si punisce l'incontro delle volontà manifestatesi contra legem, indipendentemente dall'esecuzione del contratto. Il contenuto del reato, secondo questa elaborazione, coincide con l'elemento oggettivo, con l'accordo negoziale: si prescinde dagli stati soggettivi (approfittamento dello stato di bisogno, debolezza e fragilità comportamentale del soggetto passivo),per incriminare la condotta che ha leso il divieto: si valuta asetticamente, se gli interessi percepiti dall'usuraio superino o meno il tasso normativamente sancito. Al fatto della stipulazione dell'illecito appaiono congiuntamente applicabili le norme dei due rami dell'ordinamento. L'usura, invero, è un reato ma il suo effetto civilistico si ravvisa nella nullità della stipulazione, per contrarietà a norme imperative e per nullità della causa ex art. 1418 c.c. Diconsi reati in contratto, invece, le fattispecie criminose che si realizzano in occasione e in ragione della stipulazione di negozi giuridici bi o plurilaterali, attraverso i quali si raggiunge un consensus in idem placitum meramente apparente, poiché – invero – intrinsecamente inficiato dalla presenza degli elementi descritti dalla norma penale. In tale categoria viene incriminata non la conclusione in sé del contratto ma il comportamento (violento, fraudolento e profittatorio) tenuto durante l'esecuzione di esso. Incidendo nella fase esecutiva e non genetica della formazione della volontà negoziale, la condotta del soggetto agente produce, nella controparte, una situazione – di coazione, di errore o di inganno, di pati, su una o più circostanze fattuali, – che conduce alla conclusione del contratto, soltanto in ragione di un consenso estorto, pilotato o carpito. Il riferimento che la norma opera alle condizioni psicologiche della vittima ma soprattutto all'elemento soggettivo che anima la condotta dell'agente (consapevolezza dello stato di coazione psichica del proprio interlocutore), non può che indurre, in questi casi, a far ritenere una tale convenzione come illecita, per ragioni esogene alla struttura economica tipica del rapporto negoziale. Se nei reati in contratto non si valuta il momento della loro conclusione, ma quello della loro esecuzione, per l'usura, in modo particolare, riluce lo stato di bisogno della vittima e la prova che il soggetto attivo ne abbia approfittato, ricavandone un indebito vantaggio. Prima della riforma dell'anno 1996 l'usura si identificava come un reato in contratto: fondamentale era la condizione della stato di bisogno del soggetto passivo ed il suo approfittamento da parte del soggetto attivo. Con la legge 108/1996 invece, l'usura si è incastonata nei reati-contratto, atteso il suo processo di oggettivazione. Quest'ultimo – identificabile con l'elisione dalla condotta incriminata del requisito dell'approfittamento dello stato di bisogno del debitore e con l'introduzione del principio del superamento del tasso-soglia – ha determinato, secondo le indicazioni della maggioranza degli interpreti, il passaggio dell'usura dalla categoria dei reati in contratto a quella dei reati-contratto. La differenza comporta non solo l'incriminazione del reato ma la sanzione della nullità radicale ed insanabile dell'atto. Le conseguenze sono:
Gli effetti della legge di interpretazione autentica e la rimessione alle Sezioni unite
Sta di fatto che pur ritenendo che il reato di usura trovi nella dazione il suo momento consumativo sostanziale e perciò la sottesa riscossione non costituisce come visto un post factum al di fuori della tessitura normativa analiticamente prospettata, la migliore giurisprudenza di merito si pone, rispetto alla questione affrontata, con pronunce che danno nuovamente risalto al momento della conclusione del contratto e non invece a quello della dazione, soprattutto per effetto della legge 28 febbraio 2001 n.24. In realtà come è noto la legge di interpretazione autentica (legge 28 febbraio 2001, n. 24) è intervenuta per disciplinare quei mutui o relazioni bancarie nate prima dell'entrata in vigore della normativa sancita dalle disposizioni della legge 108/1996 ma i cui effetti erano ancora in corso con l'introduzione di quest'ultima disposizione. Il Legislatore con l'interpretazione autentica ha stabilito che ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 del codice penale e dell'articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. Questa disposizione, che era riferita alla fattispecie dei mutui ante legge 108/1996, ha avuto un'ellittica interpretazione, facendo rientrare in gioco il solo momento della conclusione del contratto nel reato di usura, prescindendo da quello della riscossione. Soprattutto in tema di rilevanza del tasso di mora, nel computo del tasso effettivo globale, l'interprete si è posto il problema della sua pregnanza al solo momento della pattuizione, trascurando quello della riscossione. In altri termini allargando lo spettro della incisività e della valenza della legge di interpretazione autentica (oltre il suo primigenio scopo), si è tornati a ritenere che vale il solo momento della stipulazione contrattuale, quando gli interessi sono convenuti o promessi: risulta irrilevante il momento quando vengono effettivamente percepiti. Se