Diniego di rinnovazione (locazione ad uso abitativo)

Riccardo Redivo
17 Febbraio 2020

La l. n. 392/1978 ha previsto la durata dei contratti di locazione (salvo poche eccezioni) di quattro anni per gli immobili ad uso abitativo; successivamente, con l'art. 3 della l. n. 431/1998, si è ritenuto di allargare anche alle locazioni abitative il predetto “diniego di rinnovo” del locatore in ipotesi analoghe a quelle della precedente disciplina, nonché in altre determinate ipotesi; qualora il locatore non destini l'immobile nel tempo fissato dalla legge all'uso indicato nella disdetta, sia la l. n. 392/1978 (con l'art. 31, relativo ai contratti ad uso diverso), sia la l. n. 431/1998 (con gli artt. 3 e 5, per gli affitti delle abitazioni), hanno previsto sanzioni, tra le quali spiccano il ripristino del contratto e il risarcimento del danno a carico dell'ex locatore inadempiente.
Inquadramento

Con le normative del luglio 1978 (l. n. 392, conosciuta impropriamente come legge sull'equo canone, con termine sicuramente riduttivo) e del dicembre 1998 (l. n. 431, relativa alle sole locazioni adibite ad abitazione) si sono regolamentate quasi integralmente - permanendo per una minima parte gli affitti disciplinati dal codice civile e dalla volontà delle parti - le locazioni immobiliari, per lo più attraverso disposizioni di legge imperative, che raramente consentono alla autonomia privata di concordare autonomamente e liberamente le clausole contrattuali.

La legge base, peraltro, resta la l. n. 392/1978, con la quale si è superata definitivamente la c.d. disciplina vincolistica, che, seppur dettata da evidenti necessità sociali conseguenti al periodo bellico, regolava la materia ed era caratterizzata da chiare conseguenze negative (legate al blocco degli sfratti, che durava da oltre trenta anni ed alla disparità di trattamento dei contraenti: basti pensare ai canoni bloccati, spesso comprensivi di oneri accessori ed ai nuovi affitti, concordati a prezzi di mercato e, quindi, elevatissimi, in carenza assoluta dell'offerta).

Detta legge appare ancor oggi sicuramente corretta giuridicamente, valida ed efficace, in quanto concepita in un periodo particolarmente favorevole (il 1978 - si ricorda - fu il periodo dell'unità nazionale di governo), al di fuori di imminenti necessità elettorali, avendo il legislatore operato (fatto non comune in precedenza) con una speciale attenzione agli interessi contrapposti di locatori e conduttori, entrambi tutelati sotto vari profili.

Del superamento definitivo della disciplina vincolistica, hanno potuto godere sia i proprietari, con la cessazione del blocco degli sfratti; la, pur modesta, redditività del canone (che mancava totalmente molto spesso in precedenza, essendo, come accennato, i canoni bloccati da moltissimo tempo, tanto da non bastare a coprire per i locatori neppure le spese condominiali e quelle per la tassazione dell'immobile) sia e soprattutto gli inquilini (data la notevole riduzione dei canoni d'affitto, con l'introduzione dell'equo canone per le abitazioni e la durata assicurata ad essi del contratto ad uso abitativo), sia, infine, gli imprenditori ed i lavoratori, nel caso di locazioni ad uso diverso, data la speciale disciplina di questi contratti, caratterizzati dalla piena tutela delle attività imprenditoriali e di lavoro, compensata in parte, a favore dei locatori, dall'autonomia delle parti nella determinazione del canone.

In generale

La disciplina delle locazioni destinate ad abitazione di cui alla legge sull'equo canone è stata modificata in modo considerevole, come accennato, dalla legge n. 431 del dicembre 1998 sotto vari profili.

Il più appariscente si appalesa quello dell'eliminazione dell'equo canone, che ha determinato un sospiro di sollievo in capo ai proprietari locatori, essendo divenuto ormai evidente che il reddito di cui al canone legale era palesemente insufficiente per gli stessi, in quanto per nulla lucrativo, tanto che gli appartamenti venivano per lo più affittati, ove possibile, ad uso non abitativo, ovvero attraverso contratti simulati, conclusi per apparenti esigenze transitorie del conduttore (con conseguente successivo incremento del contenzioso giudiziario).

