Giudizio abbreviato e nuove contestazioni

Caterina Scaccianoce
17 Luglio 2015

Gli artt. 516 e 517 c.p.p. consentono al pubblico ministero di modificare o ampliare l'accusa nel “corso dell'istruzione dibattimentale”. L'articolo si sofferma sui rapporti tra nuove contestazioni e accesso al rito abbreviato attraverso una lettura costituzionalmente orientata.
Abstract

Gli artt. 516 e 517 c.p.p. consentono al pubblico ministero di modificare o ampliare l'accusa nel “corso dell'istruzione dibattimentale”. L'articolo si sofferma sui rapporti tra nuove contestazioni e accesso al rito abbreviato attraverso una lettura costituzionalmente orientata.

Spazi temporali delle nuove contestazioni: posizioni a confronto

Come noto, il pubblico ministero può procedere a un assestamento dell'imputazione a procedimento iniziato, sia “nel corso” dell'udienza preliminare (art. 423 c.p.p.) sia “nel corso” dell'istruzione dibattimentale (artt. 516 e 517 c.p.p.). Tale potere risponde all'esigenza di adeguare i confini dell'accusa ai fisiologici mutamenti della piattaforma cognitiva determinati dagli sviluppi probatori succedutisi nelle diverse fasi processuali. Si tratta di una prerogativa del titolare dell'azione penale, che, tuttavia, nella differente e peculiare situazione di cui all'art. 518, comma 2, c.p.p., è congegnata nella forma della mera richiesta al giudice di contestare una nuova imputazione “risultante dal dibattimento”, che potrà aggiungersi a quella originaria solo se il presidente ne autorizzi la contestazione, vi sia il “consenso dell'imputato presente” e non ne derivi “pregiudizio per la speditezza dei procedimenti”.

Orbene, quanto ai limiti cronologici che regolano l'istituto delle nuove contestazioni, esistono due indirizzi interpretativi che presentano soluzioni antitetiche. Secondo un primo orientamento, avallato dalle Sezioni unite, il pubblico ministero potrebbe attivarsi prima dell'avvio dell'istruzione dibattimentale e sulla base di elementi già in possesso al momento dell'esercizio dell'azione penale. Si ammette, dunque, la possibilità di procedere alle cosiddette contestazioni “tardive”, definite anche “patologiche”, nonostante il dettato normativo degli artt. 516 e 517 c.p.p. sembri circoscrivere il potere di aggiornamento dell'accusa alla fase di istruzione dibattimentale (Cass.pen., Sez. un., 28 ottobre 1998, n. 4; Cass. pen., Sez. VI, 29 ottobre 2009, n. 44501; Cass.pen., Sez. VI, 22 settembre 2009, n. 44980; Cass.pen., Sez. IV, 19 febbraio 2004, n. 18660). Di segno diametralmente opposto è un altro indirizzo, cui ha aderito anche la giurisprudenza successiva alla decisione delle Sezioni unite, il quale, agganciandosi all'espressione letterale “nel corso dell'istruzione dibattimentale”, ritiene di dovere subordinare l'esercizio del potere di procedere alle formulazioni suppletive alla condizione che gli elementi giustificativi delle nuove accuse affiorino contestualmente all'attività di istruzione e quindi siano oggetto di contraddittorio tra le parti (Cass., pen., Sez. VI, 22 marzo 2000, n. 6251; Cass.pen., Sez. II, 16 dicembre 2003, n. 6584). Diversamente ritenendo – vuole rilevarsi – si consentirebbe al pubblico ministero di aggirare l'obbligo di discovery, confinato al momento dell'avviso di conclusioni delle indagini ex art. 415-bis c.p.p., con l'effetto di rinviare alla fase del giudizio la necessaria conoscenza da parte dell'imputato di elementi già in possesso del titolare dell'accusa, perciò integrando non solo una violazione della par condicio delle parti ma anche un pregiudizio per l'imputato quanto alla possibilità di chiedere il rito abbreviato, cui magari si sarebbe potuto orientare proprio a seguito della modifica dell'imputazione o delle contestazioni suppletive, se effettuate, contestualmente all'emersione degli elementi, con la richiesta di cui all'art. 416 c.p.p. o, al più, in sede di udienza preliminare ex art. 423 c.p.p.

