Attività di stampo terroristico, le direttive Ue e il processo penale nell'ambito delle politiche di contrasto

17 Novembre 2016

Il lungo iter legislativo emergenziale in tema di attività terroristica rappresenta l'inadeguatezza del diritto esistente in merito alla capacità del nostro sistema democratico di fronteggiare fenomeni che incidono in maniera incisiva nell'ambito della tutela dei diritti fondamentali. Le situazioni di emergenza rappresentano infatti una prova di resistenza dei diritti fondamentali che comportano un difficile equilibrio tra la sicurezza nazionale che ovviamente non deve subire un indebolimento ...
Abstract

Il lungo iter legislativo emergenziale in tema di attività terroristica rappresenta l'inadeguatezza del diritto esistente in merito alla capacità del nostro sistema democratico di fronteggiare fenomeni che incidono in maniera incisiva nell'ambito della tutela dei diritti fondamentali. Le situazioni di emergenza rappresentano infatti una prova di resistenza dei diritti fondamentali che comportano un difficile equilibrio tra la sicurezza nazionale che ovviamente non deve subire un indebolimento e la salvaguardia dei diritti umani di ciascun individuo. La lotta al terrorismo dev'essere considerata una lotta che non va condotta fuori dalla legge ma dentro la legge. Con la legge 43 del 17 aprile 2015 sono stati offerti nuovi strumenti investigativi e nuove misure penali ispirate ai principi di prevenzione e repressione che hanno caratterizzato la normativa europea. Con una qualificazione più dettagliata dell'attività terroristica si sono applicate misure di prevenzione personali ed espulsione dello straniero per motivi di prevenzione del terrorismo, oltre che l'introduzione di pene detentive per i foreign fighter e per chi fa propaganda sul web.

Lo status di terrorista e la privazione dei diritti

Negli ultimi anni le democrazie occidentali hanno dovuto subire dei cambiamenti non solo a livello legislativo, con l'introduzione di nuove norme in grado di fronteggiare l'emergenza terroristica ma anche a livello ideologico nell'ottica di un riconoscimento e di tutela dei diritti individuali. Le “reali” situazioni di emergenza si riscontrano in particolar modo in caso di attività terroristica intesa quale emergenza collettiva di più estesa e percepibile pregnanza.

è ormai pacifico che le reali situazioni di emergenza rappresentano una vera e propria “prova di resistenza” dei diritti fondamentali, dal momento che l'applicazione dei principi posti a fondamento di ogni Stato democratico, di fronte alla crisi emergenziale, può essere sottoposta ad una prova difficile e di grande sofferenza.

Nella massima Ciceroniana Silent enim leges inter arma riscontriamo la contraddizione di quello che accade nell'attività terroristica, ogni battaglia che un Paese conduce – contro il terrorismo o contro ogni altro nemico – deve essere condotta secondo leggi e regole. La lotta al terrorismo non va condotta fuori dalla legge ma dentro la legge, usando gli strumenti che la legge mette a disposizione dello Stato democratico: i diritti umani non possono giustificare un indebolimento della sicurezza nazionale in nessun caso.

Il bilanciamento e il compromesso (tra la sicurezza e i diritti umani) sono il prezzo della democrazia.

Si è affermato che la prima emergenza, nella più generale emergenza del terrorismo, è proprio la difficile gestione dei suoi effetti emotivi dal punto di vista sociale: il terrorismo evoca la militarizzazione dello strumento giuridico-penale e rende necessarie risposte di tipo eccezionale, che hanno portato, inevitabilmente, con sé il pericolo di una negazione o sospensione dei diritti fondamentali. La risoluzione nell'ambito della III sessione del XVIII Congresso internazionale del diritto penale su le principali sfide poste dalla globalizzazione alla giustizia penale (Istanbul, 20-27 settembre 2009), è infatti dedicata a speciali misure processuali e protezione dei diritti fondamentali della persona.

La complessa attività di lotta al terrorismo può essere ripartita secondo due direttrici principali: una di guerra e una di giurisdizione. Si fa riferimento da una parte al pensiero di Gubther Jakobs e alla sua teoria del diritto penale del nemico; e agli strumenti adottati dall'amministrazione americana del 2001 a seguito dell'attentato alle torri gemelle.

La teoria di Jakobs riconosce, all'interno del diritto penale due rami ben distinti: il diritto penale del cittadino e il diritto penale del nemico. Il diritto penale del cittadino che potremmo definire il diritto penale ordinario applicato ai normali criminali, mentre, il diritto penale del nemico è il diritto penale indirizzato contro i terroristi che garantisce la sicurezza, più che preservare la vigenza del diritto. Il diritto penale dei cittadini, posto a garanzia del diritto obiettivo, si trasforma – ecco l'abnorme concetto – in un diritto penale del nemico. In questo modo la "lotta" al terrorismo non è solo una parola, bensì un concetto; con essa si designa un'azione contro dei nemici. È un diritto (se così può essere definito) contrario ai principi della democrazia e dello Stato di diritto, dominato dall'ossessione per la pericolosità del soggetto e dall'intenzione assoluta di eliminarlo ferocemente. Partendo da questo assunto possiamo affermare che la linea di pensiero alla base della suddetta teoria è la medesima che ha ispirato, negli Stati uniti, la scelta del "sistema di difesa" da adottare contro il terrorismo in seguito agli attacchi subiti 1'11 settembre 2001.

La soluzione adottata dall'Europa nell'ottica del contrasto al fenomeno terroristico ha posto, invece, le basi nel diritto internazionale classico e nel diritto penale; il terrorismo non è considerato come un nemico dello Stato da combattere e neutralizzare attraverso l'uso di strumenti di guerra o misure extralegali ma con le armi proprie che il diritto penale, fondato su uno Stato democratico, mette a disposizione. Il diritto penale è diventatoun'arma contro il terrorismo, unostrumento di lotta, se non di guerra, introducendo norme sostanziali e processuali nuove e spesso di tipo «eccezionale». La domanda che ci si pone allora è la seguente: dal momento che in Europa (dunque, anche nel nostro Paese) la scelta è stata quella di utilizzare il diritto penale come "arma" contro il terrorismo, a differenza degli Stati Uniti che hanno ritenuto insufficiente il ricorso ad ordinari strumenti normativi, è possibile individuare una penetrazione della logica del diritto penale del nemico nei nostri sistemi giuridici?