Al canone libero, secondo i dettami della Corte Costituzionale, sotto il profilo della legittimità della normativa, doveva contrapporsi un vantaggio per gli inquilini. Questo venne identificato nel raddoppio della durata del rapporto locatizio da quattro ad otto anni, salva la possibilità per il locatore di agire con il diniego di rinnovo alla scadenza del primo quadriennio, sussistendone le condizioni, per i motivi che saranno poi esplicitati.

Va detto, inoltre, che il legislatore, con la legge finanziaria del dicembre 1992 (l. n. 359/1992), all'art. 11, aveva introdotto, con una mini riforma, i cosiddetti patti in deroga per le locazioni abitative, consentendo alle parti di stipulare contratti a canone libero, con durata di quattro anni più quattro, alle stesse condizioni di cui sopra.

La legge n. 431, peraltro, si manifesta come legge varata soprattutto per fini fiscali, intendendosi con essa di far emergere i molti contratti conclusi in modo sotterraneo, ai fini di evadere i dovuti pagamenti delle imposte sul reddito. Si pensi al riguardo all'obbligo della forma scritta ed a quello, successivamente chiarito definitivamente dopo molte battaglie legislative e giudiziarie, della registrazione del contratto, previsti entrambi, a pena di nullità della locazione; alla possibilità di concludere contratti di minor durata (tre anni più due) ad un canone legale (non molto dissimile dall'equo canone abrogato), con relativa riduzione della tassazione del reddito (cedolare secca) e ad altre agevolazioni fiscali possibili (artt. 2 e 10).

L'art. 3 della nuova normativa, per ciò che ci interessa più direttamente, disciplina analiticamente, come si dirà, il diniego di rinnovo e i relativi motivi, la disdetta, e le sanzioni per l'inadempimento del locatore che non abbia destinato (entro dodici mesi dal riacquisto della disponibilità del bene riconsegnato a seguito del diniego di rinnovo), l'appartamento all'uso specifico indicato nella disdetta.

Durata, rinnovo tacito, rinuncia, disdetta

I contratti locatizi ordinari, cosiddetti contratti liberi, comportano che il locatore, alla sola prima scadenza, sia obbligato al rinnovo del contratto per un secondo quadriennio alle stesse condizioni contrattuali, pur potendosi avvalere, alla prima scadenza contrattuale, quindi dopo il primo quadriennio, della facoltà di “diniego di rinnovo”, attribuitagli dalla legge (art. 3 della l. n. 431/1978), dandone comunicazione al conduttore, con preavviso (disdetta con indicazione specifica del motivo, a pena di nullità) di almeno sei mesi per i motivi tassativi di cui al citato art. 3.

Va rilevato in tema che, pur non essendo prevista per questo tipo di locazioni la necessità di una comunicazione a mezzo di lettera raccomandata a.r. stabilita dall'art. 29 della l. n. 392/1978 per i contratti ad uso diverso da abitazione, sarà sicuramente opportuno anche nell'ambito delle locazioni abitative, per il locatore inviare ugualmente la raccomandata, onde poter dimostrare che la disdetta sia pervenuta tempestivamente all'indirizzo del conduttore.

La facoltà di diniego di rinnovo del locatore alla prima scadenza, come accennato, è condizionata all'esistenza dei motivi di cui all'art. 3 cit., mentre non è necessario che la facoltà in questione sia prevista in contratto, “non rilevando, come rinuncia implicita la mancata menzione di essa nell'atto scritto (principio pacifico in giurisprudenza, v. da ultimo, sempre in tal senso, Cass. n. 12250/2013).

Peraltro, ove sia stata comunicato al conduttore un diniego immotivato alla rinnovazione del contratto e sia sopravvenuta cosa giudicata sull'accertamento dell'inefficacia di detto diniego sull'automatico rinnovo del contratto alla sua scadenza allo spirare del secondo quadriennio, è precluso al locatore stesso l'esperimento di una nuova azione tesa all'accertamento del mancato rinnovo del contratto alla prima scadenza, sulla base di una diversa (seppur tempestiva) comunicazione dell'esercizio della facoltà di diniego del rinnovo fondato sui motivi del cui all'art. 3 cit. (in tal senso, v. Cass. n. 15898/2014).

