Segreto professionale dell'avvocato vs ordine giudiziale di deporre

11 Ottobre 2016

La ratio legis sottesa al diritto di astenersi dal testimoniare per coloro che fanno parte delle categorie professionali contemplate nell'art. 200, comma 1, c.p.p., tra le quali vi è quella degli avvocati, è caratterizzata dalla esigenza di garantire il normale esercizio di quelle particolari professioni. La norma processuale appena ricordata prevede per gli avvocati una chiara ipotesi di esenzione dal generale dovere di testimoniare ...
Abstract

L'avvocato che dopo avere opposto il segreto professionale subisce l'ordine giudiziale di deporre, può perseguire la tutela del proprio jus tacendi?

Il segreto professionale

Si è già detto in altra sede (vedi IANNONE, Il segreto professionale dell'avvocato. Contenuto, limiti, doveri e diritti) come la ratio legis sottesa al diritto di astenersi dal testimoniare per coloro che fanno parte delle categorie professionali contemplate nell'art. 200, comma 1, c.p.p., tra le quali vi è quella degli avvocati, è caratterizzata dalla esigenza di garantire il normale esercizio di quelle particolari professioni.

La norma processuale appena ricordata prevede per gli avvocati una chiara ipotesi di esenzione dal generale dovere di testimoniare (da ritenersi estesa, secondo la lettura operata da Corte cost. 8 aprile 1997, n. 87, ai praticanti la professione forense) nonché per ogni altra persona che risulti far parte dell'ufficio della difesa, tutte le volte in cui il professionista forense (o il soggetto a lui collegabile) richiesto dagli organi inquirenti di fornire informazioni ovvero convocato dinanzi al giudice per testimoniare su ciò che sa in quanto avvocato, dichiara che intende astenersi opponendo il segreto professionale.

Non è un privilegio concesso ad una categoria.

È un diritto potestativo – la cui natura impone che sia il professionista, nell'esercizio della corrispondente facoltà, ad opporre il segreto al giudice il quale giammai può rilevarlo d'ufficio – che ha per fine primario la protezione della libertà della funzione difensiva in particolare mediante la tutela della efficacia dell'esercizio della attività professionale forense e dei fondamentali diritti ad essa funzionali perché degni di rilevanza costituzionale come il diritto di azione e quello di difesa .

È utile premettere che nel tessuto dell'art. 200 c.p.p. non è più rinvenibile l'indispensabilità dell'esame del professionista silente che era invece prevista dall'art. 351, comma 3, c.p.p. abr. (e [l'autorità procedente ]ritiene di non poter proseguire nell'istruzione senza l'esame).

Oggi è appena sufficiente che il giudice ritenga opportuno procedere all'esame testimoniale dell'avvocato, ovvero che una tale eventualità operativa sia semplicemente avvertita in sede procedimentale dal pubblico ministero (art. 362, comma 1, c.p.p. ) e persino dalla polizia giudiziaria (art. 351 c.p.p ).

Il ruolo di controllo del giudice

Posto quindi che non è legalmente possibile pretendere dall'avvocato testimone o informatore la rivelazione di quanto è a sua conoscenza tutte le volte in cui egli opponga il segreto professionale all'interrogante purché ciò che gli si domanda abbia attinenza con l'esercizio della funzione professionale, bisogna anzitutto individuare la reale portata del controllo che il giudice è tenuto ad operare su tale allegazione ove abbia motivo di dubitare della fondatezza della dichiarazione di astensione.

La norma prevede che il giudice provveda agli accertamenti necessari (art. 200, comma 2, c.p.p.).

Il controllo giudiziale deve ragionevolmente avere di mira anzitutto la verifica della qualifica soggettiva della persona che invoca il segreto e, accertata questa, proiettarsi sulla possibile connessione delle notizie richieste e non rivelate con l'esplicazione della addotta funzione difensiva o, più in generale, dell'attività stessa di avvocato ma non anche dell'esistenza di uno specifico mandato defensionale prima che del collegamento con il mandato stesso, non essendo l'esistenza o il mantenimento di quest'ultimo necessari per giungere a considerare oggetto di sapere professionale quanto viene richiesto all'avvocato di rivelare.

È sufficiente l'allegazione da parte del legale di non poter deporre sui fatti e relative circostanze richiesti perché vincolato dal segreto professionale avendoli conosciuti a causa dell'espletamento della funzione stessa (Cass. pen., Sez. V, 5 marzo 2013, n. 17979).

Non appare dunque degna di condivisione quella opinione della dottrina, per vero piuttosto isolata, che riterrebbe il sindacato penetrante al punto di spingerlo sino alla verifica dell'effettivo collegamento con il contenuto dell'incarico professionale della informazione di cui si chiede la rivelazione (STURLA).

L'espressione abbastanza chiara della norma non sembra lasciar spazio a dubbi, tantomeno ad interpretazioni ambigue che possano consentire al giudice di eludere il dovere di compiere ogni concreta verifica facendo semplicemente ricorso ad argomentazioni di carattere logico tratte dagli elementi del processo in cui la testimonianza si pretende che la testimonianza avvenga .

Invero ciò che è necessario è al contempo e per sinonimia, da leggersi come fondamentale, obbligatorio, insopprimibile, inevitabile.

In conclusione

Alla luce di siffatte premesse, l'avvocato che subisce l'ordine di deporre su fatti che egli oppone coperti dal segreto professionale, viene a trovarsi di fronte ad un provvedimento da ritenersi comunque illegittimo, sia se non preceduto da alcun concreto accertamento oppure perché adottato nonostante l'esito favorevole della verifica della fondatezza dell' invocato jus tacendi .

Trattandosi tuttavia di provvedimento non impugnabile (CORDERO. In giurisprudenza, Cass. pen., Sez. IV, 7 gennaio 2011, n. 13369), al medesimo avvocato non resta che mantenere ferma la propria posizione ribadendo il diritto di astenersi dal deporre.

Se ad un siffatto rifiuto di rivelare il segreto farà seguito un denuncia per reticenza cui potrà associarsi il deferimento disciplinare, egli in sede processuale potrà prontamente invocare dinanzi al giudice necessariamente diversoda quello che pretendeva di indurlo a violare il proprio segreto, la scriminante di cui all'art. 384, comma 2, c.p.(Cass. pen. Sez. VI, 11 febbraio 2009, n. 9866); mentre in quella disciplinare potrà legittimamente pretendere il pieno riconoscimento della tutela assicurata dal vigente ordinamento professionale al diritto di tacere su quanto è coperto dal segreto professionale (art. 6, comma 3, l. 247/2012) e dagli artt. 13 e 28 del vigente codice deontologico forense.

Identico rifiuto l'avvocato dovrà opporre al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria non potendo essere obbligato a rendere loro alcuna informazione pur sempre e comunque su ciò che egli ha conosciuto nell'esercizio della professione. E senza che per lui sia necessario allegare o dimostrare l'esistenza di un mandato o di una nomina formale.

Guida all'approfondimento

STURLA, Prova testimoniale, D. pen., X, Torino, 1995, 424.

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