La Cassazione fa il Legislatore e salva “le valutazioni” nello schema del falso in bilancio

07 Luglio 2016

Con la sentenza delle Sezioni unite n. 22474/2016 del 31 marzo 2016, sembrerebbe che sia stato risolto definitivamente il dibattito sulla rilevanza penale delle valutazioni in tema di falso in bilancio, a seguito della riforma introdotta con la legge 27 maggio 2015 n. 69. Secondo le Sezioni unite sussiste il delitto di false comunicazioni sociale, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazioni se in presenza di criteri di valutazione, normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosta consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari della comunicazione.
Abstract

Con la sentenza delle Sezioni unite n. 22474/2016 del 31 marzo 2016, sembrerebbe che sia stato risolto definitivamente il dibattito sulla rilevanza penale delle valutazioni in tema di falso in bilancio, a seguito della riforma introdotta con la legge 27 maggio 2015 n. 69.

Secondo le Sezioni unite sussiste il delitto di false comunicazioni sociale, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazioni se in presenza di criteri di valutazione, normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosta consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari della comunicazione.

La sentenza sul falso in bilancio: soluzioni che non convincono

La lettura della sentenza testimonia il percorso argomentativo ispirato da una interpretazione teleologica della norma che è ben evidenziata dal richiamo fatto nella motivazione all'intenzione del Legislatore, anche se poi detta intenzione non s'identifichi con quella dell'Organo o dell'Ufficio che ha predisposto il testo, ma vada ricercata nella volontà statuale finalisticamente intesa.

Il rilievo svolto dalle Sezioni unite è estremamente chiaro: ciò che conta è l'intenzione del Legislatore, cioè la tutela della trasparenza contabile, anche se questa intenzione non s'identifica con quella dell'Organo o dell'Ufficio che ha predisposto il testo.

In altre parole, anche se l'Ufficio che ha predisposto il testo, facendo espresso riferimento nella nuova norma sul falso in bilancio ai fatti materiali, cioè a fatti oggettivi, ha inteso escludere la rilevanza penale delle valutazioni, tutta la normativa civilistica presuppone e prescrive il momento valutativo nella redazione del bilancio, anzi ne detta i criteri di valutazione (art. 2426 c.c.).

Non è possibile, quindi, proprio in relazione all'aspetto sistematico dell'intera materia societaria in tema di bilancio, che individua l'oggetto della tutela penale nella trasparenza societaria, escludere la rilevanza penale delle valutazioni, perché, altrimenti, significherebbe negare la funzione e stravolgere la natura del bilancio.

Non v'è dubbio che i principi che regolano la redazione del bilancio, non si riferiscono solo all'esattezza aritmetica dei dati rappresentati ma investono anche le valutazioni di quei dati aritmetici, sicchè il bilancio si struttura di per sé, necessariamente, anche in un procedimento valutativo.

Ma è altrettanto vero che l'Ufficio, che ha predisposto il nuovo testo del falso in bilancio che fa espresso riferimento a fatti materiali, avesse ben presente il ruolo delle valutazioni nella redazione del bilancio. E soprattutto che il richiamo ai soli fatti materiali avrebbe escluso la rilevanza penale delle valutazioni.

Come è facile intuire dalla lettura della motivazione, le Sezioni unite, riconoscendo espressamente che l'intenzione dell'Organo o dell'Ufficio che ha predisposto il testo non s'identifichi con l'intenzione del Legislatore, apre un problema enorme, che non può non incidere sul principio di tipicità della norma che nel caso di specie soccombe a favore del principio di offensività.

In altre parole le Sezioni unite, pur riconoscendo indirettamente che il riferimento della norma ai fatti materiali escluda lessicalmente la rilevanza penale delle valutazioni, in virtù della tutela della trasparenza societaria assegnata al reato di falso in bilancio, mantengono la rilevanza penale delle valutazioni, proprio per assicurare al bene giuridico della trasparenza societaria una piena tutela, perché altrimenti, “sterilizzare” il bilancio con riferimento al suo contenuto valutativo, significherebbe stravolgerne la natura.

