Le impugnazioni nel disegno di legge Orlando
14 Ottobre 2015
Abstract
Tra le materie toccate dal d.d.l. 2798 approvato dalla Camera dei deputati ed attualmente all'attenzione del Senato della Repubblica (n. 2067), in tema di modifiche al codice di procedura penale un ruolo, non secondario, assume il tema delle impugnazioni. La materia è affrontata sotto due prospettive: per una, è prevista una regolamentazione normativamente definita; per un'altra, è predisposta una legge delega di cui sono fissati principi e criteri direttivi. Sono numerosi i profili toccati dall'azione governativa. Ancorché si tratti di aspetti spesso intrecciati appare possibile tentare qualche ripartizione per “materia”, non esclusa qualche ripetizione, per vedere alla fine la possibilità di “tirare le fila” delle scelte di sistema che, pur nella atomizzazione degli interventi, è forse possibile trarre.
Vedi gli altri focus sulla riforma Orlando L'elemento centrale della riforma – attorno al quale gli altri elementi sembrano assumere un ruolo integrativo, seppur significativo – è costituito dalla volontà di determinare, in modo alquanto preciso, casi e condizioni per l'attivazione delle impugnazioni, così da marcare in modo maggiormente puntuale l'uso dello strumento, considerate le significative ricadute e implicazioni che vi sono ricondotte anche in considerazione del fatto che la sua attivazione è consegnata nella disponibilità delle parti. A tal fine, l'art. 18 d.d.l. riscrive l'art. 546 c.p.p., nell'intento di individuare con maggior precisione nella struttura della decisione i capi e i punti della stessa, al fine di correlarvi in termini più rigorosi i motivi di impugnazione. Si prevede così che la decisione contenga una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione, i criteri di valutazione delle prove e le ragioni di non attendibilità di quelle contrarie, in relazione all'accertamento dei fatti di cui all'imputazione e alla qualificazione giuridica, alla punibilità, alla determinazione della pena e delle misure di sicurezza, alla responsabilità civile da reato, ai fatti dai quali dipende l'applicazione delle norme processuali. Come anticipato, il dato va raccordato con la rinnovata disciplina che dovrà assumere la forma e il contenuto dell'impugnazione (art. 21 d.d.l., che modifica l'art. 581 c.p.p.). Al riguardo, va evidenziato – anche in relazione a quanto previsto dall'interpolazione al comma 1, quarto periodo, di cui all'art. 610 c.p.p., che prevede l'indicazione delle ragioni di inammissibilità, con riferimento al contenuto dei motivi del ricorso – come sia richiesta una specifica enunciazione non solo dei motivi in fatto e in diritto, a sostegno delle richieste anche istruttorie, ma anche dei capi e dei punti impugnati e delle prove di cui si sostiene l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione. Il tema è naturalmente collegato alla rinnovata disciplina della declaratoria di inammissibilità, in ordine alla quale si segnala – anche per la sua problematicità – la previsione di cui all'art. 21 d.d.l. ove – riformando l'art. 591 c.p.p. – si prevede, con l'inserimento del comma 1-bis e la modifica del comma 2, che l'inammissibilità – in situazioni che non richiedono rilievi nel merito – sia pronunciata dal giudice a quo, ferma restando la possibilità di un riconoscimento successivo da parte del giudice ad quem e la ricorribilità dell'ordinanza. Sul tema s'innesta l'ulteriore previsione di cui all'art. 23 d.d.l., relativo all'introduzione del comma 5-bis dell'art. 610 c.p.p., ove è prevista la declaratoria de plano delle riferite situazioni di inammissibilità non dichiarate e la possibilità del successivo ricorso ex art. 625-bis c.p.p. nei confronti del provvedimento. La previsione opera anche in relazione all'inammissibilità del ricorso contro la sentenza di patteggiamento e contro quella conseguente al concordato sui motivi e sulla pena in appello (ex art. 599-bis c.p.p., previsto – come si dirà – con la riforma). Un ulteriore significativo elemento della volontà di ridurre il ricorso alle impugnazioni – correlato a quanto si è detto in punto di inammissibilità o di rigetto del gravame – è costituito dall'inasprimento (doppio o triplo) dell'entità della condanna alle spese del procedimento e della somma alla cassa delle ammende, in caso di richiesta di rimessione e di ricorso per cassazione, avente ad oggetto il “reclamo” avverso il provvedimento di archiviazione, rigettati o dichiarati inammissibili. È previsto per detti importi l'adeguamento biennale dell'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (art. 23 d.d.l. che modifica l'art. 48 c.p.p.; art. 22 d.d.l. che modifica l'art. 616 c.p.p.; art. 11 d.d.l. che introduce l'art. 410-bis c.p.p.). La riduzione dei ricorsi per cassazione
