Uso transitorio (studenti, turisti)

05 Marzo 2018

La durata minima del contratto di locazione, fu un problema che il legislatore del codice civile, nemmeno si pose, ritenendo sufficiente stabilire una durata massima - per tutta la vita dell'inquilino e due anni dopo la sua morte - per le case di abitazione (art. 1419 c.c.), e per un tempo non eccedente i trent'anni, per le restanti tipologie (locazioni ad uso diverso, locazioni di cose mobili, ecc.) art. 1573 c.c.. Di seguito, arrivando all'attuale legislazione vincolistica, resa indifferibile a causa della penuria di alloggi e alla forte domanda rispetto ad un'offerta modesta, il legislatore ritenne di dover intervenire per fissare una durata minima, non inferiore a quattro anni per le locazioni abitative, sei anni per quelle ad uso diverso, nove anni per le locazioni alberghiere, tuttavia...
Inquadramento

Il comma 2 dell'art. 1 della l. n. 392/1978 (abrogato dall'art. 14, comma 4, della l. n. 431/1998) escludeva dall'ambito di applicazione del primo comma quelle locazioni che fossero state stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria. Poiché la disposizione era ripresa dall'art. 26 della stessa legge, se ne era affermato il mero valore pleonastico, che è invece da escludere.

In effetti, le due disposizioni prevedevano un diverso campo di applicazione: la deroga di cui all'art. 1 della l. n. 392/1978 riguardava esclusivamente la durata minima di quattro anni, avendo riguardo propriamente alla transitorietà della esigenza abitativa, senza ulteriori requisiti che ne limitassero l'applicazione; invece, l'art. 26, l. n. 392/1978 prevedeva una deroga generalizzata a tutta la normativa del capo I della legge, subordinandone però gli effetti a che il conduttore non occupasse l'immobile per esigenze di studio o di lavoro, requisito che invece l'art. 1 della l. n. 392/78, non prevedeva.

A seguito dell'entrata in vigore della l. 9 dicembre 1998, n. 431, anche le locazioni a carattere transitorio sono confluite nell'alveo dei rapporti “assistiti”. Ne consegue che, alla scadenza, venuta meno la finalità transitoria, il contratto dovrà intendersi definitivamente cessato.

Qualora invece, alla scadenza pattuita, permanga l'esigenza di transitorietà, l'eventuale rinnovo potrà effettuarsi con le modalità di cui all'art. 5 della l. n. 431/1998 e non invece necessariamente ai sensi dei commi 1 o 3 dell'art. 2, come invece prescrive, con evidente incongruenza, il comma 1 dell'art. 1.

Nel caso, infatti, di periodi di durata assai brevi, ricorre l'ipotesi della locazione di attività transitoria, e l'eventuale esigenza del conduttore di riavere la disponibilità del bene anche negli anni successivi, stante la brevità del periodo e quindi la modestia dell'interesse alla riconduzione, non giustifica il ricorso alla particolare tutela prevista per le locazioni stagionali.

Le locazioni ad uso diverso dall'abitazione relative ad attività transitorie

In evidenza

La transitorietà prevista dall'art. 27, comma 5, della l. n. 392/1978, va individuata non tanto in relazione al tipo di attività in sé, quanto tenendo conto del particolare modo in cui l'attività stessa si atteggia in concreto, come desumibile dalla volontà delle parti secondo i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. (Cass. civ., sez. III, 20 agosto 1990, n. 8489).

Una locazione non abitativa per una attività transitoria si sottrae alla sanzione di nullità di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978, ed alla eterointegrazione ai sensi dell'art. 1339 c.c., solo a condizione che la transitorietà sia espressamente enunciata, con specifico riferimento alle ragioni che la determinano, in modo da consentirne la verifica in sede giudiziale (Cass. civ., sez. III,18 aprile 1996, n. 3663; Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2010, n. 16117; Cass. civ., sez. III, 30 dicembre 1997, n. 13133).

L'accertamento della natura transitoria della locazione, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, va pertanto eseguito non soltanto sul dato oggettivo della effettiva destinazione dell'immobile, ma anche del dato soggettivo che si manifesta dalla volontà dei contraenti.

Questo orientamento tuttavia, presta il fianco ad una censura poiché, non solo pecca di astrazione, non essendo realistico affermare che non esistono attività che siano di per sé transitorie - basterebbe pensare ad un'esposizione fieristica - ma anche si pone in netto contrasto con la lettera della legge, che privilegia il richiamo al tipo di attività, e non agli aspetti soggettivi del rapporto, ed è sicuramente dettato da uno scrupolo, forse eccessivo, di evitare lesioni ai diritti del conduttore.

