Sul concorso formale tra il delitto di incesto quello di violenza sessuale aggravata
09 Novembre 2015
Abstract
In tema di reati perpetrati in ambito familiare, è configurabile il concorso formale tra il delitto di incesto (art. 564 c.p.) e quello di violenza sessuale aggravata dalla specifica qualità rivestita dal soggetto agente (artt. 609-bis e 609-ter, n. 5, c.p.). Non rileva, infatti, in senso contrario la circostanza che la condotta incestuosa sia caratterizzata dagli estremi della violenza. Il quadro normativo
La riforma dei reati di violenza sessuale introdotta dalla legge 15 febbraio 1996, n. 66, Norme contro la violenza sessuale, prevede alcune nuove circostanze aggravanti speciali collegate alla realizzazione del delitto di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), tra cui quella dell'aver posto in essere la condotta nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore (art. 609-ter, n. 5, c.p.). Successivamente l'art. 1, comma 1-ter, del d.l. 14 agosto 2013, n. 93, nel testo modificato in sede di conversione in l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha esteso l'applicazione dell'aggravante ai fatti commessi in danno dei minori di anni diciotto. La ratio della disposizione si rinviene nella maggiore vulnerabilità della vittima, causata dalla facilità con cui il familiare approfitta del ruolo che ricopre nella vita del minore, il quale è, quindi, meritevole di una tutela più accentuata da parte dell'ordinamento. La fattispecie di cui all'art. 564 c.p., invece, è un delitto contro la famiglia, specificamente contro la morale familiare, e si realizza quando un soggetto commette incesto, in modo che ne derivi pubblico scandalo, con un discendente o un ascendente o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello. La questione controversa
In merito alla struttura del delitto ex art. 564 c.p. si sono formati due diversi orientamenti. Parte della dottrina ritiene che l'incesto sia un reato plurisoggettivo per cui il reciproco consenso alla consumazione dell'atto sessuale costituisce un requisito di tipicità. Secondo altra parte, invece, si tratta di fattispecie monosoggettiva dove la convergenza delle volontà di entrambi i soggetti al compimento dell'atto sessuale (o la sua mancanza) non è elemento costitutivo. Di conseguenza mentre nel primo caso si esclude la possibilità di un concorso di reati con la violenza sessuale aggravata ai sensi dell'art. 609-ter, n. 5, c.p. nel secondo si ammette. Se si aderisce a quest'ultima impostazione, infatti, è necessario stabilire se si realizza un concorso apparente di norme o uno formale di reati poiché l'ambito di applicazione dei delitti di violenza sessuale aggravata e di incesto sono parzialmente sovrapponibili, nell'ipotesi in cui un ascendente o il genitore, anche adottivo, compia atti sessuali con il figlio. Sebbene, infatti, il codice non offre un'espressa definizione né di atto sessuale né di rapporto incestuoso, è possibile assegnare in gran parte alle due locuzioni il medesimo significato. Posto che in entrambe indubbiamente deve essere ricompresa la congiunzione carnale, si può ravvisare una parziale coincidenza anche in riferimento ad atti diversi da quest'ultima. Parte della dottrina e della giurisprudenza, infatti, considera suscettibili di penale rilevanza ex art. 564 c.p. anche le condotte che si concretino in una qualsiasi altra forma di godimento o di pervertimento sessuale (Pisapia). Queste tipologie di comportamento possono essere ricondotte alla nozione oggettiva di atti dove il riferimento al sesso comporta un rapporto corpore corpori che, però, non deve necessariamente limitarsi alle zone genitali ma comprende anche tutte quelle ritenute dalla scienza non solo medica, ma anche psicologica ed antropologica sociologica, erogene, tali a dimostrare l'istinto sessuale, con esclusione di quelle espressioni di libido connotate da una sessualità particolare (Cass. pen., Sez. III, 27 aprile 1998, n. 6651). Le condotte che si sostanziano di tali tipi di atti riconducibili alla predetta concezione oggettiva, infatti, possono risultare al pari “scandalose” tanto quanto la congiunzione carnale. Concorso apparente di norme e concorso formale di reati
Inquadrare una fattispecie nell'istituto del concorso apparente di norme o del concorso formale di reati determina conseguenze giuridiche differenti. Ricorre concorso apparente di norme quando, prima facie, una medesima condotta integra apparentemente più fattispecie astratte di reato e, tuttavia, solo una delle norme risulta, in effetti, quella applicabile nella fattispecie concreta. Diversamente si avrebbe una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale perché il reo finirebbe per essere punito due o più volte per lo stesso fatto. A tale scopo, non si deve avere riguardo al fatto per come concretamente avviene ma al fatto nella sua rilevanza offensiva di un bene protetto e cioè al fatto di reato. Il concorso formale di reati si verifica quando un soggetto, con