Anche la dottrina maggioritaria pare essersi assestata sulla tesi preclusiva, non ammettendo, nella fase anteriore al dibattimento – segmento del processo destinato alla mera preparazione del giudizio e nel corso del quale l'ipotesi accusatoria, ormai cristallizzata nel capo d'imputazione, si proietta verso la verifica dibattimentale – “aggiornamenti in chiave di mera riconsiderazione autonoma e potestativa dei propri giudizi imputativi”. Si afferma, per contro, come solo se gli elementi affiorati già in sede di indagini preliminari ma non valutati ai fini della formulazione dell'imputazione passino al vaglio della dialettica cognitiva – la sola in grado di renderli elementi probatori utilizzabili per la nuova contestazione – sarebbe legittima una modifica delle contestazioni, trattandosi di applicare in modo rituale gli artt. 516 e 517 c.p.p. La dottrina minoritaria, invece, aderendo alla giurisprudenza prevalente, considera la nuova contestazione quale atto doveroso, un modo di atteggiarsi dell'esercizio dell'azione penale che, pertanto, deve essere tempestivo e non ritardato. A fondamento di tale posizione stanno indubbie esigenze di economia processuale, che appaiono da privilegiare in quanto non contrastanti con primari diritti di difesa. Ne deriva che l'organo dell'accusa sarebbe legittimato a effettuare le modifiche ex artt. 516 e 517 c.p.p. senza dovere attendere l'istruzione dibattimentale, altrimenti trovandosi nella situazione di iniziare un nuovo procedimento, slegato da quello già in itinere, con la conseguenza di un allungamento dei tempi di definizione del processo, nel caso di reato concorrente, e di vedersi precludere il giudizio in forza del divieto del bis in idem, nel caso di circostanza aggravante. Condividendo le argomentazioni delle Sezioni unite si afferma, inoltre, come a garanzia dell'integrità del diritto di difesa soccorra la disciplina di cui all'art. 519 c.p.p., che consente all'imputato, in tutti i casi di nuove contestazioni, di avvalersi di un termine a difesa con conseguente possibilità di richiedere nuove prove (ai sensi dell'art. 507 c.p.p. ma con i criteri degli artt. 190 e 190-bis c.p.p.).