Inoltre, va considerato che il locatore ha l'onere di provare la serietà della dedotta intenzione di disporre dell'immobile per gli usi tassativi indicati dalla norma esaminata, dovendo provare la “realizzabilità tecnica e giuridica di tale intento, senza, tuttavia, dover dimostrare la concreta ed effettiva realizzazione”.

In tal senso la giurisprudenza è costante, avendo l'interprete rilevato che le sanzioni previste nell'ipotesi di mancata destinazione all'uso indicato nella comunicazione, rimangono a carico del locatore, essendo il conduttore tutelato a sufficienza dalla legge, come si dirà, nell'ipotesi di diniego fraudolento.

In evidenza

In ordine al rinnovo tacito della locazione, va chiarito che il fatto volontario che preclude al locatore la facoltà di negare al conduttore il rinnovo del contratto alla prima scadenza è costituito solo dal comportamento maliziosamente preordinato dallo stesso alla creazione di uno stato di necessità; al di fuori di questa ipotesi, pertanto, il locatore può liberamente agire ogni qualvolta si presentino esigenze di carattere economico o personale che appaiono, in base ad un'equa valutazione, meritevoli di tutela secondo la comune esperienza e nel normale svolgimento dei rapporti familiari, umani e giuridici, il cui accertamento va effettuato prescindendo dalla valutazione comparativa con le esigenze del conduttore e senza poter pretendere giustificazioni di carattere economico e sociale che limiterebbero la facoltà di scelta di ogni cittadino.

In ordine, ancorai, al rinnovo tacito del contratto, ricordato che l'art. 1597 c.c. lo prevedeva se, scaduto il contratto, il conduttore veniva lasciato nella detenzione dell'immobile locato o se, trattandosi di locazione a tempo indeterminato, non veniva comunicata la disdetta nel termine di legge, con la nuova normativa si è affermato che il rinnovo tacito della locazione non può desumersi dalla permanenza del conduttore nella detenzione della cosa locata oltre la scadenza del termine, né dal pagamento e dall'accettazione dei canoni, occorrendo che questi fatti siano qualificati da altri elementi idonei a far ritenere in modo in equivoco la volontà delle parti di tenere in vita il rapporto locatizio, con rinuncia tacita, da parte del locatore, agli effetti prodotti dalla scadenza del contratto (così Cass. n. 22234/2014, nella quale la rinuncia tacita era stata esclusa in considerazione del vasto contenzioso sviluppatosi tra le parti; conformi Cass. nn. 13404/2012, 22374/2012 e 24456/2011).

Inoltre, la Suprema Corte ha precisato, con riguardo ad una locazione disciplinata dai c.d. patti in deroga (l. n. 359/1992), che il patto relativo al canone libero concluso in deroga alla l. n. 392/1978, era valido a condizione della contestuale rinuncia del locatore alla facoltà di disdetta alla prima scadenza, necessaria anche ove sia prevista una durata minima doppia rispetto a quella ordinaria di quattro anni (Cass. n. 9676/2012).

Circa la disdetta, va ribadito che deve essere comunicata al conduttore con un preavviso di almeno un semestre, contenente la specificazione del motivo del diniego a pena di nullità (mentre, come accennato in precedenza, per le locazioni ad uso diverso è necessaria una comunicazione da effettuarsi tramite raccomandata a.r., da inviarsi almeno dodici mesi prima (diciotto per i contratti ad uso alberghiero) della scadenza contrattuale.

La giurisprudenza ha, peraltro, affermato l'automatica validità della disdetta immotivata per la scadenza successiva, salvo che dalla stessa disdetta o da un'opposta univoca volontà successiva non risulti un'espressa indicazione in senso contrario (v., per tutte, Cass. n. 27541/2014).

