Finalmente una nuova disciplina per la corruzione tra privati

Roberto Zannotti
04 Aprile 2017

Ennesimo maquillage del reato di corruzione tra privati: la necessità di attuare una decisione-quadro in tema di lotta contro la corruzione nel settore privato ha indotto il Legislatore a modificare la norma già prevista all'art. 2635 c.c. Le modifiche apportate sono da condividere anche se resta il problema che il reato è rimasto procedibile, almeno rispetto ad una parte delle condotte previste, a querela di parte.
Abstract

Ennesimo maquillage del reato di corruzione tra privati: la necessità di attuare una decisione-quadro in tema di lotta contro la corruzione nel settore privato ha indotto il Legislatore a modificare la norma già prevista all'art. 2635 c.c. Le modifiche apportate sono da condividere anche se resta il problema che il reato è rimasto procedibile, almeno rispetto ad una parte delle condotte previste, a querela di parte.

Premessa

Il d.lgs. 15 marzo 2017, n. 38, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 30 marzo, ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova disciplina in materia di corruzione tra privati, che entrerà in vigore il 14 aprile 2017. Tale novella legislativa non si è limitata a modificare esclusivamente l'art. 2635 c.c. ma ha introdotto altre due disposizioni, una per punire l'istigazione alla corruzione tra privati (art. 2635-bis c.c.), l'altra per disciplinare l'applicazione delle pene accessorie (art. 2635-ter c.c.), dando vita ad una sorta di microsistema specifico per tale particolare forma di corruzione.

Giova rilevare che il reato di corruzione tra privati non costituisce una novità assoluta nel nostro ordinamento, posto che tale figura criminosa era stata prevista dalla legge Severino (l. 6 novembre 2012, n. 190), in sostituzione dell'originario reato di infedeltà patrimoniale a seguito di dazione o promessa di utilità, originariamente introdotto in occasione della riforma dei reati societari del 2002.

Va comunque osservato che nei primi tre lustri di vigenza, l'art. 2635 c.c. non sembra essere stato privilegiato dalla prassi. Basti pensare, a tal proposito, che nell'anno 2013 risultavano iscritti nelle diverse sezioni di tribunale (Gip/Gup e dibattimento) sull'intero territorio nazionale soltanto 10 procedimenti penali riguardanti il reato in questione, mentre nell'anno 2014 il numero dei procedimenti iscritti è sceso a 8.

Il ruolo degli organismi internazionali

Il concetto di corruzione tra privati non era familiare al sistema italiano. Infatti, pur esistendo da sempre, anche nel nostro ordinamento, figure di reato che punivano alcune forme di corruzione privata (l'ipotesi più conosciuta è quella del c.d. reato di comparaggio, prevista dagli artt. 170 e 171 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, che punisce medici, veterinari e farmacisti che, in cambio di denaro o altra utilità, agevolino — attraverso prescrizioni — la diffusione di specialità medicinali), l'esigenza di punire generalmente tali comportamenti non era avvertita come pressante.

A fronte dell'indifferenza del Legislatore nazionale, deve invece rilevarsi che in ambito internazionale la corruzione privata ha sempre rappresentato un argomento ricorrente: basti pensare che, ad esempio, la corruzione privata era uno dei reati in ordine ai quali il secondo protocollo della Convenzione sulla protezione degli interessi finanziari del 1997 richiedeva prevedersi la responsabilità per le persone giuridiche; senza contare che il disvalore della corruzione privata, vista quale forma di manifestazione del più generale fenomeno corruttivo, è messa in evidenza anche nella Convenzione di diritto penale sulla corruzione, adottata dal Consiglio d'Europa il 27 gennaio 1999. È sulla scia di tali iniziative che il Consiglio europeo, nel quadro della cooperazione giudiziaria in materia penale, ha adottato il 22 dicembre 1998 un'azione comune, preordinata all'introduzione negli ordinamenti nazionali di specifiche ipotesi di corruzione nel settore privato, diverse ed ulteriori rispetto a quelle già adottate in conseguenza di precedenti provvedimenti (ad esempio, in materia di corruzione internazionale). All'azione comune ha poi fatto seguito, il 22 luglio 2003, una decisione-quadro (2003/568/Gai), relativa specificamente alla lotta contro la corruzione nel settore privato. In tale strumento viene evidenziato che, a causa dell'incremento dei commerci transfrontalieri, gli effetti della corruzione privata non si limitano all'ambito interno dei singoli Stati ma si riflettono anche all'esterno, dando vita — in sinergia con la corruzione amministrativa — a fenomeni distorsivi della concorrenza riguardo all'acquisizione di beni o servizi commerciali, determinando altresì un generale ostacolo al corretto sviluppo economico.