Infatti, a differenza di quanto è previsto nell'ipotesi di locazione non abitativa stagionale, o della transitorietà della destinazione abitativa, il comma 6 dell'art. 27 pone come unico elemento caratterizzante il contratto, il carattere essenzialmente transitorio dell'attività che il conduttore va ad esercitare dell'immobile.

In evidenza

Il contratto con cui una parte si garantisce il diritto di usufruire di un'area nuda all'interno di un comprensorio fieristico, sulla quale collocare - dietro pagamento di un corrispettivo in ragione del periodo di apertura alle manifestazioni fieristiche - un prefabbricato da utilizzare per l'esercizio di un'attività commerciale (nella specie, somministrazione di alimenti e bevande), integra locazione per esigenze transitorie ex art. 27, comma 5, della l. n. 392/1978, e non già locazione ad uso commerciale di normale durata sessennale (App. Trieste 27 aprile 2001).

Gli alloggi locati per finalità turistiche

La categoria era ignota alla normativa abrogata, che all'art. 26, lett. a), della l. n. 392/1978, si riferiva solamente alle locazioni «stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria», nel qual concetto si comprendevano, per analogia, anche le locazioni di case utilizzate per “villeggiatura”, ovvero per quelle «finalità turistiche» di cui alla lett. c) dell'art. 1 della l. n. 431/1998. L'eventualità che l'alloggio, ancorché ubicato in zona turistica, rispondesse anche ad esigenze di carattere abitativo o a ragioni di lavoro, era neutralizzata dalla legge del 1978 con la precisazione che l'abitazione non doveva avere il carattere della stabilità, né essere dovuta a ragioni di studio o di lavoro.

La legge n. 431/1998 ha, invece, dedicato un apposito articolo alle locazioni a carattere transitorio, disciplinate in maniera specifica come ipotesi autonoma, tenendole distinte dalle locazioni con finalità turistiche, per le quali, buona parte della normativa speciale non si applica, e, a evitare facili elusioni, ha rafforzato il concetto di «finalità turistiche» con l'avverbio «esclusivamente»: in sostanza, la finalità della locazione deve rispondere alla finalità turistica in maniera esclusiva, senza che abbia alcun rilievo la durata della locazione, che, sotto tale profilo, potrebbe anche non essere transitoria.

Va tenuto presente che la prestazione del locatore è limitata alla concessione in godimento di un immobile, e non include altre prestazioni di contorno, come il cambio della biancheria, la prima colazione o simili servizi, che riconducono la fattispecie al difuori del tipico contratto di locazione verso altre forme contrattuali quali il bed and breakfast, l'affittacamere, o il residence.

In proposito, va segnalata una pronuncia (Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2011, n. 13483) che, in una fattispecie in cui un immobile situato in una nota località turistica era stato locato come seconda casa per la durata di un anno, pur prendendo atto che la l. n. 431/1998 «trova applicazione per tutte quelle locazioni che soddisfano il bisogno primario della disponibilità di un alloggio» ha invece ritenuto che essa si applichi «anche alla locazione per abitazione ad uso di seconda casa, caratterizzata dalla protratta permanenza del conduttore per cospicui periodi dell'anno», laddove, quindi, la minore o maggiore durata della locazione, indipendentemente dalla finalità del godimento, viene assunta come elemento decisivo per affermare la soggezione del rapporto alla normativa vincolistica.

In sostanza, pur consentendo che, anche l'impiego del tempo libero concorre alla formazione della personalità, non sembra che l'applicazione della l. n. 431/1998, che circoscrive la propria disciplina, in maniera espressa e senza ombra di dubbio, alle «case adibite a civile abitazione», possa essere estesa anche ad altre fattispecie del tutto estranee a tale ambito.

Ad ulteriore conforto di questa tesi, sta una norma positiva, quale è il d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79 (Codice del turismo), il quale, all'art. 53, nel disciplinare le «Locazioni ad uso abitativo per finalità turistiche», dispone che: «Gli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche, in qualsiasi luogo ubicati, sono regolati dalle disposizioni del codice civile in tema di locazione» (art. 53).

La nuova formulazione contenuta nell'art. 1, lett. c) della l. n. 431/1998, ha circoscritto il caso in cui la normativa speciale non si applica, ai soli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche, prevedendo invece una particolare disciplina per le locazioni transitorie, senza lasciare spazio a quei rapporti locatizi stipulati per soddisfare esigenze che non sono quelle proprie dell'abitazione primaria, ma non hanno finalità turistiche e nemmeno natura transitoria.

Stante la finalità considerata dalla lett. c) del comma 2 della l. n. 431/1998, sono, pertanto, da ritenersi escluse dall'applicazione della disciplina di cui agli articoli indicati nel comma 2 dell'art. 1, della legge del 1998, le locazioni destinate a soggiorni, anche di non breve periodo, ma per villeggiatura in località turistiche.

Trattando delle locazioni di tipo transitorio, la Cassazione ha abbandonato quel filone interpretativo, secondo cui per accertare la natura transitoria o meno della locazione, occorreva avere riguardo all'effettiva destinazione dell'immobile, ed è pervenuta alla «più convincente affermazione che tale circostanza sia del tutto irrilevante, come del pari irrilevante è il proposito unilaterale ed inespresso dell'aspirante conduttore di adibire a propria stabile abitazione l'immobile che gli venga offerto in locazione a titolo transitorio, configurando tale proposito una riserva mentale» (così Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2004, n. 9220).

I contratti di locazione stipulati dagli enti locali

Il comma 3 dell'art. 1, esclude l'applicazione di alcune norme (artt. 2, 3, 4, 7 e 13) «ai contratti di locazione stipulati dagli enti locali in qualità di conduttori per soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio».

La disposizione - in effetti del tutto nuova - potrebbe sembrare superflua, in quanto di assai limitata applicazione. Non rientrano, infatti, nella deroga alcune fattispecie, in verità occasionali, come il temporaneo trasferimento di un pubblico ufficio in attesa della ristrutturazione della nuova sede, mancando la destinazione abitativa. In questo caso, infatti, trova applicazione l'art. 42 della l. n. 392/1978, non abrogato, il quale stabiliva una durata minima del contratto di sei anni, per il solo fatto che soggetto stipulante in qualità di conduttore fosse lo Stato o altro ente pubblico territoriale, indipendentemente dalla destinazione cui l'immobile fosse adibito.

In questo senso, il comma 3 dell'art. 1 della l. n. 431/1998 integra l'art. 42 della l. n. 392/1978, «che rimane applicabile qualora l'immobile venga locato ad uso diverso da abitazione», mentre «la locazione stipulata (solo) dagli enti locali ad uso abitativo per esigenze di carattere transitorio è ora dal legislatore prevista e pienamente rimessa alla autonomia contrattuale delle parti» (Scarano).

Alcuni autori usano a tale proposito il termine di foresteria, del tutto estraneo alla normativa in questione. Inoltre, lo stesso concetto di foresteria, come delineato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, non è caratterizzato dalla presenza degli enti locali in qualità di conduttori.

Poiché la destinazione abitativa mal si conviene ad un ente locale, verosimilmente la norma si riferisce ai casi in cui il contratto sia stipulato da un ente, come ad esempio, un Comune, ma non per esigenze proprie, bensì per soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio a favore, o di un proprio impiegato o funzionario, o di sfrattati rientranti in una categoria protetta, in attesa che sia disponibile un alloggio di edilizia pubblica.

Le locazioni transitorie

Le locazioni aventi destinazione abitativa, contraddistinta dal carattere delle provvisorietà, del tutto ignote al codice civile, avevano trovato una prima disciplina, sia pure indiretta e parziale, negli artt. 1 e 26 della l. n. 392/1978, entrambi abrogati dall'art. 14 della l. 9 dicembre 1998, n. 431, e successivamente nell'art. 5 della stessa legge del 1998.

Il capoverso dell'art. 1 della l. n. 392/1978, stabiliva infatti che il requisito della durata minima di quattro anni non si applicava alle locazioni stipulate «per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria». E l'art. 26, alla lettera a), riprendeva l'ipotesi prevista dall'art. 1 e ne estendeva l'efficacia derogatoria all'intera normativa contenuta nel capo I della legge, con l'esclusione del caso in cui («salvo che»), «il conduttore abiti stabilmente nell'immobile per motivi di lavoro o di studio».

Quanto alle locazioni ad uso diverso, l'art. 27, comma 5, della l. n. 392/1978, rimasto in vigore, stabilisce che la durata del contratto può essere inferiore a quella minima di sei anni «qualora l'attività esercitata o da esercitare nell'immobile abbia, per sua natura, carattere transitorio».

La legge n. 431/1998, pur finalizzata a promuovere una maggiore flessibilità dei rapporti di locazione, con l'art. 14 ha abrogato gli artt. 1 e 26 della l. n. 392/1978, e, con l'art. 5, ha dettato alcuni criteri che, in pratica, riconducono i contratti di locazione stipulati per sopperire ad esigenze di carattere transitorio (così come i contratti per studenti universitari), nell'ambito della contrattazione assistita.

L'art. 5 della l. n. 431/1998, che appunto disciplina i contratti di locazione di natura transitoria, perseguendo lo scopo di definire con maggior precisione tale tipo di contratto ed evitare facili elusioni, ha rinviato al decreto che, il Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro delle finanze, è tenuto ad emanare nei termini e con le modalità di cui al comma 2 dell'art. 4. Con detto decreto, il Ministro definisce le condizioni e le modalità per la stipula di contratti di locazione intesi a soddisfare particolari esigenze delle parti - conduttore, ma anche locatore - le quali potrebbero convenire una durata inferiore ai quattro anni.

Va rilevato, tuttavia, che, mentre per l'art. 26 della l. n. 392/1978, la transitorietà doveva riferirsi alle «esigenze abitative», con chiaro riferimento al solo conduttore, per l'art. 5 della l. n. 431/1998, questo particolare tipo di contratto deve soddisfare «particolari esigenze delle parti», ovverosia anche particolari esigenze del locatore.

Il giorno 8 febbraio 1999, presso la sede del Ministero dei lavori pubblici, le associazioni dei proprietari e degli inquilini si sono riunite e sono pervenute alla stipula della Convenzione nazionale per quella stessa data, tracciando le linee guida per la stipula di contratti di locazione di cui al citato comma 3, per quanto concernente la misura dei canoni - da individuarsi a seguito di convocazioni delle stesse associazioni avviate dai Comuni - sulla base di aree aventi caratteristiche omogenee quanto a valori di mercato, dotazioni infrastrutturali e tipi edilizi, sia per quanto relativo alle singole clausole del contratto tipo il cui modello è allegato alla suddetta convenzione.

In evidenza

La possibilità per le parti di stipulare un valido ed efficace contratto locatizio ad uso transitorio è subordinata all'adozione delle modalità e alla sussistenza dei presupposti stabiliti dall'art. 5 della legge n. 431/1998, e dal d.m. 30 dicembre 2002, che costituisce normativa secondaria di attuazione giusta il disposto di cui all'art. 4, comma 2, della medesima legge, con la conseguenza che è necessario che l'esigenza transitoria, del conduttore o del locatore, sia specificamente individuata nel contratto, al quale deve essere allegata documentazione idonea a comprovare la stessa, e che i contraenti, prima della scadenza del termine contrattuale, ne confermino, con lettera raccomandata, la persistenza (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2014, n. 4075).

All'art. 2, di questa Convenzione nazionale 8 febbraio 1999, sono stati dettati i criteri di base «per la definizione dei canoni di locazione e dei contratti tipo per gli usi transitori», contratti che, si conviene, «saranno stipulati per fattispecie da individuarsi nella contrattazione territoriale tra le organizzazioni sindacali della proprietà e degli inquilini», che perveniva a definire il contratto tipo mediante un modello (Modello B) allegato alla detta Convenzione, sulla base dei seguenti elementi e condizioni:

1) durata minima di un mese e massima di diciotto mesi;

2) dichiarazioni del locatore e del conduttore che esplicitino l'esigenza della transitorietà;

3) onere per il locatore di confermare prima della scadenza del contratto i motivi di transitorietà posti a base dello stesso;

4) riconduzione del contratto all'articolo 2, comma 1, della legge n. 431/98 in caso di mancata conferma dei motivi, ovvero risarcimento pari a trentasei mensilità in caso di mancato utilizzo dell'immobile rilasciato;

5) previsione di una particolare ipotesi di transitorietà per soddisfare esigenze del conduttore che lo stesso deve documentare allegandole al contratto;

6) facoltà di recesso da parte del conduttore per gravi motivi;

7) esclusione della sublocazione;

8) previsione, ove le parti lo concordino, di prelazione a favore del conduttore in caso di vendita dell'immobile;

9) modalità di consegna con verbale o comunque con descrizione analitica dello stato di conservazione dell'immobile;

10) produttività di interessi legali annuali sul deposito cauzionale che non superi le tre mensilità;

11) esplicito richiamo ad accordi sugli oneri accessori ai fini della ripartizione ed in ogni caso richiamo alle disposizioni degli articoli 9 e 10 della legge n. 392/1978;

12) previsione di una commissione conciliativa stragiudiziale facoltativa.

Inoltre, il contratto nella parte descrittiva deve contenere tutti gli elementi ed i riferimenti documentali ed informativi sulla classificazione catastale, le tabelle millesimali, lo stato degli impianti e delle attrezzature tecnologiche anche in relazione alle normative sulla sicurezza nazionale e comunitaria, nonché una clausola che faccia riferimento alla reciproca autorizzazione ai fini della normativa sulla privacy (l. n. 675/96).

Con il d.m. 5 marzo 1999 - pubblicato nella G.U. 22 marzo 1999, n. 67 - era recepito il contenuto della Convenzione nazionale dell'8 febbraio1999 tra le associazioni di categoria, confermando che i contratti relativi alle locazioni transitorie erano definiti come quelli “stipulati per soddisfare particolari esigenze dei proprietari e dei conduttori per fattispecie da individuarsi nella contrattazione territoriale tra le organizzazioni sindacali della proprietà e degli inquilini” (art. 2 d.m. 5 marzo 1999).