Il tema è se sia corretta questa soluzione giurisprudenziale o se viceversa si possa incorrere in un rilievo d'illegittimità costituzionale per essere stato violato il principio di tipicità della norma, perché non v'è dubbio che, al di là degli sforzi e delle acrobazie logico-giuridiche portate avanti dalle Sezioni unite per sostenere che il delitto di false comunicazioni sociali investa anche i procedimenti valutativi, il richiamo della norma ai fatti materiali evidenzia che oggetto della falsa rappresentazione non possono essere che dati oggettivi.

Tutti gli argomenti sviluppati nella sentenza delle Sezioni unite a sostegno che l'aggettivo materiali non s'identifichi con il dato oggettivo, appaiono privi di fondamento.

Si sostiene nella sentenza delle Sezioni unite che la giurisprudenza antecendente alla riforma del 2015 era costante nel ritenere la sostanziale superficialità dell'inciso ancorchè oggetto di valutazioni presente nella norma abrogata, sicchè non si vede per quale ragione la soppressione dell'inciso nella nuova formulazione avrebbe dovuto vincolare l'interprete.

In realtà sfugge un dato estremamente significativo, rappresentato dal fatto che il delitto di false comunicazioni sociali, introdotto con la riforma del 2002, indipendentemente dalla sostanziale superfluità o meno dell'inciso ancorché oggetto di valutazioni, faceva un espresso riferimento alle valutazioni che singolarmente considerate differissero in misura non superiore al 10% da quelle corrette.

Infatti sia l'art. 2621 c.c. che l'art. 2622 c.c. escludevano la punibilità del fatto se fosse stato conseguenza di valutazioni estimative.

Avendo il Legislatore espressamente introdotto una causa di non punibilità del falso in bilancio, quando le valutazioni estimative non avessero differito oltre la soglia del 10% da quelle corretta, veniva sottolineata espressamente, al di là dell'inciso richiamato, la rilevanza penale delle valutazioni in tema di falso in bilancio.

Non è quindi la superfluità o meno dell'inciso ancorché oggetto di valutazioni, che non ricompare nella struttura della nuova ipotesi di falso in bilancio a rilevare sulla sorte attuale delle valutazioni estimative, quanto la soppressione della causa di non punibilità delle valutazioni estimative non corrette.

Nella nuova norma viene a mancare l'aggancio normativo alle valutazioni estimative, che erano espressamente richiamate nel precedente testo e la condotta attuale del delitto di false comunicazioni sociali si riduce eclusivamente all'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, cioè alla sola esposizione di dati oggettivi.

Secondo la sentenza la materialità dei fatti non può essere intesa, come antitetica alla soggettività delle valutazioni: materiale non può essere sinonimo di oggettivo.

Si sottolinea nella motivazione della sentenza che la figura del falso valutativo è solidamente incardinata e la giurisprudenza della Corte di cassazione ha avuto già modo di chiarire che è certamente possibile ipotizzare la falsità di enunciati valutativi sia in tema di falso ideologico (art. 479 c.p.), sia in tema di falsa perizia (art. 373 c.p.).

Il problema è mal posto e fuorviante, perché tende a verificare se sia possibile o meno ipotizzare la falsità di enunciati valutativi in tema di falso ideologico o di falsa perizia che – come osservato in sentenza – hanno avuto una risposta positiva dalla giurisprudenza, quando invece il tema attiene esclusivamente al significato che si deve assegnare alla nozione di fatti materiali.

È certamente possibile ipotizzare la falsità in enunciati valutativi in tema di falso ideologico (art. 479 c.p.) o di falsa perizia (art. 373 c.p.) ma le due norme fanno solo espresso riferimento alla falsa attestazione di un fatto (art. 479 c.p.) o all'affermazione di fatti non conformi al vero (art. 373 c.p.) e non a fatti materiali.

Anche l'ulteriore considerazione che l'espressione fatti non rispondenti al vero richiamata dall'art. 2621 c.c. (r.d. 16 marzo 1942, n. 262) ricomprendeva anche la stima di entità economiche, si rivela palesemente errata.

È chiaro che il riferimento dell'art. 2621 c.c. (r.d. 16 marzo 1942 n. 267) solo ai fatti non rispondenti al vero consentiva di ricomprendere nel concetto di fatti, non solo i dati obiettivi della realtà esteriore, ma anche i fatti psichici, quali le valutazioni strettamente connesse alla determinazione dei fatti.