Giudizio abbreviato e nuove contestazioni: i dicta della Corte costituzionale

Attraverso un percorso interpretativo lungo e non privo di ripensamenti, la Corte costituzionale, con la recente decisione del 5 dicembre 2014, n. 273, aggiunge l'ultimo tassello a valenza “additiva”, che va a regolare i tormentati rapporti tra le nuove contestazioni dibattimentali e le modalità di accesso ai riti alternativi. La tanto necessaria quanto discutibile flessibilità dell'imputazione, su cui il meccanismo delle nuove contestazioni è costruito, deve, infatti, saldarsi con il diritto dell'imputato di potere scegliere una via alternativa rispetto all'iter ordinario di accertamento del fatto, optando per un rito semplificato che presenta la caratteristica di saltare l'intera fase del dibattimento. Da qui le ragioni di una relazione difficile, che postula un altrettanto difficile bilanciamento tra due valori in gioco: da un lato, la connaturata ratio deflattiva di tale tipologia di giudizio speciale, dall'altro, il diritto di difesa che si esplica con il diritto a rinunciare al contraddittorio per la prova in cambio di una riduzione della pena. Se inizialmente la conclusione anticipata connessa al rito semplificato era considerata dalla Corte costituzionale incompatibile con un dibattimento ormai avviato, dovendosi ritenere che l'imputato, nel decidere di proseguire per le vie ordinarie, accettava anche il rischio di una modifica “fisiologica” dell'imputazione, in seguito, tale impostazione veniva messa in crisi, da un lato, dai nuovi connotati del giudizio abbreviato, oggi vero e proprio diritto dell'imputato, e, dall'altro, dall'indirizzo, avallato dalla giurisprudenza prevalente, che considera ammissibili aggiornamenti tardivi dell'imputazione, operati in base a circostanze già note, al fine di correggere atti d'accusa errati o negligenti. In un primo momento, infatti, la Corte costituzionale, pur attribuendo a tale condotta processuale del pubblico ministero profili di indubbia anomalia, in quanto finiva con l'alterare la “libera determinazione dell'imputato verso i riti speciali”, dichiarava l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p. limitatamente alla parte in cui non prevedevano la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena su richiesta delle parti relativamente al fatto diverso e al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerneva un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale. Viceversa, dichiarava inammissibile la questione con riguardo al rito abbreviato, sostenendo come, mentre il patteggiamento integra una “forma di definizione pattizia del contenuto della sentenza che non richiede particolari procedure”, e, quindi, adottabile in qualsiasi fase del procedimento, il rito abbreviato si realizzerebbe attraverso una vera e propria “procedura” inconciliabile con quella dibattimentale (Corte cost. 30 giugno 1994, n. 265). Tale prospettiva, tuttavia, subiva un netto cambiamento alla luce, come detto, delle modifiche introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 sul giudizio abbreviato. A fronte del nuovo assetto dell'istituto, infatti, il rito abbreviato non sembrava potesse più considerarsi incompatibile con l'innesto nella fase del dibattimento, sicché la Corte, rimuovendo quella differenza di regime in tema di recupero della facoltà di accesso ai riti alternativi a seguito di una contestazione suppletiva “tardiva” e “patologica”, dichiarava l'illegittimità degli artt. 516 e 517 anche nella parte in cui non prevedevano la facoltà per l'imputato di chiedere al giudice del dibattimento il rito previsto dagli artt. 438 e ss. c.p.p. relativamente al fatto diverso o al reato concorrente oggetto di contestazione dibattimentale concernente un fatto già conosciuto al momento dell'esercizio dell'azione penale (Corte cost. 14 dicembre 2009, n. 333).

Residuavano le anomalie connesse alle nuove contestazioni “fisiologiche”, scaturite cioè da nuovi atti acquisiti in sede di istruzione dibattimentale. Con una prima decisione la Corte costituzionale ammetteva la facoltà di accedere al rito abbreviato qualora il pubblico ministero, ai sensi dell'art. 517 c.p.p., anziché decidere di procedere per le vie ordinarie, decidesse di contestare il reato concorrente all'interno del medesimo procedimento in cui era emerso, finendo, la sua scelta, discrezionale e insindacabile, col condizionare irrimediabilmente le opzioni della difesa sulla opportunità di chiedere, per quel reato, il rito abbreviato (Corte cost., 22 ottobre 2012, n. 237).

