Il “complicato” rapporto tra autoriciclaggio e reati tributari

09 Dicembre 2015

Il nuovo delitto di autoriciclaggio solleva un dubbio interpretativo sotto il profilo della configurabilità dello stesso in relazione agli illeciti, come quelli tributari, nei quali non vi è un profitto esterno in termini di acquisizione di nuova ricchezza. In particolare, il rischio concreto è quello di ravvisare tout court la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 648-ter.1 c.p. laddove il contribuente abbia realizzato un risparmio di imposta conseguente ad un delitto tributario.
Abstract

Il nuovo delitto di autoriciclaggio solleva un dubbio interpretativo sotto il profilo della configurabilità dello stesso in relazione agli illeciti, come quelli tributari, nei quali non vi è un profitto esterno in termini di acquisizione di nuova ricchezza. In particolare, il rischio concreto è quello di ravvisare tout court la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 648-ter.1 c.p. laddove il contribuente abbia realizzato un risparmio di imposta conseguente ad un delitto tributario.

La peculiarità dell'autoriciclaggio

La legge 15 dicembre 2014, n. 186, oltre alle disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero nonché per il potenziamento della lotta all'evasione fiscale, ha introdotto nel nostro ordinamento anche disposizioni in materia di autoriciclaggio.

In particolare, l'art. 3, comma 3, del citato provvedimento ha provveduto ad inserire nel codice penale il nuovo articolo 648-ter.1, a tenore del quale si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. Al contempo, si prevede una causa di non punibilità del fatto qualora il denaro, i beni o le altre utilità vengano destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

Si tratta, dunque, di un reato proprio, con la peculiarità che l'individuazione del soggetto attivo deriva da una qualifica naturalistica, vale a dire essere l'autore o il coautore di un precedente delitto non colposo.

Pertanto, il reato dal quale provengono il denaro, i beni o le altre utilità ad oggetto della condotta materiale non costituisce solo il presupposto dell'autoriciclaggio presupponente ma consente di individuare lo stesso soggetto attivo della nuova fattispecie incriminatrice.

In altre parole, poiché l'autore del delitto presupposto è lo stesso autore dell'autoriciclaggio, solamente la commissione del primo reato consente di individuare il soggetto attivo del secondo. Ed è proprio questo il tratto più significativo da tener presente in sede di applicazione della nuova fattispecie incriminatrice.

Sotto il profilo delle condotte penalmente rilevanti il dato testuale della norma è chiaro: la condotta di impiego, sostituzione o trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative è idonea ad abbracciare sostanzialmente ogni forma di uso del provento di un delitto, presupposto della fattispecie di autoriciclaggio.

Occorre, inoltre, considerare come l'art. 648-ter.1 c.p., nel prevedere che la condotta tipica debba avere la caratteristica di ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa dell'oggetto materiale su cui la stessa cade, contempli – come rilevato da autorevole dottrina – un vero e proprio ostacolo effettivo e oggettivo all'identificazione della provenienza e non la sola difficoltà a ricostruire il percorso del provento delittuoso come, invece, ritenuto sufficiente dalla più recente giurisprudenza di legittimità a proposito della idoneità richiesta dalla fattispecie di riciclaggio, di cui si darà maggiore contezza nel prosieguo (cfr. Cass. pen., Sez. II, 3 maggio 2007, n. 21667, secondo cui il delitto di autoriciclaggio è a forma libera e pertanto può essere integrato da qualsiasi condotta idonea a ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene ricevuto. Nello stesso senso sono anche, tra le altre: Cass. pen., Sez. II, 14 dicembre 2012, n. 1422 e Cass. pen., Sez. VI, 3 ottobre 2013, n. 13085).

Il rapporto con i reati tributari: riciclaggio e autoriciclaggio a confronto

Se è vero come è vero che l'utilizzo dell'avverbio concretamente contribuisce a specificare la voluntas legis di punire per il reato di cui all'art. 648-ter.1 c.p. soltanto le condotte che sono state poste in essere per ostacolare, per l'appunto, in concreto, l'identificazione della provenienza delittuosa delle utilità, una “distorta” applicazione dell'elemento in questione potrebbe condurre, in capo all'autore di un reato tributario, alla automatica imputazione del delitto di autoriciclaggio.

I reati tributari determinano, infatti, per la loro stessa natura, un risparmio di imposta che resterà inevitabilmente inglobato nel patrimonio del contribuente e il successivo impiego riguarderà una parte altrettanto fungibile del patrimonio stesso, con l'impossibilità di isolarla e di identificarla oggettivamente col profitto del reato tributario presupposto.

Più nel dettaglio, salve le ipotesi di indebito rimborso Iva, determinato dall'utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, nella quali l'utilità derivante dal risparmio fiscale è ben individuabile, negli altri casi (che sono la prevalenza), in cui il reato tributario si perfeziona con il mezzo della dichiarazione, il risparmio d'imposta non consente l'individuazione del bene che potrà essere oggetto di autoriciclaggio.

Occorre, dunque, interrogarsi sull' an e sul quomodo un reato tributario possa atteggiarsi quale reato presupposto del delitto di cui all'art. 648-ter.1 c.p. A tal fine, sarà utile verificare in particolare la validità delle soluzioni giurisprudenziali adottate in tema di riciclaggio rispetto alle peculiarità del nuovo delitto di autoriciclaggio.