Un elemento importante della riforma è sicuramente quello teso alla riduzione delle ipotesi di ricorso per cassazione. L'obiettivo è perseguito con una pluralità di elementi e strumenti. In primo luogo, si prevede che la lamentata invalidità della procedura di archiviazione sia sottoposta – con un inedito reclamo – alla verifica del tribunale in composizione monocratica che deciderà con ordinanza non impugnabile (art. 11, comma 8, d.d.l. con cui viene inserito l'art. 410-bis c.p.p.). In secondo luogo, si stabilisce che spetti alla Corte d'appello disporre la rescissione del giudicato nel caso attualmente disciplinato dall'art. 625-ter c.p.p., che ex art. 24 d.d.l. viene ora regolato dall'art. 629-bis c.p.p. In terzo luogo, si prevede il ricorso allo strumento della correzione degli errori materiali relativamente alla necessità di rettificare solo la specie o la quantità della pena per errore di computo o di denominazione nella sentenza di patteggiamento (art. 16 d.d.l., che introduce il comma 1-bis all'art. 130 c.p.p.). Infine, viene reintrodotto l'appello nei confronti della sentenza di non luogo a procedere (art. 14 d.d.l. che riscrive l'art. 428 c.p.p.) consentendo – come già detto – il ricorso per cassazione contro la sentenza (di non luogo) pronunciata in grado d'appello solo per violazione di legge. Al tema qui considerato possono essere ricondotte anche quelle situazioni nelle quali il ricorso per cassazione – pur riconosciuto – è ammesso solo per violazione di legge. Si tratta del ricorso nei confronti della decisione pronunciata dal tribunale monocratico in appello delle sentenze del giudice di pace (art. 30, d.d.l. lett. d) della delega); del ricorso nei confronti della sentenza d'appello che conferma quella di proscioglimento (art. 3 ,d.d.l. che introduce il comma 1-bis dell'art. 608 c.p.p.); del ricorso che sarà deciso ex art. 611 c.p.p. nei confronti della sentenza di non luogo emessa in grado d'appello (art. 14, d.d.l. che così disciplina i commi 3-bis e 3-ter dell'art. 428 c.p.p.). Le considerazioni svolte non escludono, tuttavia, una valorizzazione del ruolo del supremo collegio. Oltre all'ampliamento dei poteri di annullamento senza rinvio (art. 23 d.d.l. che estende l'operatività della lett. l) dell'art. 620, comma 1, c.p.p.) ed alla rilevabilità, d'ufficio, entro novanta giorni dalla decisione di un eventuale errore di fatto (art. 23 d.d.l., che modifica il comma 3 dell'art. 625-bis c.p.p.), va segnalato, in analogia a quanto previsto in sede civile, che quando una Sezione semplice ritenga di non condividere l'orientamento delle Sezioni unite, dovrà rimettere a queste la risoluzione della questione, nonché la possibilità per il collegio riunito di fissare il principio di diritto anche in caso di inammissibilità sopravvenuta (art. 23 d.d.l., che aggiunge i commi 1-bis e 1-ter dell'art. 618 c.p.p.). A questo aspetto è sicuramente ricollegato – ancorché sotto profili diversi – il tema della legittimazione al ricorso. Attraverso la modifica dell'art. 613 c.p.p. si prevede che l'imputato non possa ricorrere personalmente, dovendo avvalersi di un legale iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione (artt. 21 e 22 d.d.l.). Con l'art. 14 d.d.l. è abrogata la legittimazione della persona offesa costituitasi parte civile a ricorrere per cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere ora disciplinata dall'art. 428, comma 3, secondo periodo, c.p.p. Con l'art. 16 d.d.l. è previsto – al comma 2-bis dell'art. 448 c.p.p. – che P.M. e imputato possano ricorrere per cassazione nei confronti della sentenza di patteggiamento solo per motivi attinenti alla volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione del fatto, all'illegalità della pena o della misura di sicurezza. Nella tematica della legittimazione ad impugnare, un profilo particolarmente significativo è quello che la riforma delinea con riferimento all'ufficio del pubblico ministero. Sono numerose e variegate le situazioni innovative in materia. In primo luogo, la delega prevede che il procuratore generale possa appellare solo in caso di avocazione o di acquiescenza del P.M. presso il giudice a quo (art. 30, lett. e), d.d.l.). Con la successiva lett. f), l'art. 30 d.d.l. prevede che con la legge delegata al P.M. la legittimazione ad appellare la sentenza di condanna sia consentita solo quando sia stato modificato il titolo del reato, sia stato esclusa una aggravante a effetto speciale ovvero sia stata applicata una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato. Va, infine, sottolineato