Rinnovazione tacita del contratto di locazione

Giorgio Grasselli
19 Luglio 2018

Nei casi in cui la stipulazione di un contratto non richiede la forma scritta, né ad substantiam, né ad probationem, dottrina e giurisprudenza concordano nell'affermare che esso possa concludersi anche in forma tacita, per facta, ovvero attraverso comportamenti concludenti dai quali possa ritenersi manifestata la volontà delle parti. È questo il problema che si presenta, non con riguardo alla formazione di un contratto di locazione, ma al suo rinnovo, che, tanto le norme del codice civile, quanto quelle della legislazione speciale, prevedono in ipotesi determinate. La nostra sintesi si propone dunque lo scopo di approfondire le ipotesi in cui il contratto di locazione può ritenersi tacitamente rinnovato, attraverso una breve rassegna di dottrina e giurisprudenza.
Inquadramento

Secondo la disciplina dettata dall'art. 1597 c.c., si ha il rinnovo della locazione, sia per le locazioni abitative, e sia per quelle ad uso diverso, in due casi distinti:

a) nella locazione in cui è prevista la durata, se, scaduto il termine previsto in contratto, «il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata»;

b) nella locazione senza determinazione di tempo, se non è stata comunicata tempestiva disdetta.

Secondo la legislazione speciale, invece, sono state previste due categorie di rapporti, e la cessazione o rinnovazione è disciplinata da un meccanismo piuttosto complesso:

  • le locazioni ad uso di abitazione, sono disciplinate dall'art. 2 della l. 9 dicembre 1998, n. 431,
  • le locazioni ad uso diverso dall'abitativo, per quanto riguarda la durata e il rinnovo, sono disciplinate dagli artt. 27, 28 e 29 della l. n. 392/1978.

Rinnovazione, novazione e proroga della locazione

La rinnovazione della locazione è cosa ben diversa dalla novazione oggettiva di cui agli artt. 1230 ss. c.c. Per aversi novazione oggettiva di un contratto di locazione, è necessaria una diversificazione sostanziale dell'obbligazione che si sostituisce alla prima, apportandovi un mutamento riguardante l'oggetto della prestazione o la natura giuridica dell'obbligazione medesima.

Pertanto la novazione oggettiva del contratto di locazione va ravvisata nella sola ipotesi in cui le parti sostituiscono all'originaria obbligazione una nuova obbligazione avente oggetto o titolo diverso, purché risulti in modo non equivoco la volontà di estinguere la precedente obbligazione e di sostituirla con una nuova (Cass. civ., sez. III, 25 novembre 2003, n. 17913; Cass. civ., sez. III, 10 maggio 1996, n. 4427).

CASISTICA

Rilevanza della volontà novativa

Non si può presumere la novazione del contratto in caso di semplice adesione del conduttore ad una proposta del locatore di aumento del canone, e restino inalterati tutti gli altri elementi del rapporto e manchi l'espressa manifestazione di una volontà novativa (Cass. civ. sez. III, 25 novembre 2003, n. 17913).

Modificazioni rilevanti ai fini della novazione

Non è sufficiente ad integrare la novazione del contratto la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di modificazioni accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell'oggetto o del titolo della prestazione, l'animus e la causa novandi, consistenti, il primo, nella manifestazione inequivoca dell'intento novativo e, la seconda, nell'interesse comune delle parti all'effetto novativo (Cass. civ., sez. III, 4 maggio 2005, n. 9280; conformi Cass. civ., sez. III, 27 settembre 1988, n. 5259; Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1998, n. 8968)

Nel caso della “rinnovazione”, la modifica riguarda la sola durata, perché il contratto, il cui termine è venuto a scadenza, prosegue alle medesime condizioni per un ulteriore periodo eguale al precedente, e si dà quindi vita ad un “altro” rapporto di contenuto identico a quello già in vigore (Cass. civ., sez. III, 11 giugno 1983, n. 4028).

Un'ulteriore distinzione va fatta tra rinnovazione e proroga del contratto.

La proroga, in genere, consiste nel prolungamento di un termine prestabilito dalla legge o dalla volontà delle parti. L'istituto della proroga trova una sua specifica attuazione in ogni campo del diritto, sia sostanziale che processuale.

La proroga, intesa come prolungamento dei termini di durata di un rapporto, sotto il profilo pubblicistico è stata usata dal legislatore, particolarmente in materia di locazioni urbane e di contratti agrari, al fine di protrarre le scadenze oltre i termini convenuti dalle parti o fissati da un precedente provvedimento, sulla base di motivazioni di urgenza e di salvaguardia di interessi socialmente rilevanti.

