Reati ambientali e responsabilità penale delle aziende ai sensi del d.lgs. 231 del 2001

Ciro Santoriello
10 Maggio 2016

La legge 22 maggio 2015, n. 68 ha radicalmente modificato la disciplina in tema di tutela penale dell'ambiente naturale, introducendo nuove fattispecie di aggressione di tale bene giuridico, provvedendo anche ad una loro sanzione in termini assai severi. Fra le innovazioni introdotte con la legge 68/2015 va segnalata la riscrittura dell'art. 25-undecies d.lgs. 231/2001, estendendo il catalogo dei reati che costituiscono presupposto della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche dipendente da reato.
Abstract

La legge 22 maggio 2015, n. 68 ha radicalmente modificato la disciplina in tema di tutela penale dell'ambiente naturale, introducendo nuove fattispecie di aggressione di tale bene giuridico, provvedendo anche ad una loro sanzione in termini assai severi.

Dopo che per lungo tempo la repressione delle condotte di inquinamento, se non di devastazione ambientale, era stata affidata al solo ricorso al delitto di disastro innominato previsto dall'art. 434 del codice penale, il legislatore ha preso atto delle difficoltà e delle criticità derivanti dall'applicazione in tale ambito di una indiscutibilmente legata ad altri contesti di "disastro", più immediatamente percepibili sul piano fenomenico (FIMIANI; RUGA RIVA; AMARELLI; SIRACUSA), ed ha così introdotto nel codice penale due nuove figure delittuose (i reati di inquinamento ambientale e disastro ambientale), accompagnandole con altre previsioni incriminatrici giudicate necessarie per la tenuta complessiva del sistema, unitamente ad alcuni interventi di raccordo con il codice dell'ambiente.

In particolare, la legge 68 del 2015 è composta da tre articoli, di cui importanza fondamentale riveste l'art. 1, contenente un complesso di disposizioni che, in particolare, inseriscono nel codice penale un inedito titolo VI-bis (Dei delitti contro l'ambiente), composto da 12 articoli (dall'art. 452-bis all'art. 452-terdecies c.p.): all'interno di tale nuovo titolo sono previsti cinque nuovi delitti e cioè quelli di inquinamento ambientale, di disastro ambientale, di traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività, di impedimento del controllo ed infine di omessa bonifica. L'articolato contempla altresì una forma di ravvedimento operoso per coloro che collaborano con le autorità prima della definizione del giudizio, ai quali è garantita una attenuazione delle sanzioni previste; è previsto peraltro anche l'obbligo per il condannato al recupero e – ove possibile – al ripristino dello stato dei luoghi, il raddoppio dei termini di prescrizione del reato per i nuovi delitti, nonché apposite misure per confisca e pene accessorie ed infine l'introduzione nel d.lgs. 152 del 2006 (c.d. codice dell'ambiente) di un procedimento per l'estinzione delle contravvenzioni ivi previste, collegato all'adempimento da parte del responsabile della violazione di una serie di prescrizioni nonché al pagamento di una somma di denaro.

Fra le innovazioni introdotte con la legge 68 del 2015 va segnalata la riscrittura dell'art. 25-undecies d.lgs. 231 del 2001, estendendo il catalogo dei reati che costituiscono presupposto della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche dipendente da reato: nelle pagine che seguono, dopo aver esaminato le innovazioni introdotte con la riforma del 2015, si esamineranno quali conseguenze ne deriveranno in capo alle aziende in specie con riferimento agli aspetti inerenti i modelli organizzativi.

Il contenuto delle modifiche apportate al decreto legislativo 231 del 2001

Per quanto riguarda le modifiche apportate al sistema sulla responsabilità da reato dagli enti collettivi, va segnalato che, per effetto delle modifiche in discorso, si prevedono a carico dell'ente specifiche sanzioni pecuniarie per la commissione dei delitti

  1. di inquinamento ambientale (da 250 a 600 quote);
  2. di disastro ambientale (da 400 a 800 quote);
  3. di inquinamento ambientale e disastro ambientale colposi (da 200 a 500 quote);
  4. di associazione a delinquere (comune e mafiosa) con l'aggravante ambientale (da 300 a 1.000 quote);
  5. di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (da 250 a 600 quote).

Inoltre, ai sensi del comma 1-bis del menzionato articolo 25-undecies d.lgs. 231/2001, si prevede, in caso di condanna per il delitto di inquinamento ambientale e di disastro ambientale, l'obbligatoria applicazione in capo all'ente delle sanzioni interdittive previste dall'art. 9 d.lgs. 231 del 2001 (ovvero l'interdizione dall'esercizio dell'attività, la sospensione o la revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi ed il divieto di pubblicizzare beni o servizi) – sanzione interdittiva che, in caso di condanna per il delitto di inquinamento ambientale, non può essere superiore a un anno.

