Molte perplessità e poche note positive nella legge delega di riforma delle intercettazioni
16 Novembre 2015
Abstract
Il 23 settembre ultimo scorso, la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge governativo noto come disegno di legge Orlando (disegno di legge n. 2798), recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale. Tale disegno di legge, all'art. 30, delega il Governo a riformare la materia delle intercettazioni (oltre che dei giudizi di impugnazione). Il tema delle intercettazioni nel processo penale è argomento di estrema attualità, oltre che di eccezionale importanza per gli interessi coinvolti, perché detto strumento investigativo, da una parte, soddisfa le esigenze di indagine ma, dall'altra, incide, oltre che sul diritto di difesa e al contraddittorio, sulla fondamentale segretezza delle comunicazioni, presentando pure diverse sfaccettature, che spaziano dal pericolo per la “verginità cognitiva” del giudice che dovrà giudicare e per la presunzione d'innocenza dell'imputato, ai rischi per la riservatezza su fatti estranei al processo, ai timori per i limiti apponibili alla libertà di stampa. Si tratta perciò di un ordigno micidiale che, se non attentamente maneggiato, rischia di compromettere valori fondanti lo Stato di diritto. Purtroppo, la legge delega indica criteri e principi direttivi troppo generici, lasciando, su una materia così incandescente, praticamente “carta bianca” al Governo.
Vedi gli altri focus sulla riforma Orlando Si tratta di argomento di estrema attualità, oltre che di eccezionale importanza, perché lo strumento investigativo delle intercettazioni incide sulla fondamentale segretezza delle comunicazioni (tutelata dagli artt. 15 Cost., 8 Conv. Edu., 17 Patto internazionale sui diritti civili e politici, I.D.C.P. e 7 della Carta di Nizza), oltre al diritto di difesa e al contraddittorio (artt. 24, comma 2 e 111 Cost., 6 Conv. Edu; 14 Patto I.D.C.P.), presentando pure diverse sfaccettature, che spaziano dal pericolo per la “verginità cognitiva” del giudice che dovrà giudicare e per la presunzione d'innocenza dell'imputato, ai rischi per la riservatezza su fatti estranei al processo, ai timori per i limiti apponibili alla libertà di stampa. Ma le previsioni della legge delega, come già detto, sono deludenti perché sono stati indicati criteri e principi direttivi troppo generici, lasciando così “carta bianca” al Governo, in spregio all'art. 76 Cost. Tra l'altro, il ricorso allo strumento dell'intercettazione nel processo penale è aumentato paurosamente negli ultimi anni. Infatti, secondo i dati, le intercettazioni telefoniche sono passate da 119.307 nel 2009, a 121.072 nel 2011, a 124.610 nel 2013. Anche le intercettazioni ambientali che nel 2009 erano 11.143, nel 2011 sono diventate 11.888 e nel 2013 14.106. Le intercettazioni telematiche che erano 1.716, nel 2011, sono aumentate a 2.573 e a 3.058 nel 2013. Pure il numero dei “bersagli”, cioè delle persone intercettate, è aumentato nel corso degli ultimi anni: infatti dai 77.706 “bersagli” del 2003 si è passati ai 102.217 (2005) ai 129.082 (2007) ai 132.166 (2009) ai 135.533 (2011) ai 141.774 (2013). Grazie agli accordi con i gestori del servizio di telefonia, i costi delle operazioni di captazione sono invece diminuiti: nel 2009 milioni 306,07, nel 2011 milioni 271,18 e nel 2013 milioni 215,00 (Fonte IlSole24ore) Una delega troppo ampia
Nonostante l'importanza del tema e l'imponenza del fenomeno, la legge delega liquida l'argomento con riferimento a generici principi e criteri direttivi, in spregio all'art. 76 Cost. Infatti, l'art. 30 del disegno di legge approvato dalla Camera prescrive al legislatore delegato di prevedere disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione, in conformità all'articolo 15 della Costituzione, attraverso prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni e che diano una precisa scansione procedimentale per la selezione di materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine, avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, in particolare dei difensori nei colloqui con l'assistito, e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale. Come si vede, la delega consegna al Governo margini troppo ampi di manovra e non individua principi e criteri direttivi precisi, entro i quali dovrà esercitarsi la legislazione secondaria o delegata, come impone l'art. 76, Cost., dando l'impressione di una vera e propria “delega in