La proroga può, in ogni caso, essere conseguenza di un esplicito accordo ovvero di una clausola contrattuale che la preveda come effetto di un comportamento tacito assunto come concludente. Ricordiamo che queste clausole, al pari di quelle che prevedono il tacito rinnovo del contratto, ai sensi dell'art. 1341 c.c., debbono essere specificamente approvate per iscritto; e, per l'art. 1469-bis, n. 9), c.c. si presumono vessatorie quelle clausole che prevedono un termine «eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione».

Il rinnovo della locazione per mancanza di disdetta nella legislazione speciale

Ai sensi dell'art. 27 della l. n. 392/1978, la durata dei contratti di immobili urbani, adibiti ad attività industriali, commerciali, artigianali, di interesse turistico, o di qualsiasi lavoro autonomo è di sei anni, mentre è di nove anni, per gli immobili adibiti ad attività alberghiera.

Alla prima scadenza, di sei o nove anni, il contratto si rinnova in mancanza di una disdetta, che l'art. 29 chiama «diniego di rinnovazione», che deve addurre uno dei motivi di cui al primo comma dell'art. 29 della l. n. 392/1978. In mancanza, il contratto si rinnova tacitamente per eguale periodo. Per l'effetto, si potrebbe ritenere che il rinnovo in difetto del diniego motivato, abbia natura tacita, in quanto prescinde dalla volontà del locatore; più esattamente, tuttavia, questo rinnovo va definito ex lege, in quanto si verifica in difetto di una circostanza esterna alla volontà del locatore da addurre come motivo. Ha quindi carattere cogente per effetto di una norma di legge che lo prevede.

Alla seconda scadenza invece, ad evitare il rinnovo tacito, ciascuna delle parti deve inviare una semplice disdetta senza alcuna motivazione.

La disdetta, in questa seconda ipotesi, viene così ad assumere il carattere che le è proprio di onere a carico del locatore, il quale deve ottemperarvi, ove intenda evitare la rinnovazione del contratto. La rinnovazione si verifica, dunque, indipendentemente da una manifestazione di volontà negoziale, che deve essere invece espressamente comunicata alla prima scadenza, ma è l'effetto automatico dell'inosservanza di un onere al cui adempimento la legge ricollega l'effetto della cessazione della locazione.

Un meccanismo analogo è previsto dal comma 1 dell'art. 2 della l. 9 dicembre 1998, n. 431, per le locazioni abitative, le quali debbono avere durata non inferiore ad anni quattro: alla prima scadenza del quadriennio, i contratti si rinnovano per eguale periodo, salva la ricorrenza di alcune ipotesi tassative che debbono essere tempestivamente comunicate al conduttore mediante lettera raccomandata.

I contratti c.d. agevolati, invece, ai sensi del comma 5 dello stesso articolo, sempre nel presupposto che manchi una disdetta motivata, con una diversa terminologia che non sembra influire sulla sostanza, non si rinnovano ma sono «prorogati di diritto» di tre anni.

Una volta decorso l'intero periodo del contratto rinnovato o prorogato (otto o cinque anni), il legislatore del 1998 ha previsto un complesso meccanismo per l'eventuale ulteriore rinnovo, che, anche se non concordato, in difetto della prescritta comunicazione di diniego, equivalente alla disdetta, si verifica tacitamente «alle medesime condizioni».

La genericità della disposizione in questa materia alquanto delicata, ha indotto la dottrina a manifestare divergenti indirizzi nella risposta da darsi al quesito se il rinnovo tacito, alla seconda scadenza della locazione, avesse, rispettivamente, la durata di soli quattro o tre anni, ovvero di quattro più altri quattro anni, e di tre più due anni.

Secondo l'opinione corrente, il rinnovo dovrebbe avvenire con durata di quattro anni più eventuali altri quattro, e di tre anni più due, e quindi non soltanto per la durata minima di quattro o tre anni come invece avviene per le locazioni ad uso diverso che, dopo la prima scadenza, si rinnovano soltanto per sei o nove anni.

Conclusione cui si perviene in base alla lettera della normativa in tema di rinnovazione del contratto, che consente di cogliere le differenze tra il disposto dell'art. 28 della l. n. 392/1978, e l'art. 2, comma 1, della l. n. 431/1998.

