Errore giudiziarioFonte: Cod. Proc. Pen. Articolo 643
24 Luglio 2015
Inquadramento
L'errore giudiziario, derivante dalla celebrazione del processo penale, è conseguenza possibile e, di fatto, ineludibile, di ciascun percorso processuale che si conclude necessariamente con una decisione. Nel processo penale l'eventuale errore giudiziario che scaturisca da una decisione ingiusta, tanto perché derivante dal mancato rispetto di regole procedurali, quanto perché la ricostruzione del merito non corrisponde alla realtà dei fatti (o alla diversa realtà emersa da un secondo giudizio), assume un peso di particolare rilevanza, atteso che la sentenza di condanna (provvedimento che ha maggiore capacità di incidere negativamente sull'esistenza dell'imputato) è in grado di incidere significativamente sulla libertà personale, sull'immagine, sulla capacità lavorativa e altri significativi aspetti della vita privata dell'imputato. Attesa l'impossibilità, in qualsiasi sistema processuale, di eliminare radicalmente l'errore giuridico, ciascun ordinamento è tenuto a dotarsi, in primis, di meccanismi procedurali che ne prevengano la produzione ed, in secondo luogo, a predisporre rimedi riparatori idonei a garantire ex post un ristoro a chi abbia subito l'errore giudiziario. Dopo un lungo percorso legislativo e giurisprudenziale, il nostro ordinamento riconosce oggi la riparazione dell'errore giudiziario emerso in seguito alla revisione di una sentenza di condanna (art. 643-647 c.p.p.) e la riparazione per l'ingiusta detenzione, finalmente disciplinata dagli artt. 314-315 c.p.p., quale derivazione del diritto riconosciuto dall'art. 24, comma 4, Cost. I presupposti
Limitandoci alla disamina dei presupposti per la riparazione dell'errore giudiziario emerso in seguito alla celebrazione del procedimento di revisione, è evidente che la condizione indispensabile per avviare il sub-procedimento per la riparazione del danno è rappresentata da qualunque delle forme di proscioglimento di cui agli artt. 529, 530 e 531 c.p.p. Sentenze che abbiano, in buona sostanza, riconosciuto l'errore giudiziario contenuto in una sentenza di condanna emessa all'esito di giudizio ordinario o rito alternativo (ivi incluso il patteggiamento) o in un decreto penale di condanna, provvedimenti tutti divenuti irrevocabili.
Secondo parte della dottrina (TROISI P.) nell'alveo degli errori giudiziari suscettibili di riparazione dovrebbe rientrare l'errore di fatto che sia stato riconosciuto all'esito di un giudizio instaurato, per l'appunto, con ricorso straordinario per errore di materiale o di fatto ex art. 625-bis c.p.p., trattandosi, analogamente ai casi che legittimano la richiesta di revisione, di erronee affermazioni di responsabilità.
Nel caso del procedimento ex art. art. 625-bis c.p.p., inoltre, l'esito del giudizio potrebbe anche consistere nella diminuzione della pena inflitta al condannato per effetto dell'errore di fatto successivamente riparato, con la conseguenza che, a differenza del procedimento di revisione, anche una modifica della sentenza di condanna potrebbe legittimare una richiesta di riparazione in riferimento al periodo di pena scontato illegittimamente. La cause di esclusione
La riparazione per l'errore giudiziario è, tuttavia, condizionata alla mancanza di un presupposto “negativo”: pur in presenza del riconoscimento dell'errore, infatti, occorre che il condannato non abbia dato causa per dolo o colpa grave all'errore giudiziario. Il concetto di dolo, in tale sede, è stato ricostruito in riferimento alla diversa funzione che l' elemento psicologico assume per la valutazione della meritevolezza della riparazione rispetto all'accezione di dolo tipizzata ai fini dell'accertamento della responsabilità penale. Si tratta, allora, di un dolo apprezzabile secondo i criteri della teoria generale del negozio giuridico e consiste quindi in qualunque comportamento, anche omissivo, volto, con artifici e raggiri, ad ingannare ed alterare il quadro degli elementi valutabili dal giudice ai fini della decisione; si tratta, quindi, di una condotta che ha avuto un'incidenza causale rilevante per la determinazione dell'errore giudiziario (Cass. pen., Sez. IV, 24 settembre 1998, n. 2569). La colpa grave, invece, secondo consolidata giurisprudenza (a partire da Cass. pen., Sez. IV, 27 novembre 1992, n. 1366) formatasi a breve distanza dall'entrata in vigore della norma, è individuabile nella condotta caratterizzata da noncuranza, negligenza, incuria e indifferenza per le conseguenze dei propri atti ai fini penali; disinteresse per le vicende del proprio processo; astensione dal fornire spiegazioni all'autorità giudiziaria; condotte tutte che, nella generalità delle persone di ordinaria esperienza, sono tali da rendere prevedibile per l'autore delle stesse, una sentenza di condanna. Va rilevato che, a differenza della disciplina inerente la riparazione per l'ingiusta detenzione, nella quale viene valorizzato anche il concorso di colpa dell'indagato/imputato nella realizzazione dell'errore giudiziario, per la riparazione dell'errore emerso in seguito a revisione il Legislatore ha ristretto il campo delle cause di esclusione, probabilmente in ragione della diversità dei due istituti, l'uno riferito a situazioni fluide, in quanto legate alle esigenze cautelari, l'altro derivante da un accertamento di merito completo (In senso favorevole, SCOMPARIN; in senso contrario, COPPETTA).
Nel caso in cui sia riconosciuto l'errore giudiziario in seguito all'accoglimento della domanda di revisione, al prosciolto spettano, in primo luogo, le restituzioni delle somme specificate nell'art. 639 c.p.p. che, evidentemente, derivavano a vario titolo dalla sentenza di condanna travolta dalla revisione. Nel dettaglio si tratta delle somme pagate:
Vengono, altresì, restituite le cose che sono state confiscate, ad eccezione di quelle previste nell'art. 240, comma 2, n. 2, c.p. Accanto alle restituzioni in senso tecnico, il codice di procedura prevede, in sostanza, due forme di riparazione finalizzate a fornire un ristoro a chi abbia subito una condanna ingiusta, con le conseguenze patrimoniali e di reputazione che ne conseguono. Quanto al primo aspetto, in favore del prosciolto (o, come si vedrà infra, dei parenti, in caso di morte dell'interessato) sono previste, alternativamente, le seguenti misure:
Per quanto concerne, invece, il recupero della dignità e reputazione del prosciolto, è previsto il meccanismo riparatorio della pubblicazione, a spese dello Stato, di un estratto della sentenza di accoglimento della richiesta di revisione del processo che, a richiesta dell'interessato, deve essere pubblicata nel Comune in cui la sentenza di condanna era stata pronunciata ed in quello di ultima residenza del condannato, nonché su un giornale indicato dal richiedente. Aspetti processuali
La procedura per richiedere la riparazione dell'errore giudiziario è inserita nel corpo del codice di procedura penale (artt. 645-646) ma, atteso che la domanda introduttiva ha necessariamente connotati di natura civilistica, essendo tesa ad ottenere un ristoro essenzialmente patrimoniale, dottrina e giurisprudenza si sono nel tempo soffermate sull'individuazione della disciplina applicabile al procedimento in esame. Se, infatti, una prima impostazione delle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. un., 13 gennaio 1995, n. 1) riteneva applicabili le norme del codice di procedura civile in ogni caso in cui la disciplina penalistica non regolamentasse uno specifico aspetto, la tendenza della giurisprudenza successiva e di parte della dottrina (COPPETTA) ha virato sul riconoscimento della connotazione pubblicistica della tutela giurisdizionale riparatoria, come tale da assoggettare al codice di procedura penale. Legittimati attivi a presentare la domanda di riparazione sono:
La domanda di riparazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione che ha disposto il proscioglimento; deve essere depositata presso la cancelleria della Corte di appello che ha pronunciato la sentenza di revisione, giudice competente per la domanda di riparazione dell'errore giudiziario. Alla domanda di riparazione devono essere allegati i “documenti ritenuti utili”, secondo il dettato dell'art. 645, comma 1, c.p.p.: la locuzione, che sottintende un margine di discrezionalità nella scelta dei documenti da allegare da parte dell'interessato, ha aperto il campo ad alcune divergenze, derivanti ancora una volta dalla querelle circa la natura privatistica o pubblicistica del procedimento in esame, quanto ai confini dell'onere della prova che incombe sul richiedente. Superando una iniziale impostazione che poneva a carico dell'interessato l'onere della prova circa petitum e causa petendi e attribuiva all'amministrazione convenuta la prova di eventuali cause di esclusione della riparazione attribuibili a condotte dolose o gravemente colpose del richiedente, si è andata imponendo una concezione più prettamente pubblicistica, secondo la quale la parte è tenuta ad un mero onere di allegazione, colmabile dall'iniziativa d'ufficio del giudice, se del caso consistente nell'indicazione alla parte, a pena di rigetto della domanda, dei documenti specifici con i quali integrare la richiesta incompleta (Cass. pen., Sez. IV, 24 maggio 2000, n. 3042). La Corte di appello decide in camera di consiglio osservando le forme previste dall'art. 127 c.p.p., come da rinvio operato dall'art. 646, comma 1, c.p.p. È interessante notare come la domanda e il provvedimento che fissa l'udienza, oltre ad essere comunicata al pubblico ministero e notificata al Ministro del tesoro (presso l'Avvocatura dello Stato che ha sede nel distretto della Corte) deve essere notificata a tutti gli interessati, compresi gli aventi diritto che non hanno proposto la domanda: costoro, infatti, possono giovarsi della domanda presentata da un altro avente diritto, presentando le proprie richieste nel termine di cinque giorni prima dell'udienza, in ossequio all'art. 127, comma 2, c.p.p. Analogamente avviene nel caso in cui l'istante muoia prima della relativa udienza: il decreto che fissa l'udienza deve essere notificato agli aventi diritto per valutare se presentare richieste di riparazione: la mancata proposizione della domanda nell'ambito del procedimento già fissato comporta la decadenza dal presentare nuove domande di riparazione per lo stesso errore giudiziario successivamente alla chiusura del procedimento. In ogni caso la Corte di appello provvede con ordinanza, con la quale può dichiarare l'inammissibilità, l'accoglimento (ed, in tal caso, accordare una provvisionale a titolo di alimenti se il soggetto versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al suo mantenimento) o il rigetto della domanda; ordinanza che è comunicata al pubblico ministero e notificata agli interessati al fine dell'eventuale proposizione del ricorso per Cassazione. Casistica
COPPETTA, La condotta dolosa o gravemente colposa in materia di riparazione per ingiusta detenzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1167. SCOMPARIN, Riparazione dell'errore giudiziario, in Dig. Pen., XII, Torino, 1997, 319; TROISI P., La riparazione dell'errore giudiziario, in DALIA-TROISI P.-TROISI R., I rimedi al danno da processo, Milano, 2013, 13 ss. |