Occorre, in primo luogo, operare una distinzione tra diritto penale del nemico e diritto penale di “lotta”. Si può ricorrere legittimamente agli strumenti del diritto penale anche per contrastare fenomeni generali, quali quelli terroristici. Nel momento in cui, però, si passa all'aggressione dei diritti fondamentali della persona, la quale viene privata delle normali garanzie riconosciutegli dall'ordinamento, allora comincia il passaggio dal diritto penale “di lotta” al diritto penale “del nemico”, che vede nell'imputato, qualificato come nemico prima ancora di essere giudicato colpevole, un avversario da sconfiggere; tale status lo priva dei diritti che lo Stato deve riconoscere ad ogni imputato, perde ogni finalità di recupero o risocializzazione della pena, fa uso di un regime penitenziario duro, di strumenti degradanti, disumani e, dunque, illegittimi. L'art. 270-quinquies c.p. introdotto nel nostro codice penale dal d.l. 144 del 2005, convertito nella l. 155 del 2005, prevede il delitto di addestramento ad attività con finalità di terrorismo. Nonostante la norma sia incentrata sulla punizione della condotta di chi addestra un soggetto per il compimento di atti di violenza con finalità terroristiche, la norma precisa che alla stessa pena soggiace la persona che viene addestrata. L'art. 270-quinquiesc.p., dunque, non incrimina il compimento di atti terroristici ma l'attività di preparazione di terroristi; più semplicemente, però, si può dire che viene punito l'essere veramente un terrorista e che tale punizione della mera pericolosità soggettiva viene confusa per nozioni di diritto penale del fatto in quanto si dice che l'offesa è di pericolo ed è insita non nel soggetto, ma nell'addestramento che ha ricevuto.

Se poi consideriamo la permanente vigenza del delitto di co spirazione politica mediante accordo (art. 304 c.p.), che si estende al nuovo delitto di addestramento, è oggi sufficiente l'accordo tra addestratore e addestrato affinché si verifichi la condotta illecita. Dunque, la scelta di punire non solo chi addestra al compimento di attività terroristiche, poiché produce nei terzi una potenzialità lesiva prima inesistente ma anche chi apprende le tecniche o solamente si accorda per essere istruito, provoca un allontanamento dalla logica del diritto penale del fatto ove si esige che si punisca per l'atto compiuto e non per la qualifica personale.

Nell'ambito degli strumenti di indagine, l'art. 226 disp. att. c.p.p., consente al Ministro dell'interno, al questore o al comandante provinciale dei Carabinieri e della Guardia di Finanza di richiedere, al procuratore della Repubblica legittimato, di concedere l'autorizzazione ad effettuare intercettazioni preventive, anche ambientali, che nessun giudice dovrà mai autorizzare essendo slegate dall'acquisizione di una notitia criminis ed effettuate solamente con lo scopo di prevenire il compimento di alcuni reati. Dunque, appare fortemente affievolita, la disciplina imposta dall'art. 15 comma secondo della Costituzione, che garantisce la libertà e la segretezza di ogni forma di comunicazione e dispone che la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria; è pur vero che nell'espressione autorità giudiziaria è possibile ricomprendervi la figura del pubblico ministero ma, in ogni caso, ogni forma di limitazione a questi importanti diritti, riconosciuti a livello costituzionale, realizzata attraverso autorizzazioni disposte dal solo magistrato del pubblico ministero, dovrebbe essere quantomeno a carattere provvisorio e successivamente sottoposta a controllo da parte di un giudice.

Il decreto legge del 2005 ha previsto la possibilità, con decreto del Ministero dell'interno o prefettizio, di espellere gli stranieri sospetti di terrorismo la cui esecuzione non è sospendibile dal Tar o in sede giurisdizionale. In questo caso è, quindi, evidente sia la possibile violazione dell'art. 13 Cedu che prevede il diritto ad un ricorso effettivo avanti ad una magistratura nazionale, in caso di violazione dei diritti di libertà, sia la violazione dell'art. 13 della Costituzione ove si prevede che qualsiasi forma di restrizione della libertà personale deve essere disposta con atto motivato dell'autorità giudiziaria, nei soli casi e nei modi stabiliti dalla legge.

Di fronte all'egoismo «sacro» dei «martiri della redenzione» (i kamikaze) e alla violenza terroristica di minoranze smarrite, la società occidentale si scopre incapace di elaborare una strategia globale «democraticamente oltre che politicamente corretta»: perché, come si è giustamente rilevato: se i diritti dei soggetti sospettati e indagati di terrorismo fossero fuori da ogni habeas corpus; se tecniche di interrogatorio che tracimano in tortura fossero normali sistemi investigativi che fine farebbero i principi di uno Stato democratico?

Le condotte con finalità di terrorismo: gli strumenti di prevenzione e di indagine

Dal momento che la Costituzione italiana non contiene una disciplina ad hoc, le emergenze legate al terrorismo sono stateaffrontate facendo ricorso alla decretazione d'urgenza. Si è con le diverse novità legislative delineato un vero e proprio sottosistema speciale: un regime differenziato non solo di diritto sostanziale e penitenziario ma anche di diritto processuale, dal momento che il compimento di atti terroristici determina una definizione dell'emergenza quale categoria criminologica che, in via necessariamente prognostica, conclama l'inadeguatezza del diritto esistente.

Il decreto legge 144 del 27 luglio 2005, convertito, nella legge 155 del 31 luglio dello stesso anno, contiene Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale.

