Assunzione mezzi di provaFonte: Cod. Civ. Articolo 2721
21 Marzo 2016
Inquadramento
L'assunzione dei mezzi di prova è tema che riguarda le sole prove testimoniali, poiché le prove documentali trovano ingresso nel processo con la produzione ex artt. 74 o 87 disp. att. c.p.c. , nei termini di cui all' articolo 183 comma 6 c.p.c.
La prova testimoniale è il tipico esempio di prova costituenda, cioè di una prova a formazione endoprocessule, e le a ltre prove costituende sono l'interrogatorio e la confessione exartt. 2730-2735 c.c. e art. 228-232 c.p.c. ; il giuramento ex artt. 2736-2739 c.c. e art. 233-243 c.p.c. ; l'ispezione giudiziale ex artt. 258-262 c.p.c. ; il rendimento dei conti ex artt. 263-266 c.p.c. ; la CTU nei limiti in cui si tratta di CTU percipiente, quindi vera e propria prova, non già mero mezzo di valutazione delle prove come la CTU deducente.
A differenza del documento, classica prova costituita, la prova testimoniale richiede per la sua formazione un provvedimento complesso che si sviluppa attraverso le fasi della deduzione, dell'ammissione e dell'espletamento . Può allora definirsi la testimonianza come ladichiarazione che un terzo rispetto alle parti in causa rende, davanti al giudice e nel corso del processo, in ordine alla sua conoscenza di fatti rilevati per la decisione, dietro il solenne e formale impegno a riferire la verità.
Da ciò deriva che il primo connotato della prova testimoniale è la terzietà del teste, ciò che esclude non già che le dichiarazioni della parte possano avere una qualche efficacia probatoria (come invero acclara la confessione ex artt. 2730 e ss. c.c. e art. 228 e ss. c.p.c. , il giuramento ex artt. 2736 e ss. c.c. e art. 233 e ss. c.p.c. , la valutazione del giudice ex art. 116, comma 2 c.p.c. delle risposte rese in sede di interrogatorio libero), ma esclude semplicemente che dette dichiarazioni della parte possano essere considerate testimonianze. D'altro canto, il principio per il quale nemo testis in causa propria, largamente diffuso nei paesi di civil law e scontato per la nostra tradizione giuridica, non è invece presente in sistemi giuridici di common law.
Il secondo connotato della testimonianza è quello della dichiarazione di fatti (non già interpretazioni, apprezzamenti tecnici od opinioni giuridiche), indicati in maniera specifica exart. 244 c.p.c. ; infatti, solo con riferimento a fatti ha logico significato l'impegno di «dire tutta la verità» ex art. 251 comma 2 c.p.c. nel testo risultante dalla sentenza di C . Cost., 5 maggio 1995 n. 149 , posto che il concetto di verità è estraneo all'ambito dei giudizi.
Il terzo connotato della testimonianza è quello dell'assunzione davanti al giudice nel contraddittorio tra le parti, atteso che una dichiarazione di un terzo resa al di fuori del processo potrà al più essere valutata come prova atipica (per la testimonianza scritta, se veda la relativa bussola). Sfavore legislativo verso la testimonianza
E' del tutto evidente che il Legislatore non guarda con favore, e guarda anzi con grande diffidenza, alla prova testimoniale, che è addirittura vietata nel processo tributario (cfr. art. 7 comma 4 d.lgs. n. 546/1992 ), era vietata nel processo amministrativo (cfr. art. 44 r.d. n. 1054/1924 ), ove ora è ammessa solo con limitazioni (cfr. art. 63 comma 3 D.Lgs. n. 104/2010 ).
Quanto al processo civile, i limiti di ammissibilità della prova testimoniale posti dagli artt. 2721 e ss. c.c. e da altre specifiche norme (quali gli artt. 239 e 241 c.c. in tema di filiazione legittima, art. 1417 c.c. in tema di simulazione, art. 2735 , comma 2 c.c. in tema di confessione stragiudiziale, art. 621 c.p.c. in tema di opposizione del terzo ad esecuzione mobiliare), derivano sia da ragioni ricollegate alle necessarie lungaggini dell'assunzione della prova, sia soprattutto dalla ritenuta ontologica inaffidabilità del mezzo di prova stesso, per i naturali limiti della capacità di percezione e di memoria delle persone, che ben può essere imprecisa, fuorviata od influenzata: significativamente, quindi, le limitazioni legali all'ingresso nel processo della prova testimoniale trovano un precedente storico sin dall'art. 1341 del Codice Napoleonico.
