La spending review sui diritti dell'imputato
06 Novembre 2015
Abstract
Ci sono fenomeni che, se visti singolarmente e nella loro ritenuta marginalità, possono essere considerati non significativi ma che, se ricollegati in un quadro sistematico, possono assumere un significato rilevante e per il loro contenuto dirompente. Sono state oggetto di significative conquiste alcune previsioni idonee a risarcire/indennizzare gli imputati e i condannati che avevano visti lesi i loro diritti di libertà in conseguenza dell'attività giudiziaria. Il riferimento si indirizza, in primo luogo, alla disciplina della riparazione per ingiusta detenzione (artt. 314 – 315 c.p.p.), allargata significativamente da alcune decisioni della Corte costituzionale. La riparazione per ingiusta detenzione
Senza entrare nel merito dell'entità della somma che viene assegnata ai richiedenti, va sottolineato come si stia assistendo ad una progressiva erosione del raggio di operatività della previsione, attraverso l'allargamento della nozione di colpa grave (e di dolo). Invero, si assiste – sempre più spesso – ad una valutazione, in termini di esclusione del diritto alla riparazione (per colpa del soggetto ingiustamente o illegalmente ristretto), del comportamento antecedente all'ipotizzato fatto di reato con conseguente confusione del giudizio di responsabilità, che è sempre riconducibile ad una attività ritenuta illecita o colpevole del soggetto, con quello legato al comportamento processuale coevo e successivo alla misura restrittiva. Il dato, del resto, emerge con chiarezza dalle previsioni normative che collegano con precisione il comportamento del soggetto alla applicazione della misura cautelare. Non può non sottolinearsi, altresì, come la tutela risulti oggi del tutto inadeguata non solo con riferimento all'ingiusta o illegale applicazione di una misura cautelare reale ma anche di una misura interdittiva, per i significativi danni e pregiudizi che la loro applicazione può causare. A seguito della ormai notissima sentenza Corte Edu Torreggiani, nel contesto della c.d. legislazione svuota carceri, sono stati previsti alcuni strumenti di tutela per i detenuti che abbiano subito una restrizione in condizioni di degrado. Il riferimento si indirizza in particolare agli artt. 35-bis e 35-ter ord. pen. Gli orizzonti di operatività delle due previsioni appaiono scanditi con precisione: con l'art. 35-bis si intende assicurare una garanzia giurisdizionale nei confronti delle modalità trattamentali non conformi alle leggi ed ai regolamenti; con l'art. 35-ter si persegue lo scopo di risarcire le intervenute violazioni dell'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Si sta assistendo, invece, ad una interpretazione che, confondendo i due dati normativi, porta ad escludere la possibilità della riparazione pecuniaria. Come emerge con chiarezza dalla formulazione delle due previsioni l'art. 35-bis fa riferimento ad una situazione in atto che si deve rimuovere; l'art. 35-ter tutela le situazioni pregresse escludendo così l'indennizzo, a tutti gli effetti già maturato per il passato, in caso di carenza dell'attualità della situazione lesiva al momento della domanda o (peggio) della decisione, ma agli effetti già maturato nel passato. Su di un altro piano, concorrente a questo, invece, si vogliono innalzare le sanzioni pecuniarie per le impugnazioni inammissibili o rigettate. Nel d.d.l. Orlando, approvato dalla Camera ed attualmente in discussione al Senato, si prevede, infatti, in aggiunta delle spese del procedimento, che l'attuale sanzione a favore della cassa delle ammende (da Euro 258 a Euro 2065) possa essere raddoppiata o triplicata. Si consideri che la riforma de qua fa dell'inammissibilità dei gravami, per effetto di più rigorosi presupposti delle impugnazioni, un suo punto di forza. A corollario, si ipotizza l'adeguamento biennale dei riferiti importi alla variazione Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Va, altresì, sottolineato come analoga previsione – ovvero un meccanismo di spese compensate – non sia previsto nel caso di rigetto o di inammissibilità delle impugnazioni del pubblico ministero. La riparazione per irragionevole durata del processo
