Depenalizzazione e illeciti con sanzioni pecuniarie civili: la disciplina di diritto intertemporale
11 Febbraio 2016
Abstract
Come è ormai noto, il 22 gennaio scorso sono stati pubblicati i decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016, entrati in vigore il 6 febbraio. Il primo provvedimento ha portato all'abrogazione di alcuni reati con la contestuale introduzione di corrispondenti illeciti civili con sanzioni pecuniarie; il secondo, invece, ha comportato la trasformazione di alcune fattispecie penali in illeciti amministrativi. I due decreti, che ben possono definirsi “gemelli” ‒ in quanto emanati nello stesso giorno e in attuazione della stessa legge di delega, la 67 del 28 aprile 2014 ‒ pur essendo, a prima vista, simili nella loro struttura introducono, in realtà, istituti molto diversi fra loro. Tale diversità incide anche su uno dei primi temi con cui gli operatori del diritto dovranno confrontarsi, cioè quello della disciplina di diritto intertemporale introdotta dalle due normative. Può dirsi fin da ora che, da questo punto di vista, entrambi i decreti si muovono lungo due direttrici comuni: la prima è quella di evitare che, con l'introduzione delle nuove norme, si creino spazi di impunità; la seconda è quella di snellire l'attività dei giudici dell'esecuzione, che saranno prevedibilmente chiamati a svolgere un'opera molto intensa in relazione alla revoca delle sentenze di condanna passate in giudicato (si pensi a reati fino ad oggi molto comuni nell'esperienza quotidiana, come l'ingiuria). A parte tali elementi comuni, la disciplina introdotta dal decreto in materia di depenalizzazione appare più dettagliata, probabilmente perché il legislatore ha potuto sfruttare l'esperienza già maturata con la l. 24 novembre 1981, n. 689, e con il d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507. Quindi, conviene iniziare l'analisi delle norme di diritto intertemporale dal d.lgs. 8/2016, anche alla luce della maggiore confidenza dell'interprete penale con il fenomeno della depenalizzazione; successivamente, si passerà al d.lgs. 7 e, alla fine, si potrà procedere a un confronto tra le due normative. Prima di procedere, però, vale la pena di notare come la legge di delega non prevedesse alcunché in materia di diritto intertemporale; tuttavia, l'intervento del legislatore delegato, anche su questo aspetto, appare pienamente legittimo. Il silenzio del delegante, infatti, non può essere semplicemente interpretato come un divieto, dovendosi fare piuttosto riferimento alle specificità delle situazioni da disciplinare, che richiedevano certamente alcuni interventi volti, da un lato, a garantire la continuità tra illeciti e, da un altro, a semplificare le procedure (in particolare quelle di esecuzione) che sarebbero conseguite all'introduzione delle nuove norme.
Vedi gli altri focus sulle Depenalizzazioni La disciplina di diritto intertemporale prevista per i casi di depenalizzazione: i procedimenti in corso
L'art. 8 del d.lgs. 8/2016, al primo comma, prevede che le sanzioni amministrative introdotte dal decreto che sostituiscono quelle che prima erano sanzioni penali si applicano anche ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, salvo che il procedimento penale sia già stato definito con sentenza passata in giudicato. Tale disposizione non è una mera riproposizione dei principi già previsti dall'art. 2 c.p.: infatti, in assenza di detta norma, non solo non sarebbe stato più possibile sanzionare penalmente le condotte depenalizzate (essendosi verificata una abolitio criminis) ma non si sarebbero nemmeno potute applicare le nuove sanzioni amministrative. Ciò in quanto l'art. 1 della legge 689 del 1981 stabilisce che nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione e che le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e nei tempi in esse considerati. Proprio alla luce di ciò, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che, in assenza di disposizioni di diritto intertemporale, i fatti commessi prima dell'entrata in vigore delle leggi di depenalizzazione non solo cessano di avere rilevanza penale ma, per il principio di legalità, non possono nemmeno essere sanzionati sotto il profilo amministrativo (Cass. pen., Sez. un., 16 marzo 1994, Mazza). Di conseguenza, qualora manchi una disciplina di diritto intertemporale analoga a quella della l. 689 del 1981 (la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non