Causalità (rapporto di causalità materiale)Fonte: Cod. Pen Articolo 40
11 Novembre 2015
Inquadramento
Il codice penale dedica due articoli al tema della causalità, il primo sotto la rubrica Rapporto di causalità (art. 40 c.p.) e il secondo sotto la rubrica Concorso di causa (art. 41 c.p.). Nel diritto penale vigente, l'esistenza di un rapporto di causalità è la premessa indispensabile per poter attribuire un fatto criminoso ad un soggetto. Il nesso di causalità rappresenta l'elemento che lega l'evento, dannoso o pericoloso, alla condotta, essendo il primo conseguenza della seconda (azione o omissione). Il legame eziologico tra la condotta commissiva o omissiva e l'evento rappresenta la condizione imprescindibile per l'attribuibilità del fatto illecito e conseguentemente del danno al soggetto. Perchè un reato possa dirsi perfetto occorre necessariamente un nesso causale tra la condotta posta in essere e l'evento da essa determinato;occorre che l'evento si possa riconnettere alla condotta di un determinato soggetto, in modo che possa essergli attribuita la responsabilità di averlo provocato.
Il nesso di causalità è la relazione che lega in senso naturalistico un atto, o un fatto, e l'evento che deriva da esso. Se si tratta di un atto, questo può prendere le forme di una determinata condotta umana e il prodotto della stessa viene giuridicamente individuato come evento. Se si tratta di un fatto, questo viene considerato irrilevante per il diritto penale. La necessità del nesso di causalità tra condotta ed evento è sancita, innanzi tutto, dall'art. 40 c.p. a mente del quale nessuno può essere chiamato a rispondere di un fatto di reato se l'evento dannoso o pericoloso da cui il reato dipende non sia causa della sua azione o della sua omissione. Fanno parte del nesso causale sia gli effetti immediatamente seguiti alla causa (causalità immediata), sia gli effetti più lontani che conseguono mediante il succedersi di fenomeni intermedi collegati fra loro come gli anelli di una catena (causalità mediata).
Problematiche
Il concetto di causa è comunemente utilizzato nei più diversi campi della scienza, pertanto non esiste un concetto puro di causalità che sia valido per tutte le scienze e per tutti i linguaggi. Per questo motivo nel diritto penale il problema causale deve essere affrontato a partire dal punto di vista da cui si pone il giudice, al quale interessa la possibilità di individuare un criterio di imputazione causale che consenta di stabilire se e a quali condizioni l'evento lesivo possa considerarsi opera dell'uomo. L'art. 40 c.p. non fornisce delle indicazioni decisive in proposito ma si limita a stabilire che il compito del giudice penale è quello di appurare se tra il comportamento dell'uomo e l'evento lesivo ci sia un collegamento causale che renda applicabile la norma penale. Il problema che nasce, quindi, è che alla determinazione dell'evento dannoso o pericoloso da cui dipende l'esistenza del reato, concorrono numerosi fattori causali e tra di essi si colloca la condotta del presunto autore del reato. Dottrina e giurisprudenza si sono interrogate a lungo sull'individuazione dei criteri per individuare la sussistenza del nesso di causalità tra l'evento e la condotta. Ai fini della verificazione dell'elemento oggettivo del fatto di reato e, in particolare, al fine di ritenere integrato il requisito del nesso di causalità, occorrerà stabilire se sia sufficiente che la condotta dell'agente rappresenti una delle condizioni del verificarsi dell'evento dannoso o pericoloso sul piano strettamente naturalistico ovvero se sia necessario un quid pluris e cioè che l'evento dannoso o pericoloso rientri in un processo causale dominabile in quanto conforme alle conoscenze della migliore scienza ed esperienza del momento. Tali aspetti problematici relativi al nesso di causalità sono affrontati dal codice nell'art. 41 c.p. Questa norma è stata oggetto di molte interpretazioni e le principali teorie sulla causalità sono principalmente quattro: Teoria della conditio sine qua non o "dell'equivalenza delle cause", in base alla quale è causa di un evento, l'insieme delle condizioni necessarie e sufficienti a produrlo; come