Nel contesto delle novità introdotte dal provvedimento in esame, sono da segnalare non solo le novità sotto il profilo del modifiche alla disciplina strettamente processuale ma anche le novità introdotte sotto il profilo del diritto penale sostanziale, oltre che le novità in ambito di prevenzione e di indagine ma anche le modifiche di natura strettamente processuale nell'ambito del procedimento penale, attività violente con finalità di terrorismo.Già con il d.l. 374 del 2001, convertito in l. 438/2001, il Legislatore aveva introdotto nel nostro codice penale il nuovo reato di terrorismo internazionale, modificando l'art. 270-bis rubricato Associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico. La norma appare di notevole importanza, in particolare, sotto due aspetti: da un lato, determina la distinzione terminologica tra finalità di eversione e finalità di terrorismo, dall'altro, ha esplicitamenteprevisto, nel comma terzo, l'applicazione della medesima disciplina, non solo in caso di attività di terrorismo interno ma anche di terrorismo internazionale; eventualità questa che, per lungo tempo fino ad allora, era stata pacificamente esclusa dalla giurisprudenza, in quanto si è sempre ritenuto che la disciplina dell'art. 270-bisc.p.venga indirizzata solamente agli atti di terrorismo interno e non sia adattabile alla materia internazionale. Una volta estesa laportata della norma incriminatrice è stata subito avvertita, però, l'inadeguatezza di una simile nozione a descrivere i connotati specifici del terrorismo internazionale ed è stata sentita l'esigenza di individuare una definizione giuridica nella quale si riflettessero i peculiari caratteri transnazionali delle condotte criminose attraverso l'analisi delle plurime fonti internazionali dirette a reprimere attività terroristiche; nel 2005, dunque, con il d.l. 144/2005, convertito nella l. 155/2005, il Legislatore compie un ulteriore passo verso una definizione di terrorismo internazionale, inserendo nel nostro codice penale il nuovo art. 270-sexies, Condotte con finalità di terrorismo. In sintesi, la nuova norma considera come condotte con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condottedefinite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia. È importante sottolineare come l'art. 270-sexies c.p. ha, sostanzialmente, recepito la definizione di terrorismo contenuta nella decisione quadro 2002/475/Gai sulla lotta contro il terrorismo, la quale imponeva a tutti gli Stati membri dell'Ue l'obbligo di introdurre, nelle rispettive legislazioni, apposite fattispecie incriminatrici delle condotte di terrorismo (o di adeguare quelle esistenti) e di prevedere per le stesse un trattamento sanzionatorio che fosse effettivo, proporzionato e dissuasivo. In particolare, nell'art. l della suddetta decisione quadro, si legge Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché siano considerati reati terroristici gli atti intenzionali […] che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un paese o a un'organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di. intimidire gravemente la popolazione, o costringere indebitamente i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese o un'organizzazione internazionale. La qualificazione delle fattispecie elencate come delitti terroristici, sul presupposto oggettivo della loro idoneità, per natura e contesto, ad arrecare grave danno ad un Paese o un'organizzazione internazionale, viene, dunque, collegata, sotto l'aspetto soggettivo, ad una finalità (terroristica) strutturata in un triplice dolo specifico alternativo, consistente nella volontà di diffondere terrore nella popolazione, o di sottoporre a costrizione poteri statuali ovveroorganizzazioni internazionali, o ancora in uno scopo di tipo propriamente eversivo; l'art. 270-sexies c.p. ricalca ladefinizione europea di terrorismo, salvo ampliarla con la clausola di chiusura (… nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia).

Gli interventi normativi realizzati nell'ottica del contrasto al terrorismo prevedono anche iniziative di tipo preventivo; anzi, l'attività di prevenzione costituisce la nuova frontiera dell'azione di contrasto alle emergenze di politicacriminale. La prima è stata introdotta dall'art. 3 del d.l. 144 del 2005, il quale prevede ulteriori ipotesi in cui è possibile adottare un provvedimento di espulsione dello straniero per motivi di prevenzione del terrorismo; è data facoltà al Ministro dell'Interno o, su sua delega al prefetto di disporre, con un provvedimento immediatamente esecutivo, l'espulsione degli stranieri socialmente pericolosi perché appartenenti ad una delle categorie di cui all'articolo 18 della legge 22 maggio 1975, n. 152, o nei cui confronti vi siano fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.

La seconda riguarda l'ampliamento dei casi in cui è possibile procedere ad intercettazioni preventive: l'art. 5 del d.l. 374/2001 così come convertito dalla l. 438/2001 infatti, ha completamente riscritto l'art. 226 disp. att. c.p.p., rubricato Intercettazioni e controlli preventivi sulle comunicazioni. L'obiettivo principale dell'innovazione legislativa di tale disciplina è quello di creare uno strumento tale da essere idoneo a prevenire il compimento di determinati reati, salvo l'acquisizione della notizia di reato, che imporrebbe la cessazione delle intercettazioni. L'art. 226 disp. att. c.p.p. individua tassativamente i reati per i quali è possibile richiedere l'autorizzazione ad effettuare intercettazioni preventive: quando sia necessario, cioè, per l'acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4 e 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. Con riferimento, invece, al contenuto di tali intercettazioni, il primo comma del succitato articolo, indica che è possibile concedere l'autorizzazione all'intercettazione di comunicazioni o conversazioni, anche per via telematica, nonché all'intercettazioni di comunicazioni tra presenti anche se queste avvengono nei luoghi indicati dall'art. 614 del codice penale; dunque, la norma ha esteso l'ambito operativo delle intercettazioni preventive anche a quelle ambientali.

Circa la forma del provvedimento autorizzativo, sussiste in dottrina opinione unanime in favore del decreto motivato, in assenza del quale si creerebbe un contrasto con l'art 15 Cost. Quanto alla durata massima delle attività di intercettazione, il comma secondo prevede un periodo pari a quaranta giorni, prorogabile per periodi successivi di venti giorni (a condizione che permangano i presupposti di legge) con decreto motivato del pubblico ministero, in cui deve essere dato atto dei motivi che rendono necessaria la prosecuzione delle operazioni. Inoltre, le intercettazioni di comunicazioni telefoniche o telematiche previste dall'art. 226 disp. att. c.p.p., devono essere obbligatoriamente eseguite con particolari impianti installati presso la procura della Repubblica o presso altre idonee strutture individuate dallo stesso Procuratore che concede l'autorizzazione (art. 5 comma 3 del d.1. n. 374 del 2001. L'ultimo comma dell'art. 226 disp. att. c.p.p., il comma quinto, precisa che In ogni caso gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i finiinvestigativi. In ogni caso le attività diintercettazione preventiva di cui ai commi precedenti, e le notizie acquisite a seguito delle attività medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine né costituire oggetto di deposizione né essere altrimenti divulgate.