Il richiamo a fatti materiali circoscrive l'oggetto della falsa rappresentazione della situazione economico-finanziaria e patrimoniale della società ai soli dati oggettivi.

La conferma a questa soluzione deriva anche dalla formula di frode fiscale (art. 4 lett. f) d.l. 429/1982 conv. l. 516/1982, modificato dalla legge 15 maggio 1991 n. 154) che faceva riferimento all'utilizzazione di documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero.

L'art. 4 lett. f) del d.l. 429/1982 puniva espressamente l'utilizzo di documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero ovvero altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento di fatti materiali.

Il disegno di legge n. 5372 era estremamente chiaro sulle ragioni della modifica del delitto di frode fiscale ed in particolare del richiamo fatto dalla norma all'utilizzo di documenti attestanti fatti materiali, inteso ad impedire che le valutazioni potessero avere rilevanza penale.

La dottirina dell'epoca, compatta, non esitò ad escludere la rilevanza penale delle valutazioni, perché l'espressione fatti materiali è evidentemente ricomprensiva di tutti quegli elementi contabili e reddituali di ogni rapporto giuridico ed economico, sicchè il richiamo ai fatti materiali, impedisce di ampliare l'operatività della norma alle operazioni di stima.

Nell'affrontare l'analisi del nuovo reato di frode fiscale la dottrina si rivelò unanime nel sostenere che il riferimento fatto dalla norma ai fatti materiali escludeva dal panorama della frode fiscale i procedimenti valutativi.

Si è sostenuto in dottrina che l'aggettivo materiali, che segue il sostantivo fatti, sarebbe del tutto ridondante e la sua inserzione nella formula legislativa e sul piano semantico priva di valore specifico (MUCCIARELLI). Concetto questo che era già stato avanzato dal relatore del disegno di legge nel corso della seduta al Senato del 19 marzo 2015 (seduta pubblica, giovedì 19 marzo 2015, in Resoconto stenografico, intervento del relatore D'Ascola, 59) che definiva la formula fatti materiali come espressione enfatica e caratterizzata sostanzialmente da superfetazioni nel senso che il fatto è inevitabilmente materiale.

Ma se le cose stanno così, se il fatto è inevitabilmente materiale non si comprende per quale ragione il Legislatore avrebbe dovuto insistere e far seguire l'aggettivo materiali al sostantivo fatti, se non per rafforzare la concretezza del fatto con l'inevitabile conseguenza dell'esclusione della rilevanza penale degli aspetti valutativi (v. SEMINARA).

L'utilizzo da parte del legislatore dell'aggettivo materiali rivela l'esigenza di una esposizione di dati contabili ricavati da dati reali, al di fuori di qualsiasi profilo valutativo.

Né può essere condivisa la soluzione che tende ad attribuire all'aggettivo materiali il significato di rilevante, facendo ricorso al prestito linguistico material fact che compare nella legislazione inglese ed americana e che viene utilizzato nel linguaggio giuridico contabile per rappresentare un giudizio di rilevanza o di significatività (ALESSANDRI; MAZZACUVA; GAMBARDELLA) .

Questa soluzione, che peraltro è stata avanzata alla Camera nel corso del dibattito parlamentare sul falso in bilancio, si rivela in contrasto con la formula richiamata dall'art. 2621 c.c. che parla di fatti materiali rilevanti (anche se la stessa formula non è stata adottata dall'art. 2622 c.c. che parla solo di fatti materiali) in cui i diversi aggettivi (materiali e rilevanti che seguono il sostantivo fatti” verrebbero ad assumere lo stesso significato.

Si tratterebbe di una formula che finirebbe per essere grottescamente ripetitiva (MUCCIALRELLI).

Soprattutto se si tiene presente che in più occasioni la Sec (v. ALESSANDRI) ha evidenziato che il vero significato di material consiste nell'idoneità a cagionare l'errore nel senso che rientrano nel suo ambito solo le informazioni che incidono sui destinatari, concetto espresso non solo dall'aggettivo rilevanti ma anche dall'ulteriore requisito richiamato dalla norma dell'idoneità ingannatoria della falsa informazione.

