Patrocinio a spese dello Stato e difesa d'ufficio. Il nuovo obbligo di liquidare il compenso alla chiusura della fase

Gianluca Bergamaschi
16 Maggio 2016

La legge di stabilità per l'anno 2016 è nuovamente intervenuta sulla tematica della liquidazione del compenso nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato nonché, teoricamente e di riflesso, in quello della difesa d'ufficio, stabilendo la necessaria contestualità con il provvedimento che chiude la fase ma ha del tutto omesso di precisare la natura ed il significato della modifica e l'esatta procedura da seguire.
Abstract

La legge di stabilità per l'anno 2016 è nuovamente intervenuta sulla tematica della liquidazione del compenso nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato nonché, teoricamente e di riflesso, in quello della difesa d'ufficio, stabilendo la necessaria contestualità con il provvedimento che chiude la fase ma, come in altri interventi passati, ha del tutto omesso di precisare la natura ed il significato della modifica e l'esatta procedura da seguire, nonché gli opportuni coordinamenti normativi, dando la stura a difficoltà interpretative ed applicative.

I vari interventi normativi modificativi del T.U. delle spese di giustizia e le conseguenze dei mancati coordinamenti

L'art. 1, comma 783, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Stabilità 2016) ha modificato l'art. 83 del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (T.U. spese di giustizia), introducendo il comma 3-bis che così recita: Il decreto di pagamento é emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta; ed è in vigore dallo 1 gennaio 2016.

Questo è solo l'ultimo dei rimaneggiamenti che sono stati operati dall'entrata in vigore del Testo unico e condivide con gli altri i vizi di approssimazione e di deficit di coordinamento normativo.

Precedentemente, per quanto attiene direttamente o indirettamente la materia penale, intervennero: l'art. 1, comma 322, della legge 30 dicembre 2004 n. 311 (Finanziaria 2005), che modificò l'art. 82, comma 1, eliminando il necessario opinamento della parcella da parte del competente C.O.A. (Consiglio dell'Ordine degli Avvocati); l'art. 3 della legge 24 febbraio 2005 n. 25, che modificò l'art. 83 estendendo al difensore alcune previsioni prima limitate all'ausiliario del magistrato ed al consulente tecnico di parte; l'art. 1, comma 606, lett. b), della legge 27 dicembre 2013 n. 147 (Stabilità 2014), che introdusse l'art. 106-bis comminante il taglio secco di un terzo degli importi spettanti al difensore, all'ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all'investigatore privato autorizzato, operanti in sede penale.

La sinistra e comune caratteristica di questi interventi, tutti tranne il primo, fu di ignorare che il T.U.S.G. è caratterizzato da una fitta rete di rinvii e rimandi tesi ad estendere l'applicazione della disciplina dettata per una specifica materia ad altre collegate o similari, cosicché i mancati coordinamenti hanno dato vita ad una chiara disunità del sistema, che, in origine, era stato concepito come tonico e coordinato in ogni sua parte.

Più precisamente, con le modifiche citate – essenzialmente riferibili alla disciplina generale del P.S.S. (Patrocinio a Spese dello Stato) ovvero ad alcune implicazione propriamente penali – non sono stati armonizzati: l'art. 115 (Liquidazione dell'onorario e delle spese al difensore di persona ammessa al programma di protezione dei collaboratori di giustizia), l'art. 116 (Liquidazione dell'onorario e delle spese al difensore di ufficio [dell'insolvente]), l'art. 117 (Liquidazione dell'onorario e delle spese al difensore di ufficio di persona irreperibile), l'art. 118 (Liquidazione dell'onorario e delle spese al difensore di ufficio del minore), nonché le norme – che in questa sede penalistica sono di minor interesse – disciplinanti la liquidazione del compenso nel P.S.S. in ambito extrapenale, ossia l'art. 141 (Onorario e spese del difensore) nell'ambito del processo tributario, l'art. 142 (Processo avverso il provvedimento di espulsione del cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea) e l'art. 143 (Processi previsti dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149).