Nell'ottica di prevenzione l'art. 14 del d.l. 144 del 2005, prevede la disciplina sul Congelamento dei beni: in caso di rischio che fondi o risorse – saranno segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite o ad altro organismo internazionale per le iniziative di "congelamento" – possano essere medio-tempore, dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di attività terroristiche, sarà dunque necessario che il Presidente del Comitato di sicurezza finanziaria informi il procuratore della Repubblica. Nei confronti dei soggetti o enti segnalati sarà possibile dare corso all'applicazione delle adeguate misure di prevenzione previste dalla legge.

Sempre nell'ottica della creazione di strumenti idonei a potenziare il contrasto al fenomeno terroristico, sono state introdotte novità volte a rafforzare i poteri della polizia giudiziaria. Tra questi, è utile segnalare: il potere autonomo concesso alla polizia giudiziaria di perquisire interi edifici o blocchi di edifici, con l'ulteriore possibilità, nel corso delle operazioni, di sospendere la circolazione di persone e veicoli nelle aree interessate; l'introduzione, da parte dell'art. 5 del d.l. 144/2005, delle unità antiterrorismo, una sorta di taskforce composta da ufficiali di polizia, carabinieri e guardia di finanza, costituite per far fronte all'esigenza di affidare le indagini per i casi di "rilevante gravità" a soggetti dotati di specifiche competenze tecnico-professionali e attitudine operativa, e che agiscono sotto la direzione del pubblico ministero.

In materia di arresto e fermo, con riferimento all'arresto obbligatorio in flagranza, ex art. 380 comma 2 lett. i) del codice di procedura penale, sono state ampliate le fattispecie delittuose con finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico per le quali deve essere disposto, da parte della polizia giudiziaria, l'arresto obbligatorio in flagranza di reato, estendendolo ai reati per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni, invece che a cinque anni come nella precedente versione. Nell'art. 381 del codice di rito è stata, invece, inserita la lett. m-bis), che ha ampliato i casi in cui è facoltativo disporre l'arresto in flagranza di reato, con riferimento ai reati di fabbricazione, detenzione o uso di documento di identificazione falso previsti dall'art. 497-bis c.p. In ultimo, lo stesso art. 13 del d.l. 144/2005, ha modificato l'art. 384 del codice di procedura penale, rubricato Fermo di indiziato di delitto, il quale, prevede, al comma primo, l'obbligo di disporre il fermo della persona gravemente indiziata di un delitto commesso con finalità di terrorismo, indipendentemente dai limiti edittali di pena anche fuori dai casi di flagranza, quando sussistano specifici elementi che facciano ritenere fondato il pericolo di fuga. Infine, è importante segnalare che lo stesso decreto 144 del 2005 ha introdotto nell'art. 349 c.p.p. il comma 2-bis, che prevede una nuova disciplina in materia di accertamento dell'identità mediante prelievo coattivo di campione biologico, legittimando, così, una intrusione nella sfera personalissima dell'individuo.

Ovviamente la norma precisa che tale prelievo, dovrà avvenire nel rispetto della dignità personale del soggetto; ma, di contro, omette di indicare in modo specifico i casi in cui è possibile procedere a prelievo coattivo .

Le “attività sotto copertura” nella fase delle indagini concernenti i delitti con finalità di terrorismo

La legislazione speciale in materia di criminalità organizzata, ha previsto, alcune ipotesi di azione simulata: le operazioni “sotto copertura”. La legislazione nell'art. 4 del d.l. 374 del 2001 convertito nella legge 438 del 2001, mediante l'attribuzione agli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza anche per interposta persona (ossia attraverso soggetti non appartenenti alle forze dell'ordine) di acquistare, ricevere, sostituire od occultare denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti, beni ovvero cose che costituiscono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato ostacolano l'individuazione della provenienza o ne consentano l'impiego. Si permette altresì agli organi procedenti di utilizzare documenti di identità o indicazioni di copertura per il contatto con soggetti o siti delle reti di comunicazione, al fine di facilitare infiltrazioni nelle organizzazioni terroristiche.

La ratio della disciplina trova fondamento nella particolare natura del reato di terrorismo. Le attività sotto copertura possono essere disposte solo in relazione ad un procedimento penale, ossia solo dopo che sia stata acquisita la notizia di reato. In nessun caso le operazioni possono essere disposte per acquisire la notizia di reato, ossia non potranno essere meramente esplorative e preventive. La non punibilità dei soggetti sotto copertura è, infatti, subordinata alla circostanza che queste operazioni risultino finalizzate all'acquisizione di elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo. Si tratta, quindi, di un'attività, soggettivamente e oggettivamente post delictum, che deve essere disposta e svolta in stretto raccordo operativo con il pubblico ministero, per consentirgli di assumere la direzione delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 327 c. p. p., sia di disporre il differimento dell'esecuzione di provvedimenti coercitivi o del sequestro probatorio. Gli ufficiali procedenti devono dare comunicazione allo stesso pubblico ministero dell'utilizzazione di documenti o indicazioni di copertura al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive all'inizio di questa attività.

La legge 136 del 2010 ha introdotto uno "statuto speciale" applicabile al personale di polizia giudiziaria e ai suoi collaboratori privati che siano stati impegnati in attività sotto copertura. È stato inserito nell'art. 497 c.p.p., rubricato Atti preliminari all'esame dei testimoni, un comma 2-bis, secondo cui gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, gli ausiliari, e le interposte persone, in ogni stato e grado del procedimento, quando sono chiamati a deporre in ordine alle attività svolte sotto copertura ai sensi dell'articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, devono indicare le generalità di copertura utilizzate nel corso delle medesime attività ( devono, cioè, indicare l'identità fittizia assunta in tali operazioni).

Si è inserito nell'art. 115 disp. att. c.p.p. il comma 1-bis, ove si dispone che le annotazioni previste dall'art. 357 c.p.p., rubricato Documentazione dell'attività di polizia giudiziaria, se riguardano le attività di indagine condotte da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria nell'ambito delle operazioni sotto copertura, contengano le generalità di copertura dagli stessi utilizzate nel corso delle medesime attività.