un'unica azione od omissione violi, più volte, la stessa disposizione di legge incriminatrice (concorso omogeneo) o diverse disposizioni di legge incriminatrici (eterogeneo). Si ha, invece, concorso materiale di reati quando ad una pluralità di azioni in senso naturalistico corrisponde una pluralità di condotte criminose e quindi una pluralità di reati. Pertanto mentre nel concorso apparente la pluralità di norme incriminatrici è, appunto, solo fittizia, essendo unica, in realtà, la disposizione concretamente applicabile, nel concorso formale di reati, alla pluralità delle fattispecie incriminatrici applicabili corrisponde anche una pluralità dei reati, ancorché posti in essere con un'unica azione od omissione (da cui il nomen iuris di concorso formale di reati). Se opera il concorso apparente di norme, si applica una e una sola disposizione di legge; se, invece, sussiste il concorso formale di reati, viene applicata la pena prevista per il reato più grave commesso aumentata fino al triplo in base al dettato dell'art. 81 c.p. (c.d. cumulo giuridico). Il concorso formale tra il delitto di incesto e quello di violenza sessuale aggravata
Prima della riforma in materia di reati sessuali introdotta con la legge 66/1996 si era formato un orientamento consolidato in giurisprudenza secondo il quale i delitti di incesto e di violenza carnale (519 c.p.) erano distinti e potevano concorrere tra loro poiché da un lato la congiunzione carnale con i soggetti indicati nell'art. 564 c.p. può essere sia consensuale che violenta, dall'altro, il primo comma dell'art. 519 prevedeva che chiunque, con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La violenza, dunque, era una delle due possibili forme in cui poteva esplicarsi la condotta di costrizione. Di conseguenza la Cassazione ha reputato che sussistevano sia il reato di violenza carnale, qualora la condotta si fosse realizzata mediante quest'ultima modalità, sia quello di incesto, quando derivava un pubblico scandalo da una congiunzione carnale violenta con uno dei soggetti di cui all'art. 564 (Cass., 20 dicembre 1995 - dep. 16 novembre 1995, n. 12472; Cass., 9 luglio 1985 - dep. 21 maggio 1985, n. 6942). Successivamente all'entrata in vigore della legge 66/1996 si è posto il problema se le nuove fattispecie in materia di reati sessuali si ponessero o meno in continuità normativa con quelle abrogate. Al riguardo con orientamento univoco la Cassazione ha chiarito in più occasioni che i reati di violenza sessuale introdotti dalla l. n. 66/1996 si collocano in un rapporto di continuità normativa con quelli disciplinati agli artt. 519 c.p. e seguenti, non essendosi verificata alcuna abolitio criminis, salvo alcune eccezioni, ma solo un ordinario fenomeno di successione di leggi penali incriminatrici nel tempo (Cass., Sez. I, 30 gennaio 2008, - dep. 7 febbraio 2008, n. 6072; Cass., Sez. III, 22 maggio 2008, n. 26740; Cass., Sez. I, 28 gennaio 2005 n. 6775). Asserita, dunque, la continuità normativa si è riproposta la questione del concorso apparente di norme o formale di reati. Il caso aveva ad oggetto il compimento ripetuto di atti sessuali in danno di una bambina di età inferiore ai dieci anni da parte del padre. Quest'ultimo lamentava che il reato doveva essere rubricato ai sensi dell'art. 564 c.p. perché sussisteva una relazione incestuosa nota in ambito domestico, più volte denunciata dai familiari agli organi di polizia e, quindi, comportante pubblico scandalo. La Corte di cassazione ha colto l'occasione per chiarire due profili. In primo luogo ha escluso che la situazione di pubblico scandalo possa consistere nelle informazioni ricevute dalla polizia giudiziaria. Posto, infatti, che tale espressione si identifica col senso di turbamento e di disgusto che si produce nella coscienza pubblica per effetto della conoscenza del fatto incestuoso (in dottrina è stato definito come la reazione morale, accompagnata da un senso inevitabile di disgusto e di sdegno, della coscienza pubblica contro l'atto turpe come fonte di malo esempi (Maggiore, Merzagora); la reazione morale della coscienza pubblica, accompagnata da un senso di disgusto e di sdegno contro il turpe fatto (Antolisei), è necessario che lo scandalo sia diretta conseguenza della condotta tenuta dai soggetti coinvolti e non esclusivamente di altre cause. Pertanto non può derivare dalle indagini compiute da ufficiali di polizia giudiziaria o dalla curiosità altrui che sia riuscita a vincere le cautele prese dai colpevoli. Tra il comportamento degli incestuosi e il pubblico scandalo deve, infatti, sussistere il nesso obiettivo di causalità. In secondo luogo ribadisce che il reato di incesto non esclude ma può in linea di principio concorrere con quello di violenza sessuale (Cass., Sez. III, 18 gennaio 2008, n. 9109). La Corte si esprime in termini di possibilità perché il delitto di incesto non è fondato solo su atti sessuali connotati da coercizione, potendo uno dei soggetti contemplati nell'art. 564 essere del tutto