A seguito della decisione-quadro in questione, il Legislatore ha emanato la l. 25 febbraio 2008, n. 34 (Legge comunitaria 2007), delegando il Governo ad introdurre nel Libro II, Titolo VIII, Capo II del codice penale una specifica figura criminosa disciplinante la corruzione nel settore privato. Tale delega è rimasta però senza alcun esito. È stato necessario il decorso di altri 8 anni affinché alla predetta decisione-quadro venisse data attuazione con la legge di delegazione europea 2015 (l. 12 agosto 2016, n. 170), in virtù della quale è stato emanato il d.lgs. 15 marzo 2017, n. 38, che finalmente ha riscritto il reato di corruzione tra privati.

L'attuale art. 2635 c.c.

Il d.lgs. 38/2017 ha dato vita ad una norma incriminatrice diversa, distante dal ceppo originario dell'infedeltà al quale fino al 2012 era rimasta vincolata, ispirata ad uno schema di reato di pericolo, del tutto in linea con le esigenze avanzate dagli strumenti internazionali e, soprattutto, più adeguato a reprimere veri e propri fatti di corruzione. Si tratta altresì di un reato a concorso necessario: infatti, essendo strutturato sul modello dei reati di corruzione amministrativa, l'art. 2635, comma 3, c.c. prevede la punibilità anche di colui che dà o promette l'utilità, anche se ciò si verifica per interposta persona.

Interesse protetto

La norma attualmente vigente, contrariamente a quella abrogata, che era incentrata su uno schema di tipo privatistico volto a tutelare il patrimonio della società, appare modellata su un duplice profilo di oggettività giuridica: uno di natura interna alla società, incentrato dalla fiducia (lealtà) che deve caratterizzare il rapporto tra la società e i soggetti che operano nell'interesse della stessa; uno di natura squisitamente pubblicistica, a tutela della concorrenza nell'acquisizione di beni o servizi.

Tali differenti profili di tutela convivono entrambi all'interno dell'art. 2635 c.c., nel senso che ad una figura di corruzione tra privati che ruota attorno alla tutela del rapporto di fiducia con la società (procedibile a querela di parte) è sovrapposta altresì una figura di reato a tutela della concorrenza (procedibile d'ufficio), che si verifica ogni qualvolta da un fatto di corruzione tra privati derivi una distorsione della concorrenza nell'acquisizione di beni o servizi.

Soggetti attivi

Si tratta di un reato proprio, che può essere realizzato soltanto da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori di società o di enti privati.

Tale ultima espressione è alquanto ambigua ed è destinata, verosimilmente, a sollevare problemi interpretativi. Infatti la stessa è stata utilizzata dal Legislatore in aggiunta al concetto di società. Deve quindi dedursi che, al di là di una tendenza volta a recepire pedissequamente le statuizioni europee (in effetti la decisone quadro 2003/568/Gai si riferisce ad entità del settore privato), il Legislatore abbia voluto, con tale innovazione, ampliare effettivamente il raggio di operatività dell'art. 2635 c.c., riferendolo anche a tutti quei soggetti non necessariamente dotati di personalità giuridica, anche non svolgenti attività di tipo economico. Potrebbero quindi rientrare tra i soggetti attivi gli amministratori di onlus, delle organizzazioni no profit e finanche, ad esempio, gli amministratori dei condomini, gli organi di vertice di una fondazione oppure di un partito politico.