Il percorso interpretativo della Corte richiedeva, infine, un ultimo intervento considerato ormai inevitabile. A distanza di due anni, infatti, la Consulta affermava che i principi espressi nella precedente decisione risultavano estensibili, con gli opportuni adattamenti, anche alle contestazione “fisiologica” del fatto diverso, sicché, anche in rapporto all'ipotesi di cui all'art. 516 c.p.p., all'imputato doveva riconoscersi la facoltà di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, oggetto della nuova contestazione, trovandosi in una posizione “diversa e deteriore” rispetto a chi, della stessa imputazione, fosse stato chiamato a rispondere sin dall'inizio. Analogamente al caso di reato concorrente, in tale situazione, infatti, la modifica dell'imputazione interviene quando il termine per la richiesta di giudizio abbreviato è già scaduto, pregiudicando una delle scelte difensive più delicate (Corte cost. 5 dicembre 2014, n. 273). Va, tuttavia, segnalata la diversità delle due situazioni. Infatti, nel caso di modifica “fisiologica” dell'imputazione il pubblico ministero, non potendo procedere in separata sede come nel caso della contestazione del reato concorrente, non gode in realtà di alcuna scelta discrezionale. In altri termini, è obbligato a modificare l'imputazione. Di ciò è ben consapevole la Corte, benché abbia concluso come non sarebbero giustificabili discriminazioni tra le due ipotesi, entrando in gioco il diritto di difesa dell'imputato, che verrebbe leso allorquando si prospetti una trasformazione dei tratti essenziali dell'addebito, da cui potrebbero derivare importanti ripercussioni sull'entità della pena.

In conclusione

Certo la Corte, accorpando in un unico genus i casi che conducono il pubblico ministero a utilizzare i meccanismi previsti dagli artt. 516 e 517 c.p.p., pare avere spezzato definitivamente il nesso tra deflazione e premialità, dualismo su cui dovrebbe reggersi il rapporto tra accesso al rito abbreviato e nuove contestazioni. Con l'ultima pronuncia, infatti, viene accordato all'imputato il diritto di rinunciare al contraddittorio per la prova a dibattimento già iniziato, se non prossimo alla chiusura, in nome di supposti effetti di economia che deriverebbero comunque dalla trasformazione del rito da ordinario ad abbreviato. Forse avrebbe fatto meglio a diversificare, quanto meno, le situazioni di modifica “fisiologica” dell'imputazione, consentendo un recupero dei termini per chiedere l'abbreviato solo nei casi in cui la modifica consegua a una negligenza investigativa. Un'indagine lacunosa, infatti, se colmata nel corso dell'istruzione dibattimentale attraverso l'acquisizione di elementi che già in sede investigativa potevano entrare a far parte del quadro probatorio, è espressione di una condotta processuale della pubblica accusa che influisce sulle scelte difensive dell'imputato. E solo in questa ottica potrebbe giustificarsi la restituzione in termini per un rito etichettato “deflativo del dibattimento”.

Il cuore del problema sembra, dunque, quello di consentire all'accusato la possibilità di scegliere consapevolmente la strategia processuale più idonea; consapevolezza che dipende dalla corretta e completa contestazione degli elementi in possesso dell'accusa, i quali, appunto, solo se tutti ab initio cristallizzati nell'imputazione potrebbero magari indurre a una scelta diversa rispetto a quella dibattimentale. Secondo questa logica appaiono senz'altro coerenti le correzioni della disciplina apportate dalla Consulta e riguardanti le nuove contestazioni “tardive” o “patologiche”.

D'altra parte, non ha da sembrare una lettura formalistica l'opzione del legislatore di utilizzare come intitolazione del capo IV del Giudizio l'espressione “nuove contestazioni”, essendo plausibile che si sia voluto riferire principalmente alla possibilità di riformulare l'originaria contestazione a seguito di emergenze probatorie contestuali all'istruzione dibattimentale. Per di più, se il legislatore avesse voluto annettere nei “contestabili” in sede di istruzione dibattimentale anche elementi già acquisiti nel corso delle indagini non avrebbe qualificato le contestazioni in dibattimento come “nuove”, indicando l'aggettivo proprio la connotazione di emergente nel contesto dibattimentale.