I riflessi sulla costruzione dei modelli organizzativi

Per potere intuire l'effettiva portata delle modifiche apportate al d.lgs. 231/2001, occorre soffermarsi rapidamente sulla situazione previgente alla riforma. L'impostazione proposta in precedenza dall'art. 25-undeciesd.lgs. 231/2001 proponeva alcuni reati sostanzialmente residuali del codice penale (in particolare gli artt. 727-bis e 733-bis c.p., in tema di specie ed habitat protetti) per concentrare la propria attenzione sui reati – in buona misura di natura contravvenzionale – previsti dal Testo unico sull'Ambiente ovvero da alcune norme a carattere specifico. Ciò determinava che la prevenzione dalla commissione delle contravvenzioni richiamate dal predetto Testo unico rappresentava l'approccio principale seguito nelle pratiche di adeguamento dei modelli organizzativi, spesso incentrati nel rispetto soprattutto formale delle disposizioni in materia.

La riforma del 2015 sembra stravolgere radicalmente tale impostazione, posto che nell'attuale sistema i reati di maggior rilievo sono quelli di inquinamento e disastro ambientale mentre le altre disposizioni hanno una posizione meramente sussidiaria ed ancillare. Ciò comporta un impatto anche nell'ottica della prevenzione (e, di conseguenza, di predisposizione dei modelli organizzativi ex d.lgs. 231/2001): se infatti l'impostazione precedente poneva l'attenzione sul rispetto delle disposizioni normative applicabili, che venivano a definire una sorta di presidio eterodefinito cui (nei casi più semplici) poteva essere sufficiente adeguarsi, oggi lo schema delineato dalla riforma presenta un contesto maggiormente complesso nel quale il focus si trasferisce sull'effettivo ricorrere dell'evento lesivo (ROMOLOTTI – MARRETTA).

Ne consegue che l'adeguamento dei sistemi di prevenzione dovrà passare tramite la definizione di un aggiornato risk-assessment che definisca i livelli di rischio relativi al possibile verificarsi delle ipotesi delittuose sanzionate alla luce del quale il rispetto delle vigenti regole del Testo unico dell'ambiente risulta quale protocollo sicuramente necessario ma non più sufficiente a garantire l'ente da possibili responsabilità ai sensi del d.lgs. 231 del 2001 (ROMOLOTTI – MARRETTA). In proposito va ricordato che la definizione di inquinamento rilevante ex art. 452-bisc.p. prevede che la compromissione o deterioramento sia significativa e misurabile; volendo concentrare l'attenzione su questo ultimo requisito, la possibilità di misurare a priori l'impatto ambientale della propria attività consente all'ente di avere un quadro sostanzialmente chiaro degli eventi tale da consentire eventuali interventi correttivi prima che si possa pervenire ad ipotesi di inquinamento o disastro ambientale. In tal senso, l'attuazione di un S.G.A., Sistema di gestione ambientale (interno al modello organizzativo ovvero esterno ma con questo coordinato) implica il vantaggio di potere conoscere in ogni momento (con un certo grado di approssimazione) gli effetti ambientali imputabili all'impresa, le relative cause, le possibilità di miglioramento: se le responsabilità interne con riferimento al S.G.A. saranno state correttamente assegnate, sarà agevole per l'ente non solo avere chiara la situazione attuale (fase di monitoraggio) ma anche prendere le eventuali risoluzioni conseguenti (fase decisionale) informandone i soggetti deputati alla supervisione generale (fase di controllo) e la direzione nel suo complesso.

In ogni caso, a prescindere da queste considerazioni, si dovrà poi procedere ad una nuova definizione delle specifiche aree di rischio ambientale ed alla stregua di tale definizione si dovrà:

  1. modulare procedure per la gestione di ogni attività che abbia un impatto ambientale (scarico, rifiuti, emissioni) anche sotto il profilo delle emergenze;
  2. articolare competenze, procure e deleghe in modo efficace e a garanzia di condotte corrette e dell'insussistenza di scelte autonome del singolo;
  3. predisporre modalità di controllo sulla condotta dei dipendenti incaricati;
  4. prevedere idonei poteri di spesa per i soggetti attributari di attività e scelte con rilevanza economica;
  5. predeterminare i presupposti per l'affidamento delle attività ad impatto ambientale (o di eventuali segmenti di esse) a soggetti terzi;
  6. predisporre conseguentemente procedure adeguate per la vigilanza sull'attività del terzo;
  7. conformare le modalità di controllo interno attraverso la predisposizione di procedure per la verifica periodica, documentata e ragionata, dell'osservanza di prescrizioni operative nella gestione dell'attività con impatto ambientale;
  8. definire una previsione periodica di campionamenti ed analisi e, ingenerale, di sistemi di monitoraggio dell'attività;
  9. articolare un sistema di rilevazione di eventuali condotte illecite o irregolari per ciascuna unità produttiva, di accertamento delle cause, di analisi dell'oggetto delle verifiche degli organi amministrativi e di polizia giudiziaria, di rilevazione tempestiva di modifiche nell'attività in grado di modificare le modalità di impatto sull'ambiente (per queste indicazioni, cfr. DE FALCO).

