L’abuso di autorità e i soggetti qualificati nel reato di violenza sessuale su minori

17 Ottobre 2016

Gli ambiti applicativi del delitto di violenza sessuale per costrizione e di quello di atti sessuali con minore ultrasedicenne ad opera di soggetti qualificati, mediante abuso di poteri appaiono di facile individuazione quando la violenza si concretizza attraverso una coartazione fisica o psichica. Tale operazione ermeneutica può, invece, non risultare agevole quando la violenza si esplica mediante un abuso di autorità, intesa in un'accezione ampia, comprensiva anche dell'abuso di autorità non solo pubblica ma anche privata. La terza fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 609-quater c.p. punisce con la reclusione da tre a sei anni chi, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'art. 609-bis c.p., rivestendo un ruolo qualificato ...
Abstract

Gli ambiti applicativi del delitto di violenza sessuale per costrizione e di quello di atti sessuali con minore ultrasedicenne ad opera di soggetti qualificati, mediante abuso di poteri appaiono di facile individuazione quando la violenza si concretizza attraverso una coartazione fisica o psichica. Tale operazione ermeneutica può, invece, non risultare agevole quando la violenza si esplica mediante un abuso di autorità, intesa in un'accezione ampia, comprensiva anche dell'abuso di autorità non solo pubblica ma anche privata.

Il quadro normativo

L'art. 6 della l. 6 febbraio 2006, n. 38 ha introdotto il secondo comma dell'art. 609-quater c.p. che, nella formulazione originaria, prescriveva: Al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 609-bis, l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, o il tutore che, con l'abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni. Successivamente l'art. 4, primo comma, lett. r), della l. 1 ottobre 2012, n. 172 ha modificato la disposizione, che attualmente risulta formulata nei seguenti termini: Fuori dei casi previsti dall'articolo 609-bis, l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest'ultimo una relazione di convivenza, che, con l'abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni .

La fattispecie di atti sessuali con minore ultrasedicenne ad opera di soggetti qualificati, mediante abuso di poteri

La terza fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 609-quater c.p. punisce con la reclusione da tre a sei anni chi, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'art. 609-bis c.p., rivestendo un ruolo qualificato nella vita del minore ultrasedicenne, compie con quest'ultimo atti sessuali, abusando dei poteri connessi al sua posizione.

Il delitto si distingue da quello di atti sessuali con minore infraquattordicenne, regolamentato al primo comma del medesimo articolo, per diversi profili. In primo luogo si tratta di un reato proprio perché soggetti attivi possono essere soltanto quelli indicati dalla norma. L'elencazione è tassativa e non suscettibile di estensione, pena la violazione del divieto di analogia.

In secondo luogo deve essere ravvisato un abuso dei poteri connessi alla particolare posizione dell'agente.

La ratio della disposizione, pertanto, si rintraccia nell'esigenza di estendere la tutela rivolta ai minori infraquattordicenni anche a quelli che non hanno ancora compiuto il diciottesimo anno di età quando si vengono a trovare in specifici stati di vulnerabilità. L'ordinamento, infatti, riconosce agli infradiciottenni la capacità di esprimere un valido consenso in situazioni “fisiologiche”, mentre ritiene che sussista un vizio di volontà in contesti relazionali caratterizzati da un differenziale di potere tra le parti e da un abuso dello stesso. In tali ipotesi pone, pertanto, una presunzione insuperabile di invalidità del consenso.

I rapporti tra la fattispecie di cui all'art. 609-bis, comma 1, e quella di cui art. 609-quater, comma 2, c.p.

La fattispecie disciplinata dall'art. 609-quater, comma 2, c.p. prevede nel suo incipit una clausola di riserva espressa che subordina l'applicazione della norma all'insussistenza degli elementi costitutivi richiesti dall'art. 609-bis c.p. Di conseguenza il reato di atti sessuali con minorenne si differenzia rispetto a quello di violenza sessuale ai sensi dell'art. 609-bis, comma 1, c.p. perché deve mancare la condotta di costrizione.

Mentre quando si concretizza una coartazione fisica o psichica gli ambiti applicativi delle norme appaiono di facile individuazione, nel caso in cui ricorra un abuso di autorità la distinzione può non risultare agevole se si aderisce ad una nozione ampia, comprensiva anche dell'abuso di autorità privata.

In dottrina e giurisprudenza, infatti, si ravvisa un contrasto sull'interpretazione della predetta locuzione. Tale ipotesi di costrizione presenta delle difficoltà interpretative perché l'espressione abuso di autorità è alquanto indeterminata sotto il profilo concettuale. Ci si è interrogati, infatti, su quale debba essere la fonte dalla quale il soggetto attivo attinge la propria autorità.

