Appropriazione indebita e cessione del quinto dello stipendio

17 Febbraio 2016

Le Sezioni unite hanno risolto un contrasto di giurisprudenza sorto fra le Sezioni semplici in merito alla possibilità di configurare il delitto di appropriazione indebita nella condotta del datore di lavoro che, in caso di cessione di quota della retribuzione da parte del lavoratore, ometta di versarla al cessionario. Si è ritenuto che nella fattispecie concreta possa ravvisarsi solo un illecito civile e non, invece, il reato di appropriazione indebita, per la carenza del requisito dell'altruità della cosa.
Massima

Le Sezioni unite hanno risolto un contrasto di giurisprudenza sorto fra le Sezioni semplici in merito alla possibilità di configurare il delitto di appropriazione indebita nella condotta del datore di lavoro che, in caso di cessione di quota della retribuzione da parte del lavoratore, ometta di versarla al cessionario. Si è ritenuto che nella fattispecie concreta possa ravvisarsi solo un illecito civile e non, invece, il reato di appropriazione indebita, per la carenza del requisito dell'altruità della cosa.

Il caso concreto all'origine del contrasto

Ad un imprenditore era stato contestato il delitto di appropriazione indebita aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 11 c.p., per essersi appropriato di denaro appartenente ad un suo dipendente, omettendo di versare le trattenute operate sulla busta paga, in seguito ad un contratto di cessione del credito stipulato dal dipendente stesso con una società finanziaria. All'esito del giudizio di primo grado il soggetto era stato ritenuto responsabile del reato ascrittogli e la condanna era stata confermata dalla Corte d'Appello. Segnatamente si era ritenuto da parte dei giudici di merito di dovere distinguere l'ipotesi in cui il datore di lavoro agisce nella qualità di sostituto d'imposta, dal caso in cui lo stesso venga a trovarsi nella posizione di mero responsabile per un debito altrui, come appunto avviene nell'ipotesi della cessione del quinto dello stipendio. Nella prima ipotesi il datore di lavoro doveva considerarsi debitore in proprio delle somme dovute, rispetto alle quali il lavoratore non poteva vantare alcuna titolarità, essendogli riconosciuto solo il diritto di percepire la retribuzione spettategli al netto delle trattenute; a ciò conseguiva che in tali fattispecie non poteva configurarsi il delitto di appropriazione indebita per carenza del requisito dell'altruità della cosa, prescritto dalla norma incriminatrice. Viceversa, nell'ipotesi della cessione del quinto, la quota dello stipendio ceduta dal lavoratore al suo creditore non entrava a fare parte del patrimonio del datore di lavoro, pur essendo nella sua diretta disponibilità, per avere un vincolo di destinazione. Sulla base di tale ragionamento, in linea con precedenti affermazioni della Corte di cassazione, i giudici di merito avevano ritenuto che ove il datore di lavoro avesse dato al denaro una destinazione diversa da quella prestabilita dal lavoratore attraverso la cessione del credito, il datore di lavoro si sarebbe reso responsabile del delitto di appropriazione indebita.

Il ricorrente aveva contestato tale impostazione, sostenendo che il denaro corrispondente alle somme trattenute dal datore di lavoro sullo stipendio del lavoratore per fare fronte ad un debito di costui non potesse considerarsi di proprietà altrui, in quanto il datore di lavoro aveva assunto solo la veste di debitore ceduto verso un terzo; a ciò conseguiva, secondo il ricorrente la solo configurabilità di un illecito civile per inadempienza da parte del datore di lavoro.

