La rilevanza penale della detenzione di file temporanei di natura pedopornografica

Alessandro Trinci
08 Settembre 2016

Si analizza il problema della detenzione virtuale di materiale pedopornografico, con specifica attenzione alla rilevanza penale della presenza, all'interno di un personal computer, di file temporanei di internet di tipo pedopornografico, salvati automaticamente nella memoria cache durante la navigazione nel web, dando conto degli orientamenti giurisprudenziali maturati sul punto nella giurisprudenza di merito e di legittimità.
Abstract

L'accesso alla rete internet ha aperto nuove frontiere del diritto penale. Forme tradizionali di illecito hanno trovato nuove declinazioni che pongono all'interprete delicate problematiche. Tale processo di “modernizzazione” ha coinvolto anche il modo della pornografia minorile, senza dubbio alimentato dal carattere anonimo e diffusivo della rete.

L'autore, dopo una breve disamina del reato previsto dall'art. 600-quater c.p., analizza in particolare il problema della detenzione virtuale di materiale pedopornografico, con specifica attenzione alla rilevanza penale della presenza, all'interno di un personal computer, di file temporanei di internet di tipo pedopornografico, salvati automaticamente nella memoria cache durante la navigazione nel web, dando conto degli orientamenti giurisprudenziali maturati sul punto nella giurisprudenza di merito e di legittimità.

La ratio puniendi della detenzione di materiale pedopornografico

L'art. 600-quater c.p., così come modificato dalla l. 38/2006, attribuisce rilevanza penale alla condotta di chi consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato usando minori degli anni diciotto, punendo tale condotta con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a 1549 euro.

Come si evince dalla clausola di riserva espressa (al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 600-ter), si tratta di una incriminazione residuale, posta a chiusura del sistema repressivo delle condotte attinenti al mercato del materiale pedopornografico.

L'introduzione nell'ordinamento penale interno della fattispecie in esame ha suscitato in molti commentatori perplessità e critiche, perché si è ritenuto che il suo disvalore si incentri nella mera detenzione del materiale pedopornografico, a prescindere dalla concreta offensività che tale condotta presenta rispetto all'integrità psico-fisica del minore. In sostanza, ad avviso di molti studiosi, la norma in commento rischia di tutelare la moralità pubblica reprimendo un vizio, con conseguente attrito col principio di offensività.

Tuttavia, deve osservarsi che il procacciamento di materiale pedopornografico, lungi dall'esaurirsi in una condotta moralmente riprovevole, alimenta lo sviluppo del mercato della pornografia minorile, incentivando lo sfruttamento sessuale dei minori. È evidente, infatti, che la criminalizzazione delle condotte di procacciamento e detenzione è volta a disincentivare la domanda e, con essa, il mercato del c.d. pedobusiness.

In sostanza, il Legislatore, ricorrendo allo schema del reato di pericolo indiretto o del reato-ostacolo, ha inteso colpire tutti quei comportamenti che rappresentano l'esito finale dell'attività di produzione di materiale pedopornografico, sanzionando tutte quelle attività prodromiche rispetto alla diffusione del suddetto materiale. Quindi, la detenzione non è punita in quanto direttamente lesiva, bensì in quanto idonea ad incrementare la domanda di pornografia minorile.

Le condotte incriminate

La condotta punita dall'art. 600-quater c.p. consiste, alternativamente, nel procurarsi o nel detenere materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto.

Col termine procurarsi si intende fare riferimento a qualsiasi attività idonea a far entrare il materiale nella sfera di disponibilità del detentore; si tratta quindi di una condotta dinamica, comprendente qualsiasi attività di ricerca e di conseguente acquisizione del materiale (noleggio, acquisto, ecc.). È comunque necessario che il soggetto agente, dopo essersi all'uopo adoperato, consegua la disponibilità materiale del prodotto.

La condotta di detenzione, invece, comprende qualsiasi situazione giuridica che permetta di far considerare il materiale nella concreta disponibilità dell'agente, disponibilità da intendersi in senso ampio – e non solo materiale ma anche virtuale – risultando indifferente il supporto utilizzato (si pensi al caso delle immagine scaricate dalla rete internet).