Secondo una prima impostazione vi rientra qualsiasi forma di strumentalizzazione del rapporto di supremazia, senza distinzione tra autorità fondata su un potere giuridico o derivante da un potere di fatto né tra autorità pubblica e privata.

Per un secondo orientamento l'abuso di autorità presuppone nell'agente una qualità formale e pubblicistica in grado di estrinsecare una supremazia o un'autorità idonea ad incidere sul procedimento formativo della volontà della persona offesa.

Inizialmente la Corte di cassazione, a Sezioni unite, con sentenza 31 maggio 2000 n. 13, ha aderito alla seconda impostazione per cui l'abuso di autorità è stato ricollegato esclusivamente all'esercizio e alla strumentalizzazione di una posizione autoritativa di tipo formale o pubblicistica, in grado di costringere il soggetto passivo a compiere atti sessuali (Cass. pen., Sez. III, 24 marzo 2015, n. 16107; Cass. Pen, Sez. III, 22 maggio 2012, n. 36595; Cass. pen., Sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 6982; Cass. pen., Sez. III, 11 ottobre 2011, n. 2681, secondo la quale la costrizione all'atto sessuale, mediante l'abuso di autorità, tale da invalidare il consenso, non può avere ad oggetto alcuna potestà di tipo privatistico; Cass. pen., Sez. III, 19 giugno 2002, n. 32513).

Recentemente, però, parte della giurisprudenza ha ritenuto che l'espressione abuso di autorità deve essere intesa come supremazia derivante da autorità, indifferentemente pubblica o privata, di cui l'agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali (Cass. pen., Sez. III, 30 aprile 2014, n. 49990; Cass. pen., Sez. III, 27 marzo 2014, n. 36704; Cass. pen., Sez. III, 19 aprile 2012 n. 19419; Cass. pen., Sez. III, 3 dicembre 2008, n. 2119).

Se si aderisce a quest'ultimo orientamento la differenza tra la fattispecie di cui all'art. 609-bis c.p. e quella di cui art. 609-quater, comma 2, c.p. dovrebbe ravvisarsi nell'assenza nella seconda norma dell'elemento della costrizione.

Un abuso di poteri non costrittivo, però, è difficilmente ipotizzabile.

Pertanto secondo un'impostazione dottrinaria l'accoglimento di un'accezione ampia di abuso di autorità, comprensiva anche di quella privata, rende problematico ritenere che il fatto sia stato posto in essere con l'abuso dei poteri connessi alla posizione di genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, ecc. e, al contempo, senza abuso di autorità.

Tale esegesi della predetta locuzione omnicomprensiva di entrambi i significati, inoltre, porta a disapplicare di fatto la norma (l'art. 609-quater) perché sostanzialmente pleonastica, essendo sufficiente applicare l'art. 609-bis, comma 1, c.p.

Secondo un altro indirizzo, invece, il problema non si porrebbe perché il concetto di abuso di autorità è diverso e distinto rispetto a quello di abuso di poteri connessi alla posizione rivestita dall'agente.

In questo senso si è sostenuto che l'abuso dei poteri debba essere assimilato al mero abuso di una posizione d'influenza, che allora è però sostanzialmente insito nel tipo di rapporto sperequato con la vittima (PICOTTI) o al mero approfittamento della propria posizione di supremazia nell'ambito familiare e parafamiliare (BERTOLINO). Queste impostazioni, però, sembrerebbero eliminare dalla locuzione “abuso di poteri” la specificazione “di poteri”, ponendosi in contrasto con l'esplicito dettato legislativo. Tale interpretazione, inoltre, contrasterebbe anche con la voluntas legis perché riconduce l'ambito di applicazione della norma a quello già delineato dall'art. 609-quater, comma 1, n. 2, c.p. mentre è evidente che l'intenzione del Lgislatore era quella di innalzare la tutela già prevista per i minori infrasedicenni a quelli infradiciottenni solo quando si vengono a trovare in contesti in cui i predetti poteri sono strumentalizzati per raggiungere il fine prefissato dall'agente.

In conclusione

Prima della modifica operata dalla legge 38/2006, che ha introdotto l'attuale secondo comma dell'art. 609-quater c.p. il quadro normativo appariva sufficientemente chiaro quando la violenza sessuale si realizzava nell'ambito di rapporti familiari e parafamiliari.

Le fattispecie, infatti, che venivano in rilievo erano quella di violenza sessuale aggravata per costrizione mediante abuso di autorità (artt. 609-bis, comma 1, e 609-ter, comma 5, c.p.) e di atti sessuali con minore infrasedicenne ad opera di soggetti qualificati (l'art. 609-quater, comma 1, n. 2 c.p.).

