La normativa applicabile alla detenzione di marijuana da parte di minore
04 Marzo 2016
Un minore viene tratto a giudizio per detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo marijuana del peso complessivo di 43,23 grammi. Nei suoi confronti non è stato emesso alcun provvedimento cautelare. I fatti si riferiscono al luglio 2014. Il pubblico ministero contesta la violazione dell'art. 73, comma 1-bis, del d.P.R. 309/1990. Qual è la normativa che si applica al caso di specie?
Il primo problema da risolvere è quello di orientarsi nella sussunzione del fatto contestato nella corretta norma oggi in vigore. Dal quesito sembra che sia stata elevata imputazione per la violazione dell'art. 73, comma 1-bis d.P.R. 309/1990. Tuttavia, com'è noto, la norma non è più in vigore per effetto della declaratoria di incostituzionalità (la sentenza Corte cost. n. 32/2014 ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 4-bis comma 1 lett. c) del d.l. 272/2005 conv. in l. 49/2006, c.d. Fini-Giovanardi). La condotta contesta, detenzione a fini di spaccio, mantiene però una sua astratta disvalenza penale. Si tratta quindi di verificare, in sussunzione, qual è la norma incriminatrice della condotta contestata. Per effetto della pronuncia della Consulta è, di fatto, tornata in vigore la legge Jervolino-Vassalli. Tale legge, nella formulazione dell'art. 73, d.P.R. 309/1990 punisce chi comunque illecitamente detiene fuori dalle ipotesi dell'articolo 75 sostanze stupefacenti. Abbiamo dunque una prima risposta: la condotta in contestazione è disciplinata dalla “lettera” della legge Jervolino-Vassallo. Quest'ultima legge, al comma 4 dell'art. 73 disciplina i fatti di cui al comma 1 riguardanti le tabelle II, cioè le c.d. droghe leggere (la sanzione prevede la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5164 a euro 77468). Ma il caso oggetto del quesito, sembra più correttamente sussumibile nella fattispecie del comma 5 dell'art. 73 (che è ipotesi di reato ormai autonoma a seguito dell'entrata in vigore del d.l. 36/2014). Che sia questa la fattispecie corretta lo si ricava dal fatto che la Procura non chiese l'applicazione di misure cautelari nei confronti dell'indagato. Dobbiamo ritenere che non lo fece perché il fatto venne “qualificato”, già in fase di indagini, di lieve entità e con pena edittale astratta da 6 mesi a 4 anni di reclusione, e cioè con una pena edittale che ai sensi dell'art. 19, comma 4, d.P.R. 448/1988 non consente l'adozione di misure cautelari. Conforta questa soluzione il precedente del tribunale per i minorenni di Reggio Calabria (ordinanza del 5 febbraio 2015, con la quale è stata sollevata Q.L.C. del comma 5 dell'art. 73). Il tribunale di Reggio giudicava una fattispecie ben più grave di quella in esame (si trattava 14 piantine di marijuana e 358 gr. detenuti a fini di spaccio) e, nel qualificare la condotta come certamente sussumibile nel comma 5, ha sollevato Q.L.C. per l'assenza di una differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti. Incidentalmente si osserva che la pena editale del comma 5 cit. consente la messa alla prova nel processo ordinario. Ne segue che, nel caso di specie, anche l'accusa qualificò la condotta come fatto di lieve entità. Conforta tale soluzione, sempre in termini generali, la circostanza che l'episodio che vede coinvolto l'imputato pare rivestire carattere episodico. Il che, com'è noto, assume particolare importanza nel procedimento minorile. |