La precedente decisione delle Sezioni unite

Il contrasto sulla configurabilità del delitto di appropriazione indebita in fattispecie analoghe a quella sopra rappresentata era già approdato alle sezioni unite ed era stato risolto nel senso che il mancato versamento alla Cassa edile delle somme trattenute dal datore di lavoro sulla retribuzione del lavoratore non integra il reato di appropriazione indebita ma solo l'illecito amministrativo previsto dall'art. 13 d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 (Cass. pen.,Sez. unite, 27 ottobre 2004, n. 1327). Con riferimento alla fattispecie concreta, la Corte aveva ritenuto che le somme trattenute rimanevano sempre nell'esclusiva disponibilità del possessore, cioè del datore di lavoro, rimanendo indistinte da tutti gli altri beni che costituiscono il patrimonio dello stesso con conseguente impossibilità di configurare il delitto di appropriazione indebita per carenza dell'elemento dell'altruità della cosa. Viceversa, avevano affermato le sezioni unite, negli altri casi in cui il denaro di cui l'agente si appropria non entra mai a fare parte ab origine del patrimonio del possessore, rimanendo sempre di proprietà altrui, pur essendo nella disponibilità altrui in virtù di una particolare destinazione conferitagli dal possessore stesso, sarà configurabile il delitto di appropriazione indebita. In quest'ipotesi, infatti, il denaro non si confonde con il patrimonio del possessore, in quanto rimane connotato dal particolare vincolo di destinazione conferitogli dal soggetto che quelle somme aveva il diritto di percepire.

Il parere discordante delle Sezioni semplici

Successivamente la giurisprudenza delle Sezioni semplici aveva dimostrato di non volersi affatto uniformare al principio di diritto affermato dalle Sezioni unite nella decisione del 2004. E difatti da un lato si era ritenuto che non potesse configurarsi il delitto di appropriazione indebita nel caso di mancato versamento delle quote associative spettanti al sindacato di categoria al quale erano iscritti i dipendenti dell'imputato, che era stato delegato dai lavoratori interessati al versamento di tali quote trattenute sullo stipendio, stante l'assenza del requisito dell'altruità del denaro (Cass. pen.,Sez. II, 4 marzo 2010, n. 15115). Viceversa, da un altro lato, altre decisioni della medesima sezione penale della Corte di cassazione avevano ritenuto integrato il delitto di appropriazione indebita in ipotesi di omesso versamento delle trattenute previdenziali ed assistenziali alla competente gestione dell'Inps e di omesso versamento alla Cassa edile delle somme trattenute a tale titolo sulle retribuzioni corrisposte a tale titolo corrisposte ai lavoratori dipendenti (Cass. pen.,Sez. II, 18 aprile 2007, n. 23034; Cass. pen., Sez. II, 7 febbraio 2008, n. 8023); come pure è stato ritenuto sussistente il delitto di appropriazione indebita nella condotta del datore di lavoro che ometta di accantonare, e di versare all'Inps, le somme trattenute a titolo di trattamento di fine rapporto spettanti al lavoratore (Cass. pen.,Sez. II, 18 marzo 2009, n. 19911).

Le Sezioni unite del 2011

Le Sezioni unite, chiamate a risolvere il contrasto, hanno ritenuto di confermare l'orientamento che era stato già espresso nella sopra segnalata decisione del 2004. Segnatamente le Sezioni unite hanno ritenuto che la fattispecie concreta relativa alla cessione di una quota dello stipendio effettuata da un dipendente pro solvendo a favore di un terzo fosse assimilabile a quella dell'omesso versamento delle trattenute destinate alla Cassa edile, in quanto in entrambe le fattispecie esaminate è carente il requisito della altruità della cosa. Specificamente si è affermato che la regola dell'acquisizione per confusione del denaro o delle cose fungibili nel patrimonio di colui che le riceve non opera ai fini della nozione di altruità della cosa accolta nell'art. 646 c.p. (Cass. pen.,Sez. unite, 25 maggio 2011, n. 37954).

In conclusione

Non integra il reato di appropriazione indebita ma mero illecito civile la condotta del datore di lavoro che ha omesso di versare al cessionario la quota di retribuzione dovuta al lavoratore e da e da questo ceduta ad un terzo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario