Il superamento dei limiti all'autonomia negoziale e la configurabilità del delitto di estorsione
03 Luglio 2017
Abstract
I princìpi di autonomia negoziale, garantiti dal nostro ordinamento, consentono alle parti private di disciplinare nel modo che ritengono corrispondente ai loro interessi i rapporti privati purché gli interessi perseguiti siano meritevoli di tutela. In particolare è precluso alle parti stipulare accordi che disciplinino, modificandola, la procedura di espropriazione immobiliare e in particolare non è consentito all'acquirente di un bene acquistato all'asta richiedere al debitore esecutato la corresponsione di una somma di danaro in cambio della rinunzia alla procedura. La condotta descritta integra sia il reato di estorsione che quello di turbativa d'asta. Il principio di diritto
Con sentenza n. 11979 (17 febbraio 2017 - 13 marzo 2017) la Corte di cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: «Integra i reati di estorsione e di turbativa d'asta la condotta dell'acquirente di un immobile all'asta pubblica che ottenga dal debitore esecutato il versamento di una somma di danaro dietro minaccia, in caso di rifiuto, di prosecuzione della procedura fino all'aggiudicazione definitiva in suo favore». I precedenti
In senso esattamente conforme alla massima si veda Cass. pen., Sez. II, 11 dicembre 2008, n. 10542 (dep. 2009), Marra; si trattava di un caso, analogo, in cui l'assegnatario di un immobile espropriato aveva indotto il debitore - ancora nel possesso dell'immobile - alla conclusione di un accordo in forza del quale, previa rinuncia dell'agente all'immediata reintegra nel possesso, il debitore versava all'assegnatario una somma, non dovuta, ad asserito titolo di indennità di occupazione. Si veda inoltre, in senso sostanzialmente conforme – limitatamente alla configurabilità del tentativo di estorsione, nel caso di richiesta di versamento di una somma di danaro al debitore in cambio della mancata partecipazione all'asta – Cass. pen, Sez. II, 4 novembre 2009 n. 119 (dep. 2010), in Giur.it., 2010, 2635, con nota di V. ALTARE, Sulla richiesta di non partecipare ad un'asta pubblica. In senso conforme, sulla possibilità che l'estorsione (o il tentativo) possa concorrere formalmente con il delitto di turbata libertà degli incanti, v. Cass. pen, Sez. V, 10 aprile 2013 n. 22200, Del Giudice; Cass. pen., Sez. II, 13 marzo 2008, n. 13505, Gennaro; Cass. pen. sez. II, 28 ottobre 2005 n. 46200, Amic. Il caso
Nella sentenza in esame la Corte di cassazione ha esaminato il caso in cui un avvocato, resosi aggiudicatario di un bene immobile venduto all'asta giudiziaria, aveva richiesto al creditore esecutato il pagamento di una somma di danaro (euro 8.500,00) in cambio della rinunzia alla procedura. Diversamente avrebbe proseguito nella procedura esecutiva fino all'aggiudicazione definitiva. Il debitore aveva versato all'aggiudicatario la somma di euro 4.000,00. Entrambi i giudici di merito hanno ravvisato, nel caso esaminato, sia gli estremi del delitto di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) che quelli del delitto di estorsione (art. 629 c.p.). La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, ha confermato questo orientamento; ha però dichiarato estinto per prescrizione il delitto di cui all'art. 353 c.p. e ha eliminato la pena accessoria dell'interdizione legale disposta dal primo giudice e che, erroneamente, non era stata revocata da quello d'appello. La prima questione che si è posta ai giudici di legittimità è quella relativa alla possibilità di configurare il delitto di estorsione nel caso descritto. In particolare la Corte ha rilevato che un accordo intervenuto tra l'aggiudicatario del bene venduto e il debitore esecutato e diretto ad ottenere la rinunzia all'aggiudicazione in cambio del versamento di una somma di danaro, non costituisce un accordo diretto a realizzare una finalità meritevole di tutela da parte dell'ordinamento giuridico – e dunque non realizza una legittima espressione dell'autonomia negoziale – perché interferisce sulla procedura di espropriazione immobiliare che è riservata allo Stato cui compete sia la soddisfazione dei crediti secondo il criterio della par condicio creditorum sia la vendita forzata dei beni escussi. Dall'aggiudicazione (provvisoria) del bene non deriva quindi alcuna posizione soggettiva integralmente tutelabile dall'ordinamento; deriva invece l'obbligo di acquistare il bene che si realizza solo con l'emissione del decreto di trasferimento da parte del giudice dell'esecuzione; in difetto del quale i creditori subiscono il danno derivante dal protrarsi della procedura e il rischio che una nuova procedura esecutiva abbia un risultato economicamente meno favorevole. Deriva da ciò l'ingiustizia del profitto che, nel caso di specie, consegue all'uso di mezzi illeciti per essere stato utilizzato un procedimento civile per scopi estranei alle sue finalità istituzionali al fine di conseguire un risultato economico; l'ingiustizia del profitto può infatti derivare sia dall'essere perseguito con uno strumento antigiuridico sia con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso. La Corte ritiene infine infondate le censure del ricorrente in merito all'esistenza dell'elemento soggettivo affermando che gli elementi di conferma dell'esistenza del dolo, individuati dai giudici di merito, sono adeguati a tale fine e sono stati logicamente valutati dalla sentenza impugnata. La sentenza in commento applica princìpi da tempo accolti dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare il principio secondo cui autonome iniziative di natura negoziale – che in un normale rapporto contrattuale instaurato tra le parti sono espressione della loro legittima autonomia negoziale – non sono consentite nel corso della procedura di espropriazione forzata che è interamente devoluta all'attività degli organi dello Stato. Con la conseguenza che, all'interno di questo procedimento disciplinato dalla legge, tali iniziative hanno l'effetto di alterarne il regolare funzionamento; e ciò non per mero obbligo di rispetto delle forme ma perché la regolarità della procedura è diretta a garantire la par condicio creditorum. In conformità a questo orientamento è stata ritenuta ingiusta la richiesta – ritenuta conseguentemente integrare il tentativo di estorsione – diretta ad ottenere una somma di danaro dal debitore in cambio della mancata partecipazione all'asta pubblica in cui veniva messo in vendita il bene pignorato (v. Cass. pen., Sez. II, 4 novembre 2009, n. 119, dep. 2010, Ferranti). In particolare la giurisprudenza di legittimità è poi uniforme, interpretando il requisito della minaccia ai fini dell'estorsione, nel ritenere che la minaccia sia ravvisabile anche nel caso in cui lo strumento utilizzato per la realizzazione del profitto ingiusto sia costituito dalla stipulazione di un accordo che realizzi una qualche utilità in favore della persona offesa; in questo senso si vedano Cass. pen., Sez. II, 10 ottobre 2014, n. 677, Di Vincenzo; Cass. pen., Sez. II, 27 novembre 2013, n. 50074, Bleve; Cass. pen., Sez. II, 14 dicembre 2010, n. 1284, Lucente, in Foro it., 2011, II,135 (tutte relative al caso in cui il datore di lavoro, sotto velata minaccia di licenziamento, costringa i lavoratori ad accettare condizioni di lavoro deteriori); Cass. pen., Sez. II, 20 aprile 2010, n. 16656, Privitera (nel caso in cui il lavoratore abbia accettato tali condizioni per essere assunto). E analogamente sono state ritenute ingiuste le minacce riconducibili ad attività, di per sé lecite ma che si inseriscono in un meccanismo criminale di cui viene agevolata la realizzazione del fine. È il caso tipico della richiesta di pagamento di una somma di danaro per l'intermediazione svolta al fine di ottenere la restituzione al derubato del bene sottratto: v. Cass. pen., Sez. II, 31 gennaio 2013, n. 6818, Piazza; Cass. pen., Sez. II, 2 dicembre 2004, n. 4565 (dep. 2005), Marrandino; ovvero il caso di attività perseguite con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso (v. Cass. pen., Sez. II, 31 marzo 2008, n. 16658, Colucci, in un'ipotesi in cui l'imputato intendeva, con la minaccia, impedire alla vittima di procedere giudizialmente nei suoi confronti). Diversa è invece la soluzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità nel caso di esercizio effettivo, ma strumentale, dell'azione civile. In questo caso la Corte di cassazione ha escluso che potesse configurarsi il delitto di cui all'art. 336 c.p.: v. Cass. pen., Sez. VI, 12 gennaio 2011, n. 5300, Moschella, in Guida al diritto, 2011, n. 11, 71, con nota critica di P. GAETA, E' estorsione l'ipotesi di adire le vie legali fatta solo per conseguire un vantaggio illecito. È stata invece ritenuta configurabile l'estorsione (o il tentativo di estorsione) nel caso in cui la minaccia di agire in giudizio appaia del tutto esorbitante e pretestuosa (rispetto ad una pretesa rientrante nei limiti dell'obiettiva incertezza) o sia comunque diretta a coartare la volontà altrui o diretta comunque ad ottenere scopi non consentiti o risultati non dovuti (si vedano, in questo senso, Cass. pen., Sez. II, 4 febbraio 2016 n. 8096, Anglisani; Cass. pen., Sez. II, 7 maggio 2013, n. 36365, Braccini; analogamente nel caso della prospettazione di presentare denuncia alla magistratura o alla polizia giudiziaria una denunzia dichiaratamente diretta ad ottenere il riconoscimento di una pretesa sfornita di prova o non azionabile in giudizio qualora sia finalizzata alla realizzazione di un ingiusto profitto: così Cass. pen., Sez. II, 18 gennaio 2013 n. 5239, Adduci). Va anzitutto precisato che l'orientamento della Corte di cassazione è uniforme nell'affermare la possibilità che il delitto di estorsione (o il tentativo) possa concorrere formalmente con il delitto di turbata libertà degli incanti; si vedano in questo senso Cass. pen., Sez. V, 10 aprile 2013 n. 22200, Del Giudice; Cass. pen., Sez. II, 13 marzo 2008 n. 13505, Gennaro; Cass. pen., Sez. II, 28 ottobre 2005 n. 46200, Amic. Nel caso in esame la Corte, dopo aver rigettato o ritenuto inammissibili alcune censure riguardanti la motivazione della sentenza impugnata in relazione alla ritenuta esistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato, affronta la questione relativa alla possibilità di ritenere verificata l'ipotesi tipica del delitto di turbativa d'asta previsto dall'art. 353 c.p. rilevando come tale ipotesi di reato possa realizzarsi non solo nel momento in cui la gara si svolge ma, altresì, nel corso del procedimento o anche al di fuori di esso, purché la condotta sia diretta ad alterare il risultato finale della gara. Sull'affermazione di questa estensione dell'area temporale cui si riferisce l'ipotesi di reato la giurisprudenza di legittimità è uniforme; si vedano, in questo senso, Cass. pen., Sez. VI, 14 ottobre 2016 n. 653 (dep. 2017), Venturini; Cass. pen., Sez. VI, 12 dicembre 2005 n. 11628 (dep. 2006), Pierozzi; Cass. pen., Sez. VI, 21 marzo 2003 n. 25705, Salamone. È stato invece ritenuto irrilevante che un'effettiva alterazione dei risultati della gara di aggiudicazione si sia prodotta (così Cass. pen., Sez., II, 23 giugno 2016 n. 43408). I fatti accertati dai giudici di merito, secondo la Cassazione, sono idonei a configurare anche l'ipotesi tipica del reato di cui all'art. 353 c.p. solo in quanto la minaccia posta in essere dall'imputato si sia dimostrata idonea (anche se in concreto non lo sia stata) a convincere il debitore esecutato ad accettare la proposta volta alla rinunzia all'aggiudicazione. Ciò ha comunque turbato la regolarità della gara e l'interesse della pubblica amministrazione al corretto svolgimento della medesima perché la rinunzia all'aggiudicazione determina l'esito infruttuoso della procedura. Ma la Corte individua un ulteriore elemento di turbativa, anteriore alla condotta di minaccia, nell'intento dell'imputato di utilizzare la procedura di vendita come strumento per conseguire fini diversi da quelli cui questa procedura è finalizzata. La partecipazione alla procedura e la successiva attività estorsiva hanno infatti ritardato il naturale decorso della vendita la cui rifissazione si è resa necessaria con conseguente distorsione della procedura esecutiva cui è conseguita inoltre la violazione del principio della celere definizione del procedimento. In conclusione