Detto del disfavore legislativo nei confronti della prova testimoniale, va osservato che, per i pacifici principi processualcivilistici, una volta che il mezzo probatorio abbia superato il vaglio dell'ammissibilità, il medesimo fatto può essere dimostrato sia con prova documentale, sia con prova testimoniale. I principi costituzionali di uguaglianza delle parti, di rispetto del contraddittorio e di diritto alla prova, infatti, impongono la piena equiparazione dei mezzi di prova sul piano strettamente processuale, posto che tanto la prova costituita, quanto la prova costituenda, sono espressione del diritto di difesa codificato dagli artt. 24 e 111 Cost .
Consegue che, mentre è più che doverosa un'oculata e ragionata valutazione circa l'ingresso nel processo di prove testimoniali realmente ammissibili e rilevanti ai fini della decisione, dovendosi invece evitare ordinanze di ammissione delle prove ‘così come dedotte' con riserva di ulteriore valutazione; d'altro canto, è del tutto priva di spessore giuridico la formula, troppo spesso utilizzata, per la quale un capo testimoniale sarebbe inammissibile in quanto relativo a circostanza che "ben potrebbe essere provata per iscritto".
In realtà, tale assunto sembra piuttosto volto a censurare come inattendibile la deposizione, mentre l'inattendibilità della deposizione deve necessariamente essere statuita successivamente all'espletamento della prova ed in sede di valutazione della stessa, non già in sede preventiva rispetto all'assunzione: solo infatti il profilo giuridico dell'inammissibilità, diverso da quello fattuale dell'inattendibilità, può impedire in via preventiva l'ingresso della prova testimoniale nel processo.
Un primo limite di ammissibilità della prova testimoniale concerne il valore del contratto ed è posto dall' articolo 2721 c.c. , secondo il quale la prova non è ammissibile allorquando l'oggetto della causa eccede il simbolico valore di € 2,58, pur se il giudice può consentire la prova oltre detto limite, in ragione della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza.
Risulta peraltro evidente come, non essendo mai stato aggiornato alla perdita del potere d'acquisto della moneta l'originario valore di cinquemila lire previsto dal codice del 1942, il limite di € 2,58 deve essere ora inteso come genericamente riferito a quello di un valore sufficiente a far ritenere ragionevole, secondo l'id quod plerumque accidit, il ricorso a pattuizioni scritte o alla documentazione dei pagamenti e delle remissioni di debito , e ciò consente di ritenere infondata l'eccezione di legittimità costituzionale della norma (cfr. Cass. n. 4600/1984).
Un secondo limite è dato dalla presenza di documenti, atteso che, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 c.c. , nel caso di patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, vi è divieto assoluto di prova testimoniale se tali patti si assumono precedenti o coevi; nel caso invece di patti successivi, il giudice può consentire la prova per testi se, «avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e ad ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali».
Un terzo limite è relativo alla materia del contratto, poiché, ai sensi dell' art. 2725 c.c. , nel caso di contratti aventi forma scritta ad substantiam o ad probationem per legge o volontà delle parti, la prova per testi è ammessa solo quando il contraente ha perduto senza sua colpa il documento che forniva la prova del contratto.
Eccezioni al divieto di prova testimoniale nei primi due casi sopra esposti di valore del contratto e di presenza di documenti, si traggono dall' articolo 2724 c.c. , alla luce del quale la prova testimoniale è ammessa in ogni caso laddove vi sia un principio di prova per iscritto, laddove il contraente sia stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta, laddove il contraente abbia perduto senza colpa il documento che gli forniva la prova; solo questa terza ed ultima ipotesi legittima invece la prova testimoniale nel caso di contratti aventi forma scritta ad substantiam o ad probationem.
In ogni caso, tutti i limiti di prova testimoniale esaminati valgono solo allorquando il contratto venga allegato come fonte del rapporto giuridico oggetto di causa tra le parti, non anche quando costituisca un mero fatto storico influente sulla decisione ( Cass. civ., sez. I, 24 maggio 2012 n. 8236 ; Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 2010 n. 26003 ).
Quanto poi ai limiti di ammissibilità delle prove disposte d'ufficio, occorre distinguere il rito del lavoro dal rito ordinario: nel primo caso, l' articolo 421 , comma 2 c.p.c. prevede l'ammissione di «ogni mezzo di prova anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile», e la giurisprudenza ha chiarito che ciò consente di derogare alle prescrizioni di cui agli articoli 1417 e 2721-2723 c.c. , pur se non anche a quelle di cui all' articolo 2725 c.c. ; nel secondo caso, non essendo nell'articolo 281-ter c.p.c. stato riproposto l'inciso, i mezzi di prova che il giudice può ammettere d'ufficio sono solo quelli nella disponibilità delle parti.
Una questione certamente complessa sotto il profilo teorico-dogmatico e molto rilevante sotto il profilo pratico, è quella del regime di rilevabilità, d'ufficio o ad istanza di parte, dei limiti sostanziali di ammissibilità della prova testimoniale sopra visti.