È stato modificato l'art. 147-bis disp. att. c.p.p.: estendendone la rubrica, finora circoscritta esclusivamente alle figure dei collaboratori di giustizia e degli imputati di reato connesso, anche all'ipotesi degli "operatori sotto copertura"; introducendo nella norma il nuovo comma 1-bis secondo cui l'esame in dibattimento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, degli ausiliari e delle interposte persone, che abbiano operato in attività sotto copertura ai sensi dell'articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, ( ... ) sisvolge sempre con le cautele necessarie alla tutela e alla riservatezza della persona sottoposta all'esame e con modalità determinate dal giudice o, nei casi di urgenza, dal presidente, in ogni caso idonee aevitare che il volto di tali soggetti sia visibile"; l'esame ove il giudice ritenga assolutamente necessaria la presenza del dichiarante, si svolge, di regola, a distanza "quando devono essere esaminati ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, nonché ausiliari e interposte persone, in ordine alle attività dai medesimi svolte nel corso delle operazioni sotto copertura di cui all'articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146", con la precisazione che "in tali casi, il giudice o il presidente dispone le cautele idonee ad evitare che il volto di tali soggetti sia visibile.

Gli strumenti processuali a garanzia della tutela della collettività

Il d.l. 374/2001 convertito in l. 438 del 2001, ha modificato l'art. 51 del c.p.p. inserendo un nuovo comma, il comma 3-quater, il quale prevede un'eccezione rispetto alla regola ordinaria disposta dal comma primo; infatti, è previsto che quando si tratta di procedimenti per i delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo le funzioni indicate nel comma 1, lettera a), sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. Inoltre, è stata apportata un'altra importante novità nel nostro codice, incidendo sulla disciplina relativa alle funzioni di giudice per le indagini preliminari, con la modifica del comma 1-bis dell'art. 328 del codice di procedura penale, il quale, ora, dispone che Quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51 commi 3-bis e 3-quater, le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.

Sono previste deroghe alle normali regole sulla partecipazione al dibattimento e all'esame in dibattimento di persona imputata in un procedimento connesso allorché si proceda per i reati previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a) n. 4 c.p.p. ossia i delitti aventi finalità di terrorismo o eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci (nonché per i delitti di cui agli artt. 270, comma 3 e 306, comma 2, c.p.). In primo luogo, l'art. 146-bis disp. att. c.p.p. prevede, al comma primo, che nei casi sopra descritti, la partecipazione al dibattimento avviene a distanza, subordinatamente alla presenza di tre presupposti: lo stato di detenzione carceraria; la sussistenza di gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico; la particolare complessità del dibattimento e la necessità di evitare ritardi nel suo svolgimento. Inoltre, la partecipazione a distanza avviene in ogni caso (ex art. 146-bis, comma 1-bis, quando si procede nei confronti di detenuti al quale sono state applicate le misure di cui all'art. 41-bis comma 2 della legge 354/1975, a prescindere dal tipo di reato, nonché, ove possibile, quando si deve udire, in qualità di testimone, persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario (locuzione aggiunta dalla nuova legge 17 febbraio 2012 n. 9, che ha convertito in legge il d.l. 211/2011: c.d. decreto svuota- carceri) salvo, in quest'ultimo caso, diversa motivata disposizione del giudice. Va evidenziato, ancora, l'art. 146-bis, comma 7, che prevede il recupero della partecipazione fisica al dibattimento: se lo ritiene indispensabile, infatti, il giudice può disporre che l'imputato sia accompagnato in aula affinché si proceda a confronto o ricognizione dell'imputato o altro atto per cui sia necessaria l'osservazione della sua persona.

Il regime penitenziario differenziato per i reati terroristici

Il regime speciale di rigore trova il suo fulcro nell'art. 4-bis e, di conseguenza, nel 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Il comma primo dell'art. 4-bis, Divieto di concessione dei benefici e accertamento sulla pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti, così come modificato dal pacchetto sicurezza del 2009, risulta suddiviso in quattro differenti commi ognuno dei quali detta una precisa disciplina per particolari categorie di condannati per determinati delitti considerati di particolare allarme sociale, tra i quali figurano i delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza. Il comma 1 dell'art. 4-bis esclude in toto la concessione dei benefici, quali l'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste nel Capo VI, a favore di detenuti o internati per i delitti appena citati, salvo i casi in cui venga concessa una collaborazione effettiva con gli organi di giustizia (a cui sono equiparate la collaborazione impossibile e quella c.d. irrilevante) ed il concreto accertamento (attraverso l'acquisizione di elementi) dell'esclusione di qualsiasi collegamento con la criminalità terroristica o eversiva. Allo stesso modo, ai sensi dell'art. 4-bis, comma 1-bis, la condanna ad un delitto commesso per finalità di terrorismo o eversione non osta alla possibile concessione dei benefici nel caso in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, adeguatamente accertato nella sentenza di condanna ovvero l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile rendano impossibile un'utile attività collaborativa (c.d. collaborazione impossibile ); nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall'articolo 62, numero 6) del codice penale. L'art. 41-bis, comma secondo, individua i casi in cui il Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell'interno, ha facoltà di sospendere, in tutto o in parte l'applicazione delle normali regole di trattamento carcerario che possano porsi in contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza. Tale particolare forma di sospensione, il c.d. carcere duro, può essere disposta nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui all'art. 4-bis ord. penit., nel caso in cui siano presenti elementi idonei a ritenere ancora sussistente il collegamento con l'associazione terroristica.

Tutte le limitazioni previste dalla disciplina del carcere duro da applicare nei confronti dei soggetti legati alla criminalità mafiosa, sono state, dunque, estese anche ai detenuti per i delitti commessi con finalità di terrorismo.

La risoluzione n. 2178/2014

Con l'approvazione, della risoluzione n. 2178/2014, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha imposto agli Stati l'adozione di misure di carattere generale nella lotta al terrorismo internazionale. In fase di recepimento, ha permesso ai singoli stati membri ha permesso di adottare nuove misure.

