Vizio di mente ed incapacità processuale alla luce della Riforma Orlando

12 Settembre 2017

La Riforma Orlando ­– legge 103/2017 – affronta definitivamente la vexata questio dell'incapace eternamente giudicabile, soggetto la cui condizione di incapacità cronica a partecipare coscientemente al proprio processo determina una sospensione sine die di quest'ultimo, precludendo la pronuncia di una qualsivoglia sentenza, attraverso un intervento normativo sull'incapacità processuale inserito nell'art. 1, comma 21, della novella.
Abstract

La Riforma Orlando – legge 103/2017 – affronta definitivamente la vexata questio dell'incapace eternamente giudicabile, soggetto la cui condizione di incapacità cronica a partecipare coscientemente al proprio processo determina una sospensione sine die di quest'ultimo, precludendo la pronuncia di una qualsivoglia sentenza, attraverso un intervento normativo sull'incapacità processuale inserito nell'art. 1, comma 21, della novella.

Premessa

Principio cardine del diritto di difesa è la personale partecipazione al processo dell'imputato, la quale naturalmente richiede, sul piano dell'effettività, che lo stesso si trovi in grado di prendere parte coscientemente al giudizio che lo riguarda (comma 1 dell'art. 70 c.p.p.).

La legge processuale, allo scopo di garantire l'osservanza del principio, prescrive che nei casi dubbi siano svolti accertamenti, e che sia disposta la sospensione del procedimento quando risulti che «lo stato mentale dell'imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento» (comma 1 dell'art. 71 c.p.p.). Il giudice può disporre comunque nuovi accertamenti revocando la sospensione ogni qual volta che ravvisi l'esigenza, cioè quando acquisisca notizia di variazioni dello stato di mente dell'imputato. In ogni caso, nuovi accertamenti peritali vanno disposti allo scadere del sesto mese dall'ordinanza di sospensione, e poi per ogni semestre, fino a quando non sia possibile disporre la revoca (art. 72 c.p.p.). Questa una delle questioni più spinose che il Legislatore ha voluto risolvere in via definitiva con la riforma Orlando, ovvero la situazione processuale rappresentata da imputati affetti da incapacità processuale c.d. eterni giudicabili. Tema, che negli ultimi anni è stato oggetto di molteplici e alterne pronunce della Corte costituzionale, tra cui significativa appare la sentenza 45/2015, con cui il giudice delle leggi ha finalmente dichiarato l'illegittimità dell'art. 159, comma 1, c.p. nella parte in cui non esclude la sospensione della prescrizione qualora si accerti che l'incapacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo sia irreversibile. La soluzione fatta propria dalla Consulta, pur comportando un netto miglioramento rispetto alla situazione precedente, posto che permetteva che la maggior parte degli eternamente incapaci potessero veder concluso il loro procedimento una volta maturata la prescrizione, lasciava però adito ad alcuni nodi problematici, tra cui la situazione degli imputati per un delitto imprescrittibile, i quali, non potendo giovarsi del dictum della Consulta, rimanevano ancora eterni giudicabili. E dunque, le novità introdotte sul tema dalla legge in commento, contenute nei commi da 21 a 22 della legge 103/2017, si sostanziano proprio nella parziale modifica di due disposizioni codicistiche (gli artt. 71 e 345 c.p.p.) e nella introduzione di un nuovo art. 72-bis c.p.p., il quale oggi rappresenta la previsione principale volta a disciplinare la sorte processuale dei soggetti affetti da incapacità irreversibile.

Vizio di mente e incapacità processuale

L'incapacità processuale può derivare da qualsiasi malattia anche non psichica. La giurisprudenza negli anni, in numerose pronunce, ha elaborato il concetto di malattia che rileva sullo stato di incapacità processuale, in questi termini: «I disturbi della personalità (nevrosi o psicopatie) possono essere apprezzati alla luce delle norme degli articoli 88 ed 89 c.p., con conseguente pronuncia di totale o parziale infermità di mente dell'imputato, a condizione che essi abbiano, riferiti alla capacità di intendere e di volere, le seguenti qualità: globalmente in grado di incidere sulla capacità di autodeterminazione dell'autore del fatto illecito e cioè: consistenza e intensità intese come volere concreto e forte; rilevanza e gravità presente come dimensione importante del disagio stabilizzato; rapporto motivante con il fatto commesso, apprezzato come correlazione psico-emotiva rispetto al fatto illecito» (Cass.pen., Sez. IV, 5 maggio 2011, n. 17305). Per dichiarare l'effettiva sussistenza, in sede processuale penale, del vizio totale o parziale di mente in capo all'imputato, va riscontrata l'incidenza di tali stati patologici sulle capacità intellettive e volitive della persona (Cass. pen., Sez. III, 15157/2010) che devono quindi estrinsecarsi affette da una grave e permanente compromissione (Cass. pen., Sez. VI, 17305/2011). Ciò implica che deve sussistere la contestualità tra l'incapacità e la commissione del fatto criminoso da parte dell'agente, quale dimostrazione pratica della patologia che affligge il soggetto e che la differenza tra vizio totale e quello parziale di mente si fonda su di un dato esclusivamente quantitativo.

