La rilevanza della condotta colposa del lavoratore negli infortuni sul lavoro
11 Aprile 2016
Abstract
La grave imprudenza del lavoratore, la cui condotta risulta esorbitante rispetto ai compiti affidatigli, può escludere la responsabilità penale del datore di lavoro per l'infortunio occorso, purché il titolare della posizione di garanzia abbia fornito al lavoratore tutti gli strumenti necessari per la sicurezza e lo abbia altresì adeguatamente formato sui rischi connessi al lavoro da svolgere, senza tuttavia che possa pretendersi un obbligo di vigilanza assoluto sull'osservanza da parte dei lavoratori delle regole precauzionali ad essi imposte. Il caso in esame
Il procedimento penale oggetto della sentenza della Corte di cassazione in esame (Cass. pen., 10 febbraio 2016 - 3 marzo 2016, n. 8883) traeva origine da un infortunio sul luogo di lavoro accaduto ad un elettricista esperto a cui era stato affidato un incarico specifico, precisamente quello di provvedere ad una certa altezza da terra alla sostituzione di faretti ed al posizionamento di fili elettrici, compito da svolgersi utilizzando un elevatore ed una serie di strumenti di protezione di cui era stato dotato. Quel lavoro – secondo quanto ricostruito dai testimoni sentiti – poteva e doveva essere posto in essere in sicurezza grazie all'utilizzo dell'elevatore. L'elettricista in questione, che peraltro era un soggetto particolarmente esperto di sicurezza sul lavoro essendo stato egli stesso nominato responsabile della sicurezza dei lavoratori della sua azienda, decideva, forse per fare più in fretta, o comunque incautamente, di salire sul tetto per meglio posizionare i fili, percorrendo il tratto ricoperto da sottili lastre di eternit, che inevitabilmente si sfondavano poco dopo, causando la caduta violenta al suolo del lavoratore che riportava delle gravi lesioni personali. Ne scaturiva l'incolpazione nei confronti dei due indagati, uno nella veste di datore di lavoro e l'altro in quella di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei lavoratori della ditta svolgente l'appalto, imputati di aver omesso di predisporre i necessari apprestamenti di sicurezza prima di procedere all'utilizzo del piano di copertura come piano di lavoro per l'esecuzione dei lavori di realizzazione di linee elettriche per la successiva posa in opera di fari all'interno dei locali della ditta. Ad avviso della Cassazione però nessun rimprovero in un caso del genere poteva muoversi ad entrambi gli imputati, in quanto gli stessi si erano legittimamente fidati della professionalità del soggetto cui avevano affidato il lavoro (di non particolare difficoltà) da compiersi. Infatti era stato provato non solo che vi fosse stata una corretta valutazione preventiva del rischio derivante dallo svolgimento in quota dei lavori di sostituzione dei faretti e di posizionamento dei fili ma anche la concreta dotazione al lavoratore, nel frangente dell'infortunio, degli strumenti idonei ad effettuare tali tipi di lavoro in sicurezza, in particolare dandogli in uso l'elevatore. Ne derivava, ad avviso del Collegio, da un lato l'assenza di alcuna violazione di norme cautelari e dall'altro l'assenza dell'elemento soggettivo della colpa, in quanto la condotta del lavoratore appariva nel caso specifico del tutto imprevedibile. Seppure non oggetto di specifica contestazione, la vicenda riguardava anche l'eventuale violazione dell'obbligo di vigilanza in capo al titolare della posizione di garanzia relativamente alla condotta del lavoratore persona offesa, chiaramente inosservante delle regole precauzionali anche ad esso imposte e delle disposizioni impartitegli dal datore di lavoro . La sentenza della Cassazione n. 8883/2016
In primo grado i due imputati venivano assolti perché il fatto non sussiste. A seguito dell'appello proposto dalla parte civile, la sentenza veniva riformata e la Corte territoriale condannava gli imputati al risarcimento dei danni, rimettendo le parti avanti al giudice civile per la liquidazione. La sentenza di condanna veniva impugnata per cassazione sotto diversi profili dagli imputati; la Corte di cassazione, Sez. IV, con sentenza 10 febbraio 2016, n. 8883, annullava senza rinvio la sentenza impugnata assolvendo i ricorrenti per mancanza di colpa. La sentenza qui commentata parte dalla premessa che il sistema della normativa antinfortunistica, si sia lentamente trasformato da un modello iperprotettivo, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, anche imponendosi contro la loro volontà), ad un modello collaborativo in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori. Dopodiché svolge considerazioni del tutto innovative circa la rilevanza della condotta colposa del lavoratore nel caso di infortuni sul luogo di lavoro. In particolare individua un diverso limite di rilevanza dato non più dal solo comportamento abnorme del lavoratore ma anche da quello meno pregnante della condotta esorbitante rispetto alle funzioni lavorative da svolgere. Si legge in motivazione sul punto: Si è dunque affermato il concetto di comportamento "esorbitante", diverso da quello “abnorme" del lavoratore. Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall'ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell'ambito del contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, già costantemente delineato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè, che nulla hanno a che vedere con l'attività svolta. La recente normativa (T.U. 2008/81) impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia. Le tendenze giurisprudenziali – va qui ribadito – si dirigono anch'esse verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori (c.d. principio di autoresponsabilità del lavoratore). In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e – come condivisibilmente rilevava la sentenza 41486/2015 – si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del fattore causale. In sostanza, seppure senza farne espresso richiamo, si fa uso del c.d. principio di affidamento, secondo il quale nelle attività complesse, anche quelle pericolose come è l'attività di impresa, è legittimo che ciascuno possa fare affidamento sull'osservanza dei rispettivi obblighi da parte degli altri soggetti con i quali interagisce. Di pari rilievo per la chiarezza e per la forza innovativa sono poi le affermazioni sull'obbligo di vigilanza. La suprema Corte afferma poi che Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, egli non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore . In ogni caso la Cassazione ribadisce però che il comportamento imprudente e/o negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, quando l'evento stesso sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate da quest'ultimo, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente e/o negligente. E quindi la portata innovativa della sentenza de qua trova pur sempre il limite della previa verifica dell'eventuale colpa del datore di lavoro; in quel caso la colpa, anche grave, del lavoratore non esclude la responsabilità del primo, in quanto la condotta di chi ha la posizione di garanzia si presenta comunque come concausa dell'evento lesivo. La giurisprudenza consolidata in tema di responsabilità del datore di lavoro e concorrente colpa del lavoratore
Va detto che le conclusioni a cui è pervenuta la sentenza in commento, che di primo acchito, appaiono di totale buon senso, contraddicono la consolidata giurisprudenza della suprema Corte in tema di responsabilità del datore di lavoro e dei preposti alla sicurezza in caso di infortuni sul lavoro causati anche da condotte imprudenti e/o negligenti dei lavoratori stessi. Infatti la giurisprudenza afferma solitamente che la posizione di garanzia che viene individuata in capo al datore di lavoro esclude che egli possa fare affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme precauzionali, essendo invece suo compito non solo apprestare tutti i presidi a tutela della sicurezza dei luoghi, degli impianti o macchinari utilizzati ed adoperarsi perché la concreta esecuzione del lavoro avvenga nel rispetto di quelle modalità. Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente/negligente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente ed in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e pertanto al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro (si veda tra le tante Cass. pen., Sez. IV, 17 ottobre 2014, n. 3787; Cass. pen., Sez. IV, 13 gennaio 2011, n. 4114; Cass. pen., Sez. IV, 14 dicembre 2010, n. 5005; Cass. pen., Sez. IV, 23 novembre 2010, n. 45359; Cass. pen., Sez. IV, 23 novembre 2010, n. 45358). Quanto in particolare all'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro vale la pena citare alcuni passaggi paradigmatici di una recente sentenza della Corte di cassazione (Sez. IV, 13 gennaio 2011, n. 4114), in cui si è affermato espressamente che Il compito del datore di lavoro è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori, alla predisposizione di queste misure (con obbligo quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, di mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore), e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro (In questi termini vedi anche Cass. pen., Sez. IV, 23 novembre 2010, n. 45358; Cass. pen., Sez. feriale, 12 agosto 2010, n. 32357; Cass. pen., Sez. IV, 3 giugno 2008, n. 37049). È facile evidenziare le notevoli differenze tra l'impostazione della sentenza in commento e quella per ultimo citata, in cui nel descrivere la misura del controllo da parte del datore di lavoro si utilizzano delle aggettivazioni (continuo, pressante … sino alla pedanteria), che si avvicinano a termini assoluti, in cui perciò non stato ritenuto sufficiente per esonerare da responsabilità il datore di lavoro che questi abbia adeguatamente informato i lavoratori, abbia fornito loro tutti gli strumenti necessari di prevenzione contro gli infortuni e che abbia effettuato di tanto in tanto controlli sull'osservanza da parte degli stessi lavoratori delle misure antinfortunistiche prescritte. Da quest'ultima impostazione il passo è breve per giungere ad una responsabilità penale da posizione: se si verifica un infortunio sul lavoro a causa di una negligenza del lavoratore, il datore di lavoro