La risoluzione permette di agire su tre livelli con un approccio preventivo, e poggia su tre pilastri:

a) Il contrasto alla radicalizzazione e all'estremismo violento.

b) Le misure di prevenzione in senso stretto, soprattutto rispetto ai controlli sul movimento dei sospetti terroristi.

c) La risposta giudiziaria, nel senso dell'anticipo della tutela penale, erigendo a reati atti c.d. preparatori, ossia che precedono la commissione di un atto terroristico.

In Italia questa risoluzione è stata recepita dal Consiglio dei Ministri in data 10 febbraio 2015 con apposito decreto legge (d.l. 7 del 19 febbraio 2015) con cui vengono introdotte importanti misure (anche giudiziarie e penali) per una pronta repressione del fenomeno con misure urgenti.

Possono essere suddivise, secondo la linea guida della predetta risoluzione dalle Nazioni Unite.

[...] (omissis) Il provvedimento prevede sul piano penale:

L'introduzione di una nuova figura di reato destinata a punire chi organizza, finanzia e propaganda viaggi per commettere condotte terroristiche (reclusione da tre a sei anni);La punibilità del soggetto reclutato con finalità di terrorismo anche fuori dai casi di partecipazione ad associazioni criminali operanti con le medesime finalità (attualmente, l'art. 270-quater c.p. sanziano solo il reclutatore);La punibilità, sul modello francese, di colui che si “auto-addestra” alle tecniche terroristiche (oggi è punito solo colui che viene addestrato da un terzo – art. 270-quinquies c.p.);L'introduzione di specifiche sanzioni, di ordine penale ed amministrativo, destinate a punire le violazioni degli obblighi in materia di controllo della circolazione delle sostanze (i cd. “precursori di esplosivi”) che possono essere impiegate per costruire ordigni con materiali di uso comune.

Sul piano degli strumenti di prevenzione, le misure contemplate comprendono:

La possibilità di applicare la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ai potenziali “foreign fighters”;La facoltà del Questore di ritirare il passaporto ai soggetti indiziati di terrorismo, all'atto della proposta di applicazione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno. Il provvedimento è sottoposto a convalida dell'Autorità Giudiziaria;L'introduzione di una figura di reato destinata a punire i contravventori agli obblighi conseguenti al ritiro del passaporto e alle altre misure cautelari disposti durante il procedimento di prevenzione.

Inoltre, lo schema di decreto si incarica di aggiornare gli strumenti di contrasto all'utilizzazione della rete internet per fini di proselitismo e agevolazione di gruppi terroristici. In particolare, vengono previsti:

Aggravamenti delle pene stabilite per i delitti di apologia e istigazione al terrorismo commessi attraverso strumenti telematici;La possibilità per l'Autorità Giudiziaria di ordinare agli internet provider di inibire l'accesso ai siti utilizzati per commettere reati con finalità di terrorismo,compresi nell'elenco costantemente aggiornato dal ServizioPolizia Postale e delle Telecomunicazioni della Polizia di Stato. Nel caso di inosservanza è la stessa Autorità Giudiziaria a disporre l'interdizione dell'accesso ai relativi domini internet.

Ulteriore misure comprendono: (relativamente all'Intelligence)

La proroga dell' “Operazione strade sicure” fino al 30 giugno 2015, con un rafforzamento del contingente messo a disposizione dalle Forze Armate che passa da 3000 a 4800 unità, delle quali un'aliquota sarà dedicata esclusivamente alle attività di vigilanza connesse agli interventi di recupero delle aree agricole contaminate della Campania (per l'operazione “Terra dei Fuochi”). Altri 600 militari saranno a disposizione con l'inizio di Expo per presidiare gli obiettivi sensibili.la semplificazione, nel rispetto del Codice della privacy, delle modalità con le quali le Forze di polizia effettuano trattamenti di dati personali previsti da norme di regolamento, oltre a quelli contemplati da disposizioni di rango primario;l'ampliamento delle “garanzie funzionali” riconosciute agli appartenenti ai Servizi di informazione, escludendo la punibilità di una serie di condotte in materia di terrorismo (diverse dai reati di attentato o sequestro di persona), commesse dal personale delle Agenzie di Intelligence per finalità istituzionali e previa autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri.La possibilità per il personale dei Servizi posa deporre nei procedimenti giudiziari, mantenendo segreta la reale identità personale;La possibilità per le Agenzie di Intelligence, consentendo loro, previa autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria, di effettuare, fino al 31 gennaio 2016, colloqui con soggetti detenuti o internati, al fine di acquisire informazioni per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale;L'attribuzione al Procuratore Nazionale Antimafia di funzioni di coordinamento, su scala nazionale, delle indagini relative a procedimenti penali e procedimenti di prevenzione in materia di terrorismo.

Il contenuto del decreto ha comunque esteso quanto già esistente e previsto dal Legislatore del 2005 (allora recependo quanto contenuto nel Regolamento Europeo citato, e che aveva portato ad una modifica di alcune parti del codice penale (artt. 242 e seguenti). La proposta ministeriale del febbraio 2015 ha trovato con d.l 7 del 19 febbraio 2015 in Gazzetta ufficiale - Serie generale, n. 41 del 19 febbraio 2015. Numerose le modifiche previste dal codice penale, alle misure di sicurezza, al rapporto di collaborazione fra forze di polizia ed intelligenze. Profondamente riformati, anche nelle pene, alcuni articoli essenziali del codice penale con norme di chiusura e di coordinamento delle fonti già esistenti.

Allo stato attuale uno dei principali risultati di questa nuova esigenza di collaborazione transfrontaliera ha anche portato, nel marzo 2016 ad un disegno di legge per la costituzione di una banca dati sul DNA.

Il decreto legge 7 del 18 febbraio 2015, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale

Le nuove misure incidono in maniera sensibile sul piano pratico. In primo luogo l'attribuzione all'attuale Direzione nazionale antimafia e al Procuratore nazionale antimafia di competenze aggiuntive in materia di coordinamento del contrasto al terrorismo, con conseguente loro trasformazione – rispettivamente – in Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e in Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in particolare il codice penale, il c.d. codice antimafia (decreto legislativo 159/2011) e la disciplina del processo penale.