I princìpi affermati dalla Corte di cassazione nella sentenza in esame, sotto i profili di entrambi i reati contestati, sono costantemente condivisi dalla giurisprudenza di legittimità e non hanno incontrato fino ad oggi serie obiezioni di principio in dottrina. Ciò in particolare per quanto riguarda l'aspetto più delicato riguardante l'estorsione ed in particolare la possibilità di configurare la minaccia in condotte che spesso sono addirittura passive o silenti; è sufficiente far sapere al debitore esecutato che può riacquistare la disponibilità del bene pagando una somma di danaro perché possa ritenersi realizzato il fatto tipico dell'estorsione quanto meno sotto il profilo del tentativo? La risposta è generalmente affermativa e si afferma che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta purché sia idonea ad incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo (v. Cass. pen., Sez. II, 20 maggio 2010 n. 19724, Pistolesi); principio costantemente riaffermato anche al fine di accertare la circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso prevista dall'art. 7 del d.l. 152/1991 convertito nella l. 203/1991 (v., da ultimo, Cass. pen., Sez. II, 30 novembre 2016, n. 32, dep. 2017, Gallo). Quanto al delitto di turbata libertà degli incanti si afferma comunemente che non ha natura di reato “proprio” perché autore del medesimo può essere chiunque; è inoltre opinione prevalente che il reato non abbia natura eventualmente plurioffensiva perché, a fronte di un unico soggetto passivo sempre presente (la pubblica amministrazione) il medesimo soggetto, e gli eventuali altri soggetti interessati nella procedura (per es. il debitore esecutato nella vicenda descritta nella sentenza esaminata), possono assumere la qualità di danneggiati proprio perché l'interesse leso è solo quello che riguarda la regolarità delle gare e delle aggiudicazioni. È poi ritenuta tassativa l'elencazione dei mezzi indicati nel primo comma dell'art. 353 c.p. (violenza, minaccia, doni, promesse ecc.) con i quali può essere posta in essere l'attività di turbativa Oltre ai più noti testi istituzionali possono consultarsi, sui temi esaminati dalla sentenza in commento, i seguenti scritti: sull'estorsione: V. ALTARE, Sulla richiesta di non partecipare ad un'asta pubblica, in Giur.it., 2010, 2635. G. ESCUROLLE, Minaccia di licenziamento ed estorsione, in Giur.it., 2012, 2641. A. FRANZA, Il reato di estorsione nel rapporto di lavoro, in www.filodiritto.com, 2011. A. PIOVESANA, Commette estorsione l'imprenditore che impone ai lavoratori retribuzioni “fantasma” e dimissioni in bianco, in Lavoro giur., 2010, 1085. I.A. SANTANGELO, Estorsione negoziale e rapporto di lavoro, in Riv.pen., 2013, 131. A. SCARCELLA, Estorsiva la conservazione del posto in cambio di uno stipendio più basso, in www.il quotidiano giuridico.it, 2012. S. SERVIDIO, Retribuzioni inferiori al reale e reato di estorsione, in Dir. e pratica lav., 2012, 2663.
Sulla turbata libertà degli incanti: G. BIASUTTI, Turbata libertà degli incanti ed indici presuntivi di colpevolezza: il punto di vista del giudice penale a confronto con la giurisprudenza amministrativa, in Riv.trim.appalti, 2016, 813. M. LOMBARDO, Osservazioni sulla turbata libertà degli incanti, in Giur.it., 2004, 2367. C. RENZETTI, L'elemento oggettivo del delitto di turbata libertà degli incanti, in Cass.pen., 2012, 2606. |