in ogni caso risponde penalmente, in quanto, a prescindere da eventuali altre violazioni, non ha vigilato a sufficienza o comunque non ha vigilato nel momento in cui si è verificato l'evento lesivo, mentre suo dovere era di sorvegliare in maniera continua. Come è stato autorevolmente osservato la stessa omissione di sorveglianza rende, di regola, prevedibile l'inadempimento. La pronuncia della Cassazione che qui si annota, come detto non si addentra ad argomentare specificatamente riguardo un profilo strettamente connesso con il dovere di sorveglianza, ovvero sul cosiddetto principio di affidamento, malgrado il caso trattato ben si prestava alla sua astratta applicazione, dato che l'assoluzione del datore di lavoro e del R.S.P.P. dei lavoratori è stata fondata sulla macroscopica imprudenza da parte del lavoratore vittima dell'infortunio, su cui invece gli imputati ponevano piena fiducia. Va sottolineato in via preliminare che la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria, negano di regola la possibilità di applicazione del principio di affidamento alla materia della sicurezza sul lavoro, sull'assunto che esso non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia, come certamente è qualificabile quella del datore di lavoro, ed a cascata dei dirigenti e dei preposti, i quali, come detto, nell'assicurare le migliori condizioni possibili alla sicurezza ed igiene sul luogo di lavoro, devono anche farsi carico di prevenire i pericoli che possono insorgere a causa delle condotte negligenti o imprudenti degli stessi lavoratori (si veda Cass. pen., Sez.IV, 27 marzo 2009, n. 18998; Cass. pen., Sez. IV, 29 aprile 2008, n. 22622; Cass. pen., Sez. IV, 10 maggio 2006, n. 33578; Cass. pen., Sez. IV, 3 giugno 1999, n. 12115, Grande. In un caso la suprema Corte ha invece fatto espressamente uso del principio di affidamento – si veda Cass. pen., Sez. IV, 9 febbraio 1993, Giordano; di recente, anche se in maniera non esplicita, si veda Cass. pen., Sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 10712). Come è noto in altri settori quali la circolazione stradale e l'attività medica (specificamente nell'attività di équipe), in cui analogamente vi è lo svolgimento di un'attività pericolosa interagendo con altri soggetti anch'essi tenuti al rispetto di regole volte a prevenire situazioni di pericolo per l'incolumità delle persone, vi sono state di recente alcune aperture della giurisprudenza al riconoscimento del principio di affidamento (si veda in particolare Cass. pen., Sez. IV, 8 ottobre 2009, n. 46741). Tuttavia se da un lato è evidente che il lavoratore, benché soggetto debole del rapporto lavorativo, non può essere considerato totalmente incapace di provvedere a se stesso in vista della propria salute ed integrità fisica, alla stregua di un minore, dall'altro lato non appare possibile imbastire paragoni con situazioni del tutto diverse, quali la circolazione stradale o l'attività medica di équipe, dato che in entrambi i casi non è ravvisabile una posizione di garanzia di un soggetto nei confronti degli altri con cui interagisce ( se non con riguardo in alcune ipotesi al capo equipe nella responsabilità medica). Certamente va sottolineato che la giurisprudenza non lascia alcuna apertura al suddetto principio per quanto riguarda l'ipotesi del concorso di colpa, nel senso che non può invocarsi legittimamente l'affidamento nel comportamento altrui quando colui che si affida sia (già) in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, ciononostante, confida che altri, che gli succeda nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio all'omissione. (si veda ex multis Cass. pen., Sez. IV, 14 gennaio 2014, n.7364; Cass. pen., Sez. IV, 23 novembre 2010, n. 45358; Cass. pen., Sez. IV, 16 novembre 2006, n. 41997). Il problema quindi si pone principalmente nelle ipotesi in cui il titolare della posizione di garanzia non è incorso in alcuna violazione degli obblighi posti a suo carico, salvo in questi casi valutare la portata effettiva del dovere di vigilanza sull'osservanza dei doveri altrui, nella specie quelli incombenti sul lavoratore. Pertanto, come già evidenziato, il dovere di vigilanza del datore di lavoro si intreccia con il legittimo affidamento che egli può fare sull'osservanza delle misure antinfortunistiche da parte del lavoratore; più si amplia l'applicazione del principio di affidamento più si restringe la portata della diligenza richiesta nell'adempiere al dovere di vigilanza. Sicuramente condivisibili sono le osservazioni di coloro che, pur ritenendo in astratto applicabile il principio di affidamento alla materia degli infortuni sul lavoro, hanno operato una serie di puntualizzazioni scaturenti dall'amplissima casistica in materia, che di fatto ne limitano notevolmente la portata. Si è perciò affermato che tale principio non può operare con riguardo a quelle norme cautelari prescriventi misure ispirate al principio di sicurezza obiettiva, cioè non dipendenti dalla collaborazione del lavoratore, proprio perché lo scopo di tutela delle norme stesse è, in generale, esteso sino alla prevenzione degli effetti lesivi (non solo della