In questo senso il tribunale di Genova, con sentenza 4 dicembre 2009, afferma che per le locazioni abitative a canone concertato, dopo cinque anni, anche il locatore può far cessare il rapporto con semplice disdetta non motivata e, se questa non intervenga, si avrà un ulteriore tacito rinnovo per la durata di tre anni. Il rinnovo deve infatti attuarsi «alle medesime condizioni», e per questa ragione non si può prescindere, anche in considerazione del carattere eccezionale dell'istituto della proroga legale, dalla durata convenuta dai contraenti e, cioè, quella triennale.

La rinnovazione tacita

La rinnovazione per mancanza di disdetta rappresenta l'effetto dell'inadempimento di un onere, quale è, appunto, la comunicazione della disdetta nel termine previsto dal contratto, dagli usi o dalla legge: non sempre, dunque, per effetto di un tacito consenso, che può anche non esservi.

Diverso è invece il caso della rinnovazione tacita prevista per le locazioni sottratte alla disciplina delle leggi speciali, che la prima parte del comma 1 dell'art. 1597 c.c., collega ad un comportamento delle parti: del conduttore, che "rimane" nella detenzione della cosa locata, e del locatore che tollera il permanere di tale detenzione.

La rinnovazione tacita assume così una connotazione più consona alla sua definizione, in quanto riferibile ad un comportamento inequivoco, che l'art. 1597 c.c. identifica nel protrarsi di fatto del rapporto senza che venga manifestata una volontà contraria alla sua rinnovazione.

La fattispecie è, tuttavia, limitata, per espressa previsione di legge, alle locazioni a tempo indeterminato, e quindi a quelle locazioni che trovano la loro fonte normativa esclusivamente nel codice civile e non nella legge speciale.

La differenza che sussiste tra le due ipotesi contemplate dal comma 1 dell'art. 1597 c.c. - locazione a tempo determinato e locazione a tempo indeterminato - consiste in ciò:

- se le parti hanno convenuto che la locazione avesse una durata determinata, non vi è motivo per cui, alla scadenza, la volontà, già manifestata all'origine del rapporto, sia ribadita per determinare la cessazione della locazione; è invece necessaria, affinchè la locazione si rinnovi, una nuova manifestazione di volontà che può essere anche tacita;

- nel caso, invece, di una locazione senza determinazione di tempo, la scadenza del termine stabilito dall'art. 1574 c.c. non ha effetto di per sé, donde la necessità della disdetta.

Per quanto, invece, riguarda i rapporti regolati dalla legislazione speciale (l. 27 luglio 1978, n. 392 e l. 9 dicembre 1998, n. 431) le differenze sono sostanziali, poiché la differenza rilevata dall'art. 1597 c.c., tra contratto a termine e a tempo indeterminato, non esiste: in ogni caso, se si vuole evitare il tacito rinnovo, la disdetta - motivata per la prima scadenza - deve essere sempre inviata.

Infatti, se le parti non hanno precisato la durata della locazione, è la stessa legge positiva che provvede ad integrare il contratto, all'origine a tempo indeterminato, ma per volontà di legge sottoposto ad una durata minima non derogabile; d'altro canto, l'art. 79 della l. n. 392/1978 e l'art. 13 della l. n. 431/1998 - rispettivamente per le locazioni ad uso diverso e per quelle ad uso abitativo - sanzionano con la nullità ogni patto inteso a derogare alla durata minima legale.

Nel caso di rinnovo tacito, nulla, comunque, può essere mutato, quanto all'oggetto, alla misura del canone ed alle altre condizioni previste nell'originario contratto.

La rinnovazione tacita non riveste il carattere di una proroga automatica della precedente locazione, bensì presuppone una nuova convenzione manifestata attraverso un comportamento concludente.

Se invece la disdetta è stata inviata, l'ulteriore permanenza del conduttore nell'immobile locato, senza che il locatore sollevi contestazioni, non determina il rinnovo, che, come noto, è basato sulla mancanza di una volontà contraria da parte del locatore, e che invece, con l'invio della disdetta, è stato manifestato (Lazzaro). In questa ipotesi, dunque, perché si verifichi il rinnovo, è necessario un nuovo comportamento positivo ed inequivoco che manifesti il consenso alla prosecuzione del contratto.

CASISTICA

Proseguimento nella detenzione dell'immobile

Non è sufficiente il semplice proseguimento nella detenzione dell'immobile, quando non sussistono anche chiari elementi di fatto idonei a manifestare una contraria volontà del locatore, tale da giustificare una revoca della disdetta per facta concludentia, ma occorre un nuovo comportamento positivo di segno opposto da parte dello stesso locatore. A tal fine, non è rilevante l'accettazione di ulteriori canoni dopo la scadenza contrattuale (Cass. civ., sez. III, 22 luglio 2002, n. 10644; conformi Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1992, n. 11470; Trib. Bologna, 22 ottobre 1991; Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 1989, n. 773; Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1998, n. 5460).