come ai sensi della direttiva di cui alla lett. h) dell'art. 30, d.d.l. si prevede che l'appello incidentale spetti solo all'imputato. Va ancora richiamata la già citata previsione per la quale in caso di doppia conforme di proscioglimento il ricorso si propone solo per violazione di legge (art. 23 d.d.l., in relazione al nuovo comma 1-bis dell'art. 608 c.p.p.). Al tema qui considerato può essere in qualche modo ricollegata – in linea con la giurisprudenza della Cedu – anche la previsione per la quale, in caso di appello del P.M. contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione dell'istruzione dibattimentale il giudice dispone la rinnovazione (art. 22 d.d.l., che inserisce un comma 4-bis all'art. 603 c.p.p.). La decongestione in appello
Alla logica del decongestionamento del carico giudiziario è ispirata anche la reintroduzione nel giudizio d'appello del concordato sui motivi e sulla pena (art. 22, d.d.l. che introduce gli artt. 599-bis e 602-bis c.p.p.): si tratta dell'istituto, connotato da alterne vicende, connesse a contrastanti visioni sul ruolo dell'istituto, non tutte commendevoli, visto, per un verso, positivamente in quanto legato ad una positiva logica deflattiva, non premiale e, per un altro, invece, osteggiato in quanto ritenuto foriero di incidere negativamente sul regime sanzionatorio. La reintroduzione del “concordato” naturalmente incide anche sulla ricorribilità per cassazione: a tal fine si prevede che l'eventuale inammissibilità del ricorso sia dichiarata dalla Cassazione, ove non rilevata dal giudice a quo, senza formalità di procedura, con possibilità di successivo (eventuale) ricorso ex art. 625-bis c.p.p. (art. 22, d.d.l. che introduce un comma 5-bis dell'art. 610 c.p.p.). Se le riserve, ancorché non esplicitate, sono ispirate a non veder ridotti i profili sanzionatori legati alla premialità del giudizio abbreviato, il favor si ispira alla volontà di assecondare le istanze di coloro i quali non hanno ritenuto di aderire ai vari giudizi speciali a contenuto premiale ovvero ai percorsi di favore, rimodulando la pena attraverso l'accoglimento di alcuni motivi di gravame. Al fine di evitare eccessi di buonismo e di sperequazioni nel trattamento sanzionatorio, si prevede che, ferma l'autonomia in udienza del singolo sostituto, il procuratore generale, sentiti i magistrati dell'ufficio e i procuratori della Repubblica del distretto, indichi i criteri idonei ad orientare le determinazioni, in relazione alla tipologia dei reati e alla complessità dei provvedimenti. Sia della durata dei giudizi di appello nei confronti dei condannati sia sull'andamento dei procedimenti d'appello definiti con il concordato i presidenti della Corte d'appello devono riferire dati e valutazioni in occasione della relazione annuale sull'amministrazione della giustizia. In conclusione
Cercando di prospettare qualche riflessione conclusiva, il primo dato che emerge è sicuramente quello della frammentarietà dell'intervento. Nell'impossibilità di un'azione organica, per una varietà di ragioni, non difficili da riconoscere, si punta ad una “messa a fuoco” degli istituti presenti nel sistema, condizionati dalla necessità di rispettare vincoli costituzionali, sovranazionali ed ordinamentali. Se la predisposizione di “paletti” rigidi sotto il profilo formale e sostanziale non può essere criticata, restano tutte le riserve sulle prassi che spesso – troppo spesso – conducono alla declaratoria di inammissibilità dei gravami, con grande varietà di espedienti argomentativi. Deve condividersi la necessità di impugnazioni formalmente e sostanzialmente rigorose e solide ma non possono non sottacersi le preoccupazioni per un rigore che faccia dell'inammissibilità lo strumento principe di deflazione e di decongestionamento del carico delle fasi di impugnazione. Al fine di evitare inutili e sterili polemiche non nuocerebbero prese di posizione chiarificatrici sulle condizioni di ammissibilità dei ricorsi. Comunque, mancano soprattutto previsioni in ordine alla durata del processo nei vari segmenti processuali di impugnazione, tanto più necessarie quanto più si dovesse decidere di allungare il tempo della prescrizione. Non può non segnalarsi, infine, una certa schizofrenia legislativa ove si considerino le riproposizioni di norme in precedenza abrogate (artt. 599 - 602 c.p.p. concordato sui motivi e sulla pena; art. 493 c.p.p. con riferimento all'esposizione introduttiva) ovvero ritenute in precedenza inadeguate (art. 591-bis c.p.p., che riproduce lo schema dell'art. 207 c.p.p. del 1930) ovvero l'abrogazione di norme introdotte in epoca non remota (artt. 421-bis ed art. 428 comma 2 c.p.p.). |