svista o del malore, ma anche) dell'imprudenza del lavoratore. Si è poi ritenuto necessario distinguere tra le ipotesi in cui il lavoratore compia, violando regole antinfortunistiche, operazioni di una certa percepibile durata e le ipotesi in cui l'inosservanza della specifica disposizione antinfortunistica sia stata repentina ed imprevedibile, così da poter essere ovviabile solo da un ipotetico preposto per ciascun lavoratore, onere escluso dalla stessa giurisprudenza; solo in quest'ultimo caso potrebbe trovare applicazione il principio di affidamento, in quanto il garante non ha avuto occasione di percepire segnali circa il fatto che il lavoratore non si comporterà secondo il suo standard di diligenza. Declinato in questi termini si può ritenere che il principio di affidamento non sia strutturalmente incompatibile con la posizione di garanzia del datore di lavoro, ed anzi offra un utile strumento per individuare i limiti operativi del dovere di vigilanza gravanti su di esso. In conclusione
Tornando al caso giurisprudenziale offertoci dalla sentenza in commento, si può affermare che quell'evento lesivo, di fatto addebitabile all'imprudenza del lavoratore che operava in quota, fosse in concreto prevedibile ed evitabile dal datore di lavoro o dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei lavoratori della ditta svolgente l'appalto? La risposta può essere positiva solo qualora si affermi che il datore di lavoro avesse comunque l'obbligo di vigilare sul lavoratore in maniera incessante, senza interruzioni, o come dice la Cassazione in alcune pronunce citate … fino alla pedanteria. Malgrado le affermazioni nette fatte dalla suprema Corte in più occasioni, si ritiene tuttavia che il giusto punto di equilibrio tra esigenze di prevenzione, a tutela dei beni primari della vita e della salute dei lavoratori, ed i principi costituzionali che impongono una responsabilità penale sorretta dalla colpevolezza, intesa anche quale rimproverabilità soggettiva, possa trovarsi, al di là delle affermazioni di principio, nell'attenta lettura di molte sentenze, dove in realtà la violazione che viene imputata al datore di lavoro non è l'astratta violazione dell'obbligo di vigilare tout court ma è la contestazione di aver consentito l'instaurarsi di una prassi di lavoro all'insegna del lassismo o comunque della scarsa vigilanza sull'osservanza delle norme antinfortunistiche da parte dei lavoratori; in sostanza un livello di disattenzione diffuso e protratto nel tempo, che viene di regola tollerato (se non a volte invogliato) per esigenze di contenimento dei tempi di lavoro. In un siffatto contesto è evidente che non potrebbe certamente trovare spazio il principio di affidamento, perché questo, come già evidenziato, presuppone che chi si affida sia in grado di percepire eventuali segnali di inadeguatezza che provengono dall'altro soggetto con cui interagisce. In altri termini chi vuole far valere in giudizio l'imprevedibilità della condotta negligente o imprudente del lavoratore, deve però in via preliminare dare conto di aver adempiuto, secondo la diligenza dell'homo eiusdem condicionis et professionis, all'obbligo di vigilanza, inteso quale controllo organizzato, frequente, operato seriamente con irrogazioni di eventuali sanzioni, circa l'osservanza delle regole antinfortunistiche da parte dei lavoratori. Compiuto questo primo accertamento, spetterà comunque al giudice una verifica in concreto dei profili della prevedibilità ed evitabilità, hic et nunc,dell'evento concretizzatosi. Non a caso la sentenza in commento utilizza il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del fattore causale, ove non è difficile cogliere il riferimento sotteso al concetto di esigibilità in concreto del comportamento doveroso. Con riguardo specificamente alla rilevanza della condotta colposa del lavoratore negli infortuni sul lavoro si vedano : BELLINA, La rilevanza del concorso colposo, in Cass. pen., 2008, p.1013; FERRO, Responsabilità per infortuni sul lavoro e rilevanza del comportamento del lavoratore, in Dir. Pen. Proc., 2011, p. 1319; GIOVAGNOLI, Il concorso colposo del lavoratore infortunato, tra principio di affidamento ed interruzione del nesso causale, in Mass. Giur. Lav., 2000, fasc. 8/9, p. 986, 1995; PERIN, Colpa penale relazionale e sicurezza nei luoghi di lavoro, in Dir. Pen. Contemp., 2012, fasc. 2, p.113; VOLPE , Infortuni sul lavoro e principio di affidamento in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 101; Ci sia consentito infine il richiamo a MARRA, La colpa del lavoratore e l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro: qualche apertura da parte della Corte di Cassazione, in Cass. pen., 2013, p. 682
Sul tema in generale del principio di affidamento si vedano: BISACCI, Il principio di affidamento quale formula sintetica del giudizio negativo in ordine alla prevedibilità, in Ind. Pen., 2009, 1, p. 195 DI GIOVINE, Il contributo colposo della vittima, Torino, 2003, p. 75; FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, Giuffrè, 1990, p. 284 ss.; MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Giuffrè , 1997, p. 245 ss.. |