Il suddetto d.m. stabilisce, quindi, che i contratti di natura transitoria di cui all'art. 5, comma 1, della l. n. 431/1998, non possono avere durata inferiore ad un mese e superiore a diciotto mesi, e, quanto alla natura delle particolari esigenze che possono giustificare il ricorso a questa tipologia contrattuale, esso ribadisce il rinvio a «fattispecie da individuarsi nella contrattazione territoriale tra organizzazioni sindacali della proprietà e degli inquilini», che viene così ad assumere carattere integrativo della legge speciale.

La durata delle locazioni transitorie

In evidenza

Il conduttore può provare la simulazione relativa del contratto di locazione di un immobile (nella specie, da uso abitativo transitorio a destinazione abitativa ordinaria) dimostrando che il locatore fosse a conoscenza dell'effettiva destinazione dell'immobile locato anche a mezzo di presunzioni e, dunque, allegando circostanze oggettive conosciute dal locatore al momento della stipula (nella specie, l'avvenuto originario subentro, da parte del conduttore, nelle licenze di gas ed elettricità, manifestazione di un progetto di lunga durata ed implicante la cognizione e l'assenso del locatore). (Cass. civ., sez. III, 13 agosto 2015, n. 16797).

Secondo l'art. 2 del citato d.m. 5 marzo 1999, n. 67, nonché l'art. 2 del d.m. 30 dicembre 2002, che hanno recepito la Convenzione nazionale dell'8 febbraio 1999, la durata delle locazioni transitorie, non può dunque avere durata superiore a diciotto mesi, o inferiore ad un mese.

Tuttavia, l'art. 5 della l. n. 431/1998, dispone che la durata delle locazioni transitorie, la cui disciplina è rinviata al decreto di cui all'art. 4, comma 2, della legge stessa, può indicare una durata «anche inferiore» ai limiti di cui all'art. 2. Di conseguenza non si può escludere a priori che la durata venga, con successivi decreti, determinata in misura diversa.

A temperare l'incertezza in ordine ai tempi e modi del verificarsi dell'evento che legittima l'esigenza transitoria del conduttore, ai sensi dell'art. 6. lett. f) del d.m. 5 marzo 1999, il contratto deve prevedere la facoltà di recesso a favore del conduttore medesimo per gravi motivi. Questi possono dunque consistere nel fatto che, per un evento imprevisto ed imprevedibile, l'esigenza è venuta meno, ma anche, riteniamo, perché il fatto che aveva giustificato il ricorso a questa tipologia contrattuale, si è verificato prima del termine convenuto di durata della locazione.

Derogabilità o inderogabilità delle dedotte esigenze transitorie

Secondo la dottrina, la normativa in tema di locazioni transitorie preclude ai contraenti l'utilizzo di accordi locativi strumentali alla soddisfazione di esigenze transitorie non eterodeterminate, nel senso che la qualificazione di transitorietà resta vincolata alla conformità ai tipi predisposti negli accordi locali (Carrato -Scarpa).

Per le locazioni transitorie, la deroga riguarda la sola durata del rapporto, è quindi limitata dalla presenza di esigenze particolari, e non di ogni esigenza che il locatore o il conduttore potrebbero addurre, e che, per il fatto di non essere stata individuata perché non ritenuta tale da consentire la stipulazione di una locazione di più breve durata di quella minima fissata dall'art. 2, commi 1 e 2, è del tutto irrilevante.

L'esigenza transitoria del locatore

Una novità rispetto alla precedente normativa, è costituita dal fatto che la locazione transitoria può essere stipulata anche per le esigenze del locatore, che debbono essere espressamente specificate.

Il complesso meccanismo della contrattazione, che dall'art. 5 della l. n. 431/1998, passa attraverso il d.m. attuativo 5 marzo 1999, per giungere alle convenzioni locali, ipotizza uno schema contrattuale che si può configurare come un contratto potenzialmente di durata di quattro anni più altri quattro, la cui efficacia è tuttavia subordinata al verificarsi di due condizioni: la prima, di carattere formale (mancata conferma dell'esigenza transitoria da parte del locatore), la seconda, di carattere oggettivo (venir meno dell'esigenza transitoria, sempre del locatore).

Nei riguardi del locatore, l'esigenza transitoria, che appunto non può essere generica, è vista, dal provvedimento in questione, come motivo di una preventiva disdetta, da esplicitare in apposita clausola contrattuale, idoneo, se confermato o se non venuto meno, ad impedire la prosecuzione del rapporto per quattro anni più altri eventuali quattro.