dunque la mora rientra nel tasso effettivo globale e se al momento della stipula contrattuale la sua incisività è tale da determinare con altre remunerazioni lo sforamento del tasso soglia, è inutile che essa si concreti, non bisogna dunque attendere che il mutuatario non paghi. Il contratto è già usurario di per sé, indipendentemente dal momento del pagamento. Recentemente ha così statuito il tribunale di Udine: Il tasso pattuito per la mora deve essere sindacabile sulla scorta della normativa antiusura. Ed infatti, ritenere che gli interessi moratori siano esclusi dall'applicazione delle soglie antiusura sarebbe contrario alla ratio ed allo spirito della legge n. 108 del 1996, che mira a reprimere atteggiamenti prevaricatori che quasi sempre vengono posti in essere proprio nei confronti di soggetti che sono già inadempienti all'obbligo di restituire finanziamenti ricevuti (trib. Udine, Sez. II, 13 giugno 2016). Così si è espressa la migliore giurisprudenza di merito: “come noto, i commi 3 e 4 dell'art. 644 c.p. stabiliscono, rispettivamente, che "la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari" e che "per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito". Se l'originaria formulazione della norma poteva ingenerare dubbi circa l'inclusione degli interessi moratori ai fini della verifica dell'usura, la questione è stata infine affrontata dal legislatore, dettando la disciplina di cui al D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 (convertito in L. 28 febbraio 2001, n. 24), e stabilendo testualmente - con norma di interpretazione autentica - che "ai fini dell'applicazione dell'art. 644 del codice penale e dell'art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendo usurai gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento". Proprio su tale disposizione di legge, che ha già superato il vaglio di legittimità costituzionale (cfr. Corte Costituzionale 25 febbraio 2002, n. 29), e che conferma l'assunto per cui, essendo l'usura un reato istantaneo, l'indagine sull'usurarietà del tasso di interessi deve essere condotta con riferimento al momento della sottoscrizione del contratto, a nulla rilevando le successive oscillazioni dei cd. tassi soglia, si fonda l'affermazione della nota Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, circa la necessità di considerare gli interessi moratori nella verifica dell'usura (nello stesso senso si erano in precedenza espresse anche Cass., 4 aprile 2003, n. 5324 e, ancor prima della norma di interpretazione autentica, Cass., 22 aprile 2000, n. 5286) (Così in parte motiva trib. Trento, sent., 18 aprile 2016]. Il che significa che riprende rilevanza il momento della pattuizione rispetto a quello della dazione, dato che non interessa, non assume pregnanza, ai fine della commissione del delitto, se effettivamente la mora si concreti, ma che venga solo pattuita e rientri nel costo globale del credito. Con chiarezza si statuisce: “a seguito del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito con modifiche nella legge 28.2.2001 n. 24, ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p. e. dell'art. 1815, comma 2, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi e comunque convenuti a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento; la legge n. 24/2001 di interpretazione autentica della legge n. 108/1996, che ha fissato la valutazione della natura usuraria dei tassi d'interesse al momento della convenzione e non a quello della dazione, non si applica solo ai rapporti di mutuo ma a tutte le fattispecie negoziali che possano contenere la pattuizione d'interessi usurari, compreso il contratto di apertura di credito (trib. Salerno, Sez. I, 22 luglio 2013). La Corte di cassazione ha deciso, con la sentenza n. 350 del 9 gennaio 2013, che ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c. e dell'art. 644 c.p. si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo di interessi moratori. Secondo tale assunto, il calcolo del tasso soglia oltre il quale il mutuo diventa usurario, deve considerare anche il tasso moratorio. Il ragionamento della suprema Corte si fonda principalmente sull'interpretazione della Corte costituzionale contenuta nella sentenza n. 29 del 25 febbraio 2002, che ha statuito il principio secondo cui il riferimento agli interessi a qualunque titolo convenuti – contenuto nel D.L. n. 394 del 2000 (Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura), e precisamente dell'art. 1, comma 1 – rende plausibile che il tasso soglia riguarda anche gli interessi moratori. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 29/2002, ha affermato altresì che il regime civilistico della nullità delle clausole contenenti la pattuizione di interessi usurari è del tutto distinto dal profilo penalistico ed in sé autosufficiente: questo sarebbe confermato dal fatto stesso che il legislatore del 1996 (legge n. 108/1996 sull'usura) ha provveduto a riscrivere tanto la norma di cui all'art. 644 c.p. quanto, separatamente, quella di cui all'art. 1815, comma 2, c.c. Da ciò consegue, nell'interpretazione del giudice delle leggi, che non è neppure necessaria la contestazione di una fattispecie penale (quella prevista all'art. 644 c.p.) per ottenere la dichiarazione di nullità civilistica, della clausola del mutuo che sia ritenuto usurario, ai sensi dell'art. 1815 c.c., quale norma da ritenersi autonoma e in sé sufficiente. La Corte costituzionale, sempre nella sentenza n. 29/2002, ha anche precisato che la ratio della legge 108 del 1996, che risulta con chiarezza dai lavori preparatori, è quella di contrastare nella maniera più incisiva il fenomeno usurario e tale finalità è stata perseguita da un lato rendendo più agevole l'accertamento del reato, attraverso l'individuazione di un tasso obiettivamente usurario e dall'altro degradando la trasformazione dell'approfittamento dello stato di bisogno, di difficile prova, da elemento costitutivo del reato a circostanza aggravante. Sono state inasprite anche le sanzioni penali e civili connesse alla condotta illecita (artt. 1 e 4 della legge). Secondo la giurisprudenza richiamata, per l'effetto, nessuna somma è dovuta a titolo di interessi ed il mutuatario ha diritto alla restituzione di tutte le somme indebitamente pagate a questo titolo, oltre gli interessi legali. La nullità della convenzione di interessi usurari è rilevabile d'ufficio, da parte del giudice, trattandosi di una questione di diritto e non integrando gli estremi di un'eccezione in senso stretto, da parte del mutuatario, bensì di una mera difesa che può essere formulata in comparsa conclusionale o avanzata anche in appello, a condizione però che sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio (così: Cass., n. 350/2013; Cass., n. 21080/2005). La legge di interpretazione autentica (d.l. n. 394 del 2000 conv. l. 24 del 2001) dunque non lascia spazio ed adito ad argomentazioni conflittuali ed oscillanti e riporta, in fin dei conti, nuovamente al momento della pattuizione quello in cui avviene il perfezionamento del reato: quando in un contratto di mutuo o di apertura di credito viene convenuto il tasso di interesse – sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio – il momento da individuare per verificarne l'eventuale natura usuraria, sia sotto il profilo penale che civile, è quello della conclusione del contratto, alla luce di quanto sancito dalla l. n. 24 del 2001 (recante "interpretazione autentica della l. n.108 del 1996"), a nulla rilevando il successivo pagamento degli interessi, sicché va esclusa ogni ipotesi di usurarietà sopravvenuta e non vi è più spazio, in sede civile, per le pretese di restituzione degli interessi “medio tempore“ corrisposti nonostante l'entrata in vigore della legge antiusura (Ufficio indagini preliminari Sulmona, 3 maggio 2005). Tuttavia è così intricata la questione che sembra necessario un intervento delle Sezioni unite, come auspicato nella recente ordinanza della Corte suprema del 31 gennaio 2017, ord. n. 31127: […] Una delle opzioni interpretative esclude che, all'esito dell'interpretazione autentica intervenuta D.L. n. 394 del 2000, ex art. 1, convertito nella L. n. 241 del 2001, il superamento del tasso soglia degli interessi corrispettivi originariamente convenuti in modo legittimo (senza oltrepassare il limite dell'usurarietà), in corso di esecuzione del rapporto possa determinarne ex artt. 1339 e 1418 c.c., la riconduzione entro il predetto tasso soglia stabilito dalla legge così come integrata dai D.M. periodicamente emanati al riguardo. […] Parallelamente all'orientamento illustrato se ne sviluppato uno speculare di recente confermato dalla pronuncia 17/8/2016 n. 17150 così massimata: "Le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell'usura (introdotte con la L. n. 108 del 1996, art. 4), pur non essendo retroattive, comportano l'inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore sulla base del semplice rilievo, operabile anche d'ufficio dal giudice, che il rapporto giuridico, a tale momento, non si era ancora esaurito. In conclusione
La ricaduta della pronuncia avrà un effetto dirompente per tutto il contenzioso bancario, anche perché dovrà stabilirsi non solo quale sia il regime giuridico dei contratti sorti anteriormente alla legge 108/1996 ed ancora in essere ma potrà essere l'occasione (effettivamente calzante) per capire se la rilevanza dell'interesse di mora venga in gioco al solo momento della pattuizione, o è indispensabile che essa si verifichi (momento effettivo della riscossione) per rientrare o meno nel calcolo del Teg. In questo caso si capirà (l'altro effetto cascante), quale sia il momento consumativo del reato di usura: quello della pattuizione o quello della dazione, attesa la confusione incipiente in cui è caduto l'interprete, soprattutto per l'incidenza della legge 24/2001 che ha rivoluzionato le coordinate dell'assetto del momento consumativo del reato di usura. DEANGELIS, voce «Usura», in Enc. Giur. Treccani, XXXII, Roma, 1994; LEONCINI, I rapporti tra contratto; reati-contratto e reati in contratto, in Riv. It. Dir. e Proc. Penale 1990, 997; MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, a cura di P. Nuvolone, G. Pisapia IX, Torino 1984(rist.1986), 895; PEDRAZZI, Sui tempi della nuova fattispecie di usura Fonte: Riv. it. dir. e proc. pen., fasc.3, 1997, pag. 661; PROSDOMICI, La nuova disciplina del fenomeno usurario, in Studium juris, 779. |