Diversamente, ammettendo che in giudizio si possa rimediare a disattenzioni investigative mediante il recupero di elementi già conosciuti nelle indagini preliminari e ponendoli alla base di una nuova o diversa accusa, si avallerebbe la possibilità di uno scollamento tra l'imputazione come formulata al momento dell'esercizio dell'azione penale e gli elementi acquisiti nella fase investigativa. Una condotta, cioè, distorta e in distonia con la funzione del pubblico ministero nel processo penale, quale quella voluta dal Costituente. Si consentirebbero, in altri termini, formulazioni anche disinvolte dell'imputazione, ammettendo che il pubblico ministero potrebbe contare sull'assestamento in itinere delle accuse, quale strumento cui ricorrere per l'integrazione di atti imputativi deficitari, così tradendo il senso precipuo dell'obbligo di completezza delle indagini. Tale principio, da cui discende la “massima razionalità dell'indagine”, infatti, da un lato, serve all'accusato per accedere ai riti alternativi – e in ogni caso per tutelare appieno il diritto di difesa – dall'altro, giova all'efficienza e all'efficacia del sistema, costituendo un argine contro eventuali prassi di esercizio apparente dell'azione. Esercizio apparente che avrebbe come trascinamenti possibili la violazione del principio fondamentale di uguaglianza come anche del canone di legalità (artt. 112, 3 e 25 Cost.). Con riguardo all'imputazione, inoltre, la regola della completezza risponde all'esigenza di evitare formulazioni lacunose, superficiali o monche, onde correlare il primo giudizio imputativo a indagini complete, senza trascurare – più o meno scientemente – alcuno degli elementi emersi dal lavoro investigativo, facendo magari affidamento sul possibile recupero di quelle acquisizioni nelle fasi dell'udienza preliminare o del giudizio, attraverso il meccanismo delle contestazioni suppletive (prassi, tuttavia, come sopra ricordato, ritenuta legittima dalla giurisprudenza a Sezioni unite).

Altro discorso è se, invece, quegli elementi investigativi già fruibili, ma non tenuti in considerazione ai fini del giudizio imputativo iniziale, vengano poi filtrati attraverso la dialettica dibattimentale, divenendo risultanze utili per un nuovo addebito sia pure sotto altra specie formale e funzionale: in tale evenienza, può pacificamente ritenersi che si rientri nella situazione contemplata dal legislatore. Ciò che, infatti, rileva è la valorizzazione del dato già in nuce attraverso il filtro del dibattimento, potendosi giustificare, solo in tale ipotesi, a presidio del diritto di difesa, il recupero di uno spazio per la richiesta di giudizio abbreviato con riguardo alla nuova contestazione.

Coerentemente a questa lettura, è da condividere l'orientamento secondo il quale a fronte di una nuova contestazione che, anziché derivare dalle emergenze dibattimentali, traduce in addebito la tardiva elaborazione di dati conoscitivi già presenti nel fascicolo delle indagini, il giudice dovrebbe disporre, ai sensi dell'art. 521, comma 3, c.p.p., la trasmissione degli atti al pubblico ministero, trattandosi di modifiche o ampliamenti della imputazione operati fuori dai casi di cui agli artt. 516 e 517 c.p.p. La pubblica accusa, infatti, dovrebbe fin dall'inizio, e quindi fin dal momento dell'esercizio dell'azione penale, contestare tutti i dati di cui è in possesso, con la conseguenza che la sentenza eventualmente pronunciata dovrà considerarsi nulla in parte qua, costituendo, l'omissione del titolare delle indagini, un vizio concernente l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale come pure l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato (artt. 178 e 179, comma 1, c.p.p.).