Sempre nella prospettiva di predisposizione di un modello virtuoso particolare rilievo avrà l'adeguata individuazione dei compiti e dei poteri dell'Organismo di Vigilanza, che a nostro parere non potrà mai essere attributario di competenze in tema di monitoraggio diretto ma dovrà essere incaricato solo del monitoraggio sul generale funzionamento del modello organizzativo, lasciando agli organismi definiti dallo SG.A. (e dunque per lo più ad organismi interni) i compiti di più stretto controllo tecnico, evitando ogni rischio di duplicazioni o sconfinamenti ed identificando i perimetri di competenza.

La sorte dell'ente in caso di estinzione dell'ipotesi contravvenzionale a seguito di adempimento della prescrizione del pagamento dell'ammenda

La legge 68 del 2015 presenta poi un ulteriore e significativo profilo di novità, che pur non modificando in alcun modo la disciplina contenuta nel decreto legislativo 231 del 2001, può avere comunque rilevanti effetti sulla responsabilità da reato delle persone giuridiche.

Va considerato infatti come, con la riforma del 2015, sia stato introdotto nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. codice dell'ambiente) un nuovo procedimento – modellato sulle previsioni contenute negli artt. 19 ss. d.lgs. 758 del 1994 – per l'estinzione delle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal citato d.lgs. 152/2006 che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette, condizionando l'estinzione all'adempimento da parte del contravventore di prescrizioni emanate dall'organo di vigilanza nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria ovvero dalla polizia giudiziaria medesima, nonché al conseguente pagamento di una somma pecuniaria.

In estrema sintesi, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, i predetti organi impartiscono al contravventore un'apposita prescrizione asseverata tecnicamente dall'ente specializzato competente nella materia trattata, fissando per la regolarizzazione un termine non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario; con la prescrizione l'organo accertatore può imporre specifiche misure atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose – riferendo comunque al pubblico ministero la notizia di reato relativa alla contravvenzione, ai sensi dell'art. 347 c.p.p.; l'organo accertatore verifica poi se il contravventore ha adempiuto alla prescrizione impartita e, in caso positivo, lo ammette al pagamento di una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda prevista; successivamente, comunica al pubblico ministero l'adempimento della prescrizione nonché l'eventuale pagamento della predetta somma, ovvero l'inadempimento.

Per quanto riguarda il profilo prettamente penalistico è previsto che il pubblico ministero, ricevuta notizia della violazione contravvenzionale, proceda ad iscrizione del responsabile nel registro degli indagati ma il relativo procedimento penale resterà sospeso fino al momento in cui l'organo inquirente riceverà la comunicazione relativa all'adempimento, all'esito della quale si richiederà l'archiviazione per estinzione del reato ex art. 318-septies d.lgs. 152 del 2006 ovvero all'inadempimento, nel qual caso il procedimento penale riprenderà il suo corso.

In tale ultima ipotesi, tuttavia, residua ancora una possibilità di estinguere le contravvenzioni in esame. Infatti, analogamente a quanto previsto dal d.lgs. 758 del 1994, il nuovo art. 318-septies del codice dell'ambiente prevede che l'adempimento in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione ma che comunque risulti congruo a norma dell'art. 318-quater cod. ambiente ovvero l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall'organo di vigilanza siano valutati ai fini dell'applicazione dell'art. 162-bis c.p. In tal caso, la somma da versare è ridotta alla metà del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

Nell'introdurre questa innovativa disciplina, il legislatore non ha fornito alcuna indicazione circa la possibilità che la suddetta causa di estinzione degli illeciti contravvenzionali rilevi anche in ordine alla responsabilità da reato degli enti collettivi, problema invece assai rilevanti posto che l'art. 25-undecies d.lgs. 231 del 2001 annovera tra i reati presupposto numerose ipotesi contravvenzionali del Codice dell'ambiente.

