Particolare tenuità del fatto e guida in stato di ebbrezza: lo statuto dell’art. 131-bis c.p. secondo le Sezioni unite

Alessandro Trinci
14 Aprile 2016

La sentenza delle Sezioni unite n. 13681/2016, ha definito alcune importanti questioni connesse all'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. alla guida in stato di ebbrezza. L'Autore analizza le varie tematiche collocandole nel quadro del dibattito dottrinario e giurisprudenziale maturato sul punto, soffermandosi soprattutto sulla portata applicativa della causa di non punibilità.
Abstract

La sentenza delle Sezioni unite n. 13681/2016, prendendo spunto dal quesito sollevato dall'ordinanza di rimessione (applicabilità dell'art. 131-bis c.p. alla guida in stato di ebbrezza alcolica), ha definito alcune importanti questioni connesse al nuovo istituto.

L'Autore analizza le varie tematiche collocandole nel quadro del dibattito dottrinario e giurisprudenziale maturato sul punto, soffermandosi soprattutto sulla portata applicativa della causa di non punibilità, estesa dalla pronuncia in esame a tutte le categorie di illeciti, senza preclusioni astratte.

La particolare tenuità del fatto nella guida in stato di ebbrezza

Da subito è apparsa problematica la non punibilità per particolare tenuità del fatto della guida in stato di ebbrezza, trattandosi di un reato di pericolo astratto con una soglia di punibilità (tasso di alcool nel sangue superiore a 0,8 g/l).

Alcuni dei primi commentatori della novella operata dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 si sono orientati in senso negativo, ritenendo impraticabile un giudizio sull'entità dell'offesa per tale tipologia di reati, avendo già lo stesso legislatore provveduto a stabilire soglie quantitative di rilevanza. La presenza di valori-soglia è stata, infatti, intesa come una sorta di presunzione legale di rilevanza penale dei fatti che si collocano al di sopra delle soglie stesse, incompatibile con l'istituto introdotto nell'art. 131-bis c.p. (EPIDENDIO; PADOVANI).

La soluzione non convince, in quanto confonde la funzione della soglia di punibilità, che non è quella di rendere il fatto offensivo, bensì tipico. In altre parole, il legislatore, fissando delle soglie di sbarramento, seleziona, nell'ambito dei comportamenti umani che intende punire, quelli che assumono un grado di offensività astratta tale da giustificare la sanzione penale. Tale selezione tipizza i comportamenti sopra soglia, estromettendo dall'alveo penale quelli che si collocano sotto i limiti, che risultano quindi atipici. La fissazione di soglie tecniche risponde quindi ad una scelta legislativa tesa alla formulazione delle fattispecie penali sulla base del canone dell'offensività in astratto.

La causa di non punibilità in esame ha, invece, la diversa funzione di rendere esenti da pena quei comportamenti tipici che, pur costituendo reato, non sono meritevoli di punizione per la loro scarsa offensività in concreto. Non può escludersi quindi che anche la commissione di un reato di pericolo astratto (o presunto) con soglia di punibilità possa realizzarsi in concreto in modo particolarmente tenue. La soglia di punibilità, infatti, costituisce il quantum minimo di offesa oltrepassato il quale risulta integrato il reato; ma una volta superata tale soglia il pericolo è comunque graduabile e non è irragionevole distinguere a seconda che i limiti legali siano superati di poco oppure di molto.

Naturalmente, la sola ridotta entità del superamento della soglia non potrà rendere "automatico" il riconoscimento della nuova causa di non punibilità (pena, altrimenti, la neutralizzazione di fatto delle soglie legislative di rilevanza penale), essendo piuttosto necessario, anche in ragione del bene collettivo protetto (la sicurezza nella circolazione stradale), ponderare l'esistenza di elementi concreti ulteriori da valutare nell'ambito dei parametri di cui all'art. 131-bis c.p.: si pensi, ad esempio, alla conduzione, per pochi metri, di un veicolo, in modo regolare e a passo d'uomo, in una strada di campagna deserta da parte di un soggetto incensurato, al quale venga riscontrato un tasso di alcool nel sangue pari a 0,81 g/l.