La norma stabilisce altresì che, al di là delle qualificazioni tecniche, tra i soggetti attivi del reato rientrino altresì coloro che nella struttura organizzativa della società o dell'ente esercitano funzioni direttive diverse da quelle esercitate dai soggetti tradizionali, andando così a ricomprendere, ad esempio, anche soggetti facenti parte della fascia manageriale, quali il direttore finanziario o il direttore delle risorse umane. Si tratta di un ampliamento chiaramente indotto dalle critiche mosse dagli organi europei alla normativa del 2012 ma che verosimilmente è il frutto della volontà italiana propensa più a riprendere pedissequamente quanto prescritto in sede internazionale che non a colmare reali lacune di tutela. Analogamente, la norma prevede la punibilità di tutti i predetti soggetti anche se costoro agiscano per interposta persona (è il caso, ad esempio, dell'intermediario che, per conto di un soggetto qualificato, sollecita un terzo alla dazione di denaro a favore del predetto): in tal caso la disciplina del concorso di persone avrebbe potuto supplire alla supposta lacuna.

Riguardo alla figura del corruttore deve rilevarsi come per lo stesso non sia richiesta alcuna qualifica soggettiva: può quindi trattarsi — come avverrà più frequentemente — di un soggetto estraneo alla società o all'ente; ma nulla esclude che possa trattarsi anche di un intraneus alla società (corruzione endosocietaria), come nel caso dell'amministratore che, per coprire una propria responsabilità nella gestione sociale, corrisponda ad un sindaco una somma di denaro affinché quest'ultimo, violando un obbligo del suo ufficio, ometta di evidenziare l'errore dell'amministratore.

Interessi protetti

La struttura della fattispecie descritta dall'art. 2635 c.c. è quella di un reato bilaterale a concorso necessario, caratterizzato da due condotte speculari: quella, prevista al comma 1, dell'accipiens (intraneus), che sollecita o percepisce l'utilità o accetta la promessa e, a seguito e a causa di ciò, pone in essere oppure omette un atto contrastante con gli obblighi del suo ufficio o con gli obblighi di fedeltà; quella, prevista al comma 3, dell'extraneus, che offre o promette. In un naturale raffronto con le norme sulla corruzione amministrativa, deve osservarsi che il Legislatore si è ispirato per la disposizione in esame ad un modello di corruzione propria (cioè riguardante un atto contrario ai doveri d'ufficio del soggetto agente) antecedente (nel quale la corresponsione dell'utilità o la pronuncia della promessa precede la realizzazione dell'atto).

Emerge chiaramente dalla struttura del reato che il Legislatore ha voluto disegnare una figura del tutto simile al modello di corruzione che va affermandosi a livello europeo.

Contrariamente a quanto prevedeva la norma introdotta nel 2012, la norma attuale è strutturata come reato di pericolo, posto che è stato eliminato l'evento di danno (il nocumento al patrimonio), che certamente era disfunzionale rispetto al modello tipico dei reati di corruzione amministrativa.

Oggi la norma in esame determina la punibilità anche della semplice accettazione della promessa da parte del soggetto intraneus, allorché l'accordo sia finalizzato al compimento o all'omissione di un atto in violazione degli obblighi d'ufficio o degli obblighi di fedeltà. La norma non richiede più, ai fini della consumazione del reato, l'effettivo compimento o l'omissione di atti; tale elemento è stato trasformato nell'oggetto del dolo specifico.

Resta comunque necessario individuare cosa debba intendersi per atto in violazione dei doveri degli obblighi inerenti l'ufficio. Riguardo al compimento o all'omissione degli atti da parte del soggetto qualificato deve evidenziarsi come agli stessi possa ricondursi qualsiasi manifestazione della funzione ricoperta dal soggetto qualificato, compresi i comportamenti materiali. È essenziale che gli stessi si trovino in un vero e proprio rapporto causale con la condotta dell'extraneus, nel senso che saranno rilevanti solo le dazioni o le promesse che abbiano provocato l'atto antidoveroso; in altri termini saranno tipici soltanto quei comportamenti che siano stati motivati, rispettivamente, dall'aver percepito una utilità o da una promessa. È una situazione di vera e propria causalità psicologica, in quanto l'attività dell'extraneus (cioè la dazione o la promessa) deve effettivamente aver influito sul processo motivazionale del soggetto qualificato, interno alla società. L'espressione a seguito della dazione o della promessa di utilità» non può ridursi ad indice di semplice prossimità cronologica, ma è sintomatica di una vera e propria efficacia causale della condotta, che attribuisce alla dazione o alla promessa la veste di vera e propria retribuzione. Con la conseguenza che, come nella corruzione amministrativa, anche nell'ipotesi di cui all'art. 2635 c.c. tra la prestazione dell'extraneus e l'atto del soggetto qualificato dovrà sussistere un rapporto di proporzione.