bianco”. La legge delega indica, anzitutto, prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni. Il problema della diffusione delle conversazioni intercettate, spesso su fatti irrilevanti per le indagini, sembra venire circoscritta dalla legge delega ai provvedimenti cautelari, giacché è principalmente in questi che, frequentemente, le registrazioni vengono diffuse tra il pubblico dagli organi di informazione. L'apprezzabile intento del legislatore delegante è rivolto a far sì che sia negli atti di polizia giudiziaria, sia nella richiesta e nell'ordinanza applicativa di misura cautelare, siano riportate solamente le conversazioni strettamente necessarie ai fini propri dell'atto che li contiene. Ma il rischio per la riservatezza è più generale e si pone anche con riferimento alle sentenze e a tutti gli altri provvedimenti, per cui sarebbe opportuno non limitare la prescrizione alla fase cautelare, ma estenderla in genere alle trascrizioni effettuate in tutti i provvedimenti giudiziari e giurisdizionali. La selezione del materiale intercettativo
La legge delega indicando prescrizioni che diano una precisa scansione procedimentale per la selezione di materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine, non sembra imporre necessariamente l'udienza stralcio per selezionare, nel contraddittorio, le conversazioni rilevanti ai fini del processo. È vero che si prescrive una precisa scansione procedimentale per la selezione di materiale intercettativo ma tale scansione non significa necessariamente udienza. Infatti, anche oggi la selezione avviene con un contraddittorio cartolare e quindi al di fuori di un'udienza ma il diritto di difesa sarebbe maggiormente garantito in un'apposita udienza dedicata esclusivamente alla selezione delle conversazioni rilevanti per il P.M. e per i difensori delle persone sottoposte alle indagini. Il rispetto delle esigenze di indagine comporta giustamente, come avviene oggi ex art. 268, comma 4, c.p.p., che la selezione delle comunicazioni o conversazioni debba avvenire soltanto dopo la conclusione delle operazioni di intercettazione. Piuttosto, è fondamentale che tale udienza stralcio si svolga necessariamente subito dopo il deposito nella segreteria del P.M. dei verbali e delle registrazioni, come prescrive oggi l'art. 268, comma 6, c.p.p. mentre la giurisprudenza ha stravolto la norma, consentendo la selezione delle conversazioni rilevanti in udienza preliminare, in dibattimento e persino in grado d'appello. Sembra ovvio, infatti, che il giudice già dall'udienza preliminare debba decidere conoscendo l'esatto contenuto delle registrazioni risultanti dalla perizia trascrittiva, senza doversi affidare al sommario resoconto del “brogliaccio di polizia”. La legge delega impone uno speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, in particolare dei difensori nei colloqui con l'assistito, e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale. In realtà, la riservatezza delle comunicazioni e conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, cioè estranee al procedimento, è già oggi tutelata dall'art. 268 c.p.p. che ne impone lo stralcio ma nella prassi tale stralcio o non è ancora avvenuto o, se anche è già avvenuta la selezione, la pubblicazione avviene ugualmente. Pertanto, non sembra affatto sufficiente la mera proclamazione della tutela alla riservatezza delle persone estranee al procedimento, senza una specifica indicazione di quali conversazioni sono pubblicabili e senza un apparato sanzionatorio contro le illecite diffusioni. Inoltre, la tutela non dovrebbe essere limitata alla riservatezza delle persone estranee al procedimento ma dovrebbe estendersi anche ai fatti privati dei soggetti sottoposti alle indagini o delle persone offese, se sono irrilevanti ai fini del procedimento. È vero che la norma di chiusura estende la tutela della riservatezza anche alle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale ma, proprio per questo motivo, la limitazione soggettiva apposta non sembra avere alcuna logica. Per quanto riguarda le comunicazioni e conversazioni dei difensori nei colloqui con l'assistito, l'intento lodevole è quello di garantire effettività alla immunità dei difensori dalle intercettazioni, talvolta messa in discussione da pronunce di legittimità o di merito, in spregio dell'art. 103 c.p.p. e dell'art. 24 Cost., ma la prescrizione arretra l'immunità rispetto alla vigente disciplina che non tutela solo i colloqui