Sul versante delle disposizioni di diritto penale costituzionale, il decreto legge all'art. 1 introduce un secondo comma nell'art. 270-quater c.p. (Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale), che prevede la punibilità anche del soggetto arruolato, con un quadro edittale mite rispetto all'arruolatore (già punibile ai sensi del primo comma con la reclusione da sette a quindici ani);

Ancora all'art. 1 introduce un nuovo art. 270 quater.1 c.p. (Organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo), che recita Fuori dai casi di cui agli articoli 270-bis e 270-quater, chiunque organizza, finanzia o propaganda viaggi al compimento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all'articolo 270-sexies, è punito con la reclusione da tre a sei anni. Sempre l'art. 1 modifica l'art. 270-quinquies c.p. (Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale) estendendo la relativa comminatoria edittale (reclusione da cinque a dieci anni) già prevista per la persona “addestrata” anche alla persona che avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti di cui al primo periodo, pone in essere comportamenti finalizzati alla commissione delle condotte di cui all'articolo 270-sexies. Agli artt. 1 e 2 introduce altrettante circostanze aggravanti allo stesso art. 270-quinquies, nonché agli artt. 302 (Istigazione a commettere un delitto doloso contro la personalità dello Stato), 414, terzo comma (Pubblica apologia di delitto) e 414, quarto comma (pubblica istigazione o apologia di delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità) se il fatto è commesso mediante strumenti informatici o telematici; All'art. 3 introduce due nuove contravvenzioni in materia di detenzione abusiva di precursori di esplosivi (art. 678-bis c.p) e di omissione di denunzia di furti di esplosivi (art. 679-bis c.p), con rinvio alla pertinente disciplina del diritto dell'Unione europea per la definizione di tali precursori.

Si è sostenuto Nel quadro di un apparato normativo già fortemente orientato all'incriminazione di condotte preparatorie rispetto alla commissione dei delitti “fine” di terrorismo descritti dall'art. 270 sexies c.p., di particolare rilievo teorico appare dunque la novella che interessa l'art. 270 quinquies c.p., il cui effetto pratico è quello di sottoporre alla pena della reclusione da cinque a dieci anni (e, prima ancora, all'intero arsenale delle misure cautelari e precautelari) chiunque, avendo acquisito anche autonomamente istruzioni sull'uso di armi, esplosivi, tecniche di combattimento etc., ponga in essere qualsiasi condotta soggettivamente finalizzata alla realizzazione di un delitto terroristico: id est, qualsiasi atto preparatorio rispetto alla successiva commissione (da parte sua o – parrebbe – da parte di un terzo), di un tale delitto.

Sul versante del c.d. codice antimafia (decreto legislativo 159/2011), il decreto legge all'art. 4 amplia i presupposti soggettivi di applicazione delle misure di prevenzione personali (e conseguentemente patrimoniali, in forza del richiamo di cui all'art. 16) integrando l'art. 4 lett. d) con il riferimento a coloro, che operando in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti (oltre che, come già oggi previsto, a compiere reati con finalità di terrorismo anche internazionale) a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un'organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all'articolo 270-sexies del codice penale, attribuendo altresì al questore – oltre che al presidente del tribunale, come già oggi previsto dall'art. 9 – il potere di disporre in via d'urgenza il ritiro immediato del passaporto e di ogni altro documento valido ai fini dell'espatrio nei confronti di persona nei cui confronti sia stata proposta la sorveglianza speciale, in attesa della convalida dello stesso Presidente del tribunale entro le novantasei ore successive; sempre all'art. 4, estende alle nuove ipotesi delittuose introdotte nel codice penale, l'aggravante già prevista dall'art. 71 codice antimafia per chi abbia commesso una serie di reati essendo sottoposto con provvedimento definitivo a una misura di prevenzione, e sino a tre anni dal momento in cui è cessata l'esecuzione; ancora all'art. 4 introduce un nuovo art. 75-bis codice antimafia, configurante una nuova ipotesi delittuosa di violazione del divieto di espatrio imposto in via d'urgenza dal presidente del tribunale o dal questore ai sensi dell'art. 9, con facoltà di arresto in flagranza del contravventore; Infine, all'art. 9 il decreto legge modifica – come anticipato – la denominazione della Direzione nazionale antimafia e del Procuratore nazionale antimafia, trasformandoli in Direzione nazionale e in Procuratore nazionale “antimafia e antiterrorismo”, attraverso una serie di modifiche alle norme pertinenti del codice antimafia oltre che dello stesso codice di procedura penale. L'art. 20 del decreto legge, in via transitoria, attribuisce le nuove funzioni all'attuale Procuratore nazionale antimafia.

In riferimento al processo penale merita particolare attenzione la modifica dell'art. 497, comma 2-bis, c.p.p., che consentirà – oltre che agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, ai loro ausiliari e alle interposte persone che abbiano svolto attività sotto copertura – anche ai dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza, chiamati a deporre in ordine alle loro attività svolte ai sensi della pertinente disciplina di cui alla legge 124/2007, di indicare le proprie generalità di copertura (art. 8 del decreto legge); la modifica degli artt. 24 e 27 della legge 124/2007 sulla disciplina dei servizi, che consentirà agli appartenenti agli stessi, da un lato, di utilizzare le proprie identità di copertura negli atti dei procedimenti penali di cui all'articolo 19, dandone comunicazione con modalità riservate all'autorità giudiziaria procedente contestualmente all'opposizione della causa di giustificazione; e, dall'altro, di deporre in ogni stato o grado del procedimento con identità di copertura, anche al di fuori delle ipotesi disciplinate (novellato) art. 497, comma 2-bis, c.p.p. (art. 8 del decreto legge);infine, l'attribuzione al pubblico ministero che procede per delitti di terrorismo, allorché sussistano concreti elementi che consentano di ritenere che taluno stia compiendo detti delitti per via telematica, del potere di ordinare, con decreto motivato, ai fornitori di servizi di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, ovvero ai soggetti che comunque forniscono servizi di immissione e gestione, attraverso i quali il contenuto relativo alle medesime attività è reso accessibile al pubblico, di provvedere alla rimozione dello stesso (art. 2, comma quarto, del d.l., il quale non chiarisce peraltro se sia necessaria la convalida di tale decreto da parte del giudice, secondo le disposizioni generali dell'art. 321, comma 2-bis, c.p.p.: norma quest'ultima che, peraltro, viene espressamente richiamata dalla disposizione in parola, per l'ipotesi in cui i destinatari dell'ordine del P.M. non vi adempiano entro quarantotto ore, in tal caso dovendosi disporre, per l'appunto, l'interdizione dell'accesso al dominio internet nelle forme e con le modalità di cui all'articolo 321 del codice di procedura penale).

Merita, ancora, considerazione la previsione, all'art. 6 del decreto legge (che modifica a sua volta l'art. 4 del d.l. antiterrorismo 144/2005, convertito in l. 155/2005), della possibilità per i direttori dei servizi di informazioni e per personale da essi specialmente delegato di effettuare – su autorizzazione del procuratore generale – colloqui personali con detenuti e internati, al sol fine di acquisire informazioni per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale.

Dopo alcuni mesi di applicazione del decreto “antiterrorismo” sono iniziati i primi contrasti dottrinali sulla normativa. Soprattutto per la massiccia dose di provvedimenti preventivi e cautelari presenti.

Sul versante penalistico, l'interrogativo è – ancora una volta – quello della tollerabilità di una così massiccia anticipazione della tutela penale, a fronte di fattispecie che incriminano atti sempre più distanti, dal punto di vista cronologico, dalla lesione dei beni giuridici che si realizza mediante il reato “fine” terroristico. Indubitabile è, invero, l'enorme potenzialità lesiva di attentati sicché la legittimità di un intervento preventivo del diritto penale, dall'altro, quello della congruità della risposta sanzionatoria, al metro del principio di proporzione tra misura della sanzione e gravità del reato, a fronte di atti soltanto preparatori, che ancora non ledono alcun bene giuridico “finale” e che pure vengono sanzionati, ora con la pena minima di cinque anni di reclusione.

Ma è soprattutto il versante delle misure di prevenzione che occorre avere riguardo. Il sistema coercitivo della prevenzione, che conduce –trattandosi di stranieri non UE – all'espulsione del soggetto dal territorio nazionale, reagisce ora di fronte a qualsiasi atto preparatorio di un viaggio all'estero, durante il quale si abbia motivo di sospettare che il soggetto possa unirsi a forze militari che a loro volta perseguano obiettivi terroristici. Non che, anche in questo caso, le preoccupazioni del legislatore siano a priori infondate: l'esperienza reale di atti terroristici all'estero accresce, del tutto plausibilmente, la pericolosità dell'ex combattente, una volta che questi riesca a rientrare nel territorio nazionale. Il problema sta, però, nella bassissima soglia indiziaria che consente l'applicazione delle misure di prevenzione, nella pratica assenza di regole sulla formazione della prova nel relativo procedimento, e in generale nella scarsissima effettività delle garanzie difensive di cui il proposto dispone, rispetto a quelle di cui tutto sommato godrebbe – anche in fase cautelare – nell'ambito di un procedimento penale.

Con il rischio che l'adozione di strategie alternative al diritto penale – magari ispirate dal proposito, di evitare contaminazioni del diritto penale con meccanismi di pura neutralizzazione della pericolosità individuale – si risolva, nei fatti, in una perdita secca in termini di tutela dei diritti fondamentali del destinatario delle “nuove” misure coercitive, estremamente afflittive ancorché formalmente qualificate come “non penali”.

Proprio la possibilità dell'espulsione dello straniero non appartenente all'Ue, in presenza degli stessi requisiti che legittimerebbero l'adozione di una misura di prevenzione nei suoi confronti, evidenzia questo rischio. L'espulsione non è affatto una misura meno incisiva, rispetto ai diritti fondamentali del suo destinatario, rispetto alla pena detentiva e alla custodia cautelare in carcere: tutt'altro. Non solo perché mediante l'espulsione possono essere drasticamente recisi tutti i legami sociali e familiari che lo straniero – in ipotesi nato e cresciuto in Italia – ha sviluppato nell'intero arco della sua esistenza; ma, soprattutto, perché l' espulsione pianificata e attuata d'intesa con le polizie e i servizi di sicurezza dello Stato di destinazione espone di regola il soggetto a gravissimi rischi di tortura, una volta che il soggetto sia stato preso in carico da quei servizi di sicurezza, che normalmente non “eccellono” quanto a rispetto dei diritti umani, specie nei confronti di veri o presunti terroristi.

Certo, l'ordinamento ha il diritto, e il dovere, di difendersi, di fronte alla prospettiva di attentati catastrofici. Ma sul come adempiere a questo compito essenziale, senza con ciò sacrificare il patrimonio di diritti umani che costruisce il più autentico motivo d'orgoglio della nostra società occidentale e il presupposto stesso della nostra democrazia, molto si dovrà ancora riflettere.

In conclusione

Le nuove sfide della modernità e gli strumenti di contrasto hanno portato ad una produzione legislativa disordinata e soprattutto priva di regole sostanziali processuali per fronteggiare alcune realtà come il terrorismo. Dietro la guerra del criminale nemico si sono dissolte le normali garanzie previste nel processo penale che presuppongono sempre un percorso legale dell'accertamento di responsabilità nell'ambito di un giusto processo e non attraverso logiche repressive di un sistema “cripto inquisitorio”.

La nuova legge in tema di attività terroristica privilegia gli aspetti preventivi e repressivi non tenendo purtroppo conto che tali strumenti di contrasto richiedono soprattutto una disciplina organica in materia di cooperazione fra Stati in uno spazio giudiziario europeo. Tutto ciò ha i suoi riverberi funzionali anche nella direzione e nel coordinamento delle attività investigative transnazionali. Le maggiori difficoltà si sono riscontrate nell'ambito di una legislazione che se da un lato ha cercato di dare una risposta forte ed incisiva alle esigenze della collettività di fronte alla prospettiva di attentati catastrofici ha comunque creato una situazione di crisi nell'ambito della tutela dei diritti umani sui quali la nostra democrazia dovrà ancora riflettere soprattutto in funzione dei principi e delle regole del nostro processo penale.

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