può essere estesa agli altri interventi di depenalizzazione), il giudice, quando pronuncia sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, non ha l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorità amministrativa competente a sanzionare l'illecito amministrativo (Cass. pen, Sez. un., 29 marzo 2012, n. 25457). È quindi per le ragioni appena dette che il legislatore ha inserito una norma come il comma 1 dell'art. 8 del decreto sulla depenalizzazione: per evitare possibili spazi di impunità, privilegiando così l'omogeneità tra l'illecito penale e quello amministrativo ed evitando possibili situazioni di disparità di trattamento o di vuoti di tutela. Ovviamente, però, ciò poteva essere fatto solo nel rispetto del principio della lex mitior e, di conseguenza, il comma 3 dello stesso art. 8 sancisce espressamente che ai fatti commessi prima del 6 febbraio 2016 non potrà essere applicata una sanzione amministrativa superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto dei criteri di ragguaglio di cui all'art. 135 c.p.; non solo, in tali ipotesi, anche le sanzioni amministrative accessorie non potranno essere applicate, salvo che sostituiscano corrispondenti pene accessorie. Nei casi di cui all'art. 8, comma 1, d.lgs. 8/2016 l'autorità giudiziaria, entro novanta giorni dal 6 febbraio 2016, deve disporre la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa competente a conoscere delle violazioni dei nuovi illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data (art. 9, comma 1, d.lgs. 8/2016). L'autorità competente a cui trasmettere gli atti deve essere individuata in base ai criteri indicati all'art. 7 d.lgs. 8/2016: la regola è che procedano le stesse autorità già competenti a irrogare le sanzioni amministrative previste dalle varie leggi speciali su cui si è intervenuti; in caso di mancata previsione, è competente l'ufficio periferico del Ministero competente per materia o, in mancanza, il prefetto. Sempre il prefetto, poi, è competente a conoscere degli illeciti amministrativi che sostituiscono fattispecie fino ad ora contenute nel codice penale. Il termine di novanta giorni dall'entrata in vigore del decreto per procedere alla trasmissione degli atti non può che ritenersi ordinatorio (non essendo peraltro prevista alcuna sanzione nel caso di mancato rispetto del termine). Certamente, la sua introduzione non può essere trascurata, avendo lo stesso una concreta funzione sollecitatoria in relazione a un celere trasferimento degli atti all'amministrazione competente; ma la norma dovrà fare i conti con il numero dei procedimenti coinvolti e con il carico dei diversi uffici giudiziari. L'art. 9 d.lgs. 8/2016, poi, prevede che l'autorità giudiziaria non debba procedere alla trasmissione degli atti qualora il reato risulti già prescritto o comunque estinto alla data del 6 febbraio. Tale peculiare disposizione, con cui una causa di estinzione del reato viene a prevalere su una di assoluzione, si spiega sulla base del principio del favor rei: la dichiarazione di estinzione del reato, infatti, impedisce l'instaurazione del procedimento amministrativo, cui potrebbe conseguire comunque una sanzione. In modo conforme alla disciplina dettata dal legislatore si era anche espressa una ormai risalente pronuncia delle Sezioni unite, relativa alla legge 689 del 1981: in base a tale decisione, qualora i reati, prima dell'entrata in vigore della depenalizzazione, siano estinti per prescrizione, il giudice deve pronunciare sentenza di proscioglimento per estinzione del reato, senza procedere alla trasmissione degli atti all'autorità amministrativa competente (Cass. pen., Sez. un., 30 giugno 1984, n. 9540). Se l'azione penale non è stata esercitata e il reato non risulta estinto, la trasmissione degli atti all'autorità competente è disposta direttamente dal pubblico ministero, che la annota nel registro delle notizie di reato (art. 9, comma 2, d.lgs. 8/2016). In questi casi, dunque, il pubblico ministero non dovrà passare attraverso una richiesta di archiviazione nei confronti del Gip, con una norma che, quindi, potrebbe apparire in contrasto con il principio di obbligatorietà dell'azione penale, non essendovi alcun controllo giurisdizionale sull'operato dell'organo d'accusa. Tuttavia, non si può negare che la disposizione appaia, nel suo risvolto pratico, più che ragionevole, considerato il numero certamente rilevante di