I motivi del diniego di rinnovo alla prima scadenza

Va premesso che la facoltà di diniego di rinnovo alla prima scadenza è prevista solo in presenza dei motivi tassativamente indicati dall'art. 3 della riforma del 1998, ma che, come già accennato, non è richiesto che detta facoltà sia prevista nel contratto e senza che perciò rilevi, come rinuncia esplicita, la mancata menzione in esso della facoltà di disdetta (così Cass. n. 936/2013, valida anche per le locazioni ad uso diverso).

L'art. 3 della l. n. 431 citata ripete parzialmente i motivi di diniego di rinnovo alla prima scadenza indicati, per le locazioni non abitative, dall'art. 29 della l. n. 392/1978 e ne aggiunge altri del tutto nuovi.

Anzitutto il locatore può negare il rinnovo del contratto ove intenda adibire l'immobile ad abitazione o ad attività lavorativa propria ovvero del coniuge o dei parenti entro il secondo grado (lett. a); inoltre il locatore, persona giuridica, società o ente pubblico ovvero con finalità pubbliche, mutualistiche, cooperative, assistenziali, culturali o di culto, può pretendere la riconsegna alla prima scadenza, ove intenda destinare l'immobile all'esercizio delle attività dirette a perseguire le predette finalità ed offra al conduttore altro immobile idoneo, di cui abbia la piena disponibilità (lett. b). Ancora il diniego è autorizzato se il conduttore abbia disponibile nello stesso comune altro alloggio libero ed idoneo (lett. c); se debba essere ricostruito l'edificio, gravemente danneggiato o instabile nel quale si trova l'immobile locato e la presenza del conduttore sia di ostacolo al compimento degli indispensabili lavori (lett. d); se l'immobile debba essere integralmente ristrutturato, ovvero demolito o radicalmente trasformato per realizzare nuove costruzioni, nonché nel caso di volontà del proprietario-locatore di sopraelevare l'appartamento locato sito all'ultimo piano (lett. e); se il conduttore non occupi continuativamente l'immobile senza giustificato motivo (lett. f) ed, infine, se il locatore intenda vendere l'immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo, oltre a quello ove abita (lett. g).

Va precisato che in quest'ultimo caso il conduttore ha il diritto alla prelazione ad al riscatto ai sensi degli artt. 38 e 39 indicati per le locazioni non abitative dalla l. n. 392/1978, mentre, nelle ipotesi di cui alle lett. d) ed e), condizione per l'azione di rilascio è costituita dal possesso della concessione o dell'autorizzazione edilizia, prevedendosi, altresì, che, se al termine dei lavori il locatore vuole affittare nuovamente il bene, il conduttore ha il diritto di prelazione ex art. 40 della l. n. 392/1978 (così Cass. n. 12250/2013).

Va, altresì, chiarito che l'art. 3, lett. a), può essere invocato solo dal locatore persona fisica e non anche da una società commerciale che intenda ampliare la sua attività (ovvero la sua sede operativa) e che questa non può neppure chiedere l'applicazione della successiva lett. b), applicabile solo a persone giuridiche che agiscono per il perseguimento di finalità pubbliche e che provvedono ad offrire al conduttore altro immobile idoneo (in tal senso, v. Cass. n. 4050/2009).

In ordine, infine, alla lett. g), la giurisprudenza ha affermato - logicamente e coerentemente con la lettera e lo spirito della legge - che il diritto di prelazione previsto a favore del conduttore in caso di vendita, opera solo per gli alloggi condotti in locazione in base ai contratti stipulati o transitati nel regime giuridico di cui alla l. n. 431/1998 e, all'interno di tale regime, per la sola ipotesi di diniego di rinnovo alla prima scadenza, motivato dall'intenzione del locatore di alienare l'immobile locato.

Infine, circa la prelazione del conduttore nei confronti del terzo acquirente, la giurisprudenza ha anche precisato, in ordine alla ratio della norma, che la scelta del legislatore risponde all'esigenza di compensare il mancato godimento dell'immobile da parte dell'inquilino per il secondo quadriennio con l'utilità del locatore di poter alienare il bene ad un prezzo corrispondente al valore di mercato degli immobili liberi, con la conseguenza che, in caso di disdetta immotivata per la prima scadenza (come tale nulla), il conduttore ha solo il diritto al rinnovo del contratto (in tal senso la giurisprudenza è costante: v., di recente, Cass. nn. 5596/2014, 4919/2011 e 25450/2010).