Va aggiunta un'ulteriore considerazione. La possibilità per l'interprete di valutare l'entità dell'eccedenza rispetto alla soglia legale di punibilità, al fine di valutare se la condotta dell'agente debba andare esente da pena, si giustifica in ragione dello scarto fra tipicità ed offesa dovuto al valore della soglia. Il tasso alcolemico di rilevanza penale è talmente esiguo da lasciare un significativo scarto fra condotta tipica e condotta concretamente offensiva, all'interno del quale inserire il giudizio ex art. 131-bis c.p., come dimostrano i casi di soggetti trovati sopra soglia ma che non mostrano condizioni psico-fisiche alterate e non conducono il proprio veicolo in modo irregolare o pericoloso.

Va, infine, rilevato che la prima giurisprudenza di legittimità formatasi all'indomani dell'introduzione del nuovo istituto si è orientata nel senso qui indicato (Cass., Sez. IV, 1° luglio 2015-31 luglio 2015, n. 33821; Cass., Sez. IV, 9 settembre 2015-2 novembre 2015, n. 44132; Cass., Sez. IV, 24 novembre 2015-10 dicembre 2015, n. 48843; Cass., Sez. IV, 9 settembre 2015-2 novembre 2015, n. 44132; Cass., Sez. IV, 9 settembre 2015-22 dicembre 2015, n. 50243; Cass., Sez. IV, 10 dicembre 2015-13 gennaio 2016, n. 1035).

Deve, tuttavia, osservarsi che il reato di cui all'art. 186 cod. strada presenta delle peculiarità strutturali rispetto ai reati con soglia unica di punibilità, come quelli fiscali. Siamo, infatti, in presenza di una pluralità di fasce a cui sono ricollegate risposte sanzionatorie differenziate, di talché rimane l'interrogativo se la particolare tenuità del fatto consenta di mandare esente da pena l'autore del reato anche quando la sua condotta si colloca nella fascia più grave. Infatti, applicare la causa di non punibilità ad un conducente a cui sia stato riscontrato un tasso di alcool nel sangue di poco superiore alla soglia di 1,5 g/l comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto ad un conducente colto alla guida di un veicolo con un tasso di poco inferiore alla medesima soglia, il quale dovrebbe rispondere del reato di cui alla lettera b) dell'art. 186 cod. strada, non potendo invocare la causa di non punibilità in ragione dell'entità del pericolo provocato.

Si potrebbe allora sostenere che in tal caso la ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 131-bis c.p. debba comportare non già l'esenzione da pena, quanto l'applicazione delle sanzioni previste per la fascia inferiore, con la conseguenza che l'esenzione da pena ex art. 131-bis c.p. potrebbe aversi solo per i fatti rientranti nella prima soglia di punibilità, quella prevista dalla lettera b), ossia quella che traccia il confine inferiore dell'illecito penale.

A mio avviso, però, tale soluzione non è praticabile, sia perché lesiva del principio di legalità, sia perché l'applicazione della causa di non punibilità in esame non si fonda soltanto sul quantum di superamento del tasso alcolemico, ma richiede una più ampia e complessa valutazione del fatto e della personalità dell'autore, i cui risultati non possono essere obliterati con una mera derubricazione del reato. La differente gravità astratta attribuita dal legislatore alle due soglie alcolemiche potrebbe, allora, essere recuperata differenziando il giudizio di particolare tenuità, senz'altro più rigoroso quando il tasso di alcool riscontrato nel sangue del conducente si colloca sopra 1,5 g/l.

Va aggiunto, però, che nella guida in stato di ebbrezza la predetta soglia non traccia il confine con la liceità perché a chi guida con un tasso di alcool inferiore a 0,8 g/l, ma superiore a 0,5 g/l, sono applicate le sanzioni amministrative di cui alla lettera a) dell'art. 186 d.lgs. 285/1992.

Orbene, poiché il principio di legalità (art. 1 l. 689/1981) osta all'applicazione della sanzione amministrativa a chi realizza l'illecito penale, ancorché non punito perché valutato come lievemente offensivo, costui dovrà andare esente da qualsiasi conseguenza, anche amministrativa, con una evidente disparità di trattamento rispetto a chi ha commesso l'illecito amministrativo, comparativamente meno grave rispetto a quello penale.

In pratica, quando il legislatore costruisce le fattispecie con soglie progressive di punibilità nelle quali la più lieve è sanzionata in via amministrativa (si pensi, ad esempio, all'art. 316-bis c.p.), pare essere più conveniente commettere il reato con una offesa esigua piuttosto che l'illecito amministrativo.