Com'è facile intuire dalla semplice lettura della norma il Legislatore ha utilizzato l'aggettivo materiali secondo il significato proprio della lingua italiana, intendendosi così marcare maggiormente il riferimento al fatto come oggetto dell'esposizione falsa o reticente (MUCCIARELLI, 14 ss.).

La rilevanza dei fatti materiali non rispondenti al vero

La sentenza poi affronta il concetto di rilevanza, richiamato dall'art. 2621 c.c., mentre per quanto riguarda l'art. 2622 c.c. (False comunicazioni sociali dalle società quotate) la rilevanza viene in rilievo solo per la condotta omissia.

Viene sottolineato che il requisito della rilevanza avrebbe sostituito il previgente parametro dell'idoneità ad indurre in errore i destinatari della comunicazione, precisando che l'idoneità ad indurre in errore altro non è che il riflesso soggettivo della rilevanza dell'alterazione dei dati di bilancio.

Il tema del requisito della rilevanza, che nella sentenza delle Sezioni unite viene liquidato con una paginetta, merita, invece, particolare attenzione.

Il requisito della rilevanza informativa del bilancio e delle altre comunicazioni sociali, nonostante la scomparsa delle soglie di punibilità, mantiene ancora, in ossequio all'esclusiva preminenza data dal Legislatore al bene giuridico della trasparenza e della compiutezza dell'informazione societaria, un ruolo significativo nel paradigma del falso in bilancio.

L'assetto formale adottato dalla riforma sul falso in bilancio lascia sconcertati, perché il requisito della rilevanza dei fatti materiali è previsto per la fattispecie di falso in bilancio delle società non quotate, mentre per le società quotate o per quelle ad esse equiparate, il requisito della rilevanza opera solo per le ipotesi omissive e non per quelle commissive.

La ragione di questo diverso trattamento è da ricercarsi, probabilmente, nel fatto che le società quotate e le società ad esse equiparate, per la dimensione pubblica rivestita, possono coinvolgere il risparmio della collettività.

Non si comprendono però le ragioni per cui anche per le società quotate viene mantenuto il requistito della rilevanza nel caso di omissione di fatti materiali.

Le difformità dal vero contenute nel bilancio potranno integrare le fattispecie previste dagli artt. 2621 e 2622 c.c., in quanto presentino il requisito della rilevanza informativa sulle condizioni economiche della società e siano rilevanti ai fini della valutazione della potenzialità economica della stessa.

La rilevanza dei fatti materiali attiene non tanto all'idoneità decettiva della rappresentazione sulla situazione economica della società cui, viceversa, fa riferimento l'ulteriore requisito modale della condotta di entrambe le fattispecie che deve essere idonea ad indurre altri in errore, quanto all'esigenza di escludere dall'area di intervento penale, in correlazione agli obiettivi di tutela dell'incriminazione, le false informazioni o le omissioni che non incidono sull'efficienza informativa del bilancio (SANTORIELLO).

L'identità tra la rilevanza dei fatti materiali falsi e l'alterazione sensibile

Il tema dell'alterazione sensibile della rappresentazione della situazione patrimoniale, economico-finanziaria della società, cui facevano riferimento nel vigore della precedente disciplina gli artt. 2621 e 2622 c.c., coincide con quello della rilevanza dei fatti materiali falsi.

Come è stato osservato la soglia costituita dall'alterazione sensibile della situazione economica della società deve ritenersi sostituita dal nuovo requisito della rilevanza dei fatti materiali falsi o omessi (GAMBRADELLA, 1728).

Il Legislatore con la riforma sul falso in bilancio del 2002 aveva introdotto le soglie di punibilità, quale requisito essenziale della tipicità del fatto (sulla natura della soglia di punibilità era stata registrata un'ampia varietà di posizioni che andavano dalla condizione obiettiva di punibilità, v. PULITANÒ per arrivare agli elementi costitutivi del fatto tipico, v. SEMINARA, 676. La Corte Costituzionale con sentenza n. 161, 1 giugno 2004, ha precisato che le soglie di punibilità contemplate dall'art. 2621 c.c. integrano i requisiti essenziali di tipicità del fatto), per accogliere le istanze avanzate dalla dottrina intese ad escludere il reato di falso in bilancio, quando le difformità dal vero non avessero presentato il requisito della rilevanza informativa della situazione economica della società (COLOMBO).