Sul punto, in giurisprudenza si è formato un orientamento oramai tralatizio, per il quale i limiti di ammissibilità della prova testimoniale posti dagli articoli 2721 - 2724 e 1417 c.c. non sono rilevabili d'ufficio ma solo ad istanza di parte, dovendosi rinvenire il loro fondamento non già in un principio d'ordine pubblico, ma in un principio posto nell'interesse delle parti: discende che la parte potrebbe rinunciare ad eccepire l'inammissibilità o fare acquiescenza all'ammissione, con la conseguenza che l'assunzione della prova testimoniale in violazione dei limiti sostanziali integra una forma di nullità relativa, come tale sanata ex art. 157 c.p.c. laddove non eccepita nella prima istanza o difesa successiva, e sanata altresì laddove l'eccezione di inammissibilità non sia seguita da quella di nullità della deposizione, poiché la prima opera ex ante per impedire un atto invalido, mentre la seconda agisce ex post per evitare che i suoi effetti si consolidino (per tutte, cfr. da ultimo Cass. civ., sez. II, 19 settembre 2013 n. 21443 , la quale chiarisce che «valutabili in senso diacronico, detti interessi possono essere apprezzati in modo differente dalla medesima parte, la quale, valutata la prova, può ritenerne vantaggioso l'esito, che per il principio acquisitivo giova o nuoce indipendentemente da chi abbia dedotto il mezzo istruttorio»).
Unica eccezione ai principi esposti è quella relativa alla violazione del divieto di prova testimoniale per i casi di contratti aventi forma scritta ex art. 2725 c.c. , atteso che è comunque pacifica la rilevabilità d'ufficio dell'inammissibilità di una prova testimoniale, o per presunzioni, in relazione ai contratti aventi forma scritta ad substantiam (tra le ultime, cfr. Ca ss. civ., sez. I, 25 giugno 2014 n. 14470 ) e per parte della giurisprudenza anche nei contratti aventi forma scritta ad probationem (nel tradizionale senso della non rilevabilità officiosa dell'inammissibilità della prova testimoniale con riferimento ai contratti aventi forma scritta ad probationem, cfr. Cass. civ., sez. I, 25 giugno 2014 n. 14470 ; Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2013 n. 7122 ; Cass. civ., sez. III, 30 maggio 2010 n. 7765 ; Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2004 n. 3392 ; nel senso invece della rilevabilità officiosa, cfr. Cass. civ., sez. III, 14 agosto 2014 n. 17986 ; Cass. civ., sez. lav., 28 gennaio 2013 n. 1824 ).
La soluzione adottata dalla giurisprudenza sopra richiamata è ritenuta opinabile da parte della dottrina, che ritiene più ragionevole distinguere tra il momento dell'ammissione della prova e quello successivo al suo espletamento.
In particolare, con riferimento alla fase di ammissione della prova testimoniale, il principio generale posto dall' art. 183 comma 7 c.p.c. dovrebbe essere quello per il quale il giudizio di ammissibilità e rilevanza va effettuato dal giudice d'ufficio, senza alcuna necessità di eccezione di inammissibilità della controparte, con una verifica di tutti i parametri normativi, di natura processuale o sostanziale, compreso quindi il parametro della conformità della prova dedotta ai limiti previsti dagli articoli 2721 e ss. c.c. Diversamente opinando, infatti, da un lato e sotto il profilo teorico, si giungerebbe alla singolare situazione per la quale il giudice dovrebbe rilevare d'ufficio i vizi della prova testimoniale relativi alla modalità di capitolazione ed alla violazione delle preclusioni istruttorie, ma non anche i vizi sostanziali della prova; dall'altro lato e sotto il profilo pratico, si arriverebbe al paradosso che in un processo contumaciale, il giudice dovrebbe ammettere tutte le prove dedotte in violazione degli articoli 2721 - 2723 e 1417 c.c.
La rilevabilità ad istanza di parte delle violazioni dei limiti sostanziali della prova testimoniale si avrebbe invece solo in caso di effettiva ammissione ed espletamento della prova violativa del dettato codicistico, ciò che comporterebbe una nullità relativa, come tale censurabile solo nella prima istanza o difesa successiva ex art. 157 comma 2 c.p.c .
L' art. 246 c.p.c. statuisce che «non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio», diversamente di quanto accade nel processo penale, ove è ammessa la testimonianza della parte civile.
Pertanto, l'ordinamento civilistico esclude la possibilità di testimoniare non solo per la parte effettiva del processo, ma anche per la parte potenziale. Così facendo ed innovando rispetto alla scelta del codice del 1865, che lasciava al giudice la possibilità di un prudente apprezzamento, si assume una posizione rigida ed aprioristica nel senso dell'incapacità del teste interessato, sgravando quindi il giudice dall'onere di dovere valutare, volta per volta, l'attendibilità o meno della deposizione di tale categoria di testi.