Quanto al rapporto tra riciclaggio e reati tributari, la tesi più accreditata, sia in dottrina sia in giurisprudenza, afferma, come già anticipato, l'idoneità dei reati tributari ad essere delitto presupposto del riciclaggio.

L'assunto riposa nell'assegnare al termine provenienza di cui alla fattispecie di riciclaggio un diverso significato, nella specie economico e non più soltanto fisico-materialistico che considera solamente l'accrescimento patrimoniale conseguente alla commissione del reato. Pertanto, si ritiene che proviene dal reato non solo l'accrescimento ma anche la non-diminuzione del patrimonio dell'agente che si realizza, ad esempio, nell'ambito dei reati tributari.

Del resto, come puntualizzato dalla Cassazione, il riferimento fatto dagli artt. 648-bis e 648-ter c.p. oltre che al denaro e ai beni, anche alle altre utilità consentirebbe di ricomprendere in quest'ultima categoria, quale clausola di chiusura, anche il risparmio di imposta (cfr. Cass. pen., Sez. I, 27 novembre 2008, n. 1024; Cass. pen., Sez. VI, 3 ottobre 2009, n. 45643).

Da questa impostazione deriva la conclusione in base alla quale soltanto le contravvenzioni ed i delitti colposi non possono costituire il presupposto di quello di riciclaggio, mentre tutti i delitti dolosi e quindi anche quello di frode fiscale sono idonei a fungere da reato presupposto del riciclaggio (cfr. Cass. pen., Sez. II, 17 gennaio 2012, n. 6061, nella quale la Suprema corte ha precisato che il riferimento dell'art. 648-bis c.p. alle altre utilità ben può ricomprendere il risparmio di spesa che l'agente ottiene evitando di pagare le imposte dovute, poiché esso produce un mancato decremento del patrimonio che si concretizza in una utilità di natura economica).

Tuttavia, tale soluzione, non convince fino in fondo, perlomeno con riguardo al nuovo delitto di autoriciclaggio, poiché il problema che solleva l'eventuale reato tributario (in qualità di delitto presupposto) non è tanto quello di verificare se vi sia stato o meno, a seguito del risparmio fiscale, un incremento patrimoniale per l'agente, bensì quello di individuare ed isolare, nel patrimonio dell'autore del reato, le disponibilità illecite che potranno essere oggetto del delitto presupponente di autoriciclaggio.

Difatti, sulla scorta dei citato orientamento, è possibile osservare che nel caso in cui il reato tributario dell'infedele dichiarazione venga commesso, ad esempio, dall'amministratore nell'interesse della società, il risparmio di imposta verrebbe a confondersi irrimediabilmente nel patrimonio sociale, e il successivo fisiologico reimpiego in attività economica potrebbe verosimilmente costituire una condotta tipica di autoriciclaggio.

Pertanto, nella denegata ipotesi in cui l'impostazione descritta in materia di riciclaggio dovesse essere confermata dalla giurisprudenza anche in materia di autoriciclaggio, l'amministratore di una società, volendo stare al nostro esempio, potrebbe essere chiamato a rispondere anche per l'autoriciclaggio per aver pagato i propri dipendenti con la provvista illecita, anche laddove non si sia concretamente attivato per far perdere la traccia del collegamento tra il delitto-base e l'utilità.

In conclusione

Considerate le peculiarità dell'autoriciclaggio, in uno alla difficile configurabilità dell'autoriciclaggio del provento dei reati tributari, appare in primo luogo auspicabile un intervento del legislatore, volto all'introduzione di una ipotesi, come definita dalla dottrina, di autoriciclaggio per equivalente, in linea con quanto già disciplinato in tema di confisca sanzionatoria, la quale, grazie al ricorso dell'istituto della confisca per equivalente, trova applicazione anche per quegli illeciti nei quali non sia ravvisabile un profitto esterno. Naturalmente, sono fatti salvi i casi in cui il profitto da illecito tributario sia oggettivamente identificabile e separabile dal patrimonio del contribuente, come nell'ipotesi di conti neri costituiti ad hoc oppure conti correnti alimentati dalla restituzione di somme versate a fronte di fatture false.

In secondo luogo, e in una prospettiva de iure condito, l'auspicio è che la giurisprudenza sia rigorosa nel dare rilevanza agli elementi costitutivi della fattispecie, nell'ottica di punire solo quelle condotte che esprimono un disvalore penale ulteriore rispetto a quello riconducibile al reato-base, sanzionato in via autonoma. In tal senso, la valorizzazione dell'elemento della idoneità concreta della condotta tipica ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa richiesta dall'art. 648-ter.1 c.p. potrà, senza dubbio, costituire un valido filtro per scongiurare improprie contestazioni di autoriciclaggio.

Solamente un approccio del genere potrà, difatti, garantire all'istituto in esame una coerente applicazione sistematica, dovendosi ritenere esclusa la configurabilità del delitto di autoriciclaggio tutte le volte in cui non sarà possibile identificare e isolare dal patrimonio del contribuente il provento illecito oggetto delle successive operazioni di reimpiego, sostituzione o trasferimento.

Guida all'approfondimento

Cavallini-Troyer, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all'ombra del “vicino ingombrante”, in Dir. pen. contemp., 23 gennaio 2015;

D'Arcangelo, Frode fiscale e riciclaggio, in Riv. dei dott. Comm., 2011, p. 331 e ss;

Lanzi, L'autoriciclaggio e la necessità di un intervento di “razionalizzazione” da parte della giurisprudenza, in Ind. Pen., 1-2, 2015, p. 1 e ss.

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