L'irrilevanza penale della mera visione di materiale pornografico minorile

Come si evince dalla ratio e dalla formulazione dell'art. 600-quater c.p., ciò che il Legislatore ha inteso punire è il collegamento instaurato dal soggetto agente col mercato della pedopornografia. Ne consegue che resta estranea dal perimetro di operatività della norma la condotta di chi si limiti a guardare il materiale pornografico realizzato con minori (ad esempio visionando il contenuto di un sito internet o sfogliando un album fotografico), senza instaurare con esso una relazione di prossimità. Infatti, le condotte meramente contemplative non contribuiscono ad incrementare la domanda di materiale pornografico; inoltre, il soggetto agente, non avendo la disponibilità del materiale, non potrà mai diffonderlo e quindi approfondire l'offesa all'interesse protetto.

Nel caso di mera visione non può dunque parlarsi di detenzione di materiale pedopornografico in quanto manca il requisito della disponibilità, caratteristica peculiare della condotta sanzionata dall'art. 600-quater c.p. (Cass. pen., Sez. III, 21 settembre 2005, n. 39282)

Il dolo “qualificato” richiesto dalla norma

Sul piano soggettivo, l'art. 600-quater c.p. richiede un dolo particolarmente qualificato. Infatti, tramite l'avverbio consapevolmente, il Legislatore ha inteso circoscrivere la punibilità alle sole condotte di procacciamento e detenzione sorrette da dolo diretto o intenzionale, escludendo la rilevanza penale del dolo eventuale (Cass. pen., Sez. III, 20 settembre 2007, n. 41067).

È evidente che la consapevolezza a cui allude il Legislatore non riguarda solo la natura pedopornografica delle immagini ma ancor prima il fatto di procurarsi o detenere il predetto materiale.

Il peculiare coefficiente psicologico richiesto dalla norma svolge una indubbia funzione selettiva rispetto alle condotte meritevoli di sanzione, così “bilanciando” la vistosa anticipazione della soglia di punibilità che caratterizza il delitto in esame.

La detenzione virtuale di materiale pedopornografico

L'avvento di internet, moltiplicando lo spazio di espressione e proteggendo l'anonimato dei pedofili, ha senz'altro contribuito ad amplificare il fenomeno della pornografia minorile, favorendo gli scambi di materiale illecito fra una moltitudine di Paesi.

Non sorprende, allora, che la casistica giurisprudenziale sull'art. 600-quater c.p. riguardi soprattutto procacciamenti e detenzioni realizzati a mezzo internet.

Affinché la detenzione virtuale sia punibile occorre, però, che il dato informatico sia stato “scaricato” e trasferito su un supporto permanente e durevole e sia consapevolmente detenuto dal soggetto agente (tramite hard disk, cd, dvd, pendrive, ecc.). È sufficiente anche l'allocazione dei file scaricati nel "cestino" del sistema operativo del personal computer, in quanto gli stessi restano comunque disponibili mediante la semplice riattivazione dell'accesso al file, mentre solo per i file definitivamente cancellati può dirsi cessata la disponibilità e, quindi, la detenzione (Cass. pen., Sez. III, 21 aprile 2015, n. 24345).

Ora, se non vi sono dubbi che la consapevolezza della detenzione ricorra quando i file sono stati rinvenuti all'interno di una ordinaria cartella di sistema dell'hard disk, posto che i dati ivi immessi non possono che essere stati salvati volontariamente dall'agente, nel caso in cui il materiale pedopornografico si trovi all'interno della memoria cache del computer, in seguito alla consultazione di siti internet, potrebbe difettare la consapevolezza dell'agente, atteso che in tale spazio confluiscono automaticamente e in via temporanea dati provenienti dalla navigazione.

La giurisprudenza sulla detenzione di file temporanei di natura pedopornografica

Occorre premettere che in informatica la memoria cache rappresenta un'area di memoria di piccole dimensioni ed estremamente veloce, il cui scopo è di velocizzare l'esecuzione dei programmi in quanto al suo interno risiedono temporaneamente un insieme di dati e programmi che si prevede debbano essere utilizzati nel breve termine e che quindi possono essere recuperati velocemente. L'uso della cache è trasparente (non visibile) al programmatore e la sua gestione è completamente affidata alla C.P.U.

Poiché i dati automaticamente e temporaneamente impressi nella memoria cache del computer in seguito alla consultazione di siti internet sono il frutto di un procedimento autonomamente realizzato dalla macchina e non governato da una consapevole e volontaria determinazione dell'agente, la detenzione di file temporanei di natura pedopornografica non dovrebbe integrare il delitto di cui all'art. 600-quater c.p. per difetto dell'elemento soggettivo.