procedimenti coinvolti: era infatti necessario rendere l'attività il più snella possibile, senza andare ad appesantire eccessivamente l'operato degli organi giudiziari. Qualche problema potrebbe porsi, però, qualora la persona offesa abbia chiesto di essere informata sulla richiesta di archiviazione (ipotesi che appare peraltro remota se si tiene conto del tipo di fattispecie interessate dal provvedimento): in tal caso, vi è chi ha affermato che sarebbe comunque opportuno dare, da parte del pubblico ministero, avviso alla persona offesa, al fine di garantire la sua partecipazione. Qualora poi la persona offesa si opponesse, secondo tale ricostruzione, sarebbe allora doveroso passare attraverso il Gip al fine di garantire un controllo giurisdizionale (ad avviso di chi scrive, tale ricostruzione, pur molto interessante e ben argomentata, forse non trova sufficienti riscontri normativi). Qualora, invece, i reati oggetto di depenalizzazione risultino già estinti, il pubblico ministero dovrà procedere alla richiesta di archiviazione. Anche qui, al fine di semplificare l'operato dell'autorità giudiziaria, il legislatore ha dettato una disposizione particolare, secondo cui sia la richiesta del pubblico ministero che il provvedimento di archiviazione del Gip possono avere ad oggetto elenchi cumulativi di procedimenti. Il modello che viene proposto sembra dunque riprendere, pur con le dovute differenze, quello di cui all'art. 107-bis disp. att. c.p.p., relativo alle denunce a carico di ignoti, che vengono trasmesse dagli organi di polizia alle procure competenti con elenchi mensili. Qualora l'azione penale sia già stata esercitata, è il giudice a dover pronunciare sentenza di assoluzione, ex art. 129 c.p.p., perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, disponendo contestualmente la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa competente (art. 9, comma 3, d.lgs. 8/2016). Viene espressamente stabilito che tale pronuncia è inappellabile, con un modello che riprende, in questo senso, le sentenze di proscioglimento ante dibattimento di cui all'art. 469 c.p.p. (per le quali l'unico rimedio esperibile è il ricorso per Cassazione). Se però è già stata pronunciata sentenza di condanna in primo grado, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. La norma sembra rifarsi a quanto stabilito dall'art. 578 c.p.p., secondo cui, qualora sia già stata pronunciata sentenza di condanna al risarcimento del danno a favore della parte civile, il giudice dell'impugnazione, qualora debba dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decide ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. In entrambi i casi, la ratio della norma risiede nella volontà di evitare che la parte civile sia costretta a iniziare un nuovo giudizio in sede civile per ottenere una condanna al risarcimento dei danni che le era già stata precedentemente riconosciuta; si tratta comunque di ipotesi del tutto peculiari se si tiene conto del principio generale, desumibile dall'art. 538 c.p.p., secondo cui il giudice penale decide sul risarcimento del danno solo qualora pronunci una sentenza di condanna. I commi 4, 5 e 6 dell'art. 9 d.lgs. 8/2016 disciplinano poi le prime fasi del procedimento amministrativo conseguente alla trasmissione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria. In sintesi, l'autorità amministrativa, dal momento della ricezione degli atti, ha novanta giorni per notificare gli estremi della notifica della violazione agli interessati (i giorni diventano trecentosessanta per i destinatari residenti all'estero). Entro sessanta giorni dalla notifica, l'interessato è ammesso al pagamento in misura ridotta della sanzione, oltre alle spese del procedimento; tale pagamento, se avviene, determina l'estinzione del procedimento amministrativo. Segue. I procedimenti definiti con sentenza passata in giudicato
Se i procedimenti penali sono già stati definiti con provvedimento passato in giudicato, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è più previsto dalla legge come reato e adottando i provvedimenti conseguenti (art. 8, comma 2, d.lgs. 8/2016). In base agli artt. 193 disp. att. c.p.p. e art. 33 reg. c.p.p. il provvedimento di revoca deve essere annotato a cura della cancelleria sulla precedente sentenza di condanna. Il procedimento da seguire è quello dettato dall'art. 667, comma 4, c.p.p.: il legislatore, per semplificare l'attività, certamente rilevante, che si prospetta per i giudici dell'esecuzione, ha quindi disposto che sulle richieste di revoca gli stessi debbano pronunciarsi con ordinanze emesse de plano, senza formalità e senza dover fissare l'udienza in camera di consiglio; si procederà con le forme di cui all'art. 666 c.p.p. solo qualora una delle parti, entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notifica del provvedimento, si opponga al provvedimento. Le disposizioni “transitorie” relative agli illeciti civili con sanzioni pecuniarie