tali, ognuna di esse è conditio sine qua non dell'evento ed esse, ai fini della produzione dell'evento stesso, si equivalgono. Le cause concorrenti, sufficienti da solea determinare l'evento, costituiscono tutte causa dello stesso, per cui, al fine di ritenere sussistente il nesso di causalità, è sufficiente che l'agente abbia realizzato una condizione qualsiasi dell'evento. Tale teoria porta a considerare causa dell'evento la condotta umana anche quando vi sia stato il concorso di condizioni estranee del tutto eccezionali non solo preesistenti o concomitanti ma anche sopravvenute; per limitare l'eccessiva estensione del concetto di causa e delle conseguenze, la giurisprudenza ha convenuto che solo le condizioni che si pongono in termini di certezza quali antecedenti causali dell'evento possono assumere rilevanza. Teoria della causalità adeguata, secondo la quale, ai fini della sussistenza del nesso di causalità, è necessario che il soggetto agente abbia causato l'evento con un'azione proporzionata (adeguata), idonea a determinare l'effettosulla base dei criteri di normalità valutati alla stregua della comune esperienza, ritenendo come non causati dalla condotta gli effetti straordinari o atipici. La giurisprudenza non ha mai accolto con favore questa teoriaper via degli eccessivi limiti posti alla responsabilità penale, in ragione dell'esclusione della riconducibilità alla condotta dell'agente degli eventi qualificati come improbabili, anche se non eccezionali. Teoria della causalità umana, secondo la quale la condotta umana è causa dell'evento quando ne costituisce conditio sine qua non e l'evento non sia dovuto all'intervento di fattori eccezionali. Possono ricondursi alla condotta del soggetto solamente gli eventi che lo stesso può controllare grazie ai suoi poteri conoscitivi e volitivi escludendo quindi gli eventi eccezionali. Tale teoria è stata ben accolta in quanto sembra essere supportata dal secondo comma dell'art. 41 c.p.
Le tre teorie in esame, tuttavia, non risolvono il problema causale nell'ipotesi in cui non si conosca in anticipo che una certa condotta è causa di un dato evento. Pertanto , in tal caso il criterio di identificazione del nesso causale è quello enunciato dalla Teoria della causalità scientifica secondo la quale il nesso di causa va indagato sulla base delle specifiche conoscenze scientifiche nei diversi settori delle attività umana.
Tradizionalmente, per distinguere azione ed omissione si ricorre al c.d. criterio normativo della regola cautelare violata, in base al quale, qualora si viola una norma che pone un divieto si verte nell'ambito della condotta attiva, qualora invece ad essere violata è una norma che pone un comando ci si trova di fronte ad un'omissione. In linea generale la condotta è attiva se il processo causale è stato attivato dal soggetto agente o è stato comunque da lui accelerato, mentre è omissiva se il processo causale è già in corso e il soggetto non è intervenuto per bloccarlo o rallentarlo. L'art. 40 c.p. fa esplicito riferimento non solo alla condotta attiva ma anche alla condotta omissiva. Il non impedire ciò che si ha la capacità fisiopsichica e l'obbligo giuridico di impedire è la caratteristica comune della causalità attiva e della causalità omissiva. Entrambe sono accertate con il medesimo metodo logico, il controfattuale che scaturisce dalla verifica della condizione necessaria dell'evento o dalla condizione che l'avrebbe in concreto impedito. Il principio esposto dall'art. 40, comma 2, c.p. e cioè che non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, va interpretato in termini solidaristici, alla luce dell'art. 2 Cost., il quale, ispirandosi al principio del rispetto della persona umana nella sua totalità, esige l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (Cass. pen. Sez. IV, 4 febbraio 2015, n. 11136). Il giudizio controfattuale deve essere compiuto evitando di contaminare il giudizio con la considerazione di cause alternative ipotetiche diverse da quelle che l'azione dovuta è in grado di contrastare, ostacolare o impedire. L'omissione è un avvenimento del passato, una condizione statica che influenza il corso degli avvenimenti; non ogni