In tal senso sembra, in effetti, orientata la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità. Quanto alle decisioni di merito, ad esempio, il tribunale di Brescia, nel 2004, ha statuito che rispondono del delitto in esame non tutti coloro che, navigando in internet, entrino in contatto, semplicemente, con immagini pornografiche minorili, ma coloro che se ne approprino, salvandole e veicolandole o sul disco fisso del pc o sul altri supporti, con esso interfacciabili, che ne consentano la visione o comunque la riproduzione. Lo scaricamento deve essere ovviamente consapevole e volontario, dovendosi escludere profili di responsabilità penale nei casi in cui il materiale rinvenuto sul pc costituisca la mera traccia di una trascorsa consultazione sul web, creata dai sistemi di salvataggio automatico del personal computer (trib. Brescia, sent., 24 maggio 2004, in Guida dir., 2004, n. 28, 94).

Per quanto attiene alla giurisprudenza di legittimità, la suprema Corte, già nel 2005 aveva escluso che potesse rilevare, sul piano penale, la mera consultazione via internet di siti per pedofili senza registrazione di dati su disco (Cass. pen., Sez. III, 21 settembre 2005, n. 39282).

Nel 2008, la Corte ha confermato l'assoluzione dell'imputato osservando che egli non aveva compiuto alcuna attività di archiviazione di materiale pedopornografico. Era stata infatti rilevata solo la presenza di un collegamento ad una pagina verosimilmente pedo … Era stato inoltre accertato che la detenzione dell'immagine era sicuramente involontaria dato che si trovava nella cache (download involontario durante la navigazione) e non in cartelle riempite con tale materiale coscientemente (Cass. pen., Sez. III, 16 ottobre 2008, n. 3194).

In altra decisione coeva gli Ermellini avevano confermato la condanna dell'imputato rilevando che questi non si era limitato a consultare via internet materiale pedopornografico ma lo aveva acquistato scaricandolo e conservandolo sul proprio computer (Cass. pen., Sez. III, 9 ottobre 2008, n. 43189).

Ancora, nel 2012, i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso di un imputato che non si era limitato a visitare siti pedopornografici ma, oltre a salvarli tra i preferiti, provvedeva anche a salvare su cassetta il contenuto dei siti visitati e/o a effettuare videoriprese di esso (Cass. pen., Sez. III, 29 novembre 2012,n. 5143).

Da ultimo, nel 2016, la suprema Corte conferma l'indirizzo ormai consolidatosi. Nel censurare l'operato del giudice di seconde cure, la Corte osserva che i file pedopornografici trovati nel computer dell'imputato non erano mai stati salvati, essendo risultata la loro allocazione unicamente negli internet temporary file, di talché la sentenza impugnata, nell'equiparare la mera visione dei file alla loro detenzione, si è limitata a fare riferimento all'assunto secondo cui la visione implicherebbe, per ciò solo, la disponibilità degli stessi e dunque l'integrazione del reato. Tuttavia, il semplice richiamo a tale equiparazione non può far ritenere, evidentemente, che la sentenza abbia risposto al tema che era stato specificamente posto con l'atto di appello, ovvero, appunto, la consapevolezza o volontà di detenere, mediante la semplice visione di immagini di un sito Internet e non anche il loro "scaricamento", materiale pedopornografico (Cass. pen., Sez. III, 20 gennaio 2016, n. 12458).

Una “pericolosa” decisione controtendenza

Nei repertori giurisprudenziali si registra anche una pronuncia che sembra contraddire l'orientamento maggioritario.

Nel caso di specie i giudici di merito avevano ritenuto che la presenza di immagini di natura pedopornografica tra i file temporanei del computer dell'imputato equivalesse a detenzione degli stessi, mentre l'imputato aveva sempre sostenuto di essere entrato in siti di vario contenuto al fine di reperire materiale pornografico lecito e di essersi imbattuto in materiale pedopornografico ma di non averlo mai scaricato.

Decidendo il ricorso, la suprema Corte, dopo avere precisato che i file temporanei di internet contengono quelle parti di pagina (immagini disegni grafici etc.) appartenenti a siti visitati e che vengono ad essere memorizzate per essere utilizzate in caso di accesso alla stessa pagina in momenti successivi, onde poter velocizzare la visualizzazione della pagina stessa, conclude affermando che, correttamente, i giudici del merito avevano ritenuto che il materiale pedopornografico in questione venisse detenuto (i file potevano essere, infatti, in qualsiasi momento richiamati in visione, anche da parte di un utente non particolarmente esperto)

(Cass. pen., Sez. III, 11 novembre 2010, n. 43246).