Le sanzioni

L'art. 3, nn. 3), 4) e 5), della l. n. 431/1998 stabilisce che, ove il locatore abbia riacquistato, anche con procedura giudiziaria, la disponibilità dell'alloggio e non lo abbia adibito, entro un anno dal riacquisto della disponibilità del bene, all'uso per il quale abbia esercitato la facoltà di diniego di rinnovo, il conduttore ha diritto al ripristino del rapporto di locazione alle stesse condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, ad un risarcimento da determinarsi in misura non inferiore a 36 mensilità del canone percepito (giurisprudenza costante e pacifica in tema, data la chiarezza della norma).

Cenno sui contratti in corso

I contratti di locazione immobiliare destinati ad abitazione già in corso al momento dell'entrata in vigore della l. n. 431/1998 possono validamente disdettarsi ai sensi dell'art. 3 della l.n. 392/1978, ancorché il termine per la disdetta scada oltre il 30 dicembre 1998 (data d'entrata in vigore della stessa), mentre restano assoggettati alla nuova disciplina, ex art. 2, ultimo comma, della predetta legge n. 431, se, nella vigenza di quest'ultima, si rinnovano tacitamente per mancanza di tempestiva disdetta, data in base alle vecchie regole (così Cass. n. 17995/2007: nella specie, il contratto, in corso fino al 31 dicembre 1998, era stato tempestivamente disdettato dal locatore ex art. 3 della precedente legge dell'equo canone del 1978, senza quindi addurre uno dei motivi di diniego di cui alla successiva scadenza del 31 dicembre 2002).

Il procedimento

Il procedimento per il diniego di rinnovo resta disciplinato, per entrambi i tipi di locazione immobiliare, dall'art. 30 della l. n. 392/1978, con il quale si era già esclusa la possibilità, per le locazioni adibite ad uso diverso, di agire con un semplice sfratto per finita locazione alla prima scadenza del rapporto.

La norma stabilisce che, avvenuta la comunicazione del diniego di cui al comma 3 dell'art. 29 e “prima della data per la quale è richiesta la disponibilità ovvero quando tale data sia trascorsa senza che il conduttore abbia rilasciato l'immobile, il locatore può convenire il giudizio il conduttore, osservando le norme previste dall'art. 447-bis c.p.c.” (ovvero secondo la normativa processuale più rapida, in buona parte presa dal processo del lavoro, che disciplina le materie delle locazioni, del comodato e dell'affitto d'azienda).

Alla prima udienza, se il conduttore non si oppone, il giudice, ad istanza del locatore, pronuncia ordinanza di rilascio per la scadenza di cui alla comunicazione a lui inviata. Questa costituisce titolo esecutivo e definisce il giudizio.

Nel caso di opposizione, invece, il giudice dovrà esperire il tentativo di conciliazione, del quale, se riesce sarà redatto verbale costituente titolo esecutivo. In caso contrario o nella contumacia del conduttore, si procede ai sensi dell'art. 420 ss. c.p.c. (come nel processo del lavoro). In ogni caso, il giudice, su istanza del ricorrente, alla prima udienza e, comunque, in ogni stato del giudizio, valutate le ragioni addotte dalle parti e le prove raccolte, può disporre il rilascio dell'immobile con ordinanza costituente titolo esecutivo.

Casistica

CASISTICA

Disdetta priva dei motivi

In tema di locazione di immobili ad uso abitativo, la disdetta priva della specificazione dei motivi di diniego, intimata per la prima scadenza contrattuale ai sensi della l. n. 431/1998, benché inidonea ad impedire il rinnovo del contratto a tale data, è automaticamente valida per quella immediatamente successiva, salvo che dalla disdetta stessa o da un'opposta univoca volontà successiva dell'intimante non risulti un'espressa indicazione in senso contrario. (Cass. civ., sez. III, 30 dicembre 2014 n. 27541).