del difensore con l'assistito ma, in maniera ben più ampia, anche le conversazioni o comunicazioni intercorrenti tra i difensori, tra gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, tra i consulenti tecnici e i loro ausiliari. Si è anche voluto introdurre una semplificazione delle condizioni per l'impiego delle intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni telefoniche e telematiche nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione ma più che di “impiego” sembra volersi prescrivere la possibilità di “disporre” le intercettazioni per questi reati di particolare allarme sociale con le stesse modalità previste per i delitti di criminalità organizzata dall'art. 13, d.l. 152/1991, ampliando ancora una volta l'ambito del “doppio binario”, a discapito delle garanzie ordinarie. La genericità delle prescrizioni non consente perciò un giudizio positivo sulle modifiche proposte, che, anzi, non fugano del tutto i dubbi di un “bavaglio alla stampa”. La giurisprudenza Ue
Nulla si prevede in tema di tabulati telefonici e telematici, oggetto di monopolio nelle mani del P.M., con esclusione del difensore. Eppure, com'è noto, la Corte di giustizia Ue (Grande Camera) interpellata in via pregiudiziale, ex art. 267 T.F.Ue, dall'Alta Corte irlandese e dalla Corte costituzionale austriaca, ha dichiarato invalida la direttiva 2006/24/CE sulla conservazione dei dati, in rapporto agli artt. 7 (rispetto della vita privata e della vita familiare), 8 (protezione dei dati di carattere personale) e 52 (in particolare, il principio di proporzionalità) della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Corte giust. U.E. (Grande Camera) 8 aprile 2014, Digital Rights Ireland Ltd contro Minister for Communications, Marine and Natural Resources e altri e Kärntner Landesregierung, cause riunite C-293/12 e C-594/12). Si è persa dunque un'occasione per ripristinare il diritto del difensore a richiedere i tabulati e allo stesso tempo per rendere la disciplina italiana conforme alle prescrizioni della Corte di giustizia dell'Unione europea. In conclusione
Infine il decreto delegato dovrà prevedere il nuovo delitto di diffusione di riprese o registrazioni fraudolentemente effettuate, che dovrà essere punito con la reclusione non superiore a quattro anni. La condotta incriminata consiste nella diffusione, al solo fine di recare danno alla reputazione o all'immagine altrui, di riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte sua presenza ed effettuate fraudolentemente. Il nuovo delitto non punirà perciò la semplice captazione fraudolenta effettuata da chi partecipa alla conversazione ma sarà oggettivamente necessaria la successiva diffusione delle riprese o delle registrazioni di conversazioni che riguardino un soggetto presente ed inconsapevole. La necessità che la ripresa o la registrazione sia effettuata “fraudolentemente” non solo esclude un “consenso informato” del soggetto ripreso visivamente o registrato fonicamente, ma esige il ricorso da parte dell'agente a qualche artifizio che lasci ignaro il soggetto passivo. Occorre però bandire i facili allarmismi, perché il nuovo delitto non renderà più complesse le indagini su taluni reati (si pensi alle estorsione o alla concussione), né impedirà alle persone offese di documentare le attività illecite che subiscono. Infatti il nuovo reato si consuma solo allorché la diffusione è effettuata col dolo intenzionale di recare danno alla reputazione o all'immagine altrui, per cui la ripresa o la registrazione di una condotta illecita patita non è certo sorretta dal dolo di diffamare ma, al contrario, dal diritto di difesa. Ad evitare incertezze interpretative, il comma 2 prevede espressamente che la punibilità è esclusa quando le registrazioni o le riprese sono utilizzate nell'ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario o per l'esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca È stato così esplicitamente chiarito che l'esercizio non diffamatorio della libertà di informazione è di per sé incompatibile con il dolo di recare danno alla reputazione o all'immagine altrui. Pertanto, le persone offese dal reato potranno continuare a registrare o riprendere l'autore del delitto e gli organi di informazione potranno continuare a diffondere registrazioni che documentano le attività illecite compiute dal soggetto ripreso. La libertà di informazione sarà pertanto salvaguardata, e soltanto la condotta diffamatoria sarà punita. |