I criteri di ammissione delle prove scientifiche “nuove” o “controverse”

Claudia Castiglione
13 Luglio 2015

Sempre più spesso assistiamo all'ingresso nel processo penale di metodologie scientifiche “nuove”, ovvero di metodologie la cui affidabilità è ancora “controversa” nell'ambito della comunità scientifica di riferimento.
Abstract

Sempre più spesso assistiamo all'ingresso nel processo penale di metodologie scientifiche “nuove”, ovvero di metodologie la cui affidabilità è ancora “controversa” nell'ambito della comunità scientifica di riferimento.

Il problema che si pone riguarda il criterio di ammissibilità delle stesse: dovrà ritenersi applicabile il criterio previsto per le prove atipiche ex art. 189 c.p.p., ovvero è sufficiente il vaglio previsto dall'art. 190 c.p.p., riconducendo tali metodi “nuovi” o “controversi” all'interno del genus perizia?

Prove scientifiche “nuove” e “controverse”

Per prova scientifica “nuova” si intende uno strumento probatorio scientifico o tecnico che, “pur se messo a punto da ricerche condotte con riconosciute competenze, non è stato ancora sottoposto a un significativo vaglio nella comunità degli esperti del settore di appartenenza”, ovvero, in riferimento alla frequenza con cui viene utilizzato in campo giudiziario, perché sebbene “verificato dalla comunità scientifico - tecnica con studi sufficientemente coltivati, esso non ha avuto modo di entrare nell'esperienza giudiziaria o, in questa, ha conosciuto solo qualche sporadica applicazione”; per prova scientifica “controversa” si intende, invece, lo strumento probatorio che “sia oggetto di giudizi di segno opposto o sensibilmente discordante circa la sua validità scientifico-tecnica ovvero quando, dapprima accreditato da significative opinioni degli esperti, sia poi rimesso in discussione” nella comunità scientifica o in ambito giudiziario (Dominioni).

La prova atipica

L'art.189 c.p.p. disciplina le ipotesi di ammissione della prova “atipica”. L'ammissibilità e l'assunzione di tale mezzo di prova sono subordinate alla verifica della sua idoneità ad assicurare l'accertamento dei fatti che si intendono provare; inoltre, deve trattarsi di mezzi di prova che non pregiudichino la libertà morale della persona eventualmente interessata dall'accertamento. Prima di procedere all'ammissione, il giudice deve sentire le parti sulle modalità di assunzione della prova stessa.

In dottrina si sono distinte tre diverse accezioni di prova atipica: in un primo senso, si parla di prova innominata, cioè di un mezzo di prova che non è disciplinato dalla legge e che consente di pervenire ad elementi diversi rispetto a quelli perseguibili mediante i mezzi di prova tipici; in un secondo senso, si parla di prova irrituale cioè di mezzo di prova che pur non rientrando nel catalogo di quelli previsti dal codice, mira ad ottenere un risultato probatorio tipico; infine, si parla di prova anomala quando viene utilizzato un mezzo di prova tipico per acquisire elementi probatori alla cui formazione è preordinato un altro mezzo di prova anche lui tipico.

L'ammissione della prova atipica, nelle diverse accezioni, è sempre soggetta alle condizioni già viste; inoltre, con riferimento alla prova irrituale o anomala, occorre specificare che esse non devono costituire l'escamotage per l'introduzione di una prova tipica attraverso il raggiro delle garanzie preposte dalla legge nel disciplinare i mezzi tipici.

L'ammissione della prova scientifica nell'ordinamento statunitense

La giurisprudenza statunitense fino al 1993 condizionava l'ammissione della prova scientifica alla generale accettazione da parte della comunità scientifica di riferimento del metodo di indagine che si intendeva utilizzare: tale principio era stato espresso per la prima volta nella nota sentenza Frye del 1923.

Con il processo Daubert vs Merrel Dow Pharmaceuticals, però, avviene un'inversione di tendenza: lo standard di ammissibilità previsto dalla sentenza Frye viene abbandonato.

Negli anni '70 il Congresso degli Stati Uniti d'America approva il testo delle Federal Rules of Evidence elaborate da giudici della Corte Suprema: la regola 702 in tema di testimonianza dell'esperto stabilisce che lo stesso può testimoniare in forma di parere se le sue conoscenze scientifiche, tecniche o di altra specializzazione aiuteranno la giuria ad interpretare le prove o un fatto controverso.