L'art. 12 del d.lgs. 7 del 2016, rubricato Disposizioni transitorie (anche se, come evidente, ci si trova di fronte a norme di diritto intertemporale più che transitorio), riprende solo i primi due commi dell'art. 8 del d.lgs. 8/2016 sulla depenalizzazione; l'intervento, quindi, in questo caso appare più scarno, cosa probabilmente dovuta alla minore confidenza del legislatore con questo nuovo istituto, cioè quello degli illeciti civili con sanzioni pecuniarie. Il primo comma dell'art. 12 d.lgs. 7/2016 prevede quindi che le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili si applicano anche ai fatti commessi prima del 6 febbraio, salvo che il procedimento sia stato definito con sentenza o decreto passati in giudicato. In questa seconda ipotesi (art. 12, comma 2, d.lgs. 7/2016) il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiara che il fatto non è più previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti; anche in questo caso, la procedura da seguire è quella semplificata di cui all'art. 667, comma 4, c.p.p. In relazione a questi due commi ci si può sostanzialmente richiamare a quanto già detto sopra in materia di depenalizzazione, vista l'assoluta omogeneità tra le norme. Tuttavia, vale la pena fare una precisazione, alla luce dei diversi tipi di reati coinvolti dai due interventi normativi. Infatti, il d.lgs. 7 del 2016 interviene su fattispecie penali che erano volte a tutelare interessi prevalentemente privatistici (si pensi all'ingiuria e al danneggiamento semplice): ebbene, si deve sottolineare che la revoca delle sentenze di condanna in relazione a tali fattispecie non porterà alcuna conseguenza sulle eventuali statuizioni civili già passate in giudicato. In base al noto principio di cui all'art. 2, comma 2, c.p., se vi è stata condanna per un fatto che, per una legge posteriore, non costituisce più reato, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali; gli effetti civili, però, non possono più essere messi in discussione (v. Cass. pen., Sez. V, 20 dicembre 2005, n. 4266, secondo cui La revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis (art. 2, comma 2, c.p.) ‒ conseguente alla perdita del carattere di illecito penale del fatto ‒ non comporta il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto, con la conseguenza che la sentenza non deve essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti da reato, le quali continuano a costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti della parte danneggiata). Manca nell'art. 12 d.lgs. 7/2016 una disposizione analoga al comma 3 dell'art. 8 del decreto sulla depenalizzazione, in base al quale, come visto, ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore dei decreti legislativi non può essere applicata una sanzione pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato. Ci si potrebbe quindi chiedere se tale disposizione possa essere applicata analogicamente, specie tenuto conto del fatto che i massimi edittali per le nuove sanzioni civili pecuniarie appaiono piuttosto elevati (si arriva a 8.000,00 euro per l'ingiuria e per il danneggiamento semplice). Si dovrebbe ritenere di no, avendo il legislatore adottato una disposizione espressa in un caso ed essendo invece rimasto silente nell'altro. Tuttavia, forse tale soluzione si dimostra poco soddisfacente. A prescindere dall'esatta natura degli illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie (da alcuni già equiparati ai punitive damages, tipici del diritto anglosassone), il cui preciso inquadramento richiederà agli interpreti, probabilmente, non poco lavoro, si ritiene che non si possa negare che gli stessi abbiano una componente molto più sanzionatore che risarcitoria. Ciò non solo alla luce del fatto che il provento della sanzione è destinato non al danneggiato, bensì alla Cassa delle Ammende (art. 10 d.lgs. 7/2016) ma anche tenuto conto dei criteri di commisurazione delle sanzioni, in cui si fa riferimento, ad esempio, alla personalità e alle condizioni economiche dell'agente, ma non a quelle del danneggiato (art. 5 d.lgs. 7/2016). Tale natura prevalentemente sanzionatoria avrebbe dunque reso probabilmente preferibile l'introduzione di una norma analoga al comma 3 dell'art. 8 del d.lgs. 8 anche per i nuovi illeciti civili. Il confronto tra i due decreti