I soggetti indicati in quest'ultimo delitto (l'ascendente, il genitore anche adottivo, ecc.), infatti, assumono indubbiamente una posizione di autorità nei confronti del minore. In tali ipotesi la particolare soggezione in cui si trova la vittima discende dal presentarsi di occasioni frequenti di stretto contatto, dall'instaurarsi nel minore di uno speciale rapporto di fiducia, dal particolare carisma dell'adulto, che svolge quelle funzioni, "mitizzato" dal minore in modo da poter dipendere da questi o, comunque, di accondiscendere alle sue richieste per assecondarlo o per timore di reazioni (Cass. pen., Sez. III, 13 maggio 2004, n. 29662).

L'inciso iniziale della norma, però, ne limita l'applicabilità ai casi in cui l'atto sessuale sia connotato dall'assenza di violenza, minaccia, abuso di autorità o di condizioni di inferiorità fisica o psichica del minore al momento del fatto ovvero di inganno in pregiudizio del minore attraverso la sostituzione di persona attuata dal colpevole.

I due delitti, pertanto, si differenziano perché mentre quello disciplinato all'art. 609-quater, comma 1, n. 2 c.p. è un reato di posizione, in quanto ciò che rileva è la qualità rivestita dall'agente, nell'altro previsto dall'art. 609-bis c.p. l'abuso di autorità comporta un uso strumentale della stessa tale da costringere il minore a subire gli atti sessuali. Perciò mentre nel primo caso per ritenere sussistente il delitto è sufficiente la presenza delle qualità indicate, nel secondo, invece, è necessario che i caratteri della costrizione, della strumentalizzazione e della soggezione, fisica o psicologica, devono essere contemporaneamente presenti. Inoltre un'assimilazione tra abuso di autorità e "soggezione" per determinate qualità comporterebbe un'interpretazione abrogatrice della fattispecie, riportando ogni ipotesi di atti sessuali da parte di persone qualificate nell'alveo dell'art. 609-bis c.p. e restringendo, in maniera drastica, l'area di operatività dell'art. 609-quater, comma 1, n. 1 c.p. (Cass. pen., Sez. III, 13 maggio 2004, n. 29662).

L'introduzione del delitto di atti sessuali con minore ultrasedicenne ad opera di soggetti qualificati ha reso più complicato delimitare l'ambito applicativo delle norme perché è previsto esplicitamente che la condotta si esplichi mediante abuso di poteri connessi alla posizione e non si limiti alla sola “soggezione” per determinate qualità.

Al fine di risolvere il contrasto tra le fattispecie sembrerebbe necessario aderire a quell'orientamento “restrittivo” secondo il quale per abuso di autorità deve intendersi solo quella pubblica. Ciò consente di ricondurre il sistema a ragionevolezza e a non considerare l'art. 609-quater, comma 2, c.p. norma pleonastica, perché si applicherebbe in tutte quelle occasioni in cui si realizzano forme di abuso di autorità privata in ambito familiare e parafamiliare.

Tale impostazione, però, da un lato comporterebbe l'impunità di quelle ipotesi di violenza sessuale per costrizione negli altri casi di abuso di autorità privata (ad es., quelle realizzate nell'ambito dei rapporti di lavoro). Dall'altro non tiene conto che la fattispecie di atti sessuali con minorenne si distingue per la necessità della sussistenza del consenso del minore, seppur viziato, consenso che nel caso della violenza sessuale per costrizione si ritiene inesistente.

Il profilo differenziale dovrebbe essere ravvisato proprio nell'elemento volitivo: mentre nell'ipotesi di violenza sessuale si tratta di abuso costrittivo perché il rapporto sessuale è consumato contro la volontà della vittima, nel delitto ex art. 609-quater, comma 2, il Legislatore ha stabilito che è irrilevante il consenso prestato in determinate situazioni in ragione del peculiare rapporto fra soggetto attivo e passivo del reato. Tale presunzione si basa sulla considerazione che la giovane età della vittima, la soggezione anche morale in cui si trova nei confronti di determinate persone e l'influenza che le stesse possono esercitare su di lui in relazione alla fiducia del minore, sono fattori che possono agevolare il consenso o, comunque, impedire il rifiuto. Si tratta, pertanto, di un abuso di poteri di natura “induttiva” in cui la strumentalizzazione del rapporto di supremazia nell'ambito familiare e parafamiliare da parte dell'agente può concretizzarsi nell'uso distorto dei propri poteri per l'ottenimento di prestazioni di natura sessuale.

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