È da notare che praticamente tutte le predette disposizioni, con appena qualche variante semantica, rinviavano e continuano a rinviare, per la misura e le modalità della liquidazione del compenso professionale spettante al difensore, unicamente all'art. 82 e, per quanto concerne l'opposizione, all'art. 84.

Ora – quale che fosse la ragione per cui il legislatore non fece gli opportuni coordinamenti – resta il fatto che tali norme non possono essere interpretate ed applicate contro la loro chiara tipicità letterale, cosicché, a tutti i casi di difesa d'ufficio penale, non risultano applicabili, se non in via analogica favorevole all'interessato, tutte le disposizione, originarie e/o sopravvenute, contenute nell'art. 83, compresa, quindi, la “nuovissima” previsione della necessaria liquidazione contestuale al provvedimento che chiude la fase, nonché, tra l'altro, la comminazione della riduzione di un terzo del compenso, prevista dall'art. 106-bis, trattandosi chiaramente quest'ultima di una norma attinente alla misura del compenso, la cui determinazione, giova ribadirlo, è limitata, per tutti i tipi di difesa d'ufficio, alle previsioni dell'art. 82, nei casi in cui l'emolumento finisca per essere a carico dello Stato, con una evidente, ma inevitabile, distonia con quanto invece accade nell'ambito del P.S.S.

La specifica e nuova questione della contestualità fra decreto di liquidazione e provvedimento di chiusura della fase. Un primo commento di indirizzo giurisdizionalista

Appurato che la questione, a rigor di diritto, non riguarda la tematica della difesa d'ufficio ma solo quella del P.S.S., è ora possibile approfondire la natura ed il significato giuridico, nonché la concreta disciplina e gli effetti della nuova previsione della contestualità procedurale tra decreto di liquidazione e provvedimento del giudice che chiude la fase cui si riferisce la richiesta.

Il legislatore su tutto ciò tace, per cui tocca ai giuristi ed agli operatori del diritto fare la parte propria ed altrui, con l'inevitabile rischio di proporre soluzioni altamente discutibili, come è accaduto circa i primi commenti alla modifica in argomento.

Un primo commento, qui considerato, ritiene che il nuovo comma 3-bis dell'art. 83 del d.P.R. 115 del 2002 sia una disposizione normativa a carattere processuale, significante sia il dies a quo sia il dies ad quem del potere liquidatori del giudice, individuato nel momento della decisione finale, cosicché prima e soprattutto dopo, il giudice del procedimento perderebbe la potestas decidendi sull'istanza, la quale, comunque, resta necessaria ex art. 82 T.U.S.G., che presuppone un atto di impulso di parte.

Inoltre, si precisa che la contestualità deve intendersi in via squisitamente temporale e non contenutistica, ossia la contemporaneità non comporta la possibilità di un unico atto, per cui la liquidazione dovrà avvenire sempre con separato decreto.

Si nega, poi, che la nuova normativa possa essere interpretata come una forma di decadenza – applicabile, dunque, ai soli procedimenti instaurati dallo 1 gennaio 2016 –, perché le decadenze devono essere tipiche ed espresse, elementi assenti nel nuovo comma 3-bis dell'art. 83.

Ancora, si dice che, avendo la funzione di delimitare il potere decisorio del giudice, la norma introdotta produce l'effetto di consumarne il potere e determinare l'impossibilità di provvedere sulla richiesta di liquidazione successivamente alla definizione della fase, rafforzando così il principio che i provvedimenti liquidatori non restano nella disponibilità del giudice che li ha emessi e, pertanto, siano emendabili solo in sede di impugnazione e non in autotutela.

Quanto alla sorte del decreto di liquidazione emesso senza poteri, si rimanda ai due indirizzi giurisprudenziali noti, ossia quello che parla di atto illegale ma idoneo ad assumere i suoi connotati ed a produrre i sui effetti tipici, se non impugnato, e quello che ne afferma la natura abnorme e pertanto sempre ricorribile in Cassazione ex art. 111 della Costituzione.