Sempre per quanto riguarda gli illeciti civili, manca poi del tutto una disciplina assimilabile a quella dell'art. 9 del decreto in tema di depenalizzazione. Il perché è evidente per i commi 4, 5 e 6: in questo caso, infatti, non vi è alcun procedimento amministrativo che deve essere iniziato, dovendo essere piuttosto il soggetto danneggiato dal reato a decidere se coltivare o meno l'azione di risarcimento del danno di fronte al giudice civile (in base all'art. 8 del d.lgs. 7/2016, infatti, è competente a conoscere dell'illecito civile il giudice investito della richiesta di risarcimento del danno; anzi, è quest'ultima domanda a essere pregiudiziale rispetto all'applicazione delle sanzioni civili). Per le medesime ragioni, poi, non avrebbe avuto senso riportare le disposizioni relative alla trasmissione degli atti e al termine per compierla. Da quest'ultimo punto di vista, vale la pena di sottolineare che l'art. 3, comma 2, del decreto sugli illeciti civili prevede che si osserva la disposizione di cui all'art. 2947, primo comma, del codice civile: ciò significa che l'illecito civile si prescrive in cinque anni da quando il fatto si è verificato; tuttavia, si deve ritenere che operino anche le norme in materia di interruzione della prescrizione civile, in base alle quali l'esercizio dell'azione di risarcimento (anche in sede penale) comporta l'interruzione della prescrizione per tutta la durata del processo. Per quanto riguarda i procedimenti ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero non potrà in questo caso procedere a una mera annotazione ma dovrà chiedere l'archiviazione al Gip (ciò garantisce la partecipazione della persona offesa che abbia chiesto di essere informata; tuttavia, forse, si sarebbe potuto pensare anche di riprodurre il procedimento, certamente molto più semplice e veloce, dettato in tema di depenalizzazione); in dibattimento, invece, sarà il giudice a pronunciare sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Potrebbe essere interessante chiedersi se, anche in questi casi, il giudice debba privilegiare la dichiarazione di non doversi procedere per estinzione del reato rispetto a quella di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, come stabilito nell'ambito della depenalizzazione. Si ritiene che la risposta debba essere negativa, in quanto, non essendo espressamente previsto altrimenti, deve trovare applicazione il principio generale stabilito dall'art. 129, comma 2, c.p.p., secondo cui, anche di fronte a una causa di estinzione del reato, qualora risulti evidente che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione e non di non doversi procedere (sul tema, ampiamente, v. Cass. pen., Sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490). Come detto, l'art. 9, comma 3 del d.lgs. 8 del 2016 prevede che, nei casi di depenalizzazione, il giudice dell'impugnazione, qualora vi sia stata condanna al risarcimento del danno in primo grado, contestualmente alla sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve comunque provvedere sui capi civili della sentenza. Un ultimo quesito potrebbe quindi essere quello relativo alla possibilità di estendere tale potere del giudice dell'impugnazione anche ai casi di abrogazione e contestuale introduzione degli illeciti civili. Si ritiene che anche a tale domanda la riposta che deve essere data sia negativa: la regola dettata in tema di depenalizzazione (similmente a quella di cui all'art. 578 c.p.p.) costituisce infatti un'eccezione ‒ come tale non suscettibile di applicazione analogica ‒ alla regola generale di cui all'art. 538 c.p.p., secondo cui il giudice penale decide sulla domanda di risarcimento del danno solo nel caso in cui pronuncia una sentenza di condanna. Anche qui, non si può che rilevare come forse il legislatore avrebbe però potuto introdurre una norma analoga a quella di cui all'art. 9, comma 3, d.lgs. 8 del 2016: infatti, non avendo fatto ciò, si costringe la parte civile, pur vittoriosa in primo grado, o a dover iniziare da capo l'azione in sede civile, con tutto ciò che ne consegue in termini di tempi e di costi, o a rinunciare del tutto al suo risarcimento. In conclusione
Prima di procedere a delle vere e proprie conclusioni sull'argomento appena affrontato, si ritiene che debba essere svolta una valutazione di carattere più generale: ovvero, sull'opportunità, indipendentemente dal merito delle singole scelte operate, di dettare una disciplina di diritto intertemporale. Il legislatore non lo aveva fatto con la l. 67 del 2014 né in materia di messa alla prova, né in relazione alle nuove diposizioni in materia di assenza dell'imputato. Ciò aveva comportato numerosi problemi interpretativi, che hanno portato, nel prima caso, alla richiesta di un intervento sia della Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. feriale, 31 luglio 2014, n.35717), sia della Corte costituzionale (Corte cost., 26 novembre 2015, n. 190); nel secondo, invece, il legislatore è dovuto correre ai ripari, introducendo specifiche diposizioni sul punto con la l. 11 agosto 2014, n. 118. Disposizioni intertemporali non erano state dettate nemmeno in materia di tenuità del fatto, anche se qui va detto che le questioni erano molto più semplici, tanto che la Corte di cassazione è intervenuta subito sul tema, affermando l'immediata applicabilità dell'istituto a tutti i procedimenti in corso, anche a quelli giunti di fronte agli stessi giudici di legittimità (Cass. pen., Sez. III, 8 aprile 2015, n. 15449). Ebbene, alla luce di quanto detto, si ritiene che sia da apprezzare la scelta operata questa volta dal legislatore di intervenire fin da subito dettando un'espressa disciplina di diritto intertemporale. Positivi, poi, anche entrambi gli scopi perseguiti: da un lato, evitare di creare ingiustificati spazi di impunità; da un altro, alleggerire le procedure di esecuzione che certamente conseguiranno all'introduzione dei due nuovi decreti. Ciò detto, si ritiene che la disciplina dettata dal decreto in materia di depenalizzazione sia molto più completa ed efficace: infatti, la stessa tiene conto delle esigenze degli uffici di procura e del Gip, semplificando in modo pregevole il procedimento di trasmissione degli atti. Inoltre, vengono tenuti in considerazione anche gli interessi delle parti civili costituite e vittoriose in primo grado, consentendo ai giudici delle impugnazioni di poter continuare a decidere sul risarcimento del danno, nonostante l'emissione di una sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Forse sarebbe stato opportuno prevedere disposizioni analoghe anche in materia di abrogazione e introduzione degli illeciti civili; non facendolo, invece, si è finito per danneggiare forse eccessivamente la parte civile già vittoriosa in primo grado, che non potrà che provare frustrazione nel dover ricominciare da capo il giudizio in sede civile. Allo stesso modo, sarebbe stato forse preferibile riprodurre anche per il decreto legislativo 7 del 2016 la norma che, in tema di depenalizzazione, prevede che per i fatti commessi prima del 6 febbraio 2016 non può essere applicata una sanzione pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato. Probabilmente, il maggior pregio delle disposizioni intertemporali dettate in tema di depenalizzazione è dovuto alla maggiore confidenza del legislatore con tale tipo d'intervento, essendo stata certamente sfruttata l'esperienza già maturata con la l. 689 del 1981 e con il d.lgs. 507 del 1999. Guida all'approfondimento
Sui decreti legislativi in commento: GATTA, Depenalizzazione e nuovi illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie civili: una riforma storica, in Dir. pen. cont.; LEOPIZZI, Depenalizzazioni: i reati trasformati in illeciti amministrativi (d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8)
Gli interventi di depenalizzazione e di abolitio criminis del 2016: una prima lettura (Relazione dell'ufficio del Massimario della Corte di Cassazione), in cortedicassazione.it; Linee guida della Procura di Trento sulla “depenalizzazione” realizzata in attuazione delle legge di delega n. 67 del 2014; Linee guida della Procura di Lanciano per l'applicazione dei decreti legislativi 15 gennaio n. 7 e n. 8;
CAVALLARI, Commento agli artt. 40 e 41 della l. 24 novembre 1981, n. 689, in Leg. pen., 1982, pp. 311 e ss.; GALLUCCI, Commento agli artt. 100-102 del d.lgs. 30/12/1999, n. 507, in Leg. pen., 2001, pp. 971 e ss. |