omissione è equiparata all'azione ma soltanto una determinata tipologia di omissioni cioè quella relazionata a un'azione che si ha l'obbligo giuridico di compiere, quindi il presupposto essenziale della causalità omissiva è la sussistenza di un obbligo giuridico di impedire l'evento. Nel caso della causalità omissiva non basta il riscontro di un semplice aumento del rischio in dipendenza dell'omissione ma occorre la certezza logico-razionale che l'evento non si sarebbe realizzato in quel momento e in quelle medesime circostanze. Il giudice dovrà fare ricorso ad un procedimento di aggiunta mentale ipotizzando realizzata la condotta mancata da parte dell'omittente e rilevando se l'evento si sarebbe ugualmente verificato. Perché possa assumere rilevanza per il diritto penale, l'omissione deve essere causale in fatto e contraria ad una norma giuridica in diritto. I reati omissivi si dividono in propri e impropri; nei primi il reato si perfeziona con la mera omissione della condotta dovuta, sono reati di mera condotta nei quali non esiste un evento in senso materiale. Nei reati omissivi impropri invece, si verifica un evento di pericolo o di danno in conseguenza dell'omissione della condotta dovuta. Nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. (Cass. pen., Sez.IV,19 marzo 2015, n. 22378)
La sentenza Franzese
Le Sezioni unite (sentenza 30328/2002, Franzese) accolgono la teoria condizionalistica o della equivalenza delle cause, come unico criterio idoneo a consentire l'imputazione oggettiva dell'evento lesivo al soggetto agente. Precisano, però, che il giudizio controfattuale, indispensabile per stabilire se la condotta umana è stata o meno condizione necessaria dell'evento, non va effettuato sulla base della libera convinzione del giudice o della sua intuizione, essendo invece necessaria la sussunzione del singolo evento, opportunamente ridescritto nelle sue modalità tipiche e ripetibili, sotto leggi scientifiche esplicative dei fenomeni. Solo in questo modo, infatti, si ritiene possa essere scongiurato il rischio che il richiamo alla condicio sine qua non si risolva in un ossequio puramente formale degli artt. 40 e 41 c.p., dando luogo invece a continui arbitri da parte del potere giudiziario; esprimono, inoltre, il netto rifiuto alla possibilità di ricorrere al criterio dell'aumento o della mancata diminuzione del rischio.
Nella SentenzaFranzese si sostiene con chiarezza che, ai fini dell'accertamento del nesso causale, a prescindere dalla diversità che connota azione ed omissione, vi è un unico criterio metodologico da seguire, rappresentato proprio dalla teoria condizionalistica integrata dalla sussunzione sotto leggi scientifiche. Uno dei maggiori pregi della sentenza Franzese è stato individuato proprio nella scelta di distinguere tra il concetto di causa, inteso come condicio sine qua non, e i metodi per la sua verifica processuale; infatti, le Sezioni unite affermano che l'unica certezza raggiungibile dal giudice è quella processuale, ossia quella certezza che si raggiunge tramite il ricorso ai criteri di valutazione della prova previsti dall'ordinamento penale e, all'esito dei quali, si possa affermare che il rapporto causale sussiste o meno in termini di alto grado di credibilità razionale o di elevata probabilità logica. Il giudice è chiamato a considerare tutte le emergenze processuali acquisite e a valutarle impiegando criteri di ordine logico, presupponendo la completezza e il rigore delle indagini processuali stesse. Inoltre, il giudice è chiamato ad accertare la correttezza e la pertinenza della legge di copertura rispetto al caso concreto, nonché l'effettiva riconducibilità di quest'ultimo alla legge stessa. Le Sezioni unite hanno inoltre specificato che il criterio in base al quale ritenere o meno accertata la responsabilità dell'imputato è, secondo il nostro ordinamento, quello dell'oltre ogni ragionevole dubbio, affermando che ciò che acquista rilevanza, è la valutazione del materiale probatorio relativo alle circostanze del caso concreto nonché l'esclusione di fattori causali alternativi, valutazione che consente il raggiungimento di quell'alta probabilità logica o certezza processuale.