Infine – si sostiene – poiché il giudice richiesto della liquidazione dopo aver esaurito la sua potestas decidendi, potrà solo pronunciare il non luogo a provvedere, al difensore deluso resterà solo la possibilità di agire con i mezzi ordinari del decreto ingiuntivo o del giudizio ordinario, entro il termine di prescrizione del diritto stesso, e, par di capire, contro lo Stato, anche se, fino ad oggi, tale affermazione è stata fatta dalla Giurisprudenza circa l'accollo del compenso del C.T.U. nei confronti delle parti contendenti, ossia in un ambito pacificamente contenzioso e giurisdizionale (in effetti solo ad esso si riferiscono tutti gli arresti giurisprudenziali citati nel commento considerato).

La natura amministrativa del procedimento e del provvedimento di liquidazione delle spese a carico dello Stato e le conseguenze circa la modifica normativa esaminata

Intanto, è da notare che il commento supra riferito – elaborato in ambito civilistico e dunque relativo al solo il P.S.S. – non sembra tenere presente la necessaria distinzione tra la liquidazione delle spese nel caso dell'accollo delle stesse alle parti sostanziali di un processo – anche relativamente a quanto dovuto agli ausiliari del giudice –, ossia la regolamentazione contenziosa e ovviamente giurisdizionale disciplinata dai codici di rito e quindi, al di là dalla modifica normativa dell'art. 83 del T.U.S.G., da decidersi entro e con il provvedimento che definisce il giudizio, pena la perdita del potere di provvedere; dal caso in cui vengano liquidate spese il cui beneficiario e il cui debitore non siano parti sostanziali del processo ma anzi sia necessariamente lo Stato tenuto a pagare, magari anche solo in via anticipatoria, perché solo queste seconde rientrano propriamente nell'alveo del T.U.S.G., senza che il neo comma 3-bis dell'art. 83, possa averne modificato la natura non contenziosa e dunque non giurisdizionale.

Bisogna, quindi, riconoscere che sussiste un “doppio binario” circa le spese di giustizia, uno giurisdizionale, che attiene alla regolamentazione tra le parti sostanziali, ed uno amministrativo, riferibile alle liquidazioni ad opera dello Stato; binari che ben possono correre parallelamente – come, ad esempio in sede penale, quando vi sia una parte civile ammessa al P.S.S. – ma che non vanno confusi.

In quest'ultimo caso, infatti, laddove alla fine del processo l'imputato venga condannato anche agli effetti civili, il giudice gli accollerà in sentenza le spese legali della parte civile ammessa P.S.S., secondo le disposizioni del c.p.p. (artt. 538 e ss.) ma disponendone al contempo il versamento a vantaggio dello Stato stesso (art. 110, comma 3, T.U.S.G.), che, sempre a mezzo del giudice, provvede a liquidare la medesima somma al difensore con apposito decreto, atto che, fino al 31 dicembre 2015, poteva intervenire successivamente, mentre dallo 1 gennaio 2016, dovrà essere assunto contestualmente alla sentenza, il tutto sempre secondo le regole del T.U.S.G.

Questa coesistenza, però, non comporta che le due procedure ed i due provvedimenti abbiano la medesima natura, come ben deducibile da vari elementi.

Intanto è da notare che la regolamentazione delle spese tra le parti sostanziali, di natura contenziosa e giurisdizionale, avviene in e con la sentenza ed è soggetta ai normali mezzi d'impugnazione, mentre la liquidazione delle spese costituenti i compensi professionali di cui è debitore lo Stato, è fatta con un apposito decreto e soggetta ad un regime impugnatorio del tutto particolare previsto dal T.U.S.G. (artt. 84 e 170).

A suffragio poi, della natura amministrativa della liquidazione di questo tipo di spese, stanno altre considerazioni attinenti direttamente al T.U.S.G..