Incapacità processuale irreversibile dopo la sentenza 45/2015 della Corte costituzionale

La Corte costituzionale con la sentenza 45/2015 già citata è intervenuta definitivamente eliminando la figura dell'"eterno giudicabile": vale a dire dell'imputato affetto da un'incapacità processuale irreversibile, e nondimeno "congelato" nella sua condizione da una sospensione sine die tanto del processo (artt. 70 s. c.p.p.) quanto del decorso dei termini di prescrizione del reato

La Corte ha ottenuto questo risultato dichiarando l'illegittimità dell'art. 159, comma 1, c.p. nella parte in cui non esclude la sospensione della prescrizione qualora si accerti che l'incapacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo non è suscettibile di mutare. Stabilito che l'incapacità è irreversibile, la sospensione del processo proseguirà (salva la possibilità di emettere una sentenza di proscioglimento, nonché di assumere le prove urgenti e quelle a discarico), mentre l'incapace continuerà ad essere sottoposto al riesame semestrale delle sue condizioni. Nel frattempo però i termini di prescrizione ricominceranno a decorrere e, una volta scaduti, l'incapace sarà prosciolto per estinzione del reato. Con la riforma Orlando che interpola l'art. 72-bis c.p.p. con la revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere.

L'art.72-bis c.p.p.: definizione del procedimento per incapacità irreversibile

L'art. 72-bis c.p.p. dispone: «se, a seguito degli accertamenti previsti dall'articolo 70, risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l'eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca». In tal modo, il Legislatore ha optato per una delle soluzioni alla problematica de qua suggerite da parte della dottrina e fatta propria dalla stessa Corte costituzionale, la quale, nella sua sentenza monitoria n. 23 del 14 febbraio 2013, aveva indicato alle forze politiche come possibile rimedio alla questione degli “eternamente giudicabili” anche la previsione di una sentenza di impromovibilità o improcedibilità dell'azione. A seguito della riforma in esame, quindi, nei casi in cui il giudice accerti che l'imputato non potrà mai partecipare coscientemente al proprio procedimento non ci troveremo più di fronte alla situazione di sospensione protratta sine die del processo, ma ci troveremo di fronte ad una nuova impostazione processuale che individua «nell'incapacità irreversibile l'esistenza di un ostacolo di natura procedimentale che influisce sulla instaurazione o la proseguibilità del rito» e, quindi, in buona sostanza, all'assenza di una condizione di procedibilità. Si tratta di una soluzione assolutamente differente da quella che la Consulta aveva adottato con la sentenza 45/2015 soprarichiamata. Difatti, il giudice non dovrà più attendere il decorso dei termini prescrizionali per far concludere il procedimento degli irreversibilmente incapaci (nei cui confronti non fossero ravvisabili gli estremi per il proscioglimento), potendo invece immediatamente pronunciare sentenza di non luogo o non doversi procedere. La novella legislativa sembra così intervenire sull'improcedibilità dell'azione penale, richiamando l'art. 345 c.p.p. il quale prevede al novellato comma 2 la possibilità di esercitare nuovamente l'azione penale qualora la malattia che ha dato luogo all'incapacità sia venuta meno oppure sia stata accertata erroneamente in perizia.

In conclusione

Appare chiaro come il Legislatore con la scelta di novellare le norme processuali sopra menzionate da un lato ha inteso risolvere il nodo critico dei delitti imprescrittibili o comunque di lunga prescrizione e, da un altro lato, consentito un più ampio e notevole risparmio economico, non dovendosi eseguire ogni sei mesi perizie dall'esito quasi scontato. Non va d'altra parte sottaciuto come, nel contesto della riforma in commento, superare l'impostazione legata al computo della prescrizione pare fosse una scelta obbligata, tenuto conto, dell' allungamento dei termini per dichiarare tale causa di estinzione del reato operato dalla novella, che avrebbe quindi determinato in molti casi se non una vera e propria rinascita della figura degli “eternamente giudicabili”, quantomeno un netto peggioramento per la situazione processuale di tali soggetti. Occorre infine segnalare come il Legislatore, volendo fugare ogni dubbio circa la possibilità di ri-instaurare un procedimento penale nei casi in cui per un errore diagnostico, oppure per altre cause, dopo la conclusione del procedimento emerga che un soggetto prosciolto ex art. 72-bis c.p.p. risulti in realtà capace di partecipare coscientemente al processo, ha provveduto anche a modificare direttamente la norma di cui all'art. 345 c.p.p., la quale regola in via generale le fattispecie in cui sopravvenga una condizione di procedibilità originariamente mancante. Ebbene, non pago di quanto già previsto dal secondo comma di tale disposizione, nel corso dei lavori preparatori della novella in esame il legislatore ha deciso di chiarire espressamente che quanto stabilito dal primo comma dell'art. 345 c.p.p. si applica anche quando, «dopo che è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere a norma dell'articolo 72-bis c.p.p., lo stato di incapacità dell'imputato viene meno o si accerta che è stato erroneamente dichiarato».

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