consenziente. Per orientamento consolidato, inoltre, ai fini della consumazione della fattispecie di cui all'art. 564 non rileva che tali rapporti siano stati consenzienti, ovvero se il consenso era viziato da un abuso di condizioni di inferiorità psichica o se mancava poiché la vittima ha posto in essere gli atti sessuali in quanto determinata da costringimento mediante violenza o minaccia (Cass. pen., Sez. III, 11 giugno 2009 - dep. 29 luglio 2009, n. 31254). Giova ricordare, inoltre, che quando il rapporto incestuoso è consumato con un minore degli anni quattordici, o comunque con un minore degli anni sedici e il colpevole ne sia l'ascendente, e non si ravvisa alcuna condotta di costrizione, il fatto integra gli estremi degli atti sessuali con minorenne ex art. 609-quater e non della violenza sessuale. Quando, invece, il minore ha un'età ricompresa tra i sedici e i diciotto anni, il reo è l'ascendente e non è stata usata violenza, minaccia o abuso di autorità (altrimenti si ha violenza sessuale) né l'atto sessuale è stato posto in essere dall'agente abusando dei poteri connessi alla sua posizione (altrimenti si consuma la fattispecie di cui all'art. 609-quater, secondo comma) il maggiorenne risponde soltanto del delitto d'incesto aggravato, mentre il minore è punito per l'incesto semplice (o aggravato nel caso di relazione incestuosa) soltanto se ha agito con capacità di intendere e volere (art. 98), ferma restando l'operatività della disciplina di cui all'art. 111 in relazione al maggiorenne. In conclusione
Per individuare la disciplina applicabile (pena contemplata dalla singola norma o prevista per il reato più grave commesso ed aumentata fino al triplo) è stato fondamentale stabilire se si tratta di un concorso formale o materiale di reati. L'orientamento espresso nella sentenza n. 9109/2008 può ritenersi consolidato, anche perchè è stato ribadito recentemente dalla Cassazione (Cass., Sez. III, 7 ottobre 2014 – 22 dicembre 2014, n. 53139). La Corte, infatti, ha ritenuto sussistente il concorso formale anche in riferimento ad un'altra ipotesi di violenza sessuale aggravata (su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale) ai sensi degli artt. 609-ter, comma 1, n. 4) e art. 61, n. 5), c.p. Da un lato ha confermato la condanna ex art. 609-bis perché il reo, in tempi diversi, costringeva con violenza la sorella a subire atti sessuali, tra cui rapporti sessuali completi, per 3-4 anni con cadenza quasi giornaliera, quando non c'era nessuno in casa, approfittando dello stato di minorità fisica di quest'ultima, che era stata sottoposta ad un delicatissimo intervento chirurgico a seguito del quale era stata costretta a rimanere letto per più di sei mesi. L'agente aveva posto in essere i reiterati comportamenti con l'aggravante dell'avere commesso il fatto su persona sottoposta a limitazione della libertà personale e approfittando di condizioni tali da ostacolare la privata difesa. Dall'altro ha ribadito la sussistenza del reato di cui all'art. 564, comma 2, c.p., perché con le condotte violente sopraesposte, costringeva la sorella a intrattenere una relazione incestuosa, dalla quale derivava pubblico scandalo, in quanto il conseguente stato di gravidanza di quest'ultima, con nascita di un bambino, veniva portato a conoscenza di una pluralità di persone. Ulteriore conferma della univocità dell'impostazione può essere desunta dalla sentenza della Cassazione, Sez. un., 28 ottobre 2010 - dep. 21 gennaio 2011, n. 1963, in materia di concorso apparente di norme. Nella pronuncia la Corte ha prima chiarito che per stessa materia deve intendersi la stessa fattispecie astratta, ossia lo stesso fatto tipico di reato nel quale si realizza l'ipotesi di reato (Cass., Sez. un., 27 aprile 2007, n. 16568) e per stesso fatto, ci si riferisce a quello astrattamente previsto come illecito dalla norma e non al fatto naturalisticamente inteso (Corte costituzionale, sentenza 3 aprile 1987, n. 97). Successivamente, dopo aver elencato i casi in cui sussiste l'identità di materia ex art. 15 c.p. (specialità unilaterale per specificazione; specialità reciproca per specificazione; specialità unilaterale per aggiunta; specialità reciproca parte per specificazione e parte per aggiunta), l'ha esclusa chiaramente nella specialità reciproca bilaterale per aggiunta, ossia qualora ciascuna delle due fattispecie presenti, rispetto all'altra, elementi aggiuntivi eterogenei, riportando espressamente come esempio di questa tipologia di rapporto tra norme quello tra violenza sessuale e incesto. Le due disposizioni, infatti, presentano un nucleo comune (il compimento dell'atto sessuale) e rispettivamente due elementi specializzanti: violenza e minaccia nel primo caso; rapporto di parentela o affinità nel secondo (discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello). L'impossibilità di applicare i criteri di specialità, di consunzione o assorbimento e di sussidiarietà determina un concorso reale di norme. Bussole di inquadramento |