Va detto che anche in altra decisione coeva la suprema Corte sembra affermare che la visione di immagini pedopornografiche ne implica la disponibilità. Tuttavia, ad una lettura più attenta emerge con chiarezza che nel caso sottoposto all'esame della suprema Corte un elevato numero di immagini pedopornografiche si trovavano negli hard disk dei computer dell'imputato in modalità non allocata, ossia erano file avviati al cestino e quindi cancellati, ma erano pur sempre disponibili mediante semplice riattivazione dell'accesso al file. Quindi erano detenuti e pertanto disponibili. Solo per i file definitivamente cancellati si può dire che fosse cessata la disponibilità.

Insomma, ancorché la Corte di cassazione faccia apparentemente riferimento alla mera visione di immagini pedopornografiche tramite siti internet, in realtà dimostra di richiedere, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600-quater c.p., non la sola consultazione di quei siti, ma anche che l'imputato "scarichi" il materiale visionato sul proprio computer, ritenendo poi irrilevante il modo in cui quel materiale, una volta scaricato, venga salvato e utilizzato dal detentore.

Ciò che conta, infatti, è che le immagini pedopornografiche rimangano nella disponibilità del reo, potendo questi accedervi liberamente per consultarle e visionarle. Una volta che il materiale pornografico visionato su internet sia stato scaricato e memorizzato sul computer, quindi, la condotta tipica del reato di cui all'art. 600-quater c.p. è integrata e permane finché i file che contengano quel materiale non vengano definitivamente cancellati, ossia vengano eliminati in modo tale da non poter essere riattivati se non tramite un nuovo accesso ad Internet (Cass. pen., Sez. III, 21 aprile 2015, n. 24345).

In conclusione

La navigazione all'interno di siti internet contenenti immagini o video pedopornografici può generare dei file temporanei che vengono allocati nella memoria cache del personal computer.

Poiché si tratta di salvataggi automatici, che si verificano al di fuori di ogni controllo dell'utente, non è possibile stabilire con certezza se il soggetto agente abbia voluto conseguire la disponibilità di tali immagini o, piuttosto, limitarsi ad una loro consultazione on line.

Presumere la volontà di procacciarsi o detenere materiale pedopornografico dalla mera presenza nel computer di file che costituiscono il prodotto di salvataggi automatici costituisce una forzatura logica, che presume la volontà del soggetto agente, dando luogo ad una forma di responsabilità oggettiva.

A maggior ragione se risulta che l'utente del computer ha provveduto a cancellare tutte le immagini depositatesi nella memoria durante la navigazione, a riprova che il suo intento era esclusivamente quello di navigare e/o consultare i siti pedopornografici e non certo di scaricare da essi file proibiti.

Vanno quindi censurate le decisioni che ricavano la consapevolezza dell'agente dalla mera presenza di file temporanei di natura pedopornografica nella memoria cache del computer, formatisi in occasione dei collegamenti ai siti per pedofili. Infatti, così ragionando si finisce per equiparare la mera visione alla detenzione, in quanto la consultazione implicherebbe, per ciò solo, la disponibilità delle immagini e quindi l'integrazione del reato.

Tale modo di argomentare è ancor più censurabile a fronte di una fattispecie, come quella in esame, caratterizzata da un accentuato arretramento della soglia di punibilità. La repressione di condotte solo indirettamente lesive trova giustificazione, sul piano dell'offensività, non solo nella peculiare delicatezza dell'interesse protetto (la corretta maturazione sessuale del minore) ma anche nella presenza di un coefficiente psicologico qualificato, che rende particolarmente riprovevole la condotta criminosa. Dunque, se l'atteggiamento soggettivo del pedofilo svolge una funzione selettiva delle condotte detentive meritevoli di punizione, il suo accertamento non può che essere particolarmente rigoroso, dovendosi respingere qualsiasi semplificazione probatoria che tenda a far coincidere la visione con la detenzione, che in definitiva è come confondere il lecito (ancorché moralmente riprovevole) con l'illecito.

Guida all'approfondimento

FARINI-TRINCI, Compendio di diritto penale. Parte speciale, Roma, 2016;

CARINGELLA-DE PALMA-FARINI-TRINCI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Roma, 2016;

TOVANI-TRINCI (a cura di), I delitti contro la libertà sessuale, Torino, 2014.

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