L'interesse cui fa riferimento la norma è quello di cui all' art. 100 c.p.c. : non si tratta quindi di un interesse di mero fatto, ma piuttosto di un interesse giuridico, personale, concreto ed attuale, che legittimerebbe la partecipazione a quel particolare giudizio per proporre domande o per contraddirvi, anche nelle forme di un intervento adesivo autonomo o dipendente.
Il giudizio sulla capacità deve poi essere effettuato con riferimento al momento in cui la deposizione viene resa, restando irrilevanti i mutamenti successivi o la situazione precedente ( Cass. civ., sez. II, 2 settembre 2008 n. 22030 ): consegue che è valida la deposizione del teste che successivamente divenga parte, sebbene la circostanza possa essere valutata dal giudice al diverso fine dell'attendibilità; e parimenti è capace di testimoniare l'avvocato che abbia già prestato la sua opera come legale e che abbia dismesso il mandato ( Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 2013 n. 4619 e Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2010 n. 16151 ).
Dopo la sentenza n. 248/1974 della Corte Costituzionale è venuto meno il divieto di testimoniare per i soggetti di cui all' art. 247 c.p.c. , con ciò rendendo impossibile ogni aprioristica valutazione di non credibilità delle loro deposizioni: tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come il vincolo di parentela, in concorso con altri elementi, possa essere considerato ai fini della verifica dell'attendibilità della deposizione (cfr. Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2006 n. 403 ).
Quanto poi all'eccezione di incapacità a testimoniare, la stessa deve essere sollevata nella prima difesa successiva all'assunzione, o al più tardi al momento della acquisita conoscenza ove successiva, altrimenti la nullità è sanata ex art. 157 comma 2 c.p.c. , sul presupposto che i divieti di cui agli artt. 246 e 247 c.p.c. sono dettati nell'esclusivo interesse delle parti ( Cass. civ., sez. un., 23 settembre 2013 n. 21670 ); e la sanatoria opera anche laddove la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare non sia seguita dalla successiva eccezione di nullità della deposizione, poiché, come già argomentato, la prima non è comprensiva della seconda ( Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2007 n. 8358 ).
Ai sensi dell' art. 157 , comma 3 c.p.c. , poi, la nullità non potrebbe essere eccepita da chi ha concorso a darvi luogo, come nel caso di chi si è associato alla richiesta di assunzione del teste incapace indotto da controparte od abbia essa stessa citato il teste.
Relativamente infine alla facoltà di astensione prevista dall' art. 249 c.p.c. , essa va esercitata mediante dichiarazione fatta in udienza, avendo comunque i soggetti interessati l'obbligo di comparire; il giudice non è tenuto ad avvertire il teste del diritto ad astenersi, così come invece previsto nel penale; il giudice può semplicemente prendere atto dell'astensione ovvero interrogare le persone per valutare la sussistenza degli estremi; qualora il giudice ritenga non fondata l'astensione, deve procedere all'escussione.
Ai sensi dell' art. 208 c.p.c. , se la parte istante non si presenta all'udienza fissata per l'escussione delle prove, il giudice deve d'ufficio pronunciare la decadenza dalla prova, fatta solo salva la possibilità per la controparte di richiedere l'assunzione della stessa e di provvedere alla citazione del teste nell'udienza di rinvio.
Ove invece nessuna delle parti si presenti all'udienza fissata per l'assunzione, dovrà provvedersi exart. 309 c.p.c. : solo laddove vi fosse comparizione e non estinzione della causa alla successiva udienza, occorrerà, anche d'ufficio, rilevare l'avvenuta decadenza, salvo si valuti non imputabile alla parte, exart. 208 comma 2 c.p.c. , la precedente mancata comparizione.
A seguito poi della modifica dell' articolo 104 disp. att. c .p.c. , la decadenza per mancata indicazione del teste può essere pronunciata anche d'ufficio e non solo su istanza di parte, fermo peraltro restando che la comparizione spontanea dei testi equivale alla loro citazione ( Cass. civ., sez. III, 24 novembre 2004 n. 22146 ). Riferimenti
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BARBAGALLO, in Le prove, a cura di Cendon, Torino, 2007, 175-201;
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GRASSELLI, L'istruzione probatoria nel processo civile, Padova, 2015, 179 ss.;
LUISO, Diritto processuale civile, Milano, vol. 2, 2015;
MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, vol. II, 2015;
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PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014;
TARUFFO, Prova testimoniale, in Enc. Diritto, XXXVII, Milano, 728 e ss. Bussole di inquadramento |