In generale, intanto, è da dire che tutto il T.U.S.G. appare un corpo normativo di natura contabile e amministrativa, vuoi per l'argomento trattato e per la semantica utilizzata, vuoi per l'impianto generale, cosicché è naturale ricondurre a tale ambito tutta la tematica delle spese di giustizia in esso considerata.

Ci sono poi almeno due specifiche norme che, a parere di chi scrive, non lasciano dubbi circa la natura amministrativa del procedimento e del provvedimento con cui vengono liquidate le spese di giustizia disciplinate dal T.U.S.G., come appunto sono i compensi professionali a carico dello Stato.

Una è l'art. 165 (Ordine di pagamento emesso dal funzionario), il quale recita: La liquidazione delle spese disciplinate dal presente testo unico è sempre effettuata con ordine di pagamento del funzionario addetto all'ufficio se non espressamente attribuita al magistrato.

Ora, poiché, la funzione è ovviamente la stessa e della stessa natura e poiché non si può certo estendere ai funzionari amministrativi la potestà giudiziaria o giurisdizionale, detta funzione sarà di natura amministrativa anche quando, per ragioni di praticità o di opportunità, debba essere esercitata dal magistrato o dal giudice; circostanza, del resto non nuova, giacché diverse, nel tempo, sono state le funzioni di carattere amministrativo affidate al magistrato o al giudice (si ricordi, ad esempio, la verifica e vidimazione dei registri anagrafici comunali, un tempo, demandata al Pretore).

L'altra norma, ancor più significativa, è l'art. 172 (Responsabilità), il quale recita: I magistrati e i funzionari amministrativi sono responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti da loro ordinati e sono tenuti al risarcimento del danno subito dall'erario a causa degli errori e delle irregolarità delle loro disposizione, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa.

Qui, come si vede, non solo prosegue l'equiparazione di cui sopra ma addirittura si prevede una responsabilità erariale e amministrativa anche a carico dei magistrati liquidatori, cosa assolutamente inconcepibile se riferita ad una attività di natura giudiziaria o giurisdizionale ma assolutamente comprensibile e necessaria se riferita ad una attività di natura amministrativa.

Appurato questo, resta, però, da capire quali siano gli effetti giuridici e pratici del nuovo comma 3-bis dell'art. 83 del D.P.R. 30.05.2002 n. 115, alla luce di tale natura amministrativa del procedimento e del provvedimento di liquidazione.

A parere dello scrivente, il valore da attribuire a questa novità normativa è semplicemente quello di un mero termine non perentorio, giacché non viene espressa e tipizzata nessuna conseguenza sanzionatoria in caso di mancato rispetto, ossia non è prevista nessuna inammissibilità dell'istanza successiva alla chiusura della fase a cui si riferisce, nessuna decadenza del diritto e nessuna perdita di potere di provvedere da parte del giudice, anzi appare conforme ai principi amministrativi che l'eventuale irregolarità del mancato provvedimento a fronte della tempestiva domanda, sia sanata con un provvedimento successivo; e del pari che non sia affetto da nessuna irregolarità il provvedimento che intervenga successivamente alla chiusura della fase, ove anche l'istanza di liquidazione sia stata presentata successivamente.

In conclusione

In definitiva, a parere di chi scrive, la soluzione che si impone per la liquidazione dei compensi in caso di P.S.S. è quella di considerare la contestualità, introdotta dal comma 3-bis dell'art. 83, alla stregua di un termine ordinatorio, che il giudice è tenuto a rispettare se richiesto con apposita e tempestiva istanza ma che non impedisce la presentazione della stessa e la liquidazione successive al provvedimento che chiude la fase; mentre ancor meno vincoli ci sono in caso di liquidazioni dei compensi delle difese d'ufficio a carico dello Stato, giacché, in tal caso, nessun obbligo incombe sul giudice di provvedere entro la definizione della fase, ma solo la facoltà di farlo, come, del resto, era già prassi di molteplici uffici giudiziari.

Guida all'approfondimento

BUFFONE, Patrocinio a spese dello Stato prima lettura del nuovo art. 83 del d.P.R. 115 del 2002, in ilCaso.it

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