Alcuni autori hanno sostenuto, alla luce del disposto dell'art. 8 d.lgs. 231/2001, in base al quale la responsabilità dell'ente sussiste anche quando (...) il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia, che la positiva conclusione per il trasgressore persona fisica lascerà impregiudicata la responsabilità dell'ente che potrà essere comunque accertata ed affermata sulla base dei principi e dei criteri di cui al decreto legislativo 231/2001 (GUGLIELMI – MONTANARO. Nello stesso senso si è pronunciata con apposita circolare la procura della Repubblica presso il tribunale di Trento che, prendendo atto dell'operatività della previsione di cui all'art. 8, d.lgs. 231 del 2001 ha affermato non solo come non sia previsto che alla sospensione del procedimento penale per l'attivazione dell'istituto della prescrizione segua una parallela sospensione del procedimento per la responsabilità amministrativa dell'ente, ma anche che in ossequio al principio di autonomia, dovrebbe ammettersi che, pur a seguito dell'estinzione del reato a carico della persona fisica, consegua il procedimento a carico dell'ente), mentre secondo altri si sarebbe in presenza di mera omissione del legislatore riconducibile al fatto che nell'assetto originario del d.lgs. 231 del 2001 non erano previste ipotesi contravvenzionali e dunque non era stata contemplata l'eventualità di estinzione del reato mediante oblazione, ritenendosi dunque ipotizzabile prospettare l'estinzione dell'illecito dell'ente, a fronte dell'oblazione della persona fisica, attraverso il richiamo all'art. 129 c.p.p., consentito dalla generale clausola di estensione delle norme procedurali di cui all'art. 34, d.lgs. 231 del 2001 (MERLIN - LOSENGO).

In ogni caso si ricorda che l'intervenuta regolarizzazione costituisce una delle condizioni di esclusione delle sanzioni interdittive ai sensi dell'art. 17, d.lgs. 231 del 2001, il che evidentemente suggerisce comunque alla persona fisica che voglia evitare un coinvolgimento dell'ente nella vicenda criminale di attivarsi per la procedura di estinzione dell'illecito contravvenzionale.

In conclusione

Come si vede, la riforma dei reati ambientali, se da un lato ha inciso profondamente sulla disciplina di carattere sostanziale, dall'altro non può dirsi abbia modificato in maniera significativa la posizione degli enti collettivi, i cui responsabili o dirigenti, nel corso dell'attività imprenditoriale propria della società da loro amministrata, abbiano violato la normativa ambientale.

Ciò posto, tuttavia, va riconosciuto che le più severe sanzioni che sono state introdotte – specie con riferimento agli illeciti di nuovo conio – dovranno indurre ad un atteggiamento di maggior rigore nella definizione dei modelli organizzativi per il profilo inerente la prevenzione del rischio ambientale: considerato quali sono le pene previste in caso di violazione degli illeciti di cui agli artt. 452-bis e seguenti c.p., nessuna società può assoggettarsi al rischio di vedersi contestato uno di tali reati, considerato che la conseguente sanzione applicabile può portare praticamente alla decozione la persona giuridica coinvolta.

Per tale ragione, potrebbe essere opportuno – per le società per le quali è più forte il rischio di incidenza negativa sull'ambiente – articolare l'attività dell'organismo di vigilanza in termini tali da monitorare costantemente tali aspetti del modello organizzativo dell'ente ed all'uopo può essere decisamente opportuno inserire fra i membri di questo collegio un soggetto particolarmente competente in materia.

Guida all'approfondimento

AMARELLI, La riforma dei reati ambientali, luci ed ombre di un intervento a lungo atteso, in Diritto penale Contemporaneo, on line, 30 luglio 2015;

DE FALCO, Delitti contro l'ambiente: tra incongruenze normative e difficoltà probatorie il margine di rischio per imputati ed enti non sembra poi così ampio, in Riv. Resp. Soc. Enti, 2016, 1, 1

FIMIANI, La tutela penale dell'ambiente, Milano, 2015;

GUGLIELMI – MONTANARO, I nuovi ecoreati: prima lettura e profili problematici, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2015, 3, 2.

MERLIN - LOSENGO, Ambiente. Il nuovo modello per la tutela penale, in Ambiente e sicurezza, 2015, 12, 23

RUGA RIVA, I nuovi ecoreati, commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015;

ROMOLOTTI – MARRETTA, I nuovi delitti contro l'ambiente: coordinamento con la normativa previgente e aggiornamento dei modelli di prevenzione, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2015, 4, 9

SIRACUSA, La l.68/2015 sugli «ecodelitti»: una svolta «quasi» epocale per il diritto penale dell'ambiente, in Diritto penale Contemporaneo, on line, 9 luglio 2015

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