Non per nulla, le esigenze del locatore, che lo inducono a stipulare una locazione contenuta nel tempo, attingono, nelle convenzioni locali, alle motivazioni di recesso elencate nell'art. 59 della l. n. 392/1978 e poi riprese dall'art. 3 della l. n. 431/1998 (Tomasso).

Rientra, pertanto, nello schema di questo contratto, la possibilità per il conduttore di contestare il verificarsi dell'esigenza transitoria del locatore, o di sostenere che essa è venuta meno, di qui l'esigenza della sua specificità, al fine di ricondurre il rapporto a più lunga durata.

L'esigenza transitoria del locatore deve essere da questi confermata, tramite lettera raccomandata da inviarsi prima della scadenza nel termine stabilito dal contratto. Ove egli non adempia a tale onere (oppure siano venute meno le cause della transitorietà) la durata della locazione viene ricondotta a quella prevista dal comma 1 dell'art. 2 della l. n. 431/1998, ovvero alla durata di quattro anni (più eventuali altri quattro), con la conseguenza che il locatore non può più chiedere la restituzione dell'alloggio al termine del periodo previsto nel contratto. Riconduzione che è prevista anche nell'ipotesi in cui vengano meno le condizioni che hanno giustificato la transitorietà.

Tra l'altro, con palese irragionevolezza, il d.m. 5 marzo 1999 impone l'obbligo di comunicare, non già una conferma dell'esigenza transitoria, bensì il verificarsi della stessa, come se l'esigenza, al pari della condizione posta ad un contratto, sia evento futuro ed incerto e non esistente già al momento della stipula della locazione.

L'esigenza transitoria del conduttore

Più complessa appare la posizione del conduttore, per il quale l'esigenza transitoria (che sarebbe meglio definire come temporanea) è quasi sempre collegata ad eventi esterni e da lui non controllabili, come l'aspettativa dell'assegnazione di un alloggio di edilizia pubblica o da una cooperativa; la disponibilità di un appartamento acquistato in costruzione e non ancora ultimato. Oppure semplicemente lo svolgimento di un lavoro fuori sede per un certo tempo.

Accomuna entrambe le esigenze - del locatore e del conduttore - la loro specifica indicazione nel contratto ed il collegamento ad una data prefissata che coincide con la scadenza del contratto. Inoltre, sia il locatore che il conduttore dovranno confermare il verificarsi dell'esigenza tramite raccomandata da inviarsi prima della scadenza. Dovuto forse ad un lapsus del legislatore il riferimento all'esigenza transitoria del locatore “e” del conduttore, quasi che entrambi dovessero essere accomunati da rispettive esigenze concomitanti, ipotesi assai difficile da verificarsi. È ragionevole ritenere che si tratti di una “e” disgiuntiva, e che l'esigenza sia dell'una o dell'altra parte del contratto.

Mentre l'esigenza transitoria del locatore deve solo essere specificata nel contratto, quella del conduttore «deve essere provata con apposita documentazione da allegare al contratto». Non è quindi sufficiente la enunciazione, in apposita clausola del contratto, del motivo che giustifica l'esigenza di carattere transitorio del conduttore, ma occorre l'allegazione di un documento che ne comprovi l'esistenza.

Va rilevato altresì, per completezza, che la documentazione allegata dal conduttore renderà a questi più difficoltosa una eventuale dimostrazione che il contratto in realtà è simulato e che l'esigenza transitoria non esiste.

Il venir meno delle cause di transitorietà

Il medesimo effetto della riconduzione della durata a quella prevista dall'art. 2, comma 1, della l. n. 431/1998, che consegue al mancato invio della comunicazione da parte del locatore, si verifica anche qualora «siano venute meno le cause della transitorietà», come prescrive il n. 2 della Convenzione Nazionale 8 febbraio1999 e del d.m. attuativo 5 marzo 1999. La differente terminologia usata - «cause» delle transitorietà in luogo di «esigenze transitorie» - comporta una valutazione oggettiva e non più soggettiva, sulla persistenza degli elementi di fatto che hanno indotto le parti a dedurre un'esigenza transitoria.

Un'interpretazione della norma ricondotta ad un principio di equità e di elementare giustizia, impone di ritenere che la riconduzione ai contratti di cui all'art. 2 della l. n. 431/1998, riguardi la sola durata e non invece il canone, lasciato alla libera contrattazione.

Gli aspetti più rilevanti di questa normativa sono, dunque: la durata minima di un mese e massima di diciotto mesi; la dichiarazione esplicitante l'esigenza della transitorietà; l'onere della conferma prima della scadenza del contratto; la previsione, in difetto, della riconduzione del contratto all'art. 2, comma 1, della l. n. 431/1998. L'ulteriore sanzione di un risarcimento pari a trentasei mensilità del canone, nel caso di mancato utilizzo - s'intende da parte del locatore dell'immobile rilasciato - conferma lo schema già delineato dall'art. 60 della l.n. 392/1978.