Il giudice del processo Daubert vs Merrel Dow Pharmaceuticals, però, nel valutare l'affidabilità del metodo scientifico utilizzato dall'esperto al fine di ammetterlo tra i mezzi di prova, non si limita alla verifica del grado di accettazione di cui questo gode nella comunità scientifica, ma prende in considerazione altri e diversi principi:

  • possibilità di sottoporre la tecnica scientifica a verifica empirica, falsificarla e confutarla;
  • esistenza di una revisione critica degli esperti di settore (c.d. peer review);
  • indicazione del margine di errore noto o potenziale della tecnica seguita;
  • cui può aggiungersi, non risultando necessario, il consenso della comunità scientifica di riferimento.

Il giudice statunitense è chiamato ad effettuare tale valutazione secondo un principio di libero convincimento, che lo avvicina alla figura del giudice peritus peritorum.

È utile ricordare come la struttura del processo penale statunitense incida sui requisiti per l'ammissione della prova: il trial judge (il giudice togato) è chiamato a decidere l'ammissibilità dei mezzi di prova nel contraddittorio tra le parti, ma in assenza della petit jury (giuria popolare) cui resta l'esclusivo compito di decidere sul fatto servendosi dei mezzi di prova ammessi. È il giudice togato a decidere quali mezzi di prova saranno presentati alla giuria. In tal modo si scongiura il rischio che il soggetto chiamato a “valutare” la prova, sia già contaminato dal precedente giudizio sulla “idoneità del mezzo di prova”.

Alla sentenza Daubert seguiranno altre due importanti pronunce della Corte Suprema degli Stati Uniti: la sentenza General Electric Co. vs Joiner (1997) e la sentenza Kumho Tire Company, Ltd vs Carmichael (1999).

Con la prima pronuncia, nel tentativo di limitare un abuso di discrezionalità da parte del giudice nella valutazione dell'affidabilità del mezzo di prova scientifico, si afferma che il giudice deve tenere in considerazione non solo la metodologia utilizzata ma anche i risultati che l'esperto ricava nel caso concreto: al fine di verificare la correttezza logica tra le argomentazioni dell'esperto e le conclusioni cui è pervenuto.

Con la seconda, si riconosce l'applicabilità di tale potere discrezionale non solo in riferimento alla testimonianza esperta che presupponga conoscenze tecniche o scientifiche ma anche a quella che presupponga conoscenza “altrimenti specializzate” e ciò in quanto la regola 702 non distingue tra le varie tipologie di conoscenze. Il passaggio è fondamentale: fino a questa pronuncia non era mai stato oggetto di sindacato la validità oggettiva degli enunciati specialistici non scientifici basati sull'esperienza.

In risposta alla sentenza Daubert e a quelle successive che da essa originano, nel 2000 la regola 702 è stata modificata con l'aggiunta di ulteriori criteri di ammissibilità per la testimonianza esperta:

  • deve essere fondata su fatti e dati sufficienti e rilevanti;
  • deve costituire il prodotto di principi e metodi affidabili;
  • tali metodi e principi devono essere stati applicati ai fatti in maniera adeguata.
La prova scientifica “nuova” o “controversa” nell'ordinamento italiano

In tema di ammissibilità della prova scientifica “nuova” o “controversa” si riscontrano due diversi orientamenti.

Secondo un primo orientamento (Dominioni) al fine di ammettere tali prove è necessaria l'applicazione dei criteri ricavabili dalla citata sentenza Daubert. Nell'ambito dell'ordinamento italiano, la norma che consente di effettuare un sindacato simile è l'art. 189 c.p.p., il quale condiziona l'ammissibilità della prova al contraddittorio tra le parti circa le modalità della sua assunzione.

Si ritiene che questo meccanismo consenta un vaglio più approfondito rispetto a quello previsto ex art. 190 c.p.p.: tale norma infatti, è stata concepita nel dichiarato intento di evitare che la fase dell'ammissione si traducesse in una valutazione anticipata della prova.

Altro orientamento (Ubertis), nel ritenere superfluo il vaglio di cui all'art. 189 c.p.p., ha affermato l'idoneità e la sufficienza del vaglio di ammissibilità di cui all'art. 190 c.p.p. anche con riferimento alle prove scientifiche nuove.