Protrarsi della permanenza del conduttore

Il protrarsi della permanenza del conduttore nell'immobile, dopo la scadenza del contratto, dà luogo ad un rapporto di mero fatto e la rinnovazione non è desumibile solo dalla permanenza del conduttore nell'immobile oltre la scadenza del termine, ma occorre che dall'univoco comportamento tenuto dalle parti dopo la scadenza del contratto possa desumersi la tacita volontà di entrambe di mantenere in vita il rapporto locativo (Cass. civ., sez. III, 22 luglio 2002, n. 10644; Cass. civ., sez. III, 5 novembre 1999, n. 12334).

Intimazione di sfratto tardiva

Una intimazione di sfratto, azionata anche oltre l'anno dalla data di scadenza del contratto, pur accompagnata dalla ricezione del canone da parte del locatore senza riserve non costituisce elemento sufficiente a far ravvisare la rinnovazione tacita del contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1995, n. 8495).

Il comma 3 dell'art. 1597 c.c. prescrive, d'altronde, che, se è stata intimata licenza, il conduttore non può opporre la tacita riconduzione «salvo che consti la volontà del locatore di rinnovare il contratto». In questa ipotesi, esiste una pronuncia giudiziale che ha accertato la cessazione della locazione alla scadenza pattuita; un comportamento acquiescente alla permanenza del conduttore non ha quindi alcun effetto, essendo necessaria una nuova manifestazione di volontà inequivoca intesa a sostituire il contratto cessato con un nuovo contratto (attuando quindi una novazione e non un rinnovo), ovvero ad esprimere senza incertezze una volontà di rinuncia al provvedimento del giudice.

Qualora, in presenza di inequivoci elementi di fatto, si realizzi il tacito rinnovo, esso decorre dalla scadenza del vecchio contratto, in quanto è a quel momento che è riferibile l'effetto del consenso tacito, ancorché questo divenga rilevante dopo un certo tempo. É quindi da escludersi l'esistenza di un periodo intermedio di occupazione precaria, ma l'inizio del contratto nuovo si salda alla scadenza di quello vecchio.

Per quanto riguarda le locazioni concluse dalla Pubblica Amministrazione, non è configurabile il tacito rinnovo del rapporto, perché la volontà di rinnovo non può desumersi per implicito ma deve essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra cui l'atto scritto ad substantiam (Cass. civ., sez. III, 16 luglio 1998, n. 6966).

In evidenza

Ai contratti di locazione conclusi dalla P.A., non è applicabile l'istituto della rinnovazione tacita del contratto in quanto esso è incompatibile con il procedimento previsto per la manifestazione della volontà di obbligarsi da parte della P.A., che non può desumersi da fatti concludenti ma deve essere espressa nelle forme previste dalla legge; tuttavia, qualora, dopo la scadenza del contratto, l'amministrazione locatrice continui a percepire i canoni di locazione richiedendo anche l'aumento Istat, può aversi non una vera e propria rinnovazione, ma una continuazione dell'originario rapporto, purché nel contratto originario sia inserita una apposita clausola in tal senso (Cass. civ., sez. III, 9 agosto 2002, n. 12087).

In conclusione

Se il locatore non si avvale della facoltà di inviare la disdetta del contratto di locazione nel termine stabilito normativamente, il contratto si rinnova per eguale periodo, non in forza di una manifestazione di volontà, bensì per il mancato esercizio di un onere.

Se invece la disdetta è stata tempestivamente inviata, la rinnovazione tacita del contratto di locazione non può desumersi dalla sola circostanza della permanenza del conduttore nell'immobile oltre la scadenza del termine e dalla sola accettazione di canoni per il periodo successivo alla scadenza, e ciò anche se il lasso di tempo intercorso tra l'invio della disdetta e l'inizio dell'azione di sfratto, sia considerevole, nella specie, quattro anni (Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 1998, n. 269; Cass. civ.,sez. III, 12 aprile 1995, n. 4174).

Guida all'approfondimento

Falabella, Durata e cessazione del contratto per scadenza del termine, in La locazione, Torino, 2005, 1017;

Lazzaro, Le locazioni ad uso abitativo, Milano, 1991, 200;

Tabet, La locazione conduzione, Milano, 1972, 277.

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