La norma, sulla falsariga di quanto introdotto dal 2012, richiede che l'atto, compiuto od omesso, ad opera dei soggetti qualificati (cioè gli intranei alla società), debba rientrare in una sfera d'illiceità speciale, posto che deve trattarsi di un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio ;o degli obblighi di fedeltà. Si pone quindi il problema di stabilire l'esatta portata della predetta espressione, non senza aver precisato che il riferimento agli obblighi di fedeltà appare generico e poco tassativo.

A tal proposito due sono, sostanzialmente, gli orientamenti che si sono formati: il primo, più restrittivo, ritiene che l'espressione utilizzata dal Legislatore debba riferirsi soltanto alla violazione delle norme aventi ad oggetto obblighi specificatamente ricavabili dai precetti civilistici che regolano e disciplinano i singoli doveri dei soggetti qualificati; il secondo, più ampio, fa rientrare nel sintagma normativo tutti quegli obblighi che regolano l'esercizio delle funzioni, costituenti il contenuto delle qualifiche di ;amministratore, direttore generale, ecc., svolte per conto e/o nell'interesse della società.

Ad un esame della questione che tenga nella dovuta considerazione il bene tutelato dalla norma (rapporto di fiducia con la società e concorrenza), l'esito non può che essere quello di un'accezione ampia della formula legislativa. Più precisamente: è essenziale che la condotta del soggetto qualificato violi un precetto positivizzato ma non esclusivamente contenuto nell'ambito del diritto civile: può trattarsi, ad esempio, anche di una disposizione di in un regolamento di un'Autorità di vigilanza, o in una istruzione professionale valida nell'azienda dove il soggetto opera, che comunque rientri nell'ambito dei doveri connessi al mandato, oppure di una regola procedimentale prevista in un modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001. È il caso, ad esempio, dell'amministratore che, dopo aver ricevuto una somma di denaro da un concorrente, ometta di presentare la dichiarazione dei redditi della società amministrata, cagionando così un danno patrimoniale alla società stessa: in un caso del genere ad essere violata è la norma (prevista dalle leggi tributarie) che impone di presentare la dichiarazione dei redditi e non v'è dubbio che anche l'obbligo di presentare le dichiarazioni fiscali rientri nell'ambito di quegli obblighi imposti direttamente dalla legge che gravano su chi ricopre l'ufficio di amministratore.

Non rientrano invece negli obblighi dell'ufficio o di quelli di fedeltà le norme puramente etiche o altre regole di corretto comportamento, a meno che le stesse non facciano parte di specifici protocolli, istruzioni o ordini interni alla società, la cui accettazione è esplicitamente prevista dagli obblighi contrattuali che legano il soggetto alla società.

Elemento soggettivo

Il delitto in questione è punito a titolo di dolo. In particolare, per ciò che riguarda l'atteggiamento psicologico dei due concorrenti necessari: a) il soggetto qualificato (o intraneus) deve avere la consapevolezza di sollecitare o ricevere il denaro o comunque un'utilità o anche la semplice promessa (dolo generico), unitamente alla finalità di compiere od omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti il suo ufficio o degli obblighi di fedeltà (dolo specifico); b) il soggetto extraneus (id est, il corruttore) deve possedere la consapevolezza di offrire, corrispondere o promettere denaro o comunque un'utilità ad uno dei soggetti qualificati, affinché uno di costoro compia od ometta un atto in violazione degli obblighi d'ufficio o degli obblighi di fedeltà.

La circostanza aggravante

Al quarto comma è prevista, analogamente a quanto è previsto in altri reati societari (ad es. nell'art. 2638 c.c.), una circostanza aggravante ad effetto speciale obbligatoria nel caso in cui la corruzione avvenga in società quotate o assimilate.

L'istigazione alla corruzione tra privati

Tra le novità introdotte dal d.lgs. 38/2017 vi è l'ipotesi di istigazione alla corruzione tra privati, descritta all'art. 2635-bis c.c. Tale previsione legislativa, espressamente richiesta dalla legge delega, costituiva infatti uno dei capisaldi della decisione-quadro 2003/568/Gai.