Vendita del bene locato e diritto di prelazione del conduttore

Nell'ipotesi di vendita dal bene locato ad uso abitativo, spetta al conduttore, ai sensi dell'art. 3, lett. g), della l. n. 431/1998, il diritto di prelazione (e, quindi di riscatto) nei confronti del terzo acquirente solo nel caso in cui il locatore abbia intimato disdetta per la prima scadenza, manifestando in tale atto l'intenzione di vendere a terzi l'immobile, rispondendo la scelta normativa all'esigenza di compensare il conduttore del mancato godimento dell'immobile stesso per l'ulteriore quadriennio a fronte dell'utilità per il locatore di poter alienare il bene ad un prezzo di mercato degli immobili liberi; ne consegue che, in caso di disdetta immotivata per la scadenza in essa indicata (ovvero nell'intimazione di sfratto), il conduttore ha unicamente il diritto alla rinnovazione del contratto (Cass. civ., sez. III, 11 marzo 2014 n. 5596).

Grossi interventi edilizi

Considerata la modifica della disciplina comportante la concessione o l'autorizzazione, quale titolo abilitativo alla realizzazione degli interventi edilizi, la previsione, quale condizione di procedibilità dell'azione di diniego di rinnovo del locatore, ai sensi della prima parte del comma 2 dell'art. 3 della l. n. 431/1998, del possesso della concessione o dell'autorizzazione edilizia, deve intendersi riferita a quegli specifici atti, tra cui la dichiarazione di inizio dell'attività (Dia) o la segnalazione certificata inizio attività (Scia) o il permesso a costruire, eventualmente richiesti dalla normativa vigente per la tipologia di intervento da realizzare posto a base del diniego di rinnovo alla prima scadenza della locazione (Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2013, n. 12250).

Mancata destinazione all'uso indicato nella disdetta

Le sanzioni del ripristino della locazione o del risarcimento del danno previste a carico del locatore che abbia esercitato il diniego del rinnovo del contratto di locazione per una finalità non più realizzata (artt. 31 della l. n. 392/1978 nonché 3 e 5 della l. n. 431/1998), non sono applicabili qualora la tardiva o mancata destinazione dell'immobile all'uso dichiarato siano giustificate da esigenze, ragioni o situazioni non riconducibili al comportamento, doloso o colposo del locatore stesso (Cass.civ., sez. III, 21 gennaio 2016 n. 1050, in ipotesi di mancata destinazione causata dal comportamento del conduttore, il quale aveva instaurato un infondato giudizio di opposizione al rilascio, conclusosi solo dopo la scadenza del termine per l'inizio dei lavori, previsto nel permesso a costruire)

Contratto di locazione risolto

Sebbene il rinnovo tacito previsto dall'art. 1597 c.c. postuli la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza si una manifestazione di volontà contraria del locatore, tuttavia, la circostanza che questi abbia ottenuto una pronuncia di risoluzione del contratto e non abbia intimato, per la permanenza del conduttore ed il mancato pagamento dei canoni, azione di rilascio dell'immobile con sfratto con morosità, non basta a provare il rinnovo tacito del rapporto anche quando l'azione esecutiva di rilascio sia stata promossa dal locatore nelle more del giudizio promosso dal conduttore: occorre, piuttosto, che questi fatti siano qualificati da altri elementi idonei a far desumere in modo univoco la sopravvenienza di un accordo tra le parti in tal senso e, in particolare, che il locatore abbia inteso estrinsecare la sua volontà positivamente, sia pure in modo solo tacito, in senso contrario a quella in precedenza manifestata, di rinunciare agli effetti prodotti dall'intimazione, accolta con pronuncia provvisoriamente esecutiva e di concludere una novazione oggettiva della locazione (Cass.civ., sez III, 10 dicembre 2012 n. 22374).

Guida all'approfondimento

Scarpa, Il diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 1, 46;

Piombo, Sul diniego di rinnovo alla prima scadenza della locazione abitativa per esigenze proprie da parte del locatore società commerciale, in Foro it., 2009, I, 1032;

Di Marzio - Di Mauro, Il processo locatizio, Milano, 2007, 1379;

Grasselli - Masoni, Le locazioni, Padova, 2007, tomo I, 106;

Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2005, 490.

Sommario