È stata inoltre prevista: la facoltà di recesso del conduttore per gravi motivi, l'esclusione della sublocazione, il deposito cauzionale che non può essere superiore a tre mensilità ed è produttivo di interessi legali. Necessaria, altresì, una precisa descrizione dell'immobile, sia dal punto di vista catastale, sia delle condizioni di manutenzione degli impianti e delle attrezzature tecnologiche «anche in relazione alle normative sulla sicurezza nazionale e comunitaria».

La locazione di immobili per studenti universitari

Recita il comma 3 dell'art. 5 della l. n. 431/1998, che i Comuni, sede di università, possono promuovere specifici accordi locali per la definizione di contratti-tipo di locazione per studenti universitari, sulla base dei criteri stabiliti dal comma 2 dell'art. 4. Partecipano a detti accordi, oltre alle associazioni sindacali dei conduttori e della proprietà edilizia, «le aziende per il diritto allo studio e le associazioni degli studenti, nonché cooperative ed enti non lucrativi operanti nel settore».

Anche per questa ipotesi, sono evidenti le differenze con la normativa abrogata della l. 392/1978, che all'art. 26 salvaguardava le locazioni di carattere transitorio destinate a stabile abitazione per motivi di studio in genere (e quindi non solo universitari), alle quali si applicavano i coefficienti correttivi del costo base previsti per le locazioni abitative, con la sola deroga ai limiti di durata ai sensi del comma 2 dell'art. 1.

L'analogia con l'attuale normativa sussiste solo con riguardo alla misura dei canoni, che «sono definiti in accordi locali sulla base delle fasce di oscillazione per aree omogenee stabilite negli accordi territoriali di cui all'articolo 1» (art. 3, comma 2, d.m. 5 marzo 1999). Detti accordi, inoltre, «individuano le relative misure di aumento o di diminuzione degli intervalli di oscillazione in relazione alla durata contrattuale» (art. 3, comma 3, d.m. 5 marzo 1999).

Con la l. n. 431/1998, anche le locazioni a studenti universitari rientrano in una categoria protetta come sottospecie delle locazioni transitorie, sia pure con alcune limitazioni quali risultano dal citato d.m. 5 marzo 1999 che detta i criteri per l'attuazione degli accordi da definire in sede locale. Innanzi tutto, tale particolare disciplina riguarda non tutti gli studenti, ma i soli gli «studenti universitari fuori sede» (art. 3, comma 1, d.m. 5 marzo 1999). Tale presupposto è ribadito nel secondo periodo del comma 1 dell'art. 3, dello stesso d.m., con la precisazione che: «Tale tipologia contrattuale è utilizzata esclusivamente qualora l'inquilino sia iscritto ad un corso di laurea in un comune diverso da quello di residenza (da specificare nel contratto)».

Questa disciplina non è applicabile allo studente che non sia universitario o che abbia la propria residenza nello stesso comune in cui si trova l'immobile locato; nel qual caso, ove non ricorrano particolari esigenze transitorie, il contratto dovrà stipularsi ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 3, della l. n. 431/1998.

Un'ulteriore particolarità consiste nella durata, da sei mesi a tre anni, più ampia di quella prevista per le locazioni transitorie in genere. Il legislatore ha, inoltre, tenuto presente che, nella pratica, questa tipologia di rapporti, a differenza delle locazioni ordinarie, riguarda, molto spesso, più studenti universitari, ed ha quindi previsto che i contratti possono essere «sottoscritti o dal singolo studente o da gruppi di studenti universitari fuori sede o dalle aziende per il diritto allo studio».

Nel caso in cui gli studenti siano più di uno, ciascuno di essi può esercitare il diritto di recesso, ma non sembra che per questa ipotesi debbano sussistere i gravi motivi che invece legittimano il recesso del conduttore quando sia uno soltanto, dato che, tale presupposto, indicato alla lett. c) del comma 4 dell'art. 3 del d.m., non è ripetuto nella successiva lett. d) che appunto prevede il recesso parziale.

Meno agevole risolvere la questione che si presenta, nel caso di recesso parziale, nei confronti dei conduttori per i quali la locazione prosegue. Poiché il contratto-tipo deve prevedere il divieto di sublocazione, i conduttori che rimangono nella detenzione dell'immobile, anche se in minor numero rispetto all'inizio del rapporto, dovranno far fronte al pagamento dell'intero canone (Gabrielli - Padovini).

Il contratto-tipo definito dagli accordi territoriali, secondo il d.m. del 1999, potrà tener conto della presenza di mobilio e di eventuali modalità di rilascio, ma dovrà, per il resto, essere redatto in base ad inderogabili elementi e condizioni, quali, tra i più rilevanti: la durata, che, come abbiamo visto, va da un minimo di sei ad un massimo di trentasei mesi, la facoltà di recesso del conduttore, il divieto di sublocazione, il deposito cauzionale, non superiore a tre mensilità del canone, produttivo di interessi legali, ed infine, il rinnovo automatico, salvo disdetta del conduttore, clausola di non indifferenti conseguenze quanto alla possibile durata del contratto.

Questa eventualità, annulla, sotto ogni aspetto, il carattere di transitorietà del contratto. In sostanza, il rilascio dell'immobile alla scadenza convenuta, pur nel termine minimo o massimo di durata, rimane una mera aspettativa del locatore che può essere frustrata sol che lo studente universitario non invii disdetta, avendosi, in tal caso il rinnovo automatico per eguale periodo.

Proprio a limitare l'iniquità della disposizione, e gli evidenti sospetti di illegittimità costituzionale - poiché il rinnovo di un contratto non potrebbe essere lasciato all'arbitrio di una sola delle parti - qualche autore ha ipotizzato la facoltà del locatore di opporsi al rinnovo per i motivi di cui al comma 1 dell'art. 2 della l. n. 431/1998, in base ad un principio di carattere generale (Paparo).

Ma la tesi, sebbene ragionevole, non regge, poiché l'art. 3, comma 5, lett. b), del d.m. del 1999, prescrive che l'eventualità del rinnovo in difetto di disdetta da parte dello studente universitario, sia inserita con apposita clausola nel contratto. Non si vede quindi come il locatore possa opporsi ad un eventuale rinnovo della locazione da lui stesso preventivamente consentita con la sottoscrizione del contratto.

In conclusione

Si può ritenere che, nel sistema della l. n. 431/1998, le locazioni transitorie rappresentino una categoria definita, o meglio, definibile, attraverso accordi locali, in relazione alla quale si consente alle parti di derogare alla durata minima del rapporto qualora sussistano esigenze particolari delle parti da ritenersi meritevoli, e come tali individuate in singole fattispecie.

Per le locazioni transitorie, l'attuale normativa impone l'ulteriore limitazione all'autonomia delle parti, che la misura del canone non può superare quella definita dagli accordi locali in relazione all'ubicazione ed alle caratteristiche dell'immobile locato secondo le tabelle in vigore, approntate per le aree metropolitane ad alta intensità abitativa, o nei comuni con esse confinanti o in quelli capoluogo di provincia.

Ciò comporta che i principi fondamentali informatori di questa tipologia contrattuale - locazioni transitorie e altresì, come si vedrà, a studenti universitari - sono difficilmente definibili con precisione, in quanto soggetti a variabili in funzione di accordi nazionali in divenire, che presentano spiccate analogie con la prassi giuslavoristica.

Indirizzo che ha trovato conferma nell'art. 1 della l. 8 gennaio 2002, n. 2, che, dopo l'art. 4 della l. n. 431/1998, ha introdotto il nuovo art. 4-bis («Tipi di contratto»), il quale recita: «1. La convenzione nazionale di cui all'articolo 4, comma 1, approva i tipi di contratto per la stipula dei contratti agevolati di cui all'articolo 2, comma 3, nonché dei contratti di locazione di natura transitoria di cui all'articolo 5, comma 1, e dei contratti di locazione per studenti universitari di cui all'articolo 5, commi 2 e 3. 2. I tipi di contratto possono indicare scelte alternative, da definire negli accordi locali, in relazione a specifici aspetti contrattuali, con particolare riferimento ai criteri per la misurazione delle superfici degli immobili. 3. In caso di mancanza di accordo delle parti, i tipi di contratto sono definiti con il decreto di cui all'articolo 4, comma 2».

Come si evince dal contenuto della suddetta norma, non solo le Convenzioni nazionali, stipulate dalle relative associazioni di categoria, sono autorizzate a tracciare le linee guida dei contratti agevolati di locazione transitoria o con studenti universitari, ma anche indicare «scelte alternative», ovverosia disciplinare ipotesi contrattuali pur diverse ma tuttavia aderenti allo spirito della legge, in funzione di fattispecie particolari.

Guida all'approfondimento

Grasselli - Masoni, Le locazioni, I, Padova, 2007, 226;

Scarano, Il nuovo diritto delle locazioni abitative, a cura di Patti, Milano, 2001, 39;

Carrato - Scarpa, Le locazioni nella pratica del contratto e del processo, Milano, 2001, 201;

Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2001, 527;

Scalettaris, La locazione abitativa transitoria, in Giust. civ., 1990, II, 15.

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