Va ulteriormente sottolineato come con la c.d. legge di stabilità sia prevista una restrizione – forte – dell'equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo. Per un verso, viene ridefinita l'entità annua dell'equa riparazione (tra i 400 e gli 800 euro), con incrementi e decrementi in relazione alla misura del tempo “sforato” e del numero degli imputati. La richiesta di equa riparazione è inammissibile se l'imputato non propone una richiesta preventiva di trattazione del processo sei mesi prima della scadenza del termine “ragionevole” fissato dalla legge. È escluso il diritto alla riparazione per l'imputato nel caso di intervenuta prescrizione, di vantaggi patrimoniali superiori al danno conseguente dal tempo irragionevole del processo, di abuso di poteri processuali determinanti l'ingiustificata dilatazione dei tempi del procedimento. In questo contesto, non può non sottolinearsi come manchi del tutto una adeguata tutela dell'innocente, cioè, del soggetto prosciolto, archiviato, assolto perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto. Appare contrario, sia alla garanzia costituzionale dell'art. 24, ultimo comma, Cost., interpretato in modo allargato, ed implementato dal principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., che il soggetto – estraneo del tutto al fatto – subisca oltre al danno di immagine (e non solo), non recuperabile nel tempo, alla luce del seppur favorevole esito processuale, anche il danno del decremento economico delle spese della difesa. Sarebbe necessario estendere – con gli opportuni adeguamenti – la disciplina di cui alla riparazione degli errori giudiziari, ristorando – integralmente ovvero attraverso detrazioni fiscali – i costi sostenuti per la difesa tecnica, le consulenze e le eventuali investigazioni. Del resto, per il querelante, restituzioni e risarcimenti per una attività rivelatasi infondata è pur prevista. In questa prospettiva andrebbero anche valutati adeguamenti degli strumenti di tutela connessi al danno sociale, alle implicazioni lavorative e familiari. Il discorso si colloca nel quadro più generale della risarcibilità del danno da attività giudiziaria svolta legittimamente, cioè, estranea alla sfera – più specifica – dell'attività giudiziaria disciplinarmente sanzionata ovvero civilmente/penalmente sanzionata. Invero, il tema coinvolge soprattutto, ma non solo, il risarcimento per i danni causati – come anticipato – dai sequestri delle cose, dei beni e delle attività la cui restituzione tardiva abbia causato pregiudizi di valore delle res, perdite di chances e quant'altro. Sotto queste ultime prospettive, il processo non può considerarsi un rischio nel quale incorrere e preventivabile, il cui esito positivo sia ritenuto del tutto idoneo a soddisfare – di per sé - l'estraneo al fatto. In conclusione
Le riflessioni qui svolte mettono in luce come – pur nella consapevolezza della crisi economica del Paese – si stia sviluppando una perniciosa spending review sui diritti dell'imputato e del condannato. Non è questo il modo di procedere. Se è giusto che il condannato debba scontare la sua pena, è ingiusto che coloro i quali hanno subito il pregiudizio di un processo, necessario in forza del principio di obbligatorietà dell'azione penale, rivelatosi infondato – superando i vincoli sostanziali, processuali, economici, personali – di cui è disseminata una vicenda giudiziaria - debbano subire i “danni” di una iniziativa giudiziaria che si è rivelata totalmente infondata. Il bilanciamento – sotto il profilo costituzionale – deve essere individuato nella logica solidaristica di una società che si riconosce nelle fondamenta dei propri valori costituzionali. Per la stessa ragione quando i diritti risarcitori e riparatori sono riconosciuti dal legislatore, non appare lecito, in una logica riduttiva, quand'anche motivata da ragioni personali di cautela per il rischio di una futura responsabilità, ridimensionarli, né appare consentito allo stesso legislatore, per motivi di bilancio, comprimerli. L'obiettivo della legge deve essere quella di escludere o ridurre le cause (patologiche) delle lesioni, non quello di circoscrivere gli effetti (economici) delle lesioni stesse, ponendo altresì oneri a carico di chi i pregiudizi li ha incolpevolmente subiti. |