Il nesso causale è l'elemento fondamentale per accertare la responsabilità professionale del medico. Affinché si possa parlare di responsabilità medica, bisogna provare il nesso causale e cioè bisogna dimostrare che quelle lesioni o quella morte sono causa dell'errore del medico o meglio della sua attività medica. L'accertamento del rapporto di causalità nei casi di responsabilità professionale colposa medica ha sempre posto particolari problemi interpretativi sia in dottrina che in giurisprudenza. Da un lato, infatti, l'opera del medico si innesta di norma su un quadro clinico già compromesso, sicché sorge il problema di stabilire se una condotta alternativa del sanitario avrebbe potuto davvero evitare il peggioramento della malattia; dall'altro lato la malattia è spesso un fenomeno multifattoriale, concausato da predisposizioni soggettive o concause esterne rispetto all'operato del medico. Di qui la difficoltà di stabilire se il peggioramento delle condizioni di salute possa effettivamente ascriversi eziologicamente alla condotta del sanitario, o se esso piuttosto non si sarebbe verificato in ogni caso. Le Sezioni unite, con la sentenza Franzese, hanno chiarito che non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificare la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica. Il giudice, quindi, sarà sempre tenuto ad accertare positivamente, attraverso un ragionamento adeguato e logicamente coerente, che se l'azione doverosa omessa fosse stata realizzata, si sarebbe impedita la verificazione dell'evento di reato che, solo così, può essere oggettivamente imputato alla condotta omissiva dell'agente, quando il nesso tra omissione ed evento non sia interrotto da cause estrinseche del tutto anomale ed eccezionali che si collochino al di fuori della normale e ragionevole prevedibilità. Il primo effetto pratico, quindi, della sentenza delle Sezioni unite è stato certamente quello di riaffermare la centralità del giudice nella valutazione delle singole responsabilità mediche. Alla luce della sentenza Franzese la giurisprudenza ha, peraltro, potuto approfondire ulteriormente i profili di responsabilità del sanitario. In particolare si fa riferimento all'obbligo di garanzia, in forza del quale il sanitario assume l'obbligo di curare nel modo migliore il paziente e la cui violazione rappresenta la conditio sine qua non della responsabilità a titolo di colpa; alla prevedibilità di un evento potenzialmente dannoso per il paziente, tale da imporre al sanitario di mettere in atto qualsiasi attività al fine di evitare il suo verificarsi ed alla regola di condotta che deve guidare la valutazione del giudicante sull'accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva del sanitario e l'evento dannoso. Quindi in tema di causalità commissiva tra atto medico e danno al paziente, i principi affermati dal giudice di legittimità sono che il nesso eziologico va accertato col criterio della “causalità adeguata” che vi è sussistente ogni qual volta sia “ragionevole” ritenere che la condotta del medico abbia causato il danno e quando vi sia in tal senso anche solo una mera probabilità scientifica, corroborata però da ulteriori elementi oggettivi. La giurisprudenza, poi, è unanime nel ritenere che è configurabile il nesso causale fra il comportamento omissivo del medico ed il pregiudizio subito dal paziente qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico si ritenga che l'opera del medico, se correttamente e puntualmente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili probabilità di evitare il danno verificatosi . Nei reati omissivi impropri, la valutazione concernente la riferibilità causale dell'evento lesivo alla condotta omissiva che si attendeva dal soggetto agente, deve avvenire rispetto alla sequenza fenomenologica descritta nel capo d'imputazione, di talché, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice di merito in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale. (Cass. pen.Sez.IV,13 giugno 2014, n.30469) Casistica
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