Non è chiaro, infine, se il giudice che assolve ai sensi dell'art. 131-bis c.p. possa comunque applicare all'imputato le sanzioni amministrative accessorie collegate alla guida in stato di ebbrezza (sospensione o revoca della patente di guida e confisca del veicolo).

Deve, infatti, rilevarsi che le suddette statuizioni sono connesse ad una pronuncia di condanna che nel caso di specie difetta (Cass., Sez. IV, 3 dicembre 2015, ord., n. 49824). Tuttavia, potrebbe anche sostenersi che l'applicazione della causa di non punibilità, presupponendo l'accertamento del fatto di cui all'art. 186 cod. strada, non osta all'applicazione della sanzione amministrativa accessoria (Cass., Sez. IV, 9 settembre 2015-2 novembre 2015, n. 44132).

La sentenza delle Sezioni unite n. 13681/2016

A comporre il complesso quadro sopra tratteggiato sono intervenute le Sezioni unite che, disattendendo gli argomenti prospettati dall'ordinanza di rimessione (Cass., Sez. IV, , 3 dicembre 2015, ord. n. 49824), hanno affermato che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è compatibile con il reato di guida in stato di ebbrezza.

Osserva, infatti, la suprema Corte, nella sua composizione più autorevole, che non esiste un'offesa tenue o grave in chiave archetipa ma è la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore. Quindi, essendo in considerazione la caratterizzazione del fatto storico nella sua interezza, non si dà tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione delle modalità della condotta ed in cui sia inibita ontologicamente l'applicazione del nuovo istituto.

Tali considerazioni valgono anche per l'illecito in esame, ove il superamento della soglia di rilevanza penale coglie il minimo disvalore della situazione pericolosa ma a ciò occorre aggiungere una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che tenga conto della condotta, delle conseguenze del reato e della colpevolezza. Del resto, non è indifferente che il veicolo sia stato guidato per pochi metri in un solitario parcheggio o ad elevata velocità in una strada affollata, magari generando un incidente.

Chiaramente, il discostamento dal valore soglia costituisce il principale indice sintomatico della gravità concreta del fatto, nel senso che quanto più ci si allontana dal valore-soglia tanto più è verosimile che ci si trovi in presenza di un fatto non specialmente esiguo, ma nessuna presunzione al riguardo è consentita.

Tuttavia, nessuna conclusione può essere tratta in astratto, senza considerare cioè le peculiarità del caso concreto. Insomma, nessuna presunzione è consentita ma occorre una valutazione complessiva del fatto nella sua dimensione storica, perché l'esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori contenuti nell'art. 131-bis c.p. e potrà anche accadere che si sia in presenza di elementi di giudizio di segno opposto da soppesare e bilanciare prudentemente.

Ad avviso delle Sezioni unite, le suddette conclusioni non sono ostacolate dal fatto che al di sotto della soglia di rilevanza penale esiste una fattispecie minore che integra un illecito amministrativo, in quanto i due illeciti – penale ed amministrativo – pur essendo parti del più ampio diritto punitivo, presentano differenze tanto evidenti quanto rilevanti, che delineano autonomi statuti, come più volte affermato dalla giurisprudenza.

Per quanto riguarda, infine, gli effetti della pronuncia ex art. 131-bis c.p. sulle sanzioni amministrative accessorie, le Sezioni unite respingono entrambe le soluzioni interpretative proposte dalla giurisprudenza di legittimità (v. supra), in quanto ritengono che l'art. 224, comma 3, cod. strada, che attribuisce al prefetto la competenza ad applicare le sanzioni amministrative accessorie in caso di estinzione del reato per causa diversa dalla morte dell'imputato, esprima un regola generale applicabile alle situazioni in cui manchi una sentenza di condanna o di proscioglimento nel merito. Essa deve, dunque, trovare applicazione anche nel contesto in esame in cui, appunto, il fatto non è punibile per la sua tenuità e non si fa quindi luogo ad una pronuncia di condanna.

Le statuizioni ulteriori

Come spesso accade nelle pronunce delle Sezioni unite, la sentenza in esame contiene importanti affermazioni di principio che esulano dal quesito oggetto di rimessione e che non rappresentano neppure una premessa logico-giuridica della decisione adottata.

In primo luogo, la Corte ritiene che l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. nei giudizi di legittimità, ormai pacificamente ammessa in giurisprudenza (Cass., Sez. III, 8 aprile 2015-15 aprile 2015, n. 15449; Cass., Sez. V, 17 aprile 2015-20 maggio 2015, n. 20994; Cass., Sez. V, 17 aprile 2015-20 maggio 2015, n. 20986), non debba comportare necessariamente l'annullamento della pronuncia impugnata con rinvio al giudice di merito, qualora dalla pronuncia di merito siano già ricavabili le prove della ricorrenza in concreto di tutti i parametri per considerare il fatto di particolare tenuità. In tali casi, infatti, la suprema Corte potrebbe procedere direttamente a prosciogliere l'imputato per difetto di punibilità ai sensi degli artt. 129 e 620 lett. l) c.p.p., perché ciò che le è richiesto è soltanto di sussumere il fatto nella norma, senza dover procedere ad accertamenti di fatto o ad operazioni di discrezionalità valutativa, che rimangono incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità. In tal caso, la Corte potrebbe applicare anche d'ufficio l'art. 131-bis c.p.p., dato che l'art. 619, comma 3, c.p.p. le attribuisce la facoltà di applicare la legge più favorevole all'imputato, se sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti d'ufficio.

Va sottolineato che la possibilità di rilevare la nuova causa di non punibilità all'esito del giudizio di cassazione non sembra incontrare ostacoli nella necessità di instaurare sul punto un contraddittorio con l'imputato e la persona offesa, necessità desumibile da una complessiva lettura della nuova disciplina e dagli effetti negativi derivati dall'applicazione dell'art. 131-bis c.p. (in primo luogo la possibile rilevanza nei giudizi civili ed amministrativi e l'iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale).

Con riferimento alla posizione dell'imputato, va infatti rilevato che il giudizio di legittimità è informato al principio del contraddittorio, sia pure con la mediazione esclusiva dei difensori, che le parti possono presentare memorie, anche personalmente, in sede di legittimità ex art. 121 c.p.p. e che la decisione della Corte non dovrebbe comunque poter prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza impugnata in applicazione del divieto di reformatio in peius a norma dell'art. 597, comma 3, c.p.p.

Per quanto attiene alla persona offesa, occorre ricordare che la stessa, anche quando non si è costituita parte civile, può presentare memorie ex art. 90 c.p.p. nel giudizio di Cassazione, investendo ogni questione processuale o di merito rilevante ai fini della decisione, ferma restando l'inammissibilità di istanze tendenti a sollecitare acquisizioni istruttorie. Del resto, l'interlocuzione con la persona offesa non è prevista come condizione necessaria alla pronuncia di non punibilità ex art. 131-bis c.p., visto che la stessa deve essere sentita solo in fase predibattimentale ed a condizione che sia presente in udienza, mentre non vi sono sul punto adempimenti specifici per la sentenza pronunciata all'esito del dibattimento.

Occorre chiarire che affinché il giudice di legittimità possa prendere in considerazione la questione relativa alla non punibilità per particolare tenuità del fatto, il ricorso deve essere ammissibile e quindi idoneo a costituire il rapporto giuridico processuale di impugnazione. Ciò in quanto le modifiche normative al trattamento sanzionatorio (a differenza dell'abrogazione e della dichiarazione di incostituzionalità del reato) trovano un limite invalicabile nel passaggio in giudicato della sentenza conseguente all'inammissibilità del ricorso per cassazione. La Suprema Corte ha ribadito il principio anche con specifico riguardo al nostro tema, escludendo, a fronte di un ricorso inammissibile perché manifestamente infondato, di poter valutare d'ufficio l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p., introdotto con normativa successiva alla presentazione del ricorso.

Altra importante affermazione di principio si rinviene in tema di abitualità del comportamento, condizione che osta all'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. Fra le condizioni che rendono abituale il comportamento vi è quella di chi ha commesso più reati della stessa indole. A fronte della soluzione accolta dalla maggioranza degli autori e delle pronunce di merito, alcuni commentatori della riforma hanno ritenuto che la formula alludesse alla commissione di più reati (quindi almeno due) in aggiunta a quello della cui tenuità si discute, con la conseguenza che un solo precedente giudiziario non sarebbe di per sé solo ostativo al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in linea con la nozione di abitualità recepita negli artt. 102-104 c.p. (CAPRIOLI).

Tale soluzione è stata accolta dalle Sezioni unite. Osserva, infatti, la Corte che il nuovo istituto dell'abitualità è frutto del sottosistema generato dalla riforma e al suo interno deve essere letto. Sarebbe dunque fuorviante riferirsi esclusivamente alle categorie tradizionali, come quelle della condanna e della recidiva. Più in dettaglio, la Corte rileva che la norma si esprime in termini di commissione di più reati della stessa indole e non di condanna per più reati della stessa indole. Il tenore letterale lascia intendere che l'abitualità si concretizza in presenza di una pluralità di illeciti della stessa indole (dunque almeno due) diversi da quello oggetto del procedimento nel quale si pone la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. In breve, il terzo illecito della medesima indole dà legislativamente luogo alla serialità che osta all'applicazione dell'istituto.

A sostegno dell'assunto, come detto tutt'altro che pacifico, la sentenza richiama un dato a suo avviso dirimente. Si osserva, infatti, che la Commissione Giustizia, nel vagliare lo schema di decreto legislativo, ne ha richiesto l'adeguamento con l'introduzione di un comma dedicato alla definizione dell'abitualità del comportamento recante la previsione che il comportamento risulta abituale nel caso in cui il suo autore […] abbia commesso altri reati della stessa indole. Il riferimento agli altri reati, nel testo definitivo, è diventato più reati. Si tratta, ad avviso della Corte, di una variazione piccola e sicuramente accidentale, che non muta la ratio del provvedimento. L'alterità al plurale dei reati diversi da quello oggetto del processo non lascerebbe dubbi sul fatto che la serialità ostativa si realizza quando l'autore faccia seguire a due reati della stessa indole un'ulteriore, analoga condotta illecita.

Le Sezioni unite precisano inoltre che i reati possono anche essere successivi a quello in esame, proprio perché si verte in un ambito diverso da quello della disciplina legale della recidiva.

Infine, la lettera (abbia commesso più reati) e la ratio (non mandare esente da pena chi ha dimostrato un'abitudine a delinquere) della norma consentono di attribuire rilevanza ostativa non solo alla condizione dell'imputato che sia già stato condannato con sentenza definitiva per più reati della stessa indole di quello per cui si procede, ma anche alla condizione dell'imputato incensurato accusato di aver commesso una pluralità (almeno tre) di reati della stessa indole giudicati tutti nell'ambito dello stesso procedimento ove si discute dell'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. (si pensi, ad esempio, ad un soggetto processato per più truffe o per più furti).

In conclusione

Com'era prevedibile, il massimo consesso di giustizia ordinaria ha accolto la tesi, largamente prevalente in dottrina e giurisprudenza, favorevole all'applicazione dell'art. 131-bis c.p. anche ai reati con soglie di punibilità e, in particolare, alla guida in stato di ebbrezza alcolica.

Si tratta, a mio avviso, di una soluzione pienamente condivisibile perché rispettosa della netta distinzione che deve correre fra l'offensività astratta dell'illecito e la sua manifestazione in concreto, potendo intercorrere, soprattutto nei reati con soglie di punibilità, uno iato fra tipicità del fatto e sua offensività concreta.

La sentenza in esame, però, è andato oltre, non solo perché ha offerto interessanti e convincenti soluzioni anche ad altri quesiti che già serpeggiavano nella breve esistenza del nuovo istituto, ma anche perché ha sgombrato il campo da qualsiasi preclusione categoriale all'applicazione dell'art. 131-bis c.p., la cui generale operatività è stata riconosciuta in modo netto.

Occorre, tuttavia, segnalare che le Sezioni unite non hanno approfondito la peculiare fisionomia del reato ex art. 186 cod. strada, che è un illecito costruito con soglie progressive di punibilità. Rimane aperto, quindi, il tema della possibile sperequazione fra coloro che si collocano poco al di sopra del tasso massimo di alcolemia e coloro che si trovano poco al di sotto della medesima soglia, i primi esentabili da pena ex art. 131-bis c.p. e gli altri condannati per guida in stato di ebbrezza "media".

Guida all'approfondimento

CAPRIOLI, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. cont., 8 luglio 2015, 17

EPIDENDIO, La particolare tenuità del fatto. Decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, Relazione tenuta all'incontro del 7 aprile 2015 organizzato dalla Formazione decentrata di Genova della Scuola Superiore della Magistratura;

PADOVANI, Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida dir., 2015, n. 15, p. 21

TRINCI, Particolare tenuità del fatto, Giuffrè, 2016

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