Sulla scia di tale ultimo orientamento, v'è chi ritiene (Lorusso) come l'applicabilità dell'art. 189 c.p.p., oltre a risultare non indispensabile, rechi una controindicazione costituita dal rischio che la prova basata su metodi scientifici nuovi sia necessariamente considerata atipica, potendo, invece, rientrare tra i mezzi di prova tipici previsti dal legislatore (ad es. perizia).

La Bloodstain Pattern Analysis (BPA) e il Metodo IAT (IAT e TARA)

Negli ultimi anni, nell'ambito dell'esperienza processuale italiana, si è assistito sempre più frequentemente all'utilizzo di due diversi metodi scientifici: la Bloodstain Pattern Analysis (BPA), che studia le caratteristiche delle tracce di sangue rinvenibili sulla scena del crimine al fine di ricostruire tempi, modalità e responsabilità del delitto; l'Implicit Association Test (IAT) e il Time Antagonistic Response Alethiometer (TARA), che sono metodi di indagine della memoria autobiografica.

In particolare, la BPA consiste nell'interpretazione delle macchie di sangue riscontrate sulla scena del delitto. Le macchie, dopo essere state classificate, vengono interpretate al fine di individuare:

  • il tipo di impatto (bassa/media/alta velocità) e la direzione del colpo;
  • il numero di colpi inferti;
  • l'oggetto con cui i colpi sono stati inferti;
  • la posizione della vittima, dell'aggressore e degli altri elementi materiali presenti sui luoghi al momento dell'aggressione (attraverso il calcolo dell'angolo di impatto);
  • i successivi movimenti della vittima, dell'aggressore e degli altri elementi.

Gli accertamenti necessari vengono effettuati attraverso l'utilizzo di leggi scientifiche proprie della matematica, della geometria, della fisica, della chimica, della biologia.

In Italia la BPA è stata utilizzata per la prima volta nel corso del processo Erika e Omar, responsabili del duplice omicidio della madre e del fratello della prima: in quel caso il metodo BPA venne utilizzato al solo fine di ricostruire la dinamica dell'evento delittuoso, essendo stata accertata la responsabilità penale dei due imputati con altri mezzi probatori.

Diversi anni dopo, la medesima tecnica viene nuovamente utilizzata in ambito processuale ma questa volta al fine di provare la penale responsabilità dell'unica imputata per l'omicidio del piccolo Samuele Lorenzi, Annamaria Franzoni. Ebbene, in quell'occasione l'ingresso di tale nuovo metodo scientifico avviene attraverso il mezzo di prova tipicamente previsto dal codice di procedura per le prove che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche: la perizia. Pertanto, il vaglio sull'ammissibilità è stato effettuato dal giudice prendendo in considerazione gli artt. 190 e 220 e ss. c.p.p.

Sul punto la Corte di cassazione ha statuito che “La Blood Pattern Analysis non può considerarsi una prova atipica, bensì una tecnica d'indagine riconducibile al genus della perizia, e pertanto non è necessario che la sua ammissione sia preceduta dall'audizione delle parti ex art. 189, ult. parte, c.p.p.” (Cass. pen., Sez. I, 21 maggio 2008, n. 31456). In motivazione, la Corte ha infatti spiegato che la BPA non si basa su leggi scientifiche nuove od autonome, bensì sull'applicazione di quelle, ampiamente collaudate da risalente esperienza, proprie d'altre scienze che, in quanto universalmente riconosciute, non richiedono specifici vagli d'affidabilità.

Quanto al metodo IAT (IAT e TARA), questo permette, se sono disponibili due ipotesi contrastanti relativamente ad una memoria autobiografica, di identificare la memoria corretta con un elevato livello di precisione (l'attendibilità del test è stata calcolata intorno al 92%). In ambito processuale penale, il soggetto da esaminare è sottoposto ad una batteria di domande che descrivono il fatto/ricordo da accertare secondo l'ipotesi accusatoria e la corrispondente ipotesi difensiva: l'esaminato deve rispondere vero/falso, ovvero tesi accusa/tesi difesa. A tal fine per la riuscita del test è necessario che l'esaminato collabori. I tempi di risposta vengono calcolati mediante apposito algoritmo che permette di affermare la veridicità o meno del ricordo.