Ma esigenze di economia processuale stanno a base dell'indirizzo contrario che asseconda, proprio in nome della celerità, come anche della prepotente suggestione della “non dispersione di mezzi di prova”, la possibilità per il pubblico ministero di correggere o integrare l'imputazione prima dell'inizio dell'istruzione dibattimentale sulla base di dati già acquisiti in fase di indagini preliminari. Sarebbe, infatti, antieconomico attendere l'istruzione dibattimentale per calibrare l'imputazione su dati probatori già disponibili, a meno di non aderire in modo del tutto formalistico al dato testuale. Del resto, l'obiezione relativa alla mancata tutela delle garanzie difensive, secondo la posizione assunta dalla Corte nel suo ampio consesso, troverebbe ampia smentita nella stessa disciplina che, all'art. 519 c.p.p., prevede la possibilità per l'imputato di chiedere un termine per la difesa, consentendogli, così, di recuperare eventuali gap difensivi, con la conseguenza che nessun deficit di garanzia verrebbe a delinearsi se il pubblico ministero “per inerzia o per errore abbia omesso in parte la contestazione di elementi di accusa già acquisiti, potendovi provvedere poi nel dibattimento e sin dal suo inizio, apportando le necessarie modifiche all'imputazione”. Qualora, invece, all'inadempimento da parte del titolare dell'accusa si ricollegasse la nullità per violazione di cui all'art. 178, lett. b), ne deriverebbe – sempre secondo tale lettura – “l'assurdo risultato che il giudice […] sarebbe tenuto a disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero”, verificandosi, così, in ossequio a un esasperato formalismo, la “dispersione degli elementi utili per un giusto processo”.

In definitiva sembra che la tesi estensiva, avallata dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalla pronuncia a Sezioni unite Barbagallo, tenda a privilegiare le richiamate esigenze di celerità sottese agli istituti di cui agli artt. 516 e 517 c.p.p., ovviando, tuttavia, di fronte a indubbie violazioni del principio di parità delle parti e del diritto di difesa – che, come sancito nella Costituzione, deve essere garantito “in ogni stato e grado del procedimento” (art. 24, comma 2, Cost.), quindi, sin dalle prime fasi, in cui “la persona accusata di un reato” deve essere “nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico” (art. 111, comma 3, Cost.) – mediante il recupero concesso all'imputato di compiere tutte quelle scelte processuali – ormai non più optabili per non averle effettuate nelle sedi fisiologiche – relativamente al diritto alla prova, all'accesso ai riti speciali, tra cui il rito abbreviato, all'esercizio dell'autodifesa, tutte da correlare, ovviamente, ai contenuti delle nuove contestazioni, “fisiologiche” o “patologiche” che siano.

Guida all'approfondimento

Angeletti, Nuove contestazioni dibattimentali e giudizio abbreviato, Torino, 2014;

Cabiale, L'imputato può chiedere il giudizio abbreviato anche dopo la modifica ‘fisiologica' dell'imputazione: la fine del ‘binomio indissolubile' fra premialità e deflazione, in www.penalecontemporaneo.it;

Caianiello, Modifiche all'imputazione e giudizio abbreviato. Verso un superamento della distinzione tra contestazioni fisiologiche e patologiche, in Giur. cost., 2012, 3566 ss.;

Cassiba, La Consulta accantona la prevedibilità delle nuove contestazioni e compie un'incursione sul diritto vivente, in Arch. pen., 2015;

Di Chiara, Processo penale e giurisprudenza costituzionale. Itinerari, Roma, 1996, 78 ss.;

Leo, Ancora una sentenza additiva sull'art. 516 c.p.p.: per il fatto diverso oggetto di contestazione dibattimentale “fisiologica” l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato, in www.penalecontemporaneo.it;

Maffeo, Le contestazioni tardive e il giudizio abbreviato, in Giur. cost., 2010, 3598 ss.;

Pini, Modifica dell'imputazione e diritto ai riti speciali, in Giur. cost., 1995, 4419 ss.;

Rafaraci, Le nuove contestazioni nel processo penale, Milano, 1996;

Silvestri, Modifica dell'imputazione senza istruzione dibattimentale e rimedi restitutori in favore dell'imputato, in Cass. pen., 2009, 1079 ss.;

Suraci, La problematica relazione tra nuove contestazioni dibattimentali e giudizio abbreviato, in Dir. pen. proc., 2010, 1488 ss.;

Zacché, Il giudizio abbreviato, Milano, 2004.

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