Come era stato osservato la contestazione di falso in bilancio appariva non giustificabile nell'ipotesi in cui le difformità dal vero fossero consistite in manipolazioni contabili di qualsiasi tipo per poche centinaia di milioni di lire, quando le poste in bilancio erano di decine o centinaia di miliardi di lire. Se l'attivo del bilancio è di 2.000 miliardi di lire e l'occultamento di attività riguarda disponibilità per 200 milioni di lire, tale occultamento non viene ad incidere sull'efficienza informativa del bilancio.

Veniva quindi introdotto un limite quantitativo del falso in bilancio con una duplice formula che prevedeva, da un lato, che la condotta di mendacio non potesse assumere rilevanza penale se non avesse determinato un'alterazione sensibile della rappresentazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, dall'altro, che il reato di falso in bilancio era da escludere, quando le falsità o le omissioni avessero determinato una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1%.

Il Legislatore del 2015, accogliendo le forti critiche (CRESPI) mosse alla fattispecie di falso in bilancio e soprattutto alla presenza delle soglie di punibilità, che ne depotenziavano la risposta sanzionatoria, ha eliminato le soglie di punibilità, anche se il richiamo al requisito della rilevanza dei fatti materiali fa riemergere la causa di non punibilità dell'alterazione non sensibile della rappresentazione della situazione economica della società.

In conclusione

Il punto di riferimento per una ricostruzione corretta della nozione di fatti materiali rilevanti, e al tempo stesso della determinazione che il requisito della rilevanza svolge all'interno del reato di falso in bilancio, deve muovere dal bene giuridico tutelato dalla nuova fattispecie che è quello della veridicità e compiutezza dell'informazione societaria che riassegna assoluta preminenza alla valenza informativa della comunicazione sociale.

Il requisito della rilevanza dei fatti materiali, sta a significare, diversamente dall'altro requisito modale della condotta, che deve risultare concretamente idonea ad indurre altri in errore e che attiene alla capacità decettiva dell'informazione, che rimangono estranei dall'area di intervento penale del falso in bilancio gli scarti trascurabili della comunicazione sociale rispetto al reale (FALCINELLI).

In altre parole le false informazioni o le omissioni, che non sono in grado di alterare in maniera sensibile la rappresentazione della situazione economica della società, rimangono fuori dalla previsione della fattispecie di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c.

Il Legislatore, con la riforma del 2015, anche se apparentemente ha eliminato le soglie di punibilità, con i richiamo alla rilevanza dei fatti materiali, mantiene in vita una formula che attribuisce alla rilevanza informativa della situazione economica della società lo stesso ruolo dell'alterazione sensibile.

Va sottolineato che il requisito della rilevanza dei fatti materiali attiene alla rilevanza informativa della situazione economica della società e non coincide con il requisito della idoneità ingannatoria che la condotta di falso in bilancio deve concretamente assumere.

Le Sezioni unite sostengono che la rilevanza dell'esposizione falsa o reticente corrisponda in modo speculare alla sua idoneità decettiva e che quindi la difformità dal vero da quanto esposto nella comunicazione sociale si concentra e si esaurisce nell'idoneità ad indurre in errore (MUCCIARELLI). La stessa opionione era stata espressa in tema di alterazione sensibile in quanto questo requisito per la genericità che lo caratterizza non consentiva di distinguerlo facilmente dall'ulteriore requisito dell'idoneità del falso ad inganare i destinatari della comunicazione (FALCINELLI; ALESSANDRI).

In realtà i due requisiti attengono a due piani diversi, non coincidenti, in quanto il requisito dalla rilevanza dei fatti materiali fissa il criterio secondo cui la divergenza tra il dato reale concernente la situazione economica della società e il dato contabilizzato debba ritenersi fisiologicamente tollerata, perché non incide sulla realistica rappresentazione della situazione economica: cioè il grado di significatività del falso.

Mentre l'altro requisito concerne la capacità ingannatoria (SEMINARA, 815).

La determinazione del requisito della rilevanza implica necessariamente, quale grado di significatività del falso, un giudizio di relazione i cui parametri sono dati dalla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo (GAMBARDELLA ).

Può soccorrere nella determinazione del giudizio di relazione del concetto di rilevanza, la formula adottata dal legislatore per descrivere la frode fiscale prevista, originariamente, dal n. 7 dell'art. 4 del d.l. 429/1982.

La norma puniva la condotta fraudolenta idonea ad altereare in misura rilevante il risultato della dichiarazione e subito sorse il problema di determinare, quando l'alterazione potesse definirsi rilevante, in assenza di una soglia quantitativa.

Non è la stessa cosa la mancata indicazione di corrispettivi per 5.000,00 euro su un reddito di 10.000,00, rispetto all'omessa indicazione dello stesso importo in relazione a un reddito di un milione di euro. In questi casi l'alterazione rilevante del risultato della dichiarazione è data dal parametro della capacità contributiva del contribuente.

Nell'ambito del falso in bilancio il parametro di riferimento normativo per stabilire il grado di significatività del falso è dato dalla situazione economica della società.

La rilevanza dei fatti materiali falsi potrà confrontarsi con i dati risultanti dallo stato patrimoniale e dal conto economico della società, analogamente a quanto avveniva con la frode fiscale per la capacità contributiva del soggetto agente, per verificare l'incidenza informativa sul bilancio.

Un bilancio, le cui divergenze dal vero non incidono sulla funzione informativa di quel documento, integra un falso quantitativo irrilevante.

Ancora una volta le considerazioni di COLOMBO appaiono essere attuali perché se l'attivo del bilancio è di cento milioni di euro e l'occultamento delle attività riguarda 100.000,00 euro, tale occultamento non può incidere sull'efficienza informativa del bilancio.

Se il Legislatore avesse inteso che qualsiasi falsità commissiva o per reticenza avesse potuto assumere rilevanza penale non avrebbe fatto seguire i fatti materiali dall'aggettivo rilevanti.

Il rischio è che l'estrema genericità del parametro della rilevanza, la cui determinazione è rimessa all'esclusiva valutazione discrezionale del giudice, possa dar luogo a soluzioni contraddittorie o peggio ancora arbitrarie.

Guida all'approfondimento

ALESSANDRI, Diritto penale ed attività economiche, Bologna, 2010, 288;

BRICCHETTI –DE RUGGERO, I reati tributari, Milano, 1994, 316;

COLOMBO, La “moda” dell'accusa di falso in bilancio nelle indagini della Procura della Repubblica, in rivista delle società, 1996, 719;

CRESPI, Le false comunicazioni sociali: una riforma faceta, in Rivista Societaria, 2001, 1345.

D'AVIRRO, La nuova ipotesi di frode fiscale, in Riv. trim. dir pen. ec., 1991, 904;

FALCINELLI, Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale, Torino, 2007, 39;

GAMBARDELLA, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen., 2015, 1730;

MAZZACUVA, Il falso in bilancio, Padova, 2004, 122;

MUCCIARELLI, Le nuove false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in Dir pen. cont.;

IMPERATO I componenti valutativi del reddito e la frode fiscale, in Il Fisco, 1991, 6765;

PICCIOLI, in SERAO –PICCIOLI, La disciplina della nuova frode fiscale, Padova, 1993, 35;

PULITANÒ, False comunicazioni sociali, in Alessandri (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002, 141;

SANTORIELLO, La condotta di falso, in Santoriello (a cura di) La disciplina penale dell'economia, Vol. 1, Torino, 2008, 44;

SEMINARA, La riforma dei reati di false comunicazioni sociali, in Dir. pen. e proc., n. 7/2015, 814, il quale ponendo l'attenzione sulle novità intervenute ed in particolare sulla scomparsa dell'inciso riferito ai fatti falsi “ancorchè oggetto di valutazioni” osserva che: “tale soppressione non incide sull'operatività della fattispecie, poiché tanto nell'originaria formulazione dell'art. 2621, quanto sotto la norma previgente, è sempre stata pacifica la rilevanza delle valutazioni nella misura in cui esse – lungi dal presentarsi e dall'esaurirsi in un'ipotesi o in una previsione – contengano o si risolvano nell'enunciazione di un fatto

TRAVERSI, Art. 4, 1 comma, lett. f) in Diritto e procedura penale tributaria (commentario alla legge 7 agosto 1982 n. 516, modificata dalla legge 18 maggio 1991 n. 154), a cura di I. Caraccioli, A. Giarda, A. Lanzi, Padova, 1994, 163

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