Il suo ingresso nell'ambito processuale italiano è avvenuto con una sentenza emessa dal tribunale di Como nel maggio 2011: è il caso di una donna ritenuta colpevole dell'omicidio della sorella e del tentato omicidio della madre. L'imputata ha goduto di una riduzione della pena da 30 a 20 anni di carcere, di cui almeno 3 da trascorrere presso un istituto di ricovero e cura, poiché dichiarata parzialmente capace di intendere e di volere. Il giudice, pur avendo disposto una perizia il cui esito dichiarava la piena capacità di intendere e di volere dell'imputata, ha ritenuto di condividere il parere del consulente tecnico della difesa.

La consulenza tecnica svolta da quest'ultimo era consistita, oltre che nell'esecuzione dei consueti test psichiatrici e neuropsicologici, nel somministrare all'imputata i test IAT e TARA: il giudice ha ritenuto maggiormente affidabili i risultati ottenuti con l'uso di tale metodologia, nonostante la natura di prova scientifica ancora “controversa”. Anche in questo caso, il giudice ha consentito l'ingresso nel processo di un metodo di indagine scientifico non solo “nuovo”, ma ancora “controverso” persino nell'ambito della comunità scientifica di riferimento, attraverso un mezzo di prova tipico (la consulenza tecnica), quindi sottoposto al vaglio di ammissibilità ex artt.190 e 220 ss. c.p.p..

In conclusione

In conclusione, è possibile affermare che non esiste una linea interpretativa ed operativa in materia di ammissione della prova scientifica nuova o controversa.

Come pure la dottrina (Lorusso) ha affermato, non tutte le prove scientifiche possono considerarsi atipiche, così come non tutte le prove atipiche sono prove scientifiche (si pensi ai riconoscimenti fotografici o alle video riprese: entrambi mezzi di prova che pur non previsti dal codice di procedura penale fanno ingresso nel processo quali prove atipiche).

Si ritiene che i criteri di ammissibilità generalmente previsti per tutte le prove ai sensi dell'art. 190 c.p.p. siano sufficienti allo scopo: evitare l'ingresso in dibattimento di prove manifestamente superflue o irrilevanti, nonché vietate dalla legge. E questo deve valere anche per le prove scientifiche nuove o controverse. Il legislatore nel disciplinare l'ingresso in dibattimento del sapere scientifico/tecnico non ha operato distinzioni tra metodi ampiamente riconosciuti dalla comunità scientifica di riferimento e metodi di nuova generazione ma ha predisposto due diversi meccanismi: la perizia e la consulenza tecnica. È nel successivo passaggio, ossia nella fase di valutazione della prova, che il giudice deve compiere un'attenta analisi: sia del metodo di indagine utilizzato (al fine di verificare l'idoneità e la preparazione del soggetto che ha svolto l'indagine e del metodo stesso a dare risultati che rispondano ai requisiti di scientificità) che dei risultati cui il perito/consulente tecnico è pervenuto. Se la valutazione effettuata non dovesse essere positiva, il giudice potrà disattenderne i risultati.

In ogni caso, qualunque sia la norma che il giudice ritiene di applicare al momento di decidere sull'ammissione di un mezzo di prova scientifico nuovo o controverso, si deve condividere l'opinione di chi considera buona prassi riconoscere alle parti la possibilità di esprimere in contraddittorio il loro parere sulla idoneità del metodo di indagine in oggetto, in un apposito incidente sul metodo scientifico (Tonini).

Guida all'approfondimento

Cavini, Il riconoscimento informale di persone o di cose come mezzo di prova atipico, DPP 1997.

Dominioni, La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifico-tecnici nuovi o controversi e di elevata specializzazione, Milano, 2005.

Lorusso, La prova scientifica, in La prova penale, vol.I, diretto da Gaito, Torino.

Nobili, Sub art.189 c.p.p., in Comm Chiavario, II ed., Torino, 398.

Tonini, La prova scientifica, in Spangher, Trattato II.1.

Ubertis, La prova scientifica e la nottola di Minerva, in AA. VV. La prova scientifica nel processo penale, a cura di De Cataldo Neuburger, Padova, 2007.

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