Per quanto riguarda la condotta incriminata, occorre distinguere tra i due commi nei quali si articola la norma.

Al primo comma si prende in considerazione l'istigazione alla corruzione privata attiva, che si configura allorché è l'extraneus (chiunque), che offre o promette denaro o altra utilità non dovuti per indurre l'intraneus (amministratore, direttore generale, sindaco, ecc.) a compiere od omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio o degli obblighi di fedeltà, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata.

Al secondo comma invece è punita la condotta di istigazione alla corruzione tra privati passiva, che si realizza quando è l'intraneus a sollecitare una promessa o una dazione di denaro o di altre utilità al fine di compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o in violazione degli obblighi di fedeltà, qualora la sollecitazione non sia accettata.

Il regime di procedibilità

Il comma 5 della norma in esame stabilisce che il reato è procedibile a querela della persona offesa, ad eccezione del caso che il fatto abbia determinato una distorsione della concorrenza. Ai sensi dell'art. 123 c.p. la querela sporta nei confronti di un solo soggetto (ad esempio contro l'amministratore corrotto) si estende di diritto anche agli altri concorrenti nel reato.

Per ciò che riguarda la legittimazione a proporre querela devono operarsi, con riferimento al delitto in questione, alcune distinzioni: allorché il reato è stato commesso dagli amministratori la legittimazione non potrà che essere dell'assemblea, alla quale compete per legge l'esercizio dell'azione di responsabilità; se, invece, il reato di cui all'art. 2635 c.c. è stato realizzato da soggetti estranei all'organo di gestione (ad esempio dai sindaci o dai responsabili della revisione oppure da una figura manageriale), il potere di proporre querela potrà essere esercitato dal legale rappresentante dell'ente o dall'organo di amministrazione.

Lo strumento della querela, previsto fin da quando è stata introdotta la norma nel 2002, è stato mantenuto anche a seguito della riformulazione della norma da ultimo portata a termine con il d.lgs. 38/2017, ad eccezione del caso in cui dalla corruzione tra privati sia scaturita una distorsione nella concorrenza.

Non pare potersi dubitare che il mantenimento della procedibilità a querela di parte si ponga in forte contrasto, sul piano dell'analisi scientifica, con la configurazione di reato di pericolo ora assunta dalla corruzione tra privati e con il bene giuridico tutelato; verosimilmente la procedibilità a querela di parte costituirà l'elemento che di fatto in molti casi neutralizzerà l'efficacia della norma, nonostante la stessa si presenti oggi astrattamente idonea a svolgere una funzione moralizzatrice dell'attività d'impresa.

Mantenendo una scelta effettuata dal Legislatore con la riforma del 2012, anche la riscrittura della norma operata nel 2017 ha previsto la procedibilità d'ufficio se dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi dovendosi intendere con tale espressione una situazione di pericolo astratto derivante dalla condotta corruttiva finalizzata all'acquisizione di beni o servizi.

In conclusione

La norma si inquadra nel filone della tematica lotta alla corruzione e cerca di punire condotte di corruzione che si sviluppano nel settore privato. L'orientamento della legislazione sovranazionale è oramai risoluto a ritenere la pericolosità delle condotte di compravendita degli atti d'ufficio anche quando si verificano tra privati. D'altronde la norma in questione si inserisce a pieno titolo tra quelle che, in senso ampio, tutelano anche il corretto e regolare funzionamento del mercato e quindi la moralità dello stesso. Resta solo il dubbio se il Legislatore italiano, nell'estendere l'operatività di tale norma incriminatrice agli enti privati (oltre alle società) si sia reso conto delle conseguenze potenzialmente deflagranti che tale norma potrebbe innescare, soprattutto allorché viene leso il bene della concorrenza e si determina un'alterazione della stessa. Il rischio è quello, ben noto nel diritto penale dell'economia, che a fronte di un rilievo marginale finora rivestito dalla corruzione tra privati nella prassi, possa fare riscontro un'applicazione pervasiva della norma stessa, anche